True Love Waits , cantano i Radiohead in un loro grande brano: “il vero amore aspetta”. Sì, ma quanto?
Quanto è giusto e quanto è opportuno aspettare?
Quand'è che aspettare diventa autolesionismo?
Nelle ultime pagine del libro di Dan Hofstadter La storia d'amore come opera d'arte c'è una vicenda tristemente indicativa, riguardante Marcel Proust e le sue esitazioni amorose.
E' noto che da giovane Proust corteggiò a lungo Jeanne Pouquet, figlia di un agente di cambio, la quale, essendo piuttosto benestante e assai graziosa, fece rapidamente ingresso nei salotti della buona società di Parigi.
Proust conobbe Jeanne insieme a Gaston de Caillavet, suo amico dai tempi del militare, uno dei pochissimi amici eterosessuali di Marcel.
Jeanne si innamorò subito di Gaston, ma usò per diversi anni lo “schermo” di Marcel, che era a sua volta dichiaratamente innamorato di lei (e che più tardi usò Jeanne come prototipo per la Gilberte della “Recherche”), ma non si dichiarò mai ufficiale: il padre di Jeanne infatti era infatti un conservatore cattolico e non avrebbe mai gradito che la figlia fosse corteggiata da un liberale semiateo quale era Gaston. Jeanne allora, con l'alacre collaborazione della madre, sfruttò cinicamente la presenza di Marcel per convocarlo sempre, ogni qualvolta si desiderava invitare Gaston, fuori e dentro Parigi, affinché la cosa non destasse sospetto.
Con il passare degli anni, quando finalmente la resistenza del padre di Jeanne fu vinta e il matrimonio con Gaston poté andare in porto, a Marcel fu dato l'immediato benservito.
Marcel soffrì molto e per i successivi 15 anni si rifiutò di mettere mai piede nella casa di Jeanne e Gaston nonostante i ripetuti inviti.
Jeanne aveva rappresentato per Proust (che morì senza mai dichiarare in pubblico la propria omosessualità), l'ultima possibilità di una vita “normale”: se Jeanne aveva corrisposto il suo amore, egli si diceva, forse avrebbe potuto evitare a se stesso la vergogna di essere “invertito” e di doverlo oltretutto nascondere alla amata madre (cosa che fece infatti fino alla morte di lei).
A Jeanne e Marcel il destino offrì poi una seconda chance: Gaston infatti morì prematuramente, a 50 anni. Marcel, sconvolto dalla perdita improvvisa dell'amico, cercò di rivedere Jeanne.
E qui andò in scena l'incredibile, perché nonostante le ripetute lettere e inviti reciproci, questo incontro sfumò a lungo per impedimenti di ogni tipo, finché un giorno Proust non avvertì Jeanne che quella sera sarebbe andata senza indugi a trovarla a casa.
Marcel arrivò alle undici di sera a bordo di un taxi. Suonò il campanello, ma nessuno aprì. Lo scrittore però non si ras segnò. Tornò in macchina ad aspettare, guardando i tre grandi finestroni spesi, poi ordinò al tassista di suonare il clacson, cosa che fu fatta ripetutamente.
Nessuno comunque venne ad aprire.
Marcel tornò sconsolato a casa.
Dall'incrocio delle lettere e diari superstiti esiste la spiegazione che Jeanne non abbia volutamente aperto, e che fosse con il suo nuovo amante (con il quale giaceva già dai tempi del matrimonio con Gaston, il quale era, a sua volta, un incallito fedifrago).
L'incontro andò finalmente in scena parecchio tempo dopo, a casa di Marcel, nella sua camera da letto appesantita dai vapori che usava per combattere la sua fortissima asma, ma fu tristissimo.
Marcel morì nel 1922.
Jeanne, passata alla storia unicamente per la sua “amicizia” con Proust, pensò bene, molti anni dopo, nel 1961, quando lo scrittore era ormai celebratissimo (soltanto dopo la sua morte, con la pubblicazione della Recherche ), di sfruttare editorialmente la vicenda, pubblicando un volume di ricordi su Proust (ampiamente manipolati), che naturalmente andò a rubare.
La scena di Proust sotto casa di lei, di notte, e quella porta chiusa mi hanno ricordato inevitabilmente il finale de L'età dell'innocenza di Edith Wharton e il film che Martin Scorsese ne ha fatto.
Si direbbe un topos narrativo di smisurato dolore e bellezza, come del resto solo la grande letteratura o la grande vita, possono predisporre.
Fabrizio Falconi
 

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