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30/10/25

AMORE E PSICHE NELL' ANNO 2025 (L'amore è vivo ma non sembra)


AMORE E PSICHE NELL'ANNO 2025

(L'amore è vivo, ma non sembra)

di Fabrizio Falconi 

Al quinto lustro degli anni Duemila, l'Amore non sembra passarsela molto bene.

E a dir la verità, nemmeno Psiche, che forse sta messa peggio.

Guardando ieri sera il memorabile finale del film “La Comune” del grande Thomas Virtenberg (2016) mi ha colpito l'epitaffio pronunciato ad alta voce da uno dei personaggi secondari, dopo la morte di un bambino: “L'amore è morto e lui ha deciso che non voleva vivere in un luogo dove non c'è amore.”

Beh, ho il forte sospetto che su queste morti - o assenze - di Amore e Psiche, incida parecchio la smemoratezza (sopraffatti da meravigliose intelligenze artificiali) dei miti fondativi.

La Psiche di Apuleio (Le Metamorfosi, 159 dC), fanciulla di racconto bellezza da insidiare quella di Venere (suscitandone terribile gelosia), è la personificazione dell'anima: il quid inspiegabile che rende una persona racconto e diversa da ogni altra.

Psiche, cioè Anima, è anche il soffio, la parte vitale e spirituale di ogni essere vivente.

Psiche è insomma magnifica e aerea. Ma ha bisogno di incarnazione, di sostanza, di corpo, di fisicità. Ed ecco che il mito presenta un ottimo candidato per fondersi con lei: il bellissimo Amore-Cupido, figlio addirittura di Venere.

Ciò che però Psiche non sa è che Amore-Cupido è stato mandato a lei da Venere per trarla in inganno. Quando Psiche cadrà innamorata (falling in love dicono gli inglesi), scoprirà il suo malgrado che Amore-Psiche è in realtà un mostro.

Ben le sta, si direbbe: così impara ad innamorarsi del primo sconosciuto che arriva e che le si infila nel letto! Ma Psiche ha tutte le scuse del caso: un banale incidente relativo allo scocco della freccia ha fatto sì che anche Amore si sia innamorato perdutamente della ragazza e voglia fare di tutto per restare con lei.

Per questo nel grande palazzo pieno di meraviglia in cui l'ha portata (degno di quello della “Bestia” disneyana) Amore ha stabilito per lei una legge che non dovrà mai trasgredire: i loro incontri saranno sempre al buio, di notte. Per evitare di dover svelare la propria identità mostrifera.

Sappiamo tutti com'è andata a finire: sospinta dalle solite sorelle impiccione, la Psiche innamorata, decide di fare luce. In tutti i sensi. Accende una lampada mentre Amore giace al suo fianco e riesce perfino a svegliarlo perché una goccia d'olio bollente cade sul suo corpo nudo.

Amore però, è strano, alla luce della lampada di Psiche, non si manifesta affatto come un mostro. Ma la trasgressione del divieto, basta far scappare il bellissimo amante e lasciare Psiche nella più cupa disperazione.

Per ritrovarlo dovrà superare ben quattro difficilissime prove (decise dalla crudele Venere) compresa una discesa agli inferi. Salvata da un sonno mortale da Amore, verranno finalmente celebrate le nozze dalle quali viene generata un bel bebé chiamato eloquentemente Piacere (o Voluttà).

In questo racconto c'è tutto. Una specie di bignami che ciascun essere umano alle prese con l'incanto dell'amore, dovrebbe conoscere a memoria.

Ma ahimé oggi i manuali per le relazioni amorose escono dalle rotative di Temptations Island.

In un paese, l'Italia, dove i cosiddetti “femminicidi” (termine quasi più orrendo dello stesso delitto al quale si riferisce) sono diventati la tipologia più diffusa di omicidio, l'educazione all'amore è precipitata a livelli pre-mitologici.

L'ingegno iniziale di Psiche di concedersi ad Amore senza sapere nulla di lui, poteva costarle cara. Era questo che voleva Venere, la narcisista per eccellenza.

Apuleio indica invece piuttosto chiaramente che Amore va indagato, deve esserlo. Specialmente quando qualcuno al di fuori, o lo stesso amante ha stabilito delle regole ingiuste e incomprensibili, che non c'entrano nulla con “l'amore”.

