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10/01/19

L'altare della Patria, tempio massonico.



L’Altare della Patria, tempio massonico

In fondo a piazza Venezia, in posizione prospettica ideale alla fine del rettifilo di via del Corso, addossato al Colle Capitolino, principale simbolo laico della città di Roma, sorge il grandioso monumento a Vittorio Emanuele ii re d’Italia, che viene detto anche Il Vittoriano e nel parlare comune dei romani è l’Altare della Patria o anche, con un nomignolo a metà tra il dispregiativo e l’ironico, la Macchina da scrivere, per le sue forme che ricordano le vecchie Olivetti.

In effetti, per la tradizione di Roma, quest’opera è sempre risultata un po’ ingombrante e imbarazzante: in parte per la sua mole gigantesca, che ha finito quasi per oscurare il vicino colle del Campidoglio, in parte per le origini della sua costruzione, che sono legate all’affermazione della unità d’Italia (e in qualche modo quindi simbolo del potere piemontese sulla Capitale), in parte per lo sfacelo, compiuto all’epoca della edificazione, di interi quartieri di Roma e di rovine antiche, e in parte infine per il materiale utilizzato – quel calcare di Botticino (in provincia di Brescia – così luminoso e abbagliante che male si concilia con l’opaco travertino simbolo della Città, insieme al giallo all’arancione e all’ocra dei suoi palazzi più antichi.

L’Altare è principalmente opera dell’architetto Giuseppe Sacconi e fu iniziato nel 1885. Ma i complessi lavori si protrassero per ventisei anni e l’inaugurazione dell’edificio si ebbe soltanto nel 1911.

La collocazione nel monumento della Tomba del Milite Ignoto risale invece soltanto al 1921, e da allora, con la sepoltura di un anonimo caduto italiano durante la guerra del 1915-18, all’Altare si legò una nuova valenza simbolica, emblema della unità del Paese che ancora oggi viene omaggiata dai presidenti della Repubblica nelle circostanze e nelle ricorrenze ufficiali.

L’idea di Sacconi infatti fu quella di realizzare una allegoria dell’Italia, per mezzo di una galleria di sculture, bassorilievi, fontane, esedre, mosaici, statue e quadrighe  armonizzati in un unico disegno complessivo.

Il monumento fu ideato dopo la morte di Vittorio Emanuele ii e proprio per celebrare la figura dell’uomo che più di ogni altro era considerato il Padre della Patria, colui che per la prima volta era riuscito nell’impresa di unificare un territorio sempre diviso e disperso come quello italiano.

Il bando per il progetto fu varato nel 1882 e, tra le novantotto proposte pervenute, si affermò proprio quella del giovane architetto marchigiano Giuseppe Sacconi, il quale si ispirò esplicitamente all’Altare di Zeus a Pergamo, uno dei capolavori assoluti dell’arte ellenistica fatto erigere dal re Eumene ii tra il 166 e il 156 a.C., smontato dai luoghi originari e trasportato a Berlino nel 1886, dove si trova attualmente.

Sacconi ebbe il pieno appoggio della potente massoneria romana, esponente di una “seconda religione”, laica e anticlericale, che aveva trovato nell’unità d’Italia il suo simbolo e voleva celebrarla in un grandioso monumento che si presentava come una enorme piazza sopraelevata, dentro la città, nel cuore della città, una specie di moderno Foro che non inneggiasse alle persone, ma ai simboli, della libertà, della fraternità, dell’uguaglianza, dell’economia, della unità.

Il vero ispiratore di questa idea era stato Giuseppe Zanardelli, uno dei politici più importanti del periodo seguente alla unificazione d’Italia, massone, sul quale circolano i più disparati aneddoti, tra cui uno racconta che, per polemizzare contro chi, a Montecitorio si lamentava dei troppi parlamentari massoni, giunse a sfilarsi il cappotto per mostrare orgogliosamente il grembiule massonico che indossava.

Fu proprio Zanardelli a esprimere il parere favorevole al progetto di Sacconi ispirato a un grande e celebrato simbolo della grandezza classica ellenica, e fu lo stesso Zanardelli – sembra -  a sostenere la scelta di sostituire il travertino (materiale con il quale Sacconi aveva pensato di realizzare il monumento, sicuramente più consono alla storia e alla tradizione di Roma) con il botticino, il marmo bianco estratto dalle cave di Brescia, di cui Zanardelli era originario.

