Visualizzazione post con etichetta attori italiani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta attori italiani. Mostra tutti i post

14/01/25

Ricordo di un incontro-intervista con Vittorio Gassman




Era l'estate del 1990. Vittorio Gassman era, ancora e pienamente, il "mattatore" del cinema e del teatro italiano e io un giovane cronista di cultura e spettacolo. 

Panorama, per cui lavoravo già da tempo, mi chiese di andare a intervistare Gassman a casa sua: una intervista piuttosto di routine, incentrata su quelli che erano in quel momento i progetti del grande attore. 

Varcai dunque il cancello di Villa Brasini - che i romani chiamano familiarmente "Il Castellaccio" per via della sua bizzarra architettura - nei pressi di Ponte Milvio, a Roma. Gassman era in quel periodo, da poco uscito dalla sua famosa "depressione", durata circa due anni, di cui l'attore parlò spesso anche in pubblico, in particolare durante la sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show di quell'anno - un notevole e breve estratto è visibile su Youtube cliccando qui

Probabilmente, con il senno di poi (cioè dell'oggi), in quella occasione, avrei considerato non certo una felice scelta, quella, per un depresso, di andare a vivere proprio a Villa Brasini (pur splendido edificio), per via della fama sinistra che vi aleggia, anche per episodi assai recenti e di cui ho scritto in un libro di qualche successo (clicca qui).

Gassman mi venne incontro, affabile ed elegante,  mi fece accomodare nel grande salone vetrato della casa - con vista su un giardino interno - poi venne a sedersi, interrotto durante la nostra chiacchierata, dal figlio più piccolo, Jacopo, avuto dalla terza moglie, Diletta D'Andrea, nato nel 1980 e che dunque aveva all'epoca dieci anni, e del quale il padre dimostrava di essere innamorato. Riuscì a un certo punto a convincerlo a lasciarci soli e iniziò il nostro colloquio. 

Parlò a lungo del progetto assai ambizioso che all'epoca portava avanti: la messa in scena del Moby Dick di Melville, a teatro, con l'impianto scenico di Renzo Piano, che effettivamente andò in prima durante  le celebrazioni colombiane di Genova con il Teatro Stabile di quella città, poi portato anche a Siviglia e infine negli Stati Uniti (sempre nell'ambito di quelle celebrazioni). L'intero spettacolo è visibile cliccando qui

Mi parlò poi della serie TV Tutto il mondo è teatro alla quale stava lavorando e che avrebbe condotto l'anno seguente (1991) su RaiUno con grande successo (visibile un estratto qui).

Infine mi parlò di un progetto a cui teneva tantissimo e che invece - per quel che mi risulta - non si fece mai: un film dal terzo libro che aveva scritto, dopo Un'avvenire dietro le spalle (1981) e Vocalizzi (1989): Memorie dal sottoscala, di cui avrebbe dovuto essere regista, ma non protagonista ("preferisco concentrarmi sulla regia: l'interprete sarà forse straniero, magari un inglese, qualcuno che incarni lo spirito di quest'uomo inquietante e goffo"), nonostante fosse totalmente autobiografico e raccontasse "in chiave grottesca una nevrosi, non gli anni della mia depressione." 

Chissà che fine ha fatto quel copione, scritto con Giancarlo Scarchilli e chissà che prima o poi qualcuno non si decida a rispolverarlo. 

L'incontro, che ricordo vivamente - per la gentilezza e la simpatia che mi dimostrò - si concluse e salutai Gassman, che come molti grandi dell'epoca sapeva anche essere umile o semplice, che dir si voglia. Appena dieci anni dopo, ci ha lasciato. Con molti (nostri, di spettatori) rimpianti.

L'intervista uscì su Panorama il 19 agosto del 1990. 




01/11/22

La Poesia di Ognissanti: "Er Mortorio" di Aldo Fabrizi







Er mortorio 
Aldo Fabrizi 

Appresso ar mio num vojo visi affritti,
e pe’ fa’ ride pure a ‘ st’occasione
farò un mortorio con consumazione… 
in modo che chi venga n’approfitti. 

Pe’ incenso, vojo odore de soffritti, 
‘gni cannela dev’esse un cannellone, 
li nastri –sfoje all’ovo e le corone 
fatte de fiori de cocuzza fritti. 

Li cuscini timballi de lasagne, 
da offrì ar momento de la sepportura 
a tutti quelli che “sapranno” piagne. 

E su la tomba mia, tutta la gente 
ce leggerà ‘sta sola dicitura: 
Tolto da questo mondo troppo al dente”.


05/06/20

A vent'anni dalla morte di Vittorio Gassman ecco la commovente lettera aperta scritta da Alessandro, suo figlio



Riporto qui la lettera aperta scritta da Alessandro Gassman a suo padre, Vittorio, nel ventesimo anniversario della sua scomparsa e pubblicata su IO Donna - Corriere della Sera .

E' molto bella e forte, priva di retorica, e traccia un ritratto veritiero e partecipato di uno dei più grandi attori italiani di sempre. 

