31/03/19

Poesia della Domenica - "Poesia d'amore" di Boris Pasternak



Poesia d'amore


Nessuno sarà a casa
solo la sera. Il solo
giorno invernale nel vano trasparente
delle tende scostate.

Di palle di neve solo, umide, bianche
la rapida sfavillante traccia.
Soltanto tetti e neve e tranne
i tetti e la neve, nessuno.

E di nuovo ricamerà la brina,
e di nuovo mi prenderanno
la tristezza di un anno trascorso
e gli affanni di un altro inverno,

e di nuovo mi tormenteranno
per una colpa non ancora pagata,
e la finestra lungo la crociera
una fame di legno serrerà.

Ma per la tenda d'un tratto
scorrerà il brivido di un'irruzione .
Il silenzio coi passi misurando
tu entrerai, come il futuro.

Apparirai presso la porta,
vestita senza fronzoli, di qualcosa di bianco,
di qualcosa proprio di quei tessuti
di cui ricamano i fiocchi.


Boris Pasternak (1890-1960)

30/03/19

Libro del Giorno: "Battisti-Panella, da Don Giovanni a Hegel" di Alexandre Ciarla.



Da tempo, personalmente, aspettavo un libro come questo. 

Faccio parte infatti di quella esigua minoranza di pazzi maniaco-ossessivi che dal primo CD - Lp, allora - pubblicato da Lucio Battisti con il nuovo paroliere, il poeta romano Pasquale Panella, Don Giovanni (1986), dopo la lunghissima era Mogol, e dopo il brutto inciampo dell'album E già (1982), realizzato con i testi scritti dalla moglie del cantautore che si firmò Velezia, si innamorò perdutamente di quelle sonorità e di questi testi completamente poetici ed ermetici, del tutto insurrezionali rispetto a quanto si era finora sentito nella musica leggera o d'autore italiana. 

Con gli album seguenti a quello, i cosiddetti bianchi (divenuti di culto per tutti i battistiani della seconda generazione),  L'apparenza (1988), La sposa occidentale (1990), Cosa succederà alla ragazza (1992), Hegel (1994), prima della precoce scomparsa del geniale musicista di Poggio Bustone morto nel 1998 a soli 53 anni, ho convissuto per molti anni, non stancandomi mai di riascoltarli (una delle caratteristiche di questi album infatti, come sottolinea l'autore di questo libro nelle ultime pagine è quella, misteriosa, di non invecchiare e di non "stancare" mai l'ascolto come avviene per quasi tutta la musica "leggera" dopo un certo numero di ascolti).

Con i 5 bianchi Battisti e Panella scioccarono il consolidato pubblico battistiano assuefatto - e per sempre orfano - delle romantiche rime mogoliane e al  contempo la schiera dei critici musicali italiani, proponendo una ardua, sempre più ardua fusione tra sperimentazioni elettroniche - sempre più estreme, giocate da Battisti negli eremitici e inaccessibili, asettici studi londinesi -  e testi apparentemente "astrusi", che invece si rivelavano, mano a mano, del tutto geniali e fecondi di sorprese e di vera sostanza poetica. 

Alexandre Ciarla in questo libro dimostra di far pienamente parte di questa schiera di maniaco-ossessivi che hanno ruminato questi cinque album ad libitum e ancora continuano a farlo. Ma fa di più: li scandaglia minuziosamente, con una pazienza e una precisione da entomologo, analizzando verso per verso non soltanto i testi delle canzoni di Panella - e confrontandolo con le rarissime ed enigmatiche interviste rilasciate dal poeta romano che oltretutto "per contratto" non ha mai potuto o voluto rivelare i particolari con quel cantautore che dell'ombra aveva fatto la sua casa, rifuggendo, più ancora di Mina, qualunque contatto con il pubblico e con la stampa, sparendo praticamente nel nulla -  ma anche le allusioni nascoste nelle enigmatiche copertine, i giochi di rimando da un album all'altro e con gli altri scritti da Panella per altri cantautori conteporanei, ma molto meno geniali di Battisti.

Ciò che emerge da questo studio così minuzioso e approfondito - e a tratti veramente geniale - è la conferma che Battisti e Panella, con questi cinque album misero veramente a soqquadro decenni di musica italiana, scardinandone il senso sentimentale - delle emozioni, del racconto d'amore - che facevano da fil rouge di quasi tutta la produzione musicale del nostro paese.  

Queste canzoni parlano d'altro - anche se di cosa esattamente è difficile dire: parlano di filosofia, di estetica, del corpo femminile, della illusione di ogni incontro, delle divagazioni e delle insincerità del "cantar leggero", del nascondersi e del rincorrersi, delle incertezze e dei dubbi: una materia dunque sfuggente e ambigua e lontanissima da qualsiasi altro "prodotto" della musica italiana degli ultimi decenni.

E' per questo che queste canzoni sembrano non invecchiare mai e anzi, ringiovanire ad ogni ascolto: è come se fossero state scritte fuori dal tempo, in un tempo oltre.  E, grazie a Battisti, che con il suo genio era in grado di "musicare anche l'elenco del telefono", con una veste formale-musicale assolutamente unica e anch'essa fuori dal tempo.

Lode dunque ad Alexandre Ciarla che dopo anni di minuziose ricerche e di cura di un fortunato blog personale al duo Battisti-Panella, si è autoprodotto e stampato questo forbito e documentatissimo libro fortemente raccomandato agli appassionati... ma non solo.

Fabrizio Falconi


Alexandre Ciarla
Battisti-Panella da Don Giovanni a Hegel
Analisi e spiegazione di tutte le canzoni 
prefazione di Renzo Stefanel
2015 - Amazon edizioni

29/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 7. "Crimini e Misfatti (Crimes and Misdemeanors)" di Woody Allen (1989)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 7. Crimini e Misfatti (Crimes and Misdemeanors) di Woody Allen (1989)

Nella assai estesa filmografia Alleniana spuntano numerose perle, di differente sostanza e forma, la più perfetta è il dostoevskijano Crimini e Misfatti, girato dal talento newyorchese nel 1989. 

La trama è presto riassunta: l'oculista Judah Rosenthal (Martin Landau) tradisce la moglie Miriam (Claire Bloom) con la hostess Dolores (Anjelica Houston), ma quando questa mette in pericolo la sua tranquillità, la fa assassinare da un sicario e continua a condurre la sua vita senza neanche l'ombra di un rimorso.  Parallelamente a questa vicenda, si snoda quella dell'eterno perdente, il documentarista Cliff Stern (lo stesso Woody Allen) che, innamorato della bella Halley (Mia Farrow), la vede preferirgli l'arrogante Lester (Alan Alda), fratello di sua moglie Wendy (Joanna Gleason).

Girato in dieci settimane, nell'autunno del 1988, quasi interamente a New York (si riconoscono le sale del grande albergo Waldorf-Astoria al Tavern on the Green nel Central Park), Crimini e Misfatti è un brillante, amarissimo apologo sulla incapacità dell'uomo contemporaneo di orientarsi nelle questioni morali, quindi nelle relazioni, nei rapporti, e nel confronto con la propria coscienza.  E' - si potrebbe dire oggi - la preconizzazione, con quasi 30 anni di anticipo, delle teorie sulla società liquida e sull'amore liquido di cui ha teorizzato a lungo Zygmunt Bauman.

