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11/01/19

20 anni senza Fabrizio De André: esce il bellissimo libro fotografico di Guido Harari.


Fabrizio De Andre', dentro e oltre il suo sguardo. Lo raccontano, a vent'anni dalla morte, l'11 gennaio 1999, le oltre 300 fotografie tra colori e bianco e nero di Guido Harari raccolte nel libro 'Fabrizio De Andre'. Sguardi randagi', pubblicato da Rizzoli con la prefazione di Cristiano De Andre' e la postfazione di Dori Ghezzi.

"Che effetto fa a me rivedere le foto del passato? E' come ripercorrere le emozioni che ci hanno accompagnato lungo la nostra vita, soprattutto se a fissarle e' la sensibilita' di Guido Harari, maestro di quell'arte speciale che cattura il miracolo della natura di quel sorriso unico, quello sguardo unico e irripetibile, generato dallo stato d'animo di un momento, risultato dell'alchimia che mescola i vari sentimenti di un preciso istante: serenita', amore o sofferenza, preoccupazione, disillusione, imbarazzo o complicita', rendendo cosi' immortale un sentimento che altrimenti sarebbe soltanto (il) passato" dice Dori nella postfazione.

A Fabrizio "non piaceva farsi fotografare" ma Harari, che per quasi vent'anni e' stato uno dei fotografi personali di De Andre' al quale ha dedicato diversi libri, e' riuscito a catturare il vero sguardo del poeta, del cantautore e dell'uomo, e' stato capace di cogliere e "accettare il ticchettio della sua intelligenza, assecondando i suoi tempi, le manie, le esigenze, procedendo per piccoli spostamenti creativi, da un'idea all'altra, o proprio senza nessuna idea".

Si e' formato cosi' un libro "fuori dagli schemi", di "sguardi rubati, sull'onda dell'estro del momento, dentro e oltre l'ufficialita'" come dice Harari che ha aperto il suo archivio per la prima volta integralmente, ma dove si sente soprattutto tutta la forza delle parole di Fabrizio.

Tra gli inediti un ritratto di Fabrizio realizzato sulla scia di una foto del Nobel portoghese Jose' Saramago, che lo aveva affascinato. "Fabrizio s'era invaghito di un ritratto che avevo fatto ad uno dei nostri autori preferiti, il portoghese Jose' Saramago, di cui gli avevo regalato una stampa. Mi spiazzo' domandandomi di realizzargliene uno uguale" racconta Harari che scatto' "pochi rullini, rimasti fino ad oggi inediti: e' che, sottratto a una qualunque atmosfera, Fabrizio - dice - sembrava spegnersi nel puro gioco estetico che lui stesso aveva richiesto".



Scopriamo poi il De Andre' privato, che sorride mentre si fa tagliare i capelli da una radiosa Dori. E poi che stringe in un grande abbraccio Fernanda Pivano, nei camerini del Teatro Smeraldo di Milano nel 1997. 

La Nanda che scrivera': "Che dolore pensare che foto cosi' non se ne potranno fare piu', che riconoscenza che ci sono. Fabrizio c'e' stato e ci sara' sempre. Grazie a queste, e grazie a Dori, grazie a canzoni e poesie che appartengono con lui agli enormi spazi profumati dell'eternita'".

 Nel volume anche il De Andre' appassionato di astrologia: "godeva a fare l'oroscopo agli amici piu' stretti: dopo averne tracciato il quadro astrale, si divertiva a indovinarne il futuro", racconta Harari.

Ci sono le prove, gli arrangiamenti, i concerti e il leggendario tour con la Pfm, le sue riflessioni sull'essere padre, sull'alcolismo, sull'essere borghese e sul moralismo.

C'e' l'amore per la natura, ci sono i figli Cristiano chiamato Fabrizietto per la somiglianza con il padre, e Luvi, ritratti anche in una foto insieme. "Guido e' stato e rimane l'alchimista che ha saputo tradurre in immagini alcuni passaggi salienti della storia della mia famiglia, quasi ne fosse sempre stato un membro", scrive Cristiano De Andre'. Insieme al suo sguardo c'e' quello di chi lo ha amato in questo viaggio di immagini e parole in un'alchimia che ci fa respirare l'atmosfera in cui era avvolta la vita dell'autore de La canzone di Marinella, di Bocca di rosa e di Crêuza de mä.

 C'e' "tutto Fabrizio in una foto: la giacca abbandonata sulla sedia, una bottiglia di Glen Grant" come sottolinea Harari e c'e' tutta la sua forza profetica quando dice: "Oggi, purtroppo, non ci resta che la rassegnazione davanti a un mondo che semmai e' cambiato in peggio, a una giustizia e a un'opposizione fantasma. Il canto delle cicale, che apre e chiude Le nuvole, rappresenta l'unica voce di protesta che e' rimasta: la gente purtroppo non parla piu'".

Fonte: Mauretta Capuano per Ansa