Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (3./)
Iniziò
così quella seconda, lunga fase nella vita del maestro, che lo portò a viaggiare
per il mondo fino all`età di novant`anni, e a diventare un punto di riferimento
per scrittori come Aldous Huxley, scienziati come David Bohm, o migliaia di
persone comuni appartenente a paesi e razze diverse, così attratti dalla figura
e dalle parole di un pensatore davvero fuori dal comune e da ogni schema.
Una seconda fase nella quale Krishnamurti
portò avanti con coerenza, fino all’ultimo, ciò che pensava della vita: il
rifiuto di ogni ideologia, di ogni autorità spirituale o psicologica –
comprendendo anche se stesso in questo
contesto – la liberazione dalla paura – dalla paura della morte in primis - dai condizionamenti del pensiero,
dall’autorità, dalla sottomissione ai vincoli imposti.
Il cammino spirituale di Krishnamurti è
fatto, prima di tutto, di consapevolezza. E’ solo la consapevolezza che rende
liberi nel cammino verso la Verità. Ma nessuna consapevolezza è
possibile dentro al frastuono del mondo, nessuna consapevolezza è possibile se
non ci si libera dei legacci e delle false illusioni del pensiero.
La
comprensione, scrive nel suo primo libro, pubblicato nel 1953, Education and the Significance of Life, viene
solo attraverso l’autoconoscenza, che è la consapevolezza del proprio intero
processo psicologico. L’istruzione è
nella comprensione di sé, poiché è in ciascuno di noi che è raccolta la
totalità dell’esistenza.
E nell’Uomo alla svolta, aggiunge: la
libertà è essenziale per l’amore; non la libertà della rivolta, non la libertà
di fare quel che ci pare e piace, neanche l’indugiare segretamente o
apertamente nelle proprie bramosie, ma piuttosto la libertà derivante dalla
comprensione dell’intera struttura della natura e del centro. Allora la libertà
è amore. (5)
E’ grazie ad affermazioni come queste,
fatte nel corso di lunghe conferenze, fatte senza nessun foglio scritto, seduto
su di una semplice sedia, con il suo tono di voce avvolgente, la pronuncia
lenta, gli occhi spesso socchiusi, che Krishnamurti diventò, poco a poco,
celebre. Riconosciuto, ammirato,
inseguito anche – inevitabilmente – dal mondo della celebrità e dello spettacolo.
Quando l’amica italiana Vanda Scaravelli
- era figlia di Alberto Passigli,
aristocratico proprietario terriero, e personaggio molto in vista nella società
fiorentina e moglie del marchese Luigi Scaravelli, professore di filosofia
all’Università di Roma – lo portò in Italia, registi cinematografici (Fellini,
Pontecorvo), scrittori (Moravia, Carlo Levi), musicisti (Segovia, Casals)
fecero a gara per incontrarlo. Ma
Krishnamurti non cambiò mai il suo semplice sistema di vita, apparentemente
completamente alieno dai bisogni e dai desideri umani. Continuò a passare gran parte delle sue
giornate in meditazione, o studiando o scrivendo, o incontrando persone che
volevano conoscerlo. Continuò, allo
stesso modo, quel doloroso processo,
che a tratti si impadroniva di lui e lo portava in uno stato di estasi e di
distacco dal mondo, del quale la stessa
Scaravelli (6) fu più volte testimone, e che così descrive nei suoi appunti:
Dopo
colazione stavamo conversando. In casa non c’era nessuno. Tutt’a un tratto K.
svenne. Ciò che accadde a questo punto non si può descrivere, poiché non ci
sono parole per darne minimamente un’idea: ma è anche qualcosa di troppo serio,
troppo straordinario, troppo importante per essere lasciato nel buio, sepolto
nel silenzio o tralasciato. Nel viso di K. ci fu una trasformazione. I suoi occhi divennero più grandi, vasti e
profondi, ed ebbero uno sguardo sovrumano, che andava al di là di ogni spazio
possibile. Fu come se ci fosse una presenza, un potere appartenente ad un’altra
dimensione. C’era una inspiegabile sensazione di vuoto e di pienezza al tempo
stesso. (7)
I contorni di questo ‘dove’, di questa
‘altra dimensione’ furono lasciati dallo stesso Krishnamurti sempre incerti.
Non accettò mai di rispondere in modo preciso a ciò che avveniva durante quegli
stati di coscienza che duravano anche giorni interi. Ma sempre, nei suoi discorsi, emerse
chiaramente che si sentiva ‘abitato’ o ‘protetto’ da una volontà e da un verità
superiore. Anche se ‘Dio’ è una parola
che Krishnamurti usò con incredibile
parsimonia, proprio perché considerava quello che gli uomini descrivono come
‘Dio’ una ulteriore prigione mentale, un pre-giudizio, uno schema di cui
liberarsi, se si vuole arrivare davvero al centro autentico della verità.
(3./segue)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
5. M. Lutyens, La vita e la morte… op. cit. pag. 144.
6. Vanda Scaravelli, scomparsa nel 1999 è stata a sua
volta insegnante di Yoga e di meditazione profonda, fino all’età di 80 anni,
con all’attivo numerosi saggi.
7. M. Lutyens, La
vita e la morte… op. cit. 128.
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