La grandezza estetica nel film è - oltre che nella perfetta sceneggiatura, un congegno mirabile, senza falle - nella magica fusione tra dramma e commedia.   Sotto la veste di una commedia apparentemente convenzionale, infatti, Allen dice cose serissime.   E, all'inverso, ogni considerazione che il film e i suoi controversi personaggi fruttano, è sottoposta alla lente dell'ironia e del tono della commedia.

Giunto al suo 19mo film e all'età di 55 anni, Allen regalò agli spettatori dunque il suo frutto più maturo, nel quale il riso si inasprisce (senza prendere i toni troppo bergmaniani di Interiors o di altri suoi film), e attraverso la metafora dell'oculista (di qualcuno cioè che di professione esamina gli occhi degli altri) illustra l'impossibilità di osservarsi veramente per ciò che si è e per ciò che si fa, in una sorta di moderno Delitto e Castigo, dove il senso di colpa è sostituito e completamente rimosso da un principio edonistico che domina la vita ordinaria borghese. 

Un criminale cioè senza rimorsi e un omicidio impunito fa da contraltare al fallimento nevrotico sentimentale di Cliff, mentre è alle prese con un documentario sulla figura di un eminente professore ebreo che incarna i valori veri o tradizionali, e che prima delle fine delle riprese si suicida.

Nel silenzio del senso (e di Dio), i due protagonisti, così differenti e così simili nel loro disorientamento, si incontrano in un'ultima lunga scena nella quale si confessano amaramente i propri sbagli e le proprie vite.

Insomma un grande film morale travestito da commedia, con attori in stato di grazia e una regia magnifica e impeccabile.

Candidato a 3 premi Oscar in quell'anno (miglior regia, migliore sceneggiatura, migliore attore non protagonista (Martin Landau)).

Fabrizio Falconi

Crimini e misfatti
(Crimes and Misdemeanors)
di Woody Allen
durata: 104 minuti
Usa, 1989





28/03/19

Torna a risplendere Santa Maria del Priorato, capolavoro e tomba del Piranesi sull'Aventino .

Il complesso della Villa del Priorato all'Aventino

Il bianco che si unisce all'ocra in una delicata e affascinante cromia. Il gioco delle ombre che restituisce la profondità e fa risaltare ogni figura sulle pareti, nelle nicchie e nella volta maestosa. E poi l'estrosa vivacità delle decorazioni, in cui tradizioni millenarie si rincorrono con i propri simboli. 

Colpisce per la sua straordinaria commistione tra simmetria e varietà la Chiesa di Santa Maria in Aventino a Roma, unica opera architettonica realizzata da Giovanni Battista Piranesi, che un accurato restauro conservativo voluto dall'Ordine di Malta ha riportato al suo splendore originale. 

La chiesa, realizzata tra il 1764 e il 1766, costituisce la rappresentazione tridimensionale del genio visionario di Piranesi, incisore e disegnatore ma anche pregevole architetto: ora, grazie al restauro, sara' fruibile anche dal pubblico, perche' l'Ordine ha deciso di aprirla ogni venerdì e almeno un sabato al mese rendendola disponibile per visite guidate.

In un trionfo di arte barocca e neoclassica, l'edificio sacro presenta decorazioni che riuniscono elementi dell'iconografia etrusca, romana e dell'antico Egitto, ponendoli in relazione con i simboli dei Cavalieri di Malta e della loro missione. 

Con l'altare dominato dalla figura di San Basilio in gloria, il patrono dell'Ordine di Malta, basta guardarsi intorno per scoprire un susseguirsi di simboli delle imprese militari e navali dell'ordine religioso accanto a ghirlande di alloro, serpenti, crani, torce a testa in giu', sarcofagi mortuari.
La facciata di Santa Maria del Priorato

Fu il cardinal Giovanni Battista Rezzonico, Gran Priore dell'Ordine e nipote di Papa Clemente XIII, a commissionarne a Piranesi il rinnovamento: in questo luogo di culto l'artista veneto si espresse con estro e magnificenza, disegnando e poi realizzando ogni minimo dettaglio, quasi a voler creare qui il suo testamento architettonico e spirituale

Situata accanto alla splendida Villa Magistrale (dove hanno sede il Gran Priorato di Roma e l'Ambasciata dell'Ordine presso la Repubblica italiana) in un complesso bellissimo con una vista mozzafiato su Roma (sono state 7000 mila le persone che lo hanno visitato nelle Giornate del Fai), ora con questo restauro - un lungo lavoro di pulitura, di consolidamento e ripristino iniziato nel 2017, con un ponteggio di oltre 900 mq - la Chiesa ritrova intatta la sua bellezza.

Il cenotafio di Giovan Battista Piranesi a Santa Maria del Priorato

Gli interventi (finanziati dalla Fondazione Roma e in parte anche dall'Ordine stesso) hanno riguardato sia gli ambienti interni che la facciata esterna. "Questo e' per il Sovrano Ordine di Malta un giorno di gioia, perche' possiamo rivedere nel suo originario splendore questo piccolo gioiello, frutto dell'unico incarico architettonico affidato a Piranesi", ha detto durante la cerimonia ufficiale il Gran Maestro Fra' Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, "da tutto il mondo ci scrivono per visitare questo luogo: il nostro sforzo e' di garantire la fruizione a scuole, accademie e istituzioni culturali". 

"Il restauro e' stato fatto centimetro per centimetro, come se fosse un quadro, anche con bisturi e spazzolino da denti. Solo arrivando al livello del soffitto e guardando con un occhio attento si possono riconoscere i nostri interventi", ha detto l'architetto Giorgio Ferreri, direttore del restauro, sottolineando che "sono stati usati solo materiali naturali e tecniche non invasive". 

Fonte: Marzia Apice per Ansa


27/03/19

Libro del Giorno: "Anime estreme" di Manuela Maddamma.



E' un libro da non perdere questo, scritto da Manuela Maddamma, esperta di storia delle dottrine esoteriche e mistiche nell'Europa moderna e contemporanea, nel 2009, raccolta di una serie di ponderosi e informatissimi mini saggi scritti per Il Foglio

Nonostante questo, il libro ha una unità stilistica e sostanziale altissima: il fil rouge strettissimo,  è quello delle grandi anime che hanno attraversato l'Ottocento e il Novecento con i loro tormenti, le loro estreme sperimentazioni, le piene e dissonanti contraddizioni, le spine caratteriali, i florilegi linguistici, i voli scriteriati oltre i limiti del buon senso e delle convenzioni, senza i quali non avrebbero concepito il lascito letterario lasciato ai posteri. 

Biografie quasi sempre segnate dall'isolamento, dalla sofferenza, dall'autolesionismo, dalla deriva alcolica, dagli abusi, dagli amori sanguinari e sbagliati o impossibili, dall'eresia praticata come stile di vita e incarnata dentro biografie complesse, che ancora oggi turbano e affascinano allo stesso tempo. 