Sacconi era il nipote di un cardinale e aveva persino curato i lavori di  restauro del Santuario di Loreto. Ma  era considerato da Zanardelli sufficientemente ambizioso e volitivo per occuparsi della realizzazione di un monumento così imponente.

All’Altare della Patria, in effetti, Sacconi dedicò l’energia di una vita intera, anche se non riuscì a vedere il monumento ultimato: morì infatti nel 1905, sei anni prima della inaugurazione e i lavori vennero ultimati dagli architetti Koch, Manfredi e Piacentini.

Gran parte del lavoro però fu effettuato sotto la sua guida di Saconi: la prima pietra del futuro monumento fu posta nel 1885. Poi, lentamente, si cominciarono a distruggere e demolire le case della zona adiacente al Campidoglio, abbattendo la torre medievale di papa Paolo iii (1468-1549), Farnese, l’ispiratore del Concilio di Trento, l’Arco di San Marco, un ponte sospeso che metteva in comunicazione Palazzo Venezia con il Campidoglio e i tre meravigliosi chiostri del convento francescano dell’Ara Coeli che furono sacrificati al nuovo monumento.

Ma Sacconi si trovò di fronte a mille difficoltà: prima fra tutte il fatto che il colle del Campidoglio risultò essere composto di materiali argillosi, frutto di sedimentazioni successive e molto friabile, non di tufo come si pensava.

Durante gli scavi, poi, venne fuori di tutto, come era scontato in quella zona nevralgica dove sorgevano molte delle più rilevanti rovine della Roma antica: gallerie, sotterranei, porzioni di mura serviane, reperti di ogni genere, perfino lo scheletro di un elefante, conservato da chissà quanto tempo.

Le ruspe sabaude comunque andarono avanti senza fermarsi, fino al completamento dell’opera, inaugurato a da Vittorio Emanuele iii il 4 giugno del 1911, nella occasione della Esposizione internazionale per il cinquantenario della Unità d’Italia, insieme alla nuova piazza Venezia, ridisegnata secondo il disegno dello stesso Sacconi, nel corso di una solenne e imponente cerimonia alla quale presero parte, oltre alle più alte cariche dello Stato, seimila sindaci provenienti da ogni regione d’Italia.

Il completamento del corredo esterno e interno di statue e mosaici dell’enorme monumento proseguì però per parecchi anni dopo la sua inaugurazione. Le due grandi quadrighe bronzee vennero poste sul terrazzo del monumento (oggi visitabile grazie all’ascensore trasparente realizzato sotto la giunta Rutelli) tra il 1924 e il 1927; qualche anno dopo si completò la cripta del Milite Ignoto, e negli anni ’30 fu terminata anche la facciata del monumento esposta a sud, verso via di San Pietro in Carcere, con la realizzazione del Museo del Risorgimento.

Qualche numero serve a capirne le dimensioni: è alto 81 metri e largo 135 e occupa una superficie pari a diciassettemila metri quadrati, 196 sono i gradini che mettono in comunicazione il colonnato con la terrazza, dalla quale si gode di una vista impareggiabile sulla città; 12 metri di altezza per una lunghezza di dieci sono invece le dimensioni della statua equestre dedicata a Vittorio Emanuele ii, per la quale furono fuse cinquanta tonnellate di bronzo (nel ventre del cavallo sembra possano essere stipate venti persone comodamente sedute).

Molti sono i simboli (vegetali, animali) che ricorrono nel monumento, gioia degli appassionati di esoterismo che vi leggono un codice nascosto: la palma per la vittoria, l’alloro per la pace vittoriosa, il mirto per il sacrificio, l’ulivo per la concordia, la quercia per la forza; poi una donna che afferra un serpente con la mano sinistra, simbolo della conoscenza segreta.

Tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2017

22/10/18

Libro del Giorno: "Jackson Pollock - Lettere, Riflessioni, Testimonianze".




La mostra attualmente in corso a Roma, al Vittoriano, dedicata a Jackson Pollock e alla "Scuola di New York" è l'occasione per tornare alla figura di questo gigante dell'arte del XXmo secolo, attraverso un prezioso libro, edito da Ascondita e curato da Elena Pontiggia, che ripercorre sua la vicenda umana e artistica attraverso le rare lettere e scritti dello stesso Pollock, e alle testimonianze e riflessioni di coloro che lo hanno conosciuto, che ne hanno condiviso il percorso artistico o che ne sono stati attratti e colpiti per sempre. 

