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09/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 38. "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" ("Jeremiah Johnson") di Sidney Pollack (1972)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 38. "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" ("Jeremiah Johnson") di Sidney Pollack (1972)

Corvo rosso non avrai il mio scalpo è uno degli esempi più eclatanti nella storia nefasta della traduzione dei titoli di film stranieri in Italia. I titolisti italiani da sempre, alla ricerca del facile successo al botteghino, si sono sbizzarriti per molti decenni a "inventare" letteralmente i titoli italiani, spesso storpiandone il senso, o semplicemente riducendoli ad altro.  Sulla scia del successo italiano dello spaghetti-western, questa sorte toccò così anche ad uno dei film più evoluti del nuovo cinema americano che negli anni '70, propose pellicole magistrali: quel Jeremiah Johnson (un titolo che dovette sembrare molto poco appetibile per i traduttori italiani) diretto nel 1972 da Sydney Pollack e presentato in concorso al 25º Festival di Cannes, incentrato incentrato sulla figura di un trapper, interpretato da Robert Redford, figura liberamente ispirata alla vita del leggendario Mangiafegato Johnson. 

Il soggetto è tratto dal racconto Crow Killer: The saga of Liver-Eating Johnson (L'uccisore dei Corvi: la saga di "Mangiafegato" Johnson) di Raymond Thorp e Robert Bunker e dal romanzo Mountain Man di Vardis Fisher, con la sceneggiatura scritta da John Milius ed Edward Anhalt. 

Le maestose riprese, in un film coraggioso, quasi completamente privo di dialoghi, vennero effettuate in varie località dello Utah.

La storia è vede protagonista un veterano della guerra messicano-statunitense (1846-48), Jeremiah Johnson, che cerca rifugio nel West. 

Intende intraprendere la vita da mountain man stabilendosi sulle Montagne Rocciose e cacciando animali alla maniera dei trapper. Inizialmente, nel gelido inverno, ha difficoltà a sopravvivere ed ha un breve incontro con Mano Che Segna Rosso, un nativo americano capo della tribù dei Corvi. 

Johnson trova poco dopo un fucile Hawken calibro 12 sul corpo congelato di Hatchet Jack, un altro mountain man, sostituendo così l'inadeguato Hawken calibro 20 in suo possesso.

In seguito Johnson rovina inavvertitamente la caccia all'orso grizzly dell'anziano ed eccentrico Artiglio d'orso Chris Lapp. Dopo le inevitabili diffidenze iniziali, Lapp lo accoglie e gli fa da maestro su come vivere nelle montagne. 

Johnson dimostra la sua abilità nello scuoiare un orso grizzly consegnatogli vivo nella sua capanna da Lapp, quindi, dopo una schermaglia con i Corvi, compreso Mano Che Segna Rosso (amico di Lapp), parte per conto suo. Passando vicino ad un'abitazione nota le chiare tracce di un attacco di guerrieri Piedi Neri che hanno massacrato una famiglia lasciando in vita solo una donna con il figlio più piccolo. 

La donna, impazzita dal dolore, convince Johnson a portare con sé suo figlio, restato muto a causa dello choc subito. A Johnson e al ragazzino, che viene chiamato "Caleb", si aggiunge casualmente un altro mountain man, vittima anche lui dei Piedi Neri, che lo hanno derubato e lasciato seppellito fino al collo sotto al sole. 

Si tratta di Del Gue, che conosce molto bene gli indiani e li teme al punto da radersi la testa per evitarne lo scotennamento. Dopo alcuni giorni di cammino i tre si imbattono proprio nel bivacco dei Piedi Neri. Johnson vorrebbe solo derubarli, ma qualcosa va storto e Del Gue li stermina senza pietà. 