Si alternano nei quadri disegnati da Maddamma con incredibile lucidità ed economia della materia letteraria - Cristina Campo con il suo senso profondamente religioso dello scrivere e dell'esistere, una religiosità, come scrive l'autrice, spiritualmente carnale, e il suo progressivo e radicale isolamento sollecitato anche dalle fragili condizioni della sua salute; August Strindberg, con la sua eterna inquietudine, gli interessi per l'alchimia e per le ricerche iperchimiche e per la realtà inconoscibile dei fantasmi; Charles Baudelaire, con il suo ingombrante demone, la follia incombente, il carcere dell'anima, l'attrazione verso l'abisso; Sibilla Aleramo, con il suo sfrenato narcisismo, i suoi mille uomini, la fuga da un figlio abbandonato; Vladimir Nabokov, con la sua esplorazione della sessualità proibita, in Lolita, che è anch'esso una storia di fantasmi, visto che questo è il protagonista Humbert Humbert per la ninfetta protagonista, con la sua pelle di pesca e i suoi riccioli castani; e poi anche  Virgina Woolf, Anne Sexton, Amelia Rosselli e Sarah Kane, quattro grandi poetesse accomunate da una irrequietezza simile, da una incapacità di venire a patti col mondo, e da un destino tragico; Elsa Morante e il suo ultimo meraviglioso e dolentissimo romanzo, Aracoeli, confessione viscerale di una mancanza bidirezionale, tra madre e figlio letterari e madre e figlio-non-nato della realtà (dell'autrice); PierPaolo Pasolini e il suo canto del cigno letterario, quel torbido prolisso Petrolio nel quale rifluì tutto il nero magma che animava lo spirito del poeta, la sua donchisciottesca battaglia contro il mondo; e altro ancora. 

La vicenda umana di questi fuori-posto è interessante perché è in parte anche nostra.  Ciascuno di noi, come indicò C. G. Jung, è chiamato, nella sua vita, ad attraversare il minaccioso territorio dell'Ombra, attento a non farsene risucchiare, scandagliandolo, cercando di illuminarlo e di farne emergere cospicue porzioni. 

Se è questo lo scopo per il quale si viene al mondo, come sosteneva il grande psicologo di Kesswil, bisogna essere riconoscenti a questi uomini e a queste donne, che hanno affrontato il viaggio estremo in questi territori, lasciando i loro segnavia, le loro fiaccole accese, i loro avamposti nel corso di quell'esaltante cammino dell'uomo verso la conoscenza, anche quella più oscura. 


Manuela Maddamma
Anime estreme 
Vallecchi Editore, 2009
p.144

26/03/19

Esce "Ci diciamo l'oscuro", la storia d'amore tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann .



L'ha scritto Helmut Bottiger il primo libro che racconta la tormentatissima storia d'amore tra due giganti della poesia del Novecento, Paul Celan e Ingeborg Bachmann ed ora esce in Italia per l'editore Neri Pozza. 

I due poeti, l'una austriaca, l'altro rumeno di nascita (il suo nome era un anagramma di quello vero: "Ancel"), si erano conosciuti a Vienna nel 1948.  La Bachmann aveva 22 anni e studiava filosofia (si laureò con una tesi su Heidegger), lui aveva una storia tragica già alle spalle: sfuggito per miracolo all'Olocausto, Celan, a 22 anni, nel 1942 non era stato presente quando i suoi genitori, ebrei, furono deportati e poi uccisi.  Anche Paul fu internato in un campo di lavoro nazista, ma - non si sa esattamente come - riuscì a fuggire e a raggiungere Bucarest da dove, nel '47 se ne andò per raggiungere a piedi Vienna, nauseato dall'antisemitismo che sentiva regnare nel suo paese tra i nuovi invasori bolscevichi. 

Anche la Bachmann, più giovane di 6 anni, aveva dovuto fare i conti con la tragedia: suo padre era stato membro del partito nazista, dopo che da ragazzina, nel '38, aveva visto Klagenfurt, la città dove era nata e cresciuta, invasa dalle truppe di Hitler. 

A Vienna, nel '48 era iniziata tra i due una storia d'amore: Celan, poverissimo, esule, aveva incantato la giovane viennese con i suoi versi, le aveva riempito la stanza di papaveri, insieme avevano trascorso sei settimane bellissime, poi lui era partito, senza un soldo, per Parigi, la città dalla quale lui, ormai apolide, si sentiva inesorabilmente attratto. 

Ingeborg lo raggiunse un paio d'anni più tardi, nel '50, e la loro storia proseguì, nella difficoltà un continuo lasciarsi, riprendersi, tentare di diventare amici. 

Per entrambi la scelta della poesia era radicale: una ragione di vita. E quando due anni più tardi, nel '52, Ingeborg presentò Celan alla riunione a Niendorf del prestigioso Gruppo '47 che aveva rivoluzionato la letteratura tedesca e lanciato i più grandi intellettuali e poeti dell'epoca, l'esibizione di Celan fu un fiasco: il carattere del poeta era pieno di contrasti, tetro e allegro, insofferente e conciliante, taciturno e a volte logorroico, in più il suo modo di leggere le poesie era quasi una meditazione, con pause lunghissime e un intenso pathos, che poco piaceva agli intellettuali tedeschi dell'epoca. 

Deluso, Celan, tornò a Parigi.  Anche se il rapporto con la Bachmann, fatto di anima e di versi, proseguì: lui le dedicò anche la raccolta "Papavero e memoria" in cui si rievocavano gli incanti dei giorni del '48.  

Anche a distanza i due non smisero di scriversi, di cercarsi, di interagire. 

E quando Celan, divorato dai suoi demoni, mise fine ai suoi attacchi di follia gettandosi nelle acque della Senna (1970), per la Bachmann il dolore fu insostenibile. Solo 3 anni più tardi anche Ingeborg morì tragicamente a Roma, nel suo letto, a causa di una sigaretta che aveva tra le dita e che incendiò il letto nel quale dormiva.   

Negli ultimi tempi fumava cento Gitane senza filtro al giorno e assumeva forti sonniferi da cui era diventata dipendente.

L'amore li aveva uniti forse troppo brevemente, e  non li aveva salvati.

Fabrizio Falconi


Helmut Bottiger
Ci diciamo l'oscuro 
traduz. Alessandra Luise 
Neri Pozza 2018 
pagine 273 


25/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 6. "Effetto Notte (La nuit américaine)" di Francois Truffaut (1973)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 6. Effetto Notte (La nuit américaine) di Francois Truffaut (1973).

La genialità e il sentimento sono le due coordinate su cui si muove Effetto Notte, il capolavoro firmato da Francois Truffaut nel 1973 (premio Oscar per il miglior film straniero quell'anno), che prende il titolo dal noto uso delle lenti artificiali per produrre l'effetto notturno in scene girate di giorno, che in francese si chiama appunto Nuit américaine.

Il film è anzitutto un prodigio tecnico, nel suo sperimentalismo: l'oggetto della storia è infatti proprio la realizzazione di un film, raccontato dal primo giorno di manovella fino all'ultimo giorno di riprese, con la separazione dell'intera équipe di attori e di tecnici.