Si ripercorre così la storia di questo ragazzo, nato in provincia, a Cody, nel Wyoming, nel 1912, ultimo di cinque fratelli, da un padre contadino (poi agrimensore) e da una madre di origini irlandesi. L'infanzia e la giovinezza irrequieti, in un'America poverissima, gli studi alla Art Students League di New York, l'attraversamento del Paese da Ovest a Est in autostop e su mezzi di fortuna, la dipendenza dall'alcool, il carattere introverso e irascibile, la leggenda che ne è scaturita, l'incontro con Benton (di cui frequentò i corsi a New York), e con il muralismo messicano di Orozco e Siqueiros, la scoperta delle arti manuali e visive dei nativi americani, l'incontro con Lee Krasner che diventa sua moglie e la sua sodale artistica, l'incontro ancora più decisivo con Peggy Guggenheim, che lo lancia definitivamente sul mercato dell'arte, specialmente quello europeo, gli anni del ritiro nella casa di Springs, nel Long Island, gli esperimenti sempre più arditi con il dripping, la partecipazione al gruppo degli Irascibili, la frattura alla caviglia che gli rende difficile il lavoro, la separazione con Lee e alla fine il terribile incidente stradale che a soli 44 anni mette fine alla sua vita e a quella di un'altra donna (la sua compagna dell'epoca, Ruth Klingman, sopravvive). 

Ne emerge il ritratto di un uomo-artista-assoluto, assolutamente non incline ai compromessi,  quasi del tutto incompreso eppure desideroso soltanto di esprimere se stesso, il groviglio che abita la sua anima e di cui è perfettamente consapevole - quasi fosse uno stato di trance - solo quando dipinge, nella sua tecnica particolare, con la grande tela disposta ai suoi piedi e lui che letteralmente gli danza intorno disponendo il colore a schizzi. 

Il rifiuto del caso: "Non utilizzo il caso. Solo quando perdo il contatto con il quadro il risultato è caotico. Altrimenti c'è armonia totale;"  la fede nell'arte: "L'arte moderna lavora per esprimere un mondo interiore... esprime l'energia, il movimento e altre forze interiori"; la consapevolezza di una sfida vinta: "Ho fatto uscire la pittura dallo spazio angusto dell'atelier per portarla nel mondo e nella vita"; l'importanza del rapporto con l'inconscio: "L'inconscio è un elemento importante dell'arte moderna e penso che le pulsioni dell'inconscio abbiano grande significato per chi guarda un quadro." 

Qualcuno ha detto che l'arte di Pollock è cosmogonica. Ricercatori hanno anche azzardato una stretta correlazione - di cui Pollock ovviamente non poteva essere consapevole - tra le sue tele e i frattali, le strutture di cui è composto l'universo. 

Il mistero della grande arte di Pollock è in questa forza incredibile. La forza interiore di un cuore che contiene in sé il segreto dell'universo intero. 






13/10/18

Una bellissima mostra dedicata a Jackson Pollock e alla Scuola di New York fino al 24 febbraio al Vittoriano.


Jackson Pollock Number 27, 1950 Olio, smalto e pittura di alluminio su tela, dal Withney Museum di NY esaposto per la prima volta in Italia


La grandezza di Jackson Pollock come cerniera tra il prima e il dopo e la vivacita' di New York che negli anni Cinquanta del secolo scorso divento' la capitale del contemporaneo.

Sono i due filoni che si intrecciano nella mostra "Pollock e la scuola di New York", fino al 24 febbraio al Complesso del Vittoriano, a Roma.

Un appuntamento di grande appeal in particolare per il capolavoro del grande artista, l' opera Number 27 prestata dal Whitney Museum ed esposta per la prima volta nella Capitale.

La grande tela - olio, smalto e vernice in alluminio - lunga oltre tre metri, occupa uno spazio privilegiato accanto agli altri big della pittura di quegli anni, Mark Rothko, Willem de Kooning, Franz Kline, Robert Motherwell.

Una cinquantina di tele preziose, una carrellata di colori, forme e linee per raccontare gli anni dell' espressionismo astratto. 

"Dopo Pollock probabilmente la pittura non sara' piu' la stessa cosa - spiega Luca Beatrice, che con David Breslin e Carrie Springer, del Whitney Museum, ha curato la rassegna italiana -. Sara' spazio, tempo, energia, movimento, quasi ad anticipare la body art. Pollock fu il primo artista americano a conquistare la celebrita' non soltanto tra gli addetti ai lavori".