E' il coraggio e l'intraprendenza di Psiche a salvarla (e anche, in questo caso, la saggezza interessata delle sorelle): insomma, i mostri bisogna guardarli in faccia.

Se la lampada non viene accesa, i mostri rimangono sconosciuti.

La lampada bisogna accenderla, anche se il presunto Amore rischia di scapparsene volando, o rischia di manifestarsi come un mostro vero.

E chi vorrebbe accoppiarsi o giacere con un mostro?

La storia di Apuleio ha un lieto fine. Ma per i mortali le cose non vanno sempre così: negli ultimi tempi sempre meno.

Lieto fine sì, poi. Ma Psiche - l'anima incarnata - deve farsi un bel mazzo, se vuole arrivare a dama e conquistare L'Amore.

4 prove, ciascuna simbolica, che rappresentano quel che viene richiesto ad una scelta per essere davvero consapevoli.

Una bella faticaccia. Ma non si scappa. Gli amori narcisisti sono finti amori, il piacere al buio non è un vero piacere, le regole arbitrarie assomigliano ai capricci e alle vessazioni, il mostro è in agguato anche se il piacere notturno sembra bello e incantato.

Almeno finché non viene accesa la lampada.

Nell'anno domini 2025 sempre meno lampade sono accese, forse perché gli schermi digitali con touchscreen fanno una gran bella luce azzurrina. Peccato che rimandano soltanto l'immagine riflessa del nostro perduto desiderio.

FABRIZIO FALCONI


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22/10/25

“HO LETTO TUTTO GUERRA E PACE. PARLA DELLA RUSSIA" (La sparizione dei lettori)

 



“HO LETTO TUTTO GUERRA E PACE. PARLA DELLA RUSSIA.”

(La sparizione dei lettori)

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un post pubblicato su un social dove veniva riportata una certa citazione attribuita a un grande regista.

Siccome conosco bene i film di quel grande regista e ho letto in passato parecchi libri scritti da lui o su di lui, quella citazione mi è sembrata subito strana e mi è venuta la curiosità di andarla a cercare nel libro - la famosa autobiografia di quel grande regista - che ho a casa.

Subito è salito lo smarrimento. Come potevo rintracciare l’esistenza di quella data citazione in un libro che (all’epoca) non avevo nemmeno sottolineato? Dopo lo tsunami tecno-digitale che ci ha investito tutti, dai vecchi boomers ai nativi digitali, il nostro cervello partirebbe in automatico e vorrebbe cliccare sul pulsante “cerca” per trovare le parole chiave di quella citazione.

Soltanto che sui libri cartacei non funziona così. ... Ideona! Chiediamo a Kindle! Se esiste una versione digitale del libro, ci mettiamo un attimo. Solo che... il download della versione Kindle del libro costa 8.99 euro. E spendere 9 euro per trovare (o non trovare) una certa citazione in un libro che già posseggo mi sembra francamente troppo.

La sera mi metto di buzzo buono per vincere la partita e scelgo di sfogliarmi TUTTO il libro, pagina per pagina, alla ricerca della citazione sospetta (facilitato dalla presenza, nella citazione di nomi propri con la maiuscola che dovrebbero risaltare nello sguardo volante sulle pagine). Per la cronaca: la citazione al 99.90 per cento non c’è. Come sospettavo. Ma mi ci è voluta quasi un’ora per verificare di persona.

Questo minimale episodio però ha aperto un mondo sulla consapevolezza di quanto è (o meglio, sarebbe) ed era faticoso leggere. Leggere per davvero, cioè conoscere. Memorizzare. Ricordare, studiare. Insomma, far vivere un testo dentro se stessi. Leggere veramente, leggere per davvero.

Chi è oggi che legge? Si certo, lo facciamo tutti. Tutti rispondono col ditino alzato: “io leggo”. Ma cosa leggiamo esattamente? E soprattutto “come” leggiamo? Qual è la qualità della/e nostra/e lettura/e che si svolge/ono in gran parte on line o su dispositivi digitali (articoli, citazioni, meme, fatterelli e fatti, disquisizioni politiche, ecc.. ecc...).