Interamente girato negli studi della Victorine, a Nizza, dove è riprodotta una vera piazza di Parigi con all'interno i luoghi che servono alla realizzazione di un film:  il pullman dei camerini, quello delle sale di abbigliamento, di trucco, di proiezione di  montaggio, Effetto Notte racconta contemporaneamente 2 storie: quella del film che si sta girando (intitolato Je vous présente Pamela) e quella del backstage, del dietro le quinte, cioè quella che accade veramente tra i cinque attori protagonisti, il regista - Ferrand, interpretato dallo stesso Truffaut - il produttore e i tecnici).

Il film però non assomiglia per niente a 8 e 1/2 di Fellini così come ad altri film che hanno raccontato la lavorazione di una pellicola.

Ciò che interessa Truffaut infatti non è tanto il processo creativo del regista, che sta dietro alla nascita di un film, ma il mondo di aneddoti, di situazioni, di incidenti, piccoli e grandi che costituiscono le relazioni della gente che lavora a un film. 

E il prodigio in cui riesce Truffaut, veramente miracoloso, è proprio questo: che nessuna delle scene che avvengono tra gli attori, nessuno degli incerti, nessuna delle situazioni sembra di per sé particolarmente rilevante, né tutte insieme esse compongono una vera e propria trama; ma è proprio questa dimensione corale a coinvolgere a tal punto lo spettatore che ben presto egli si sente uno dei personaggi dietro le quinte, uno dei personaggi chiamati a dare il suo contributo a questa storia che sta per nascere, che deve nascere.

Si attua così un vero e proprio gioco di specchi in cui si confonde ciò che è vero con ciò che è raccontato, l'osservatore con l'osservato, il falso e il reale, l'essenziale e la maschera. 

Il cinema, ci dice Truffaut come sosteneva Bergman in Fanny e Alexander, è un mondo in movimento che si nutre e vive e rappresenta quello reale e influenza quel mondo a sua volta. 

Un film meraviglioso e poetico che non ci si stanca mai di rivedere.

Effetto Notte
(La Nuit Américaine)
di Francois Truffaut
Francia, Italia, 1973
con Jacqueline Bisset, François Truffaut, Valentina Cortese, Jean-Pierre Aumont.



24/03/19

Poesia della Domenica: "Camminando tranquillamente in questo giorno di Aprile" di Delmore Schwartz.



Camminando tranquillamente in questo giorno di Aprile
Cosa rimarrà di me e te
A parte le foto e i ricordi?
Questa è la scuola in cui impariamo,
quel tempo è il fuoco in cui bruciamo
Qual è il sé in mezzo a questo incendio?
Cosa sono ora che ero anche allora?
Per cosa dovrei soffrire e agire ancora?
[…]
Le urla dei bambini sono gioiose mentre corrono
Questa è la scuola in cui imparano
Cosa sono ora che ero anche allora?
I ricordi si rinnovano ancora e ancora.
Il colore più leggero del giorno più breve:
Il tempo è la scuola in cui impariamo,
Il tempo è il fuoco in cui bruciamo.
What will become of you and me
(This is the school in which we learn …)
Besides the photo and the memory?

(… that time is the fire in which we burn.)
 is the self amid this blaze?
What am I now that I was then
Which I shall suffer and act again,
[…]
The children shouting are bright as they run
(This is the school in which they learn …)What am I now that I was then?
May memory restore again and again
The smallest color of the smallest day:
Time is the school in which we learn,

22/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 5. "La Fiamma del Peccato (Double Indemnity) (1944).


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 5. "La Fiamma del Peccato (Double Indemnity) (1944)


Era soltanto al suo terzo film, il grande Billy Wilder, sbarcato nel 1933 a 27 anni a cercar fortuna in America, proveniente dalla lontana Polonia, dove gli ebrei come lui rischiavano ormai la pelle (la madre, il patrigno e la nonna morirono nel campo di sterminio di Auschwitz).  

Affermatosi in breve tempo come scrittore a Hollywood, Wilder finì ben presto dietro la macchina da presa, diventando nei decenni successivi uno dei registi più importanti della storia del cinema, ispirazione e modello per tanti altri. 

La fiamma del peccato è forse il suo più grande capolavoro in mezzo a tanti altri capolavori.  Tratto dal romanzo omonimo di James C. Cain e sceneggiato dallo stesso regista insieme al grande Raymond Chandler (i rapporti tra i due furono ben complicati, come succede spesso tra personalità forti), racconta la vicenda dell'assicuratore Walter Neff (Fred Mc Murray) che travolto dalla passione per una sua cliente, Phillys Dietrichson (Barbara Stanwick) diventa suo complice nell'assassinio del marito, allo scopo di far riscuotere alla neo vedova la doppia indennità (da cui il titolo originale inglese) prevista dall'assicurazione. 


A smascherare i due sarà il terzo elemento di questo triangolo nero, Barton Keyes (Edward G. Robinson) meticoloso e pedante responsabile dell'ufficio contenziosi e collega di Walter. 

Prototipo di ogni noir successivo (non si tratta di un giallo vero e proprio perché il film comincia già con la confessione di Walter e poi srotola la vicenda all'indietro), La fiamma del peccato per perfezione di scrittura, analisi dei temi morali, allusioni e tensione erotica e scontro tra due intelligenze che si affrontano sul filo del Male e del Bene, è degno dei grandi film di Kubrick. 

Se, come abbiamo detto, il film è il prototipo del noir, Barbara Stanwick è in questo film il modello del villain cinematografico,  in questo caso precursore di ogni più classica dark lady, un raffinato e sofisticato mix di malvagità e perversione, di erotismo e freddo cinismo, indifferenza a qualsiasi tipo di amore. 

Ogni sequenza di questo film che dura poco meno di due ore, è da antologia, compresi ovviamente i primi piani sulla catenina al collo del piede nudo che Barbara/Phillys sventola sotto il naso del complice, e che suona come una sorta di macabro richiamo amoroso/criminale. 

Il film fu candidato a 7 premi Oscar ma non ne vinse nemmeno uno a dimostrazione che Wilder volava già all'epoca troppo in alto rispetto al gusto conformista dell'Academy.

Questo film però si è abbondantemente preso la rivincita nelle scuole e nelle università di cinema e nella memoria collettiva, visto che ancora oggi si riguarda e si apprezza come un grande classico, la cui modernità misteriosamente, non si scalfisce.

Fabrizio Falconi


21/03/19

Quando Leonardo da Vinci soggiornò in Vaticano. Tutti in coda per ammirare il San Girolamo nel Deserto.


Leonardo da Vinci soggiornò in Vaticano. La notizia e' confermata da un documento di archivio che, scrive l'Osservatore Romano, torna alla luce in occasione dell'esposizione gratuita di un opera davinciana dei Musei vaticani, il San Girolamo nel deserto. 