La scuola di New York, che intese la pittura come "palestra di sperimentazione", ebbe il suo punto di svolta dopo l' esclusione degli esponenti dell' action painting, nel maggio 1950, dalla mostra di arte contemporanea del Metropolitan Museum.

Gli "irascibili", cosi' li defini' lo Herald Tribune, reagirono segnando quel periodo con le loro produzioni anticonformiste e rivoluzionarie.

Beatrice, anche nel suo testo in catalogo, offre lo spunto a considerare proprio il 1956 l' anno di inizio dell' arte contemporanea: l' 11 agosto Pollock, "gran bevitore che viveva di eccessi", mori' a 44 in un incidente stradale schiantandosi con la sua auto, come era avvenuto pochi mesi prima per James Dean.

La Oldsmobile Coupé verde del 1950 con cui si schiantò Jackson Pollock, a 44 anni, l'11 agosto del 1956 alle 22.15, a 300 metri da casa sua, insieme a Edith Metzger (una parrucchiera del Bronx morta per frattura al collo e ferite al torace) e alla fidanzata Ruth Kligman, sopravvissuta.


In quello stesso anno a Londra, e non in America, il critico d' arte Lawrence Alloway conio' il termine "Pop".

Erano anni di grande fermento culturale dove New York era diventata quello che Parigi era stata per il mondo dell' arte all' inizio del '900. Nel 1951 fu pubblicato Il Giovane Holden di Salinger, del 1956 e' Howl di Allen Ginsberg, l' anno dopo usci' Sulla strada di Keruac, mentre nella musica a dare la linea e' Miles David con Kind of Blue, del 1959.

Con la tecnica del dripping, far colare il colore sulla tela, e soprattutto lavorando sul quadro steso sul pavimento, Pollock apri' una pagina nuova. L'artista gira accanto al quadro, danza, dipinge senza usare il pennello, riversa cosi' la sua energia creativa. Number 27, del 1950, e' uno dei quadri piu' significativi per modalita' esecutiva.

Jackson Pollock e Lee Krasner nello studio di Pollock a East Hampton, 1950.


"Posso camminarci intorno lavorare sui quattro lati, essere letteralmente nel quadro. Preferisco la stecca, la spatola il coltello", disse Pollock, di cui e' riportata una frase illuminante: "Quando sono dentro il mio quadro non so cosa sto facendo".

Nel 1950 Pollock e' la superstar della pittura americana ma non e' solo - fa notare Luca Beatrice -. Da quasi dieci anni si parla di scuola di New York "per definire non un movimento coeso ma una sensibilita' di natura astratto informale, progressivamente scevro dal realismo". "Pollock ha toccato il livello piu' alto nell' informale - ha detto Vittorio Sgarbi che ha accompagnato il ministro dell' Istruzione Marco Bussetti in una breve visita della mostra - Questo tipo di pittura non si puo' datare agli anni Cinquanta, potrebbe essere di oggi. Gli informali attuali, quindi, che cosa possono fare di piu'? Bene o male lo citano o lo scimmiottano senza avere la sua energia e la sua tensione potentissima".

Alla potenza nervosa del maestro dell' action painting fa da contraltare Mark Rothko con i suoi grandi rettangoli di colore, utilizzato secondo "un approccio lirico e mistico". "Se Pollock rappresenta la forza - osserva Beatrice - in Rothko si evince il pensiero, la lentezza, la meditazione, termini ancora pregni di debordante modernita'". L' artista di origini lettoni, solitario e afflitto dalla depressione, il 25 febbraio 1970, convinto di avere una malattia incurabile, si uccise nel suo studio di New York.

Fonte Luciano Fioramonti per ANSA

05/03/18

A Roma, al Vittoriano, la prima mostra di Liu Bolin, l'artista che "scompare dentro le cose".


Si immerge nelle cose e scompare, cambia colore e si mimetizza come un camaleonte, entra a far parte dell'ambiente circostante usando il corpo come strumento di conoscenza: arriva a Roma "the invisible man" Liu Bolin, protagonista della prima grande antologica in Italia allestita al Complesso del Vittoriano dal 2 marzo al 1 luglio. 

A cura di Raffaele Gavarro, la mostra presenta al pubblico l'intera storia dell'artista cinese, celebre per la sua capacita' di restare immobile come una statua e mimetizzarsi in ciò che ha intorno grazie a un accuratissimo body painting. 