Mi è tornata in mente la celebre battuta di Woody Allen:

“Ho fatto un corso di lettura veloce. Ho letto ‘Guerra e Pace’, ci ho messo venti minuti: parla della Russia.”

Tutti sono diventati lettori alla “Woody Allen”. In ogni sito online ormai c’è ben riportato, in calce all’articolo, il “tempo di lettura”. Così uno lo sa prima e si prepara: vuoi leggere sto pezzo? Tre minuti del tuo tempo, please. 180 secondi.

Già troppi, perché interrompono lo scroll permanente, titillo irresistibile della modernità.

Durante lo scroll, non si legge niente. Si scorre, appunto e basta. E’ come essere in piedi dentro la corrente di un fiume che passa. Sì, ogni tanto riconosciamo un pesce sotto l’acqua, un tronco secco che passa, qualcosa si ferma per un secondo, ma poi passa, velocemente passa, tutto passa e la giornata è quasi finita.

I libri sono passati di moda perché non scorrono. Ci vuole pazienza, determinazione e soprattutto tempo. Attenzione. Chi ce l’ha più? E’ così bello lasciarsi carezzare le gambe dal flusso della corrente.

Non fidatevi di quelli che dicono che tanto oggi si legge lo stesso ed è cambiato solo “il mezzo”. Se la cantano e se la suonano. E’ bullshit, come dicono gli americani ogni 30 secondi nelle serie tv. Cazzate.

Non è cambiato solo il mezzo, è cambiato - sta cambiando - il cervello delle persone, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Il cervello, l’organo più malleabile che abbiamo, il più adattativo, il più furbo.

La conoscenza che viene e che verrà sarà quella dei supercomputeroni a cui stiamo consegnando quel che c’è da sapere. Perché noi, intanto, siamo occupati a fare altro. Così tante opportunità, così tante occasioni, così tante distrazioni, così tanto intrattenimento: la società dello spettacolo (Debord) non prevede che si perda così tanto tempo con le pagine di un libro. Chiedi alla AI e ti riassumerà anche Guerra e Pace in quello che c’è da sapere, quello che conta. Lo ha deciso o lo deciderà lei, quello che conta? Amen. Vuoi mettere perdere tutto quel tempo?

Qualche anno fai andai ospite nella casa veneziana di un noto filosofo italiano (oggi tromboneggiante come diventano, prima o poi, tutti gli ultrasessantenni). Ogni parete di quella casa era rivestita di scaffali di libri. Non c’erano nemmeno 10 centimetri liberi. I libri però non erano “dati per letti”, erano letti per davvero. Mentre parlava con me, il filosofo sciorinava citazioni che, volta per volta, andava a trovare nei libri che estraeva dallo scaffale ed erano tutti sottolineati, le pagine segnate dai post-it e dalle piegature agli angoli. Aveva praticamente quasi tutta la sua biblioteca nella testa.

Oggi non serve più.

La Biblioteca di Alessandria ce l’abbiamo tutti a casa nostra, dentro un microchip.
Più tardi forse la scorreremo per trovare qualcosa. Più tardi, però. Dopo lo scroll.


TEMPO DI LETTURA: 3 minuti...

16/10/25

QUANDO TUTTI I BOOMERS SCOPRIRONO L'ADORABILE DONNA NEVROTICA E FINIRONO PER INNAMORARSENE

 