Per tre mesi, dal 22 marzo al 22 giugno prossimi, scrive sul giornale vaticano la direttrice dei Musei, Barbara Jatta, "l'opera verrà trasferita nella sede del Braccio di Carlo Magno in Piazza San Pietro, in una piccola ma significativa esposizione, dove verrà mostrato da solo, gratuitamente, a tutti i pellegrini, visitatori e cultori dell'arte come omaggio del Vaticano per le celebrazioni dei cinquecento anni dalla morte del grande artista rinascimentale. Il San Girolamo nel deserto dei Musei Vaticani è un capolavoro indiscusso del genio leonardesco. Proprio per la sua caratteristica di 'non finito' è ritenuto fra le sue opere più interessanti ed è annoverato fra i pochissimi dipinti la cui autografia non è stata mai messa in discussione". 

La mostra viene inaugurata oggi, il 21 marzo nel Braccio di Carlo Magno; tra le testimonianze più preziose, sottolinea l'Osservatore Romano, ci sarà anche un documento dell'Archivio storico della Fabbrica di San Pietro del 1513, prestato per questa occasione, che conferma il soggiorno di Leonardo in un appartamento per lui allestito nel Belvedere Vaticano. 

Sono gli stessi anni in cui è certa la presenza contemporanea a Roma anche di Michelangelo, Raffaello, Bramante. 

20/03/19

Le mille storie della Tomba di Giulietta a Verona - (da "Monumenti Esoterici d'Italia" in ristampa dal prossimo 18 aprile in Libreria)



Torna in tutte le librerie dal prossimo 18 aprile Monumenti Esoterici d'Italia di Fabrizio Falconi, appena ristampato da Newton Compton Editore. 
Riporto uno stralcio di uno dei capitoli, dedicato alla Tomba di Giulietta a Verona. 

D’altro canto è pur vero che molte delle vicende narrate nelle opere di Shakespeare ambientate in Italia erano già note in Inghilterra grazie alla diffusione in quel paese della novellistica italiana. In particolare per quanto riguarda Romeo e Giulietta, la derivazione diretta fu senz’altro quella dalla Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, nella quale nel 1530 il vicentino Luigi da Porto riprendeva la tradizione delle due famiglie in lotta, che risaliva addirittura a Dante e alla Divina Commedia (Purgatorio, canto VI, verso 105), spostandone l’ambientazione da Siena a Verona.  

La versione di Luigi da Porto fu poi consegnata definitivamente alla popolarità dalla rielaborazione che ne fece Matteo Bandello, nelle sue Novelle, pubblicate nel 1554.
La lunga premessa – necessaria – sulla identità reale dell’uomo che scrisse la tragedia e sulle fonti, più o meno misteriose, che la ispirarono, ci porta ora sui luoghi reali della vicenda narrata da Shakespeare e che come abbiamo visto all’inizio del capitolo, sono oggetto del culto e della venerazione degli innamorati ancora oggi.

Se dunque, l’identificazione del Cortile del Palazzo di Giulietta, gode di alcuni argomenti favorevoli, dovuti in particolare alla presenza dello stemma del cappello – che ancora oggi si può scorgere -  sulla chiave di volta dell’arco di entrata del cortile (il cappello rimanderebbe dunque al giusto cognome della famiglia, che è quello riportato da Dante nella Divina Commedia, ovvero Cappelletti e non Capuleti), il cosiddetto sarcofago di Giulietta appartiene ad una tradizione che ha molto o quasi tutto di leggendario e che però non smette di incuriosire.

Innanzitutto c’è da dire che all’epoca dei fatti raccontati dal dramma Shakespeariano, nella Verona del Trecento, ai suicidi – ed è questo il caso della Giulietta dei Cappelletti – venivano negati i riti e la sepoltura ecclesiastica.  E’ dunque assai improbabile – anche se si può pensare ad una eccezione concessa per rango -  che alla giovane fosse stata riservata una tumulazione così solenne. 

La sistemazione del sarcofago non è comunque quella originaria.  Il convento di San Francesco, oggi adibito a Museo degli affreschi, dispone di un sotterraneo dove al centro di una artefatta cripta è posizionato il sarcofago in marmo rosso, senza coperchio e con i bordi superiori completamente abrasi, senza nessuno stemma gentilizio o iscrizione.

La leggenda vuole che l’urna fosse in origine, sin dalla fine del Trecento, posta nel chiostro del Convento, ma profanata già in epoca cinquecentesca: per stroncare il culto profano dei due amanti disgraziati, infatti,  sembra che i cappuccini decisero di aprire il sarcofago e, dopo aver disperso le ossa in una tomba comune, di adibirlo a cisterna per l’acqua del pozzo. 

L’escamotage, però non riuscì a frenare la crescente popolarità del mito di Giulietta e della sua presunta sepoltura, che si accresceva nei secoli con la fortuna della tragedia shakespeariana e delle sue infinite repliche e versioni, in tutta Europa.

Il sarcofago di Giulietta, quello che veniva indicato come tale, rimase oggetto di un pellegrinaggio continuo da parte di personalità illustri, che di passaggio a Verona, chiedevano ai francescani di poter ammirare i resti materiali di quella nobile leggenda.

Transitarono così davanti al mitico sepolcro, l’imperatrice Maria Luisa d’Austria,  duchessa regnante di Parma e Piacenza che nel 1822 pretese addirittura di farsi realizzare alcuni monili con i frammenti di marmo prelevati dal sarcofago o Lord Byron, che rimase colpito dallo squallore e dall’abbandono di quel sepolcro (8), che divenne ancora più evidente dopo che le ultime suore francescane abbandonarono definitivamente il convento nel 1842. All’epoca di Charles Dickens, come si ricava dalle sue memorie italiane, il sarcofago era ormai ridotto ad essere un semplice abbeveratoio.

Fu soltanto nel secolo scorso e precisamente nel 1910 che l’urna – per intervento della Congregazione della Carità che aveva preso possesso del complesso - fu finalmente spostata e sottratta alla rovina e alle intemperie, ponendola accanto ad un busto dedicato a Shakespeare.

La sistemazione definitiva del sarcofago si deve al direttore dei musei veronesi Antonio Avena che dopo aver subodorato l’affare – era stato scritturato come consulente nel 1936 dalla Metro Goldwyn Mayer per il kolossal Romeo and Juliet diretto da George Cukor, ma il film poi non fu girato nei luoghi originali – decise di sistemare il sepolcro marmoreo in una cornice scenografica adeguata, cioè in una falsa criptacon tanto di lapidi pavimentali autentiche - realizzata ad hoc nei sotterranei del complesso dell’ex convento.

Nell’assenza comunque di uno scheletro, dei resti di un corpo reale riferibile a Giulietta – c’è anche chi propone di svolgere una indagine a tappeto presso le fosse comuni dei francescani, impresa ovviamente improba e impraticabile – la sfortunata erede della famiglia dei Capuleti continua a inquietare i sonni di quei luoghi che la videro protagonista, nella realtà e soprattutto nella finzione shakespeariana. 