Il percorso di snoda lungo 72 opere che documentano la nascita e lo sviluppo di quel linguaggio personalissimo, frutto di un mix di pittura e fotografia ma anche di performance e installazioni, che rende Bolin del tutto originale. 

Ormai acclamato in tutto il mondo, l'artista ha iniziato la rivoluzione del 'camouflage' nel 2005: in quell'anno infatti il governo cinese decise di abbattere il quartiere Suojia Village di Pechino, dove Bolin, cosi' come tanti altri artisti, aveva il suo studio

Come atto di ribellione, Bolin si mimetizzo' tra le macerie del suo studio e si fece fotografare, iniziando una protesta silenziosa attraverso la sua presenza corporea

E proprio da quell'immagine e' iniziata una carriera, ormai lunga 13 anni, dal successo sorprendente, che la mostra romana racconta attraverso 7 sezioni tematiche

Il visitatore vedra' Bolin 'nascondersi' nella sua Cina, da Piazza Tienanmen alla Grande Muraglia, e poi riconoscera' il nostro Paese, dove l'artista ha vissuto l'esperienza di un vero e proprio Grand Tour italiano, misurandosi con le bellezze del nostro patrimonio artistico, dal Colosseo alla Reggia di Caserta (questi scatti sono stati realizzati appositamente per la mostra), dal Canal Grande di Venezia alla Scala di Milano fino all'Arena di Verona

Non mancano incursioni nella moda dei grandi stilisti, come Valentino e Missoni o Moncler, per il quale Bolin e' protagonista di una nota campagna pubblicitaria, o nel mito della Ferrari. 

La sua ricerca artistica e' pero' molto di piu' che un semplice nascondersi nell'ambiente. 

Lo dimostrano gli scatti che lo ritraggono in una centrale di smaltimento di rifiuti a Bangalore, o quelli dedicati ai flussi migratori, con la sua immedesimazione nei corpi che viaggiano tra mari e confini alla ricerca di un futuro. "Io mi sono formato come scultore, ma nel 2005 quando il governo ha distrutto il mio studio ho capito che con la scultura non avrei potuto esprimere il senso di ribellione che provavo. Mi era rimasto solo il corpo, non avevo altri strumenti", ha detto oggi Bolin alla presentazione della mostra, "in 13 anni ho cercato di comprendere l'interazione tra l'uomo e la realta', provando a dare voce alla spiritualita'"

Il lavoro dell'artista, come ha affermato il curatore Gavarro, "e' senza dubbio politico, perche' e' connesso a un'idea di conoscenza, e' un farsi parte delle cose", un tentativo di interpretare silenziosamente la complessita' del mondo contemporaneo. 

26/10/17

A Roma, la Grande Bellissima mostra antologica su Monet (fino all'11 febbraio 2018).

La mostra Monet, ospitata dal 19 ottobre 2017 all’11 febbraio 2018 nella sede del Complesso del Vittoriano - Ala Brasini di Roma, propone al pubblico 60 opere del padre dell’Impressionismo prevenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, quelle stesse opere che l’artista conservava nella sua ultima, amatissima, dimora di Giverny e che il figlio Michel donò al Museo. 

Il percorso espositivo rende conto, oltre che dell’evoluzione della carriera di Monet, anche delle sue molteplici sfaccettature, restituendo la ricchezza artistica della sua produzione. Dalle celebri caricature della fine degli anni 50 dell’800 ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville - e delle sue tante dimore; dai ritratti dei figli alle tele dedicate ai fiori del suo giardino, fino alla modernissima resa dei salici piangenti, del viale delle rose o del ponticello giapponese, e poi alle monumentali Ninfee, che deflagrano nel pulviscolo violetto e nella nebbia radiosa.
Tra i capolavori in mostra: Portrait de Michel Monet bébé (1878), Ninfee (1916-1919), Le Rose (1925-1926), Londres. Le Parlement. Reflets sur la Tamise(1905).
Monet trasformò la pittura en plein air in rituale di vita e - tra la luce assoluta e la pioggia fitta, tra le minime variazioni atmosferiche e l’impero del sole - riuscì a tramutare i colori in tocchi purissimi di energia, riuscendo nelle sue tele a dissolvere l’unità razionale della natura in un flusso indistinto, effimero eppure abbagliante.
Sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, la mostra Monet, curata da Marianne Mathieu, è promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Regione Lazio ed è prodotta e organizzata da Gruppo Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi.