Rimessisi in cammino vengono in contatto con la tribù delle Teste Piatte, indiani cristianizzati che li accolgono come ospiti d'onore per le loro imprese. Quando Johnson offre gli scalpi e i cavalli dei Piedi Neri (i loro mortali nemici), il capo secondo l'usanza delle Teste Piatte si trova obbligato a ricambiare con un dono ancora più grande, così gli dona sua figlia Cigno (Swan nella versione americana) che Johnson, sebbene riluttante, è costretto a sposare. 

Seguono molte altre avventure, in cui protagonista assoluto è il paesaggio. La natura. Da un certo punto di vista, anzi Jeremiah Johnson può essere definito il primo film ecologista della storia, un film che illumina sui disastrosi rapporti tra l'uomo e l'ambiente che lo ospita, dell'uomo come elemento che da preda, diventa cacciatore, quindi distruttore, distruggendo gli altri uomini che si contendono lo stesso territorio, distruggendo gli animali, gli esseri viventi, le piante.  E' di certo l'impatto dell'uomo bianco, da questa prospettiva, è devastante. Il film di Pollack è anche uno dei primi che rovescia, dalla visuale americana, i rapporti tra bianchi e nativi americani, mettendo i bianchi conquistatori di fronte alle loro responsabilità. 

Un film maestoso, che non si smette di ammirare. 



"Corvo rosso non avrai il mio scalpo" 
("Jeremiah Johnson") 
regia di Sidney Pollack,
con Robert Redford, Will Geer
Usa, 1972

08/04/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 10. "21 grammi" di Alejandro Iñárritu (2003)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 10. "21 grammi" di Alejandro Iñárritu (2003)

E' certamente uno dei migliori autori contemporanei, il messicano Alejandro González Iñárritu e questo è il secondo film della cosiddetta Trilogia sulla morte iniziata con Amores perros e conclusa con Babel

Tra queste tre notevoli pellicole (imprescindibili nel cinema degli anni 2000) ho scelto la seconda per  la genialità della esecuzione tecnica perfettamente funzionale alla necessità del racconto.  Un'opera di compattezza straordinaria, che si ammira come un'opera d'arte. 

Anche questo film come gli altri due, porta la firma dello sceneggiatore Guillermo Arriaga che qui indaga nel terreno filosofico-religioso in una storia di agonia e rinascita imperniata sui rapporti tra destino e libero arbitrio, provvidenza e caso, presenza e silenzio di Dio.

Il titolo della pellicola è notoriamente ispirato agli studi compiuti da uno scienziato, il dottor Duncan MacDougall, il quale nei suoi esperimenti avrebbe calcolato in 21 grammi il peso dell'anima: 21 grammi infatti è la quantità di peso specifico che qualunque corpo umano perderebbe esalando l'ultimo respiro.

La drammatica trama prende i passi dalla vita di Jack Jordan (Benicio del Toro), un ex detenuto divenuto credente integralista dopo il suo ultimo periodo di detenzione. La vita in famiglia gli è resa difficile proprio da questa sua insistenza sulla fede, che spesso sfocia nel fanatismo, mentre le sue possibilità di trovare lavoro sono compromesse dal suo passato di pregiudicato. 

Le vicende della sua vita si intrecciano - all'inizio senza apparenti legami - con quella di Cristina (Naomi Watts) ex cocainomane che conduce ora una tranquilla esistenza con il marito e le sue due figlie e con quella di Paul Rivers (Sean Penn), matematico con gravi problemi al cuore in attesa di un donatore, il quale a causa della sua infermità si ritrova a convivere nuovamente con la sua ex moglie Mary, la quale, pur avendo anteriormente abortito, ora vuole a tutti i costi, prima che Paul muoia, avere un figlio da lui ricorrendo all'inseminazione artificiale. 

Tutta la storia ruota intorno ad un unico evento-cardine: l'incidente d'auto in cui Jack Jordan investe il marito e le figlie di Cristina, che muoiono per omissione di soccorso. Il cuore di Michael, marito di Cristina, viene così impiantato a Paul Rivers, che può risanato finalmente tornare alla sua vita, ma è ossessionato dalla ricerca della persona a cui deve la vita. 