A parte fenomeni folkloristici, come quello di un mago che qualche anno fa pretese di far riapparire dal nulla Giulietta in carne e ossa, nel cortile del Castello di Montecchio Maggiore e il fantasma della giovane Capuleti fa di tanto in tanto capolino nelle cronache locali veronesi.  Ancora più radicata è invece la tradizione legata al fantasma di Luigi da Porto, che a quanto pare scrisse la sua novella, fonte diretta per la ispirazione di Shakespeare, nella quiete della sua dimora di campagna a Montorso Vicentino, nella valle del Chiampo.  Dove sorgeva la casa colonica oggi esiste una villa palladiana, e della casa dei fattori, dalla quale lo scrittore ammirava i due castelli di Montecchio Maggiore (che gli ispirarono la faida tra le due famiglie), restano soltanto pochi resti.  Ciò nonostante qui pare aggirarsi il fantasma di da Porto,  con gli abiti d’epoca e i terribili segni di quella ferita di guerra che aveva sul volto: c’è chi giura di averlo visto sostare, nelle notti d’estate, ai piedi della salita, in quell’angolo che sembra fosse il suo favorito,  e sospirare ancora per la verginea bellezza della sua Giulietta e per il suo infelice destino.





19/03/19

Le Straordinarie Foto di Robert Mapplethorpe in mostra alla Galleria Corsini.

Robert Mapplethorpe, Selfportrait 1988


Le Gallerie Nazionali di Arte Antica dedicano una mostra a un rivoluzionario e controverso artista del secondo Novecento: "Robert Mapplethorpe. 

L'Obiettivo sensibile", dal 15 marzo al 30 giugno 2019 nella sede di Galleria Corsini (Via della Lungara 10)

Quarantacinque scatti in bianco e nero, provenienti dalla Mapplethorpe Foundation di New York, del fotografo noto per avere immortalato Andy Warhol, Patti Smith, Amanda Lear e altre celebrità, e che in questo luogo settecentesco mostra il suo lato classico

Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini e curatrice della mostra. 

"È la prima volta che abbiamo un artista contemporaneo qui alla Galleria Corsini, da questa selezione si vede quanto Mapplethorpe sia un artista profondamente classico e dunque abbiamo cercato di selezionare le immagini dove la sua attenzione alla forma si vede in maniera piu' profonda per accostarla a una quadreria settencentesca che e' tutta basata sulla forma e la simmetria

Nella prima Galleria troneggia l'autoritratto dell'artista (Self Portrait, 1988), già malato e che tiene emblematicamente in mano un bastone con il pomello a forma di teschio (l'artista è morto l'anno seguente di Aids, nel 1989, a  42 anni di Aids nel 1989. 

E poi ritratti, nudi maschili, nudi femminili, come quello della sua musa, la culturista Lisa Lyon, e ancora nudi omoerotici accanto a immagini di fiori. 

"Mapplethorpe e' stato un grande fotografo, che usava la fotografia come mezzo, non si era necessariamente formato come fotografo, ha sempre detto che se fosse vissuto prima sarebbe stato uno scultore", ha rivelato. "I suoi soggetti principali sono statuaria, nudi, nature morte e poi naturalmente quello per cui e' diventato rinomato e controverso e' la scena sadomaso newyorkese degli anni Settanta", ha ricordato. "Un universo del desiderio consensuale ma estremo", ha sottolineato. 

"Sappiamo che Mapplethorpe non e' mai stato qui alla Galleria Corsini, pero' era un avido collezionista, abbiamo delle foto del suo appartamento che lui realizzo' nel 1988 che e' allestito in qualche modo come una quadreria. Essendo cosi' ossessionato dalla simmetria e dall'euritmia, io credo che avrebbe apprezzato questo posto", ha concluso. 

18/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 4. "Roma" di Federico Fellini.



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 


4. "Roma" di Federico Fellini (1972).


Come si fa a scegliere dentro la meravigliosa produzione di Federico Fellini?  

Noi scegliamo di salvare, alla fine del mondo, un suo film considerato minore  che pure ottenne la Nomination come Migliore film straniero ai Golden Globe del 1973 e il Gran premio della tecnica al Festival di Cannes del 1972, oltre al premio del Miglior film straniero assegnato in quell'anno dal Syndicat Français de la Critique de Cinéma. 

Perché questa scelta?

Perché Roma viene da sempre considerata una città-mondo. Anzi, come dicevano i padri latini, il caput mundi. Specchio e concentrato degli umani vizi e debolezze e gloria delle virtù umane. 

E' significativo che l'atto d'amore più completo concepito per Roma, la sua storia, le sue rovine, il suo mondo, sia stato realizzato da un non-romano. 

Da non romano, trapiantato a Roma dalla provincia emiliana, Fellini riuscì come nessun altro, grazie allo spirito della sua ispirazione poetica a cogliere l'essenza più intima, nascosta della vita della Città, le sue luci e le sue ombre, l'ombra delle sue immani rovine, le luci della sua resilienza, tra ironia, sberleffo, disincanto. 


Grazie all'espediente di mettersi lui al centro del film - nei panni del giovane provinciale che arriva alla stazione Termini poco prima della seconda guerra mondiale - Fellini pesca nei suoi ricordi di allora, la Roma fascista, la Roma del Ventennio che però sa accogliere questo giovane estroso che va subito ad abitare nel popolare quartiere di Piazza dei Re di Roma. 

Da questo punto di partenza, Fellini però intesse un patchwork pieno di ogni cromia, con quadri e personaggi eterogenei e scene tutte memorabili: dal defilé di abiti ecclesiastici alla ricostruzione delle case chiuse, dagli scontri con la polizia all'ingorgo notturno sul Grande Raccordo Anulare, dal teatrino di un avanspettacolo  all'incontro del regista con giovani universitari a Villa Borghese,  dalla Festa de' Noantri fino alla memorabile scena finale del raid notturno dei motociclisti che attraversano tutta Roma da nord e Sud fino alla Cristoforo Colombo, metafora della vecchia città ormai e ancora una volta cancellata dalla brutale modernità. 

Il passaggio da un topos all'altro della narrazione avviene senza soluzione di continuità e senza filo narrativo: è l'antesignano assoluto di quello che oggi chiamiamo docufilm : né vero documentario, né vero film.  Una lunga guache di un grande artista che si esercita sul tema che gli è più congeniale, muovendo e giocando su tutti i registri: emotivo, nostalgico, ironico, profetico, poetico. 

Una vera opera-testamento che non invecchia e che resta un classico. 

l film venne presentato in prima nazionale al cinema Barberini di Roma il 18 marzo 1972.


Fabrizio Falconi

17/03/19

Poesia della Domenica: "Tenendo le cose assieme" di Mark Strand.






Tenendo le cose assieme

In un campo
io sono l'assenza
di campo.
Questo è
sempre opportuno.
Dovunque sono
io sono ciò che manca.

Quando cammino
divido l'aria
e sempre
l'aria si fa avanti
per riempire gli spazi
che il mio corpo occupava.
Tutti abbiamo delle ragioni
per muoverci
io mi muovo
per tenere assieme le cose.

16/03/19

E' amore questo ? - Krishnamurti.