BIGLIETTI

Intero € 15,00 (audioguida inclusa)
Ridotto € 13,00 (audioguida inclusa)

Date di apertura 

dal 19 10 2017
al 11 02 2018

Orari: 
Dal lunedì al giovedì 9.30 - 19.30
Venerdì e sabato 9.30 - 22.00
Domenica 9.30 - 20.30
(La biglietteria chiude un'ora prima)

Via di San Pietro in Carcere, 
00186 Roma

T +39 06 678 0664
Per info e prenotazioni + 39 06 87 15 111

09/06/17

Una Estate di Arte e Cultura al Vittoriano.



Musica, Letteratura, Cinema e Architettura: il Vittoriano diventa uno dei centri dell'estate culturale romana con un ciclo di eventi concepito nel monumento e per il monumento, a Vittorio Emanuele II, scrigno di bellezza, uno dei belvederi piu' belli del mondo, realizzato fra il 1882 e il 1911. 

Le iniziative realizzate dal Polo Museale del Lazio - al via dal 9 giugno e che rientra in ARTCITY-Estate 2017 - puntano a valorizzare il Vittoriano e promuoverne la conoscenza. "L'idea - ha detto oggi la direttrice Gabriella Musto, presentando il cartellone - e' stata quella di ampliare i percorsi dell'arte dedicando un ramo specifico all'Architettura, a due temi in particolare: lo sguardo delle donne sull'architettura e come l'architettura guarda alle donne; e poi, l'epoca dei millenials che ha fatto della velocita' della comunicazione quasi un modus vivendi". 

Gia' nell'estate 2016 il Polo Museale del Lazio ha organizzato con successo al Vittoriano un'importante serie di iniziative culturali a titolo gratuito. Il ciclo del 2017 parte da quest'esperienza positiva, ampliando ulteriormente l'offerta culturale e coinvolgendo spazi nuovi e ancora piu' ampi del monumento, ovvero la Terrazza Italia e il Piazzale del Bollettino. 

Tutti gli appuntamenti sono ad ingresso libero (il limite massimo degli spettatori e' fissato dalla capienza massima degli spazi messi a disposizione).

L'Architettura - L'attenzione per lo sguardo al femminile della professione domina il ciclo di quattro dialoghi dal titolo Con gli occhi delle donne. L'architettura e il design al femminile nella societa' dei millennials. Il ciclo e' curato da Gabriella Musto, direttrice del Vittoriano. I dialoghi si tengono sulla Terrazza Italia

Il Cinema - Un ruolo nevralgico gioca Anna Magnani, diva/antidiva del cinema italiano, in particolare durante il neorealismo. Il regista, critico e giornalista Mario Sesti cura nella Sala Zanardelli la mostra Anna Magnani: una vita per il cinema - aperta dal 20 luglio - e, stavolta nella Terrazza Italia, la rassegna di tre film con protagonista l'attrice. Il regista Giuliano Montaldo, in qualita' di Presidente dell'Accademia del Cinema Italiano - Premi David di Donatello, cura la selezione di tre documentari presentati nell'edizione 2017 degli stessi Premi David di Donatello. I documentari sono proiettati sulla Terrazza Italia.

La Musica - Il giornalista e critico Ernesto Assante cura una rassegna di quattordici concerti. La rassegna, che si apre il 9 giugno, vede per il jazz esibirsi Nicky Nicolai, Maurizio Giammarco, Giovanni Tommaso, Enzo Pietropaoli, Francesco Bearzatti, Enrico Rava, Fabio Zeppetella, Rosario Giuliani, Greta Panettieri, Marco Rinalduzzi, Maria Pia De Vito e Gege' Telesforo; per la musica classica Ezio Bosso e Ramin Bahrami, con I Solisti dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. 

Un evento speciale stabilisce una sintonia fra la musica e la letteratura il 4 agosto, quando sul Piazzale del Bollettino lo scrittore e giornalista Paolo Rumiz legge la "sua" via Appia accompagnato dalla European Spirit of Youth Orchestra. Ha detto Edith Gabrielli, Direttore Polo Museale Lazio: " Il Vittoriano deve cercare gli italiani di oggi e non soltanto quelli di ieri, ecco perche' le varie iniziative culturali presso il monumento. Credo che il cinema possa essere, insieme alle altri arti, uno dei modi privilegiati per raggiungere questo obiettivo".