Arriverà così sulle tracce di Cristina, che per sfuggire al dolore per la perdita del marito e delle figlie, è tornata ad essere dipendente da varie sostanze e dall'alcol. Paul riesce a conoscerla e a instaurare con lei un rapporto che all'inizio sembrava compromesso dal triste legame che li univa. Nel frattempo Paul accusa i sintomi del rigetto del cuore trapiantato e non volendo subire una nuova operazione dall'esito incerto si procura una pistola per suicidarsi. Paul e Cristina per vendicare la morte dei familiari di Cristina, avvenuta per omissione di soccorso, decidono di uccidere Jack Jordan che si era costituito, aveva scontato già la sua pena e che aveva abbandonato la sua famiglia andando a vivere in uno squallido motel dove lo hanno seguito i due amanti. Paul cercherà di uccidere Jack ma alla fine lo lascerà proseguire una vita che Jack stesso, straziato dal senso di colpa, avrebbe voluto finire. Questo porterà all'incontro finale fra i tre personaggi e alla drammatica conclusione della vicenda.

La qualità assoluta del film è nella sua struttura narrativa (l'utilizzo di continui flash-forward e gangli concatenati) e nelle tecniche di ripresa film realizzate da Iñárritu con camera a spalla e un continuo movimento che cattura lo spettatore in una sempre più stringente ragnatela, mano a mano che si chiariscono i diversi punti di vista e di contatto della storia raccontata.

Un capolavoro di scrittura, di recitazione e di realizzazione che ha portato 21 Grammi a vincere una incredibile quantità di premi in tutto il mondo e a lanciare definitivamente il suo autore nella cerchia dei maestri contemporanei della Settima Arte.

Fabrizio Falconi

21 Grammi 
di Alejandro González Iñárritu
Usa, 2003
durata: 124 minuti
con Sean Penn, Naomi Watts, Benicio Del Toro. 





04/04/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 9. Il Monello (The Kid) di Charles Chaplin (1921)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 9. Il Monello (The Kid) di Charles Chaplin (1921)

Per i grandi geni, in ogni campo, l'ispirazione può nascere da tutto. Ma in primis, il loro spirito si muove intorno a quel che vivono nelle loro vite personali.  E' per questo forse che Il Monello (The Kid), film capolavoro di Chaplin, che si avvia a festeggiare tra due anni il secolo di vita, essendo stato presentato a New York nel gennaio del 1921, presenta quello straordinario connubio tra malinconia e vitalità, sullo sfondo delle vicende allegre e strazianti di un bambino. 

Chaplin, infatti, al momento dell'inizio delle riprese del film (luglio 1919) non si trovava in un periodo felice della sua vita privata: da poche settimane aveva perso il primo figlio, chiamato Norman Spencer, avuto dalla prima moglie (Mildred Harris), che era nato con gravi deformazioni e sopravvisse  solo per tre giorni. 

Nei mesi seguenti, anche in conseguenza di questo gravissimo lutto, il matrimonio fallì definitivamente e perfino il film rischiò di finire sotto sequestro unitamente ai beni di Charlie nella causa di divorzio intentatagli dalla moglie.

Per fortuna Chaplin prevedendo questa eventualità, aveva consegnato in custodia una copia dei negativi del film al fratello Sidney e non appena terminato il montaggio del film cominciò a spostarsi  in incognito (per quanto la sua popolarità lo consentisse) in luoghi diversi e città diverse.

L'ispirazione per quel film cui teneva moltissimo - era in assoluto il suo primo lungometraggio - era arrivata a Chaplin invece - come lui stesso raccontò nella sua autobiografia - dall'assistere ad uno spettacolo all'Orpheum Theatre di Los Angeles dove aveva visto esibirsi un bambino prodigio di soli cinque anni, Jackie Coogan, restando folgorato dalle sue capacità espressive. 