E' amore quando siamo di fronte alla completa identificazione con l'altro? E l'identificazione non è forse un modo indiretto per dare importanza a se stessi? E' amore quando c'è il dolore della solitudine, la sofferenza di venir privati delle cose che ci sembrano dare significato alla nostra vita? Essere privati della possibilità di intraprendere le strade della realizzazione di sé; dover rinunciare alle cose per cui il nostro io ha vissuto; tutto questo significa la negazione del nostro valore in quanto individui, e porta solo al disincanto, all'amarezza, al dolore dell'isolamento. E questa miseria è l'amore?

15/03/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 3. "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick (1975)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

3. "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick (1975).

Stanley Kubrick con il suo grande genio, era talmente avanti, che quando Barry Lyndon che aveva interamente scritto e diretto, traendolo da celebre romanzo di William Makepeace Thackeray, uscì nelle sale, il film venne scambiato per un ordinario film in costume, con incassi non cospicui e critiche ovviamente positive ma tutto sommato anch'esse ordinarie.

Con il passare degli anni invece il film è stato continuamente riscoperto, studiato e analizzato, ad esso sono stati dedicati saggi in tutto il mondo e 
oggi è giustamente considerato uno dei migliori film di Kubrick e una delle più grandi opere cinematografiche mai realizzate.

La storia, seguendo fedelmente il romanzo, prende la mosse dal piccolo villaggio irlandese nel quale vive il giovane Redmond Barry che, figlio unico di madre vedova, scapestrato e di bell'aspetto ma con pochi soldi in tasca, s'innamora della cugina, la bella e frivola Nora Brady.

Nel villaggio, qualche settimana più tardi, si ferma un reggimento militare del Regno Unito, che sta reclutando truppe per la guerra dei sette anni. A causa della delusione sentimentale - durante la sosta Nora conosce il capitano John Quin, con cui avvia una relazione - Barry decide di arruolarsi. 

Da lì iniziano le peripezie del protagonista, attraverso la crudelissima guerra, l'improvvisa ricchezza, il morbo del gioco, il circolo degli aristocratici nel quale sembra essere accolto, l'amore passionale, quello paterno, il dolore più grande, la caduta, il duello, la rovina.

Il film fu diviso da Kubrick in due parti, la prima  - Con quali mezzi Redmond Barry acquisì lo stile e il titolo di Barry Lyndon e la seconda - Resoconto delle sventure e dei disastri che accaddero a Barry Lyndon , genialmente separati da un breve intervallo  di 40 secondi di schermo completamente nero.


Il film di Kubrick è una epopea, stilisticamente unica.  Per creare un'opera che fosse massimamente realistica, il regista con la sua proverbiale maniacalità, trasse ispirazione dai più famosi paesaggisti del XVIII secolo per scegliere le ambientazioni dei set. Le riprese vennero effettuate in Inghilterra, Irlanda e Germania. Le scene e i costumi vennero ricavati da quadri, stampe e disegni d'epoca.  È un film fortemente visivo, talmente ricco di immagini e riferimenti estetici (dovute alle vastissime ricerche condotte dall'autore) da farne la più ampia e rigorosa rappresentazione del Settecento che il cinema abbia mai prodotto.

Ma questo non realizzò semplicemente un esercizio calligrafico (per questo fu scambiato dai plenipotenziari grossolani di Hollywood che infatti concessero al film soltanto i premi Oscar alla migliore fotografia (John Alcott), alla migliore scenografia (Ken Adam) e ai migliori costumi (Milena Canonero).

Nulla infatti nel capolavoro di Kubrick ha semplicemente un significato estetico, fine a se stesso.

Come sempre, nella filmografia del grande maestro, la perfezione esteriore mira a una messa a nudo totale bi-direzionale.  Della scena rispetto allo spettatore che osserva, e dello spettatore rispetto alla scena osservata: calato, immerso nella ricostruzione apparentemente asettica di un altrove linguistico, storico-temporale, lo spettatore si libera di ogni pre-giudizio e di ogni pre-visione e si abbandona al quadro morale costituito dalla storia raccontata da Thackeray e re-interpretata e re-inventata da Kubrick.

Ancora una volta, come in Orizzonti di Gloria, come in Spartacus, come in Arancia Meccanica e come in 2001 Odissea nello Spazio (ma l'elenco potrebbe proseguire) l'uomo è solo e nudo e al centro, contro il mistero della creazione, contro le avversità, il destino, il fato, contro gli enigmi della vita e delle pure contraddizioni, sospese tra il Bene e il Male, che costituiscono il teatro entro cui si svolge l'esistenza di ogni uomo e entro cui egli è chiamato conradianamente a scegliere ogni volta, a decidere le proprie fortune e/o la propria rovina. 

Un film grandioso e immortale, che ogni volta stupisce per la sua perfezione esteriore e per la profondità con cui si addentra nel mistero del cuore umano.

Fabrizio Falconi



Barry Lyndon
di Stanley Kubrick
Regno Unito, Stati Uniti, 1975
Durata 184 min
Ryan O'Neal, Marisa Berenson, Patrick Magee, Hardy Krüger.

14/03/19

Apre a Milano il Book Pride . Il programma di OGGI.


Da venerdì 15 a domenica 17 marzo
alla Fabbrica del Vapore di Milano
 

AL VIA BOOK PRIDE 2019 – OGNI DESIDERIO

Ingresso gratuito

Inizia ufficialmente venerdì 15 marzo la quinta edizione di BOOK PRIDE, Fiera Nazionale dell’editoria indipendente, organizzata in collaborazione con il Comune di Milano, in programma per la prima volta alla Fabbrica del Vapore di Milano e in corso fino a domenica 17 marzo, dalle 10 alle 20. 

BOOK PRIDE, con la direzione dello scrittore Giorgio Vasta, porta a Milano circa 200 editori, mentre gli eventi in programma sono 250. L’immagine-simbolo del tema scelto per il 2019, OGNI DESIDERIO, è stata creata dall’artista Nicola Magrin.

Programma di venerdì 15 marzo 

Fra gli incontri di punta della prima giornata di BOOK PRIDE, alle ore 11 si entra subito nel vivo del programma professionale con Un patto per la cultura, a cura di ADEI, che riunisce esponenti delle Associazioni nazionali di cinema, editoria, teatro, musica e di Federculture, fra i quali Andrea CancellatoSergio EscobarEnzo MazzaFrancesco RutelliNicola Zanardi, Marco Zapparoli.

Alle 14 è in programma la presentazione del libro Cara senatrice Merlin. Lettere dalle case chiuse (ed. Gruppo Abele), che celebra i sessant’anni della legge Merlin con la quale vennero abolite le case chiuse e si eliminò l’organizzazione della prostituzione da parte dello Stato, mentre alle 16 ci sarà un incontro sull’originalità del linguaggio di Gianni Breranel centenario della sua nascita, fra sport e letteratura, con Gianni Mura Giuseppe Smorto, in collaborazione con Robinson – La Repubblica.