QUANDO TUTTI I BOOMERS SCOPRIRONO L'ADORABILE DONNA NEVROTICA E FINIRONO PER INNAMORARSENE

di Fabrizio Falconi

Anno spartiacque: il 1977.
In quell'anno i boomers non sapevano ancora di essere boomers. Sapevano di essere in tanti, questo sì, perché le classi scolastiche erano strapiene e gli amici o i compagni di classe avevano tutti i fratelli e/o le sorelle.
I boomers crescevano in un mondo apparentemente dorato, perché anche se erano in tanti, si stava non male, dopo la rivoluzione dei costumi di fine anni '60, si potevano sperimentare cose nuove in giro e poi non c'erano missili sulla capoccia, non almeno la nostra, quella degli europei e dei nordamericani.
Anche i boomers, all'epoca, poi, si dividevano tra femmine e maschi. Più quelli che amavano persone del proprio sesso e che da qualche tempo avevano cominciato a farlo più liberamente.
I boomers maschi non erano così montati per il lavoro come gli X che seguirono, spallati come gli Y o leggermente ottenebrati dalla tecnologia digitale come gli Z.
I boomers maschi erano quindi mediamente più allegrotti, ma piuttosto imbranati. Venivano da modelli femminili importati dalla generazione perduta dei padri, indecisi tra le bambolotte atomiche americane e i positivi inquinamenti femministi della donna silfide del '68.
Tutto poi, in Italia, come sempre, avveniva in ritardo.
Ma il 1977... il 1977 i boomers all'improvviso si svegliarono dall'incatamento e scoprirono l'esistenza di un'altra tipologia di donna: la donna nevrotica.
Lungi dall'essere un'accezione negativa, questa caratteristica si presentava piena di mistero e invitante (anziché essere repulsiva come era stata per la generazione perduta) perché "strana" e decisamente sexy.
"Io e Annie", o meglio "Annie Hall", sdoganò da un giorno all'altro un appetibilissimo frutto amoroso come un bell'ananasso rimasto nel frigo molto a lungo che ci si è decisi finalmente a testare.
I boomers maschi sapevano, perché all'epoca si leggevano perfino i libri, che TUTTI, nell'età moderna, sono nevrotici e che dunque, anche loro lo erano. Perché la nevrosi era (ed è) la manifestazione della contemporaneità.
Il dottor Jung l'aveva genialmente definita, la nevrosi, come "sofferenza inautentica". E i boomers sapevano che era così, perché non c'era altro modo di definire la lamentazione, i dubbi, il contorcimento mentale (a Roma si chiamano "pippe mentali"), l'autoscarnificazione quando fuori si conduce una vita apparentemente sana e felice e si è circondati di cose che vanno bene o di problemi risolvibili.
Lo stereo-tipo della donna nevrotica - per di più intellettuale, intelligente, e sopratutto "figa" - si materializzò nel 1977 nei panni della meravigliosa rompiballe, logorroica, umorale, bipolare, ANNIE!
Una folgorazione.
I boomers italiani scoprirono in un colpo solo che per essere seducenti e fascinose non serviva affatto avere le curve di Monza della Antonelli o della Muti e nemmeno le gambe di 3 chilometri e il broncio della Birkin.
No, no, la Keaton aveva aperto una nuova strada. Le donne potevano vestirsi come maschi, essere spiritosissime, far morire dal ridere, sfasciare i cabassisi spaccando in 4 il capello alla nuova mostra di foto di Mapplethorpe o di Warhol, ma anche fare l'amore in modo meraviglioso.
La nevrosi - l'inconcludenza, l'indecisione, le lacrime e poi le risate, la battuta salace - era uscita dai reparti psichiatrici ed era diventata pane di modernità e perfino di amore.
Annie-Keaton era, anzi, la dimostrazione che ancora una volta le donne erano arrivate per prime: molto più brave e pronte e coraggiose nel riconoscere la propria nevrosi e nell'andarci a scavare dentro, ostentandola alla bisogna.
I boomers maschi arrivarono molto dopo. Per un po' si illusero di essere loro "i sani", quelli dell'equilibrio, della sicurezza, del conforto e della stabilità. Cagate autoriferite che durarono meno di un'infreddata di ferragosto.
Con un po' di tempo, anche loro capirono che si era tutti nella stessa barca e che anzi, se i maschi facevano così fatica a riconoscere e a venire a patti con le proprie nevrosi era soltanto per la solita vigliaccheria (derivante da paura primordiale) di guardarsi dentro e scoprirci qualche mostro.
Insomma, Diane Keaton se ne va a tempo debito. Quando la nevrosi ha perso quasi tutto quello che lei vi aveva mescolato di bello, cioè il fascino, l'intelligenza e l'ironia. Essendo oggi diventata la nevrosi il paradigma universale e autogiustificativo dell'egocentrismo e del narcisismo di massa, dell' "io sono fatto così e tu mi devi accettare."
Ah cara Diane, quanto ci mancherai ! (soprattutto a noi, boomers in via d'estinzione...)
Fabrizio Falconi