Il giorno dopo, parlando con i più stretti collaboratori, Chaplin disse di aver trovato un nuovo soggetto per un film che si sarebbe chiamato The Kid e che avrebbe visto proprio il piccolo Jackie come protagonista.

I primi giorni di riprese dimostrarono a Charlie che non si era sbagliato: il connubio tra lui e il bambino era perfetto.  Si erano trovati con complicità e naturalezza eccezionali.

Nacque dunque quel capolavoro che è Il Monello. Opera-mondo che ha eternizzato in un racconto di 68 minuti i temi dell'infanzia e della povertà, dell'ingiustizia e del potere, della sopraffazione e della ribellione, del pacifismo e della creazione artistica. 

La storia inizia con una donna sedotta e abbandonata che viene dimessa dall'istituto di carità in cui ha dato alla luce suo figlio. Non potendo mantenerlo, decide di abbandonare il piccino all'interno di una macchina di lusso con la speranza che sia la ricca famiglia proprietaria del mezzo a crescere il bambino.

Il pentimento l'assale di lì a poco, ma il destino ha fatto della macchina, con la disperazione della madre, l'obiettivo di due malviventi che, impossessatisi del mezzo, dopo la scoperta del fagotto col bimbo non si faranno scrupolo di gettarlo via tra le macerie di un quartiere degradato, dove casualmente è di passaggio il vagabondo Charlot.

Inizia di qui il cammino di redenzione dell'orfanello.  Anche Charlot non è affatto immune dalla viltà umana: anche lui infatti prova a sbarazzarsi del bimbo - ed è comprensibile, viste le sue condizioni.  Ma poi, rinvenuto tra le fasce che l'avvolgono un biglietto invocante perdono per il gesto di abbandono e implorante assistenza per il bimbo, si decide a trattenere con sé il neonato.

Iniziano dunque le picaresche avventure dei due, tra l'educazione famigliare nel fatiscente sottotetto dove il Vagabondo abita, l'iniziazione "lavorativa" del piccolo come complice del "padre" nell'attività di vetraio ambulante - con il bambino che tira sassate ai vetri per consentire al padre di trovare lavoro immediato; i duelli nelle strade con i poliziotti; il ritorno della madre che fa beneficenza nel quartiere dove vive il suo bambino e senza riconoscerlo, ovviamente, gli regala un peluche; le risse di strada; l'improvvisa malattia del bambino; il tentativo degli assistenti di sottrarre il bambino con la forza - e la conseguente drammaticissima scena del rapimento;  la fuga dei due in dormitorio pubblico.; il riconoscimento del piccolo da parte del guardiano che mentre Charlot dorme, lo riconsegna alla polizia e questi alla madre; Chaplin e Coogan in una scena L'incombere dell'oscurità porta i due al dormitorio pubblico; lo straziante ritorno a casa del Vagabondo, disperato per la mancanza del bambino, che finisce per addormentarsi sui gradini della casa.

E qui l'incredibile colpo di genio di Chaplin, con la straordinaria scena del sogno di Charlot. Nel quale egli intravede il suo quartiere diventato una sorta di paradiso nel quale si intrufola il diavolo, scatenando un putiferio.

Charlot infine viene svegliato dallo strattone del poliziotto che lo invita a seguirlo sulla macchina che lo trasporta davanti all'ingresso di una sontuosa abitazione, dalla cui porta d'ingresso si catapulterà fuori, saltandogli al collo, il suo monello e l'ex ragazza madre, ora ricongiunta al figlio, che invita Charlot ad entrare in casa.

Un meraviglioso lieto fine che nulla toglie al valore estetico e morale (cioè umano) di un film prodigiosamente muto, che parla ancora oggi e sempre allo spettatore di qualunque latitudine, di qualunque età, di qualunque censo, di qualunque tempra morale. 

Fabrizio Falconi


Il Monello

(The Kid)
USA, 1921
Durata 68 min
con Charlie Chaplin, Edna Purviance, Jackie Coogan, Henry Bergman, Tom Wilson