Alle 17 la scrittrice greca Ersi Sotiropoulos presenta il suo nuovo romanzo Cosa resta della notte (Nottetempo), con un giovane Costantino Kavafis al termine di un viaggio nella Parigi di fine Ottocento, e in contemporanea Valeria Parrella esplora il desiderio di Antigone, dalla tragedia di Sofocle, mentre Patrizia Valduga con Pietro Barbetta ci aiuta a rileggere il tema del desiderio con la lente della filosofia e della psicodinamica.
Sempre alle 17 Viola Di Grado presenta il suo nuovo romanzo Fuoco al cielo (La nave di Teseo), ambientato in un remoto villaggio siberiano, il luogo più radioattivo del pianeta, e Paolo Bacilieri mette in scena una storia d’amore attraverso il disegno dei palazzi di Milano, dimostrando che il fumetto può trasformare l’architettura in racconto, in Tramezzino (Canicola edizioni), di cui parla con Gianni Biondillo.

Alle 18 Carlo Formenti, giornalista e analista politico, incontra il pubblico per presentare il suo libro e la collana Visioni Eretiche (Meltemi); Matthias Nawrat presenta Imprenditori. Una favola famigliare (L’orma editore), romanzo tenero e visionario che ci regala una riflessione ironica e spietata sulla nostra società e sugli esiti del capitalismo europeo. Ancora alle 18, Dany Laferrière presenta Sono uno scrittore giapponese (66thand2nd), dove con leggerezza e acume torna a parlare in tono giocoso dell’identità, in un libro che è una celebrazione dell’intelligenza e dei sensi, e Franco Lorenzoni ci racconta il suo nuovo lavoro I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento (Sellerio).
Alle 18 Rivista Studio cura un incontro su Milano futura, con Marco Simoni Azzurra Muzzonigro, mentre Raffaele Alberto Ventura ripropone il suo Seminario sulla classe disagiata, invitando i lettori a un confronto collettivo sulla crisi e il suo impatto sulle scelte esistenziali dei cosiddetti Millennial.

Alle 19 in programma un dialogo di Cristina Cattaneo con Elena Stancanelli intorno ai temi del suo libro Naufraghi senza volto (Raffaello Cortina) che racconta, attraverso il vissuto di un medico legale, il tentativo di un Paese di dare un nome alle vittime della migrazione, e come questi corpi testimoniano la violenza e la disperazione del nostro tempo. Sempre alle 19, incontro con Iain Sinclair, che ne L’ultima Londra (il Saggiatore) riesce finalmente a catturare e descrivere l’enigmatica magia della città che per tutta la vita lo ha ossessionato. Sempre alle 19 lo scrittore algerino Samir Toumi presenta Lo specchio vuoto (Mesogea), mentre alle 20 Paolo Spagnuolo parla del suo Milano odia. La polizia non può sparare (Milieu) in un aperitivo-presentazione in tema poliziottesco.

BOOK PRIDE OFF – Prosegue anche il programma OFF dopo le anteprime dei giorni scorsi, in locali e librerie della città. Tra i circa venti appuntamenti, alle 21 uno speciale ricordo di Andrea Pinketts, scomparso lo scorso 20 dicembre, a cura di Alessandro Beretta presso il Circolo Ex Combattenti in via Alessandro Volta 23, e Un altro porno è possibile, una serata di discussioni, proiezioni e letture sulla pornografia e i suoi mutamenti a PoP- Piece of Pie in via Tadino 5.

Collaborazioni

Umano/Urbano. I sentieri del desiderio
In questa sezione, realizzata in collaborazione con la Milano Digital Week, ragioniamo sui modi in cui l’intelligenza urbana e il desiderio umano costruiscono legami esplorando e di continuo reinventando quel complesso organismo – spazio ma anche tempo, relazioni, comunicazioni, trasformazioni – che è una città. Fra gli ospiti dei vari incontri, Franco Lorenzoni, Christian Raimo, Susanna Sancassani, Luca De Biase, Gianluca Sgueo, James Barrat, Giovanni Ziccardi, Matteo Lancini, Maurizio Balistreri, Iain Sinclair, Guido Viale. In programma anche un incontro del ciclo «Editoria in Progress», a cura dei Master Professione Editoria e BookTelling dell'Università Cattolica.

Robinson - La Repubblica – Numerosi incontri del programma sono organizzati in collaborazione con Robinson, che contribuisce a ragionare intorno e dentro il tema OGNI DESIDERIO.

Il Sole 24 Ore – Un appuntamento a cura de Il Sole 24 Ore con Sergio Luzzatto Gianluigi Simonetti in dialogo sul desiderio di aver libri e del desiderio nei libri, modera Cristina Battocletti.

Suisse Pride – Si rinnova l’appuntamento con la rassegna itinerante dedicata alla letteratura svizzera, a cura di Roberta Gado. Tra gli ospiti: Rinny GremaudAlexandre HmineAnna RuchatRiccardo FedrigaAdrien Pasquali, Nicolas VerdanGrisélidis RéalYari Moro Maurizia Balmelli.

The Library of Unread Books – In collaborazione con The Art Book Shop Project di Kunstverein Milano, che cura lo spazio BOOK ART, una biblioteca itinerante ‘dei libri non letti’, composta da libri donati da ex proprietari che non li hanno letti.

Piccoli Maestri – Si rinnova la collaborazione conl’associazione di scrittori e scrittrici che va nelle scuole a raccontare un libro. A BOOK PRIDE gli studenti stessi rileggono a modo loro grandi libri con i loro professori. Introducono e moderano Annarita Briganti, Federico Cerminara e Maura Gancitano.

BOOK YOUNG– Torna lo spazio dedicato ai piccoli lettori a cura delle librerie La linea d’ombra e Isola libri, con laboratori per bambini e ragazzi, oltre alle letture ad alta voce tra gli spazi e gli stand della Fiera a cura dei lettori volontari del Patto di Milano per la Lettura.

BOOK COMICS– Un bookshop che vuole far conoscere le possibilità narrative, espressive e sperimentali di fumetto e graphic novel, curato da BilBOlbul Festival Internazionale di Fumetto di Bologna e dalla libreria SpazioB**K di Milano, che hanno incrociato i loro sguardi per selezionare le migliori proposte di graphic novel del panorama editoriale indipendente italiano. In programma incontri con Paolo Bacilieri, Gianni Biondillo, José Muñoz, Guido Scarabottolo, Lorenzo Mò, Vincenzo Filosa.

BOOK ART – Kunstverein Milano cura la sezione dedicata all’art publishing, proponendo una selezione di artisti che utilizzano l’editoria come parte integrante della loro pratica: oltre venti personalità che dagli anni Settanta a oggi usano la carta stampata per diffondere conoscenza e produrre nuove forme di immaginazione.

SPAZIO RIVISTE – Torna il focus sulle riviste indipendenti, con una selezione di magazine a cura di Edicola 518 e un programma di incontri e laboratori con le più note riviste letterarie italiane.

Mediapartner: Robinson – La Repubblica, L’Indice dei Libri del Mese, Leggere: Tutti, Cultweek, Radio Popolare.

Orari: venerdì, sabato, domenica dalle 10 alle 20.
Ingresso gratuito.

Fabbrica del Vapore: Via Procaccini 4, Milano

Segreteria organizzativa: fiera@bookpride.net
www.bookpride.net