Tua madre, piccola donna, giovane vedova, ebrea e con due figli minori a carico, fu straordinaria durante il fascismo a portare avanti una famiglia da sola. Dicevi sempre che il funerale di tuo padre, nonno Heinrich, un gigante tedesco di quasi due metri, fu il primo momento della tua vita nel quale ti sentisti al centro dell’attenzione. E scopristi che starci non ti dispiaceva, anzi. 

A quattordici anni perdere un padre è dura ma, con una madre come Luisa accanto, sicuramente avrete avuto un sostegno incredibile e anche per questo sei diventato quello che tutti conoscono. Con il susseguirsi degli anni, dei figli, delle mogli, dei premi, dei trionfi, forse ti sei accorto che quel bambino che si sentì importante durante il funerale del papà, in realtà non avrebbe dovuto starci lì al centro, ma che magari una collocazione più “laterale” ti avrebbe regalato una vita forse meno esplosiva e divertente ma più felice, più a te consona

Certo avremmo tutti perso tonnellate di risate ed emozioni, molte donne non si sarebbero innamorate, il termine “mattatore” avrebbe assunto altri significati, molti registi non avrebbero trovato il loro straordinario protagonista… Ma tu, forse, avresti vissuto

 Non hai mai una sola volta viaggiato per diletto, ma solo per lavoro. Mai ti sei fatto un regalo, tranne qualche macchina sportiva. Che, peraltro, guidavi male. Ricordo viaggi da Roma alle Alpi, schiacciato nel sedile posteriore pieghevole della tua Porsche verde pisello, con la quale raggiungevi velocità estreme per poi inchiodare immotivatamente; il frastuono assordante del motore dietro la mia testa; quell’odore di pelle che mi dava il voltastomaco. Molte pipì silenti sul ciglio della strada, molte sigarette scroccate, centinaia di pacche inaspettate dietro le spalle, che ti spostavano e che erano sempre seguite da una risata infantile e coinvolgente, e che ora inspiegabilmente mi mancano.

Cosa ti sia perduto in questi venti anni da quando sei andato “altrove”, è difficile da raccontare. Difficile perché molto è accaduto, molto è cambiato il Paese e profondamente lo sono gli italiani, tanto che se esistesse oggi il tuo Bruno Cortona del Sorpasso probabilmente sarebbe considerato dai più uno sfigato. In questo momento storico poi – dove le cose dovranno cambiare per davvero, con una epidemia che ha stravolto e stravolgerà la società, gente impreparata, rammollita da sessanta anni di ozio e perdita di riferimenti culturali – manca la voce della tua generazione, la voce di chi una “guerra” l’ha vissuta e le è sopravvissuto. 

Siete in molti lì, sei in buona compagnia: Ugo, Luciano, Dino, Ettore, Mario, Adolfo, Paolo, Ennio, Suso, Franco (Tognazzi, Salce, Risi, Scola, Monicelli, Celi, Flaiano, Cecchi D’Amico, Zeffirelli, ndr). Sempre se esiste un lì… Se nella frase che ripetevi (penso fosse del tuo amico grande sceneggiatore, Sergio Amidei) «Solo gli stronzi muoiono!» ci fosse verità, lì, dove ti trovi, sarebbe molto meno frequentato

Dell’oggi probabilmente avresti apprezzato l’accelerazione della vita, tu che eri come me iperaccelerato: ti innervosivi, come me, per lungaggini o inceppi di qualunque sorta. Avresti probabilmente fatto un utilizzo puramente letterario dei social, avresti mandato a quel paese tutti coloro – e sono tanti – che parlano sempre, che si occupano della distruzione sistematica della nostra sublime lingua, della perdita dei congiuntivi, della semantica, del fatto che nessuno più sappia cosa sia l’anacoluto. Non possono parlare meglio, perché i pensieri sono piccoli, veloci, furbeschi, corrotti, interessati. 

Avresti tifato tuo nipote Leo a Sanremo (ha vinto il Festival nella categoria “Nuove proposte”, ndr), ti sarebbe piaciuto per la sua voce, il suo coraggio e la sua umiltà. Avresti tifato per Geko (il calciatore della Roma Edin Džeko, ndr). Forse avresti anche apprezzato il mio lavoro. Avresti apprezzato alcuni nuovi registi e attori, detestato il populismo, perché vi avresti riconosciuto avvisaglie di un passato per te spaventoso. Mi avresti visto invecchiare, somigliarti di più, osservare la mia lunga schiena piegarsi leggermente in avanti per la classica lordosi di famiglia che ci accomuna, ma avrei continuato a farti ridere come nessun altro è mai riuscito. Ecco, quello che mi manca di te, soprattutto, è uno spettatore al quale fare da “buffone”. Invecchiando e avendo responsabilità, non lo faccio più spesso, nessuno ride quanto ridevi tu, nessuno adora essere preso in giro da me quanto piaceva a te, eppure penso che invece, quella rimanga la mia dote migliore. Ti abbraccio senza mascherina, e ti bacio anche sulle labbra, cosa che ti avrebbe fatto schifo. Ma con te posso farlo, come faccio da venti anni e come – rassegnati – farò per sempre. Ti voglio bene. 
A.