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13/06/22

VLADIMIR SOROKIN: "Perché la Russia è così violenta? Perché qui il Cristianesimo non ha messo radici."*

 

Vladimir Sorokin

Vladimir Georgievič Sorokin è uno dei più importanti scrittori (ma anche drammaturgo, pittore e sceneggiatore) russi, tradotto in molti paesi del mondo. Autoesiliatosi da due mesi, dall'inizio della guerra in Ucraina, a Berlino, ecco come spiega, nel passaggio di una intervista rilasciata a Sette-Il Corriere della Sera, la Russia contemporanea e il perché di questa ondata di violento nazionalismo.
"Sono sempre stato assillato da una domanda:
Perché in Russia c'è così tanta violenza? Sono cresciuto nella Russia sovietica dove tutto, asilo, famiglia, strada, esercito, istituzioni, ne erano sature.
Ma anche la Russia zarista faceva affidamento sulla violenza: le punizioni corporali erano all'ordine del giorno nelle scuole e nelle famiglie, la censura era crudele, i dissidenti erano perseguitati, e così via.
Dai tempi del Terribile, nel XVI secolo, il potere è una piramide oscura, opaca, imprevedibile, una sorta di spietato invasore del proprio paese.
In cima alla piramide c'è il sovrano con un potere assoluto e l'oprichnina, che serve l'autorità, è viva ancora oggi.
Mi sembra che molti dei problemi della Russia odierna siano dovuti al fatto che il cristianesimo da noi non ha messo radici.
L'URSS anticristiana è crollata 30 anni fa ma anche se oggi ci sono molte chiese c'è poca fede.
Di fatto siamo rimasti dei pagani che partecipano con più devozione alla festa di Capodanno, come in epoca sovietica, piuttosto che ai riti di Pasqua e Natale.
A ciò si aggiunga che la Chiesa negli ultimi 20 anni si è completamente screditata sostenendo il Cremlino in tutto.
Il patriarca e i gerarchi non hanno mai contraddetto le autorità e ora sostengono pure questa guerra insensata e brutale contro l'Ucraina."

08/03/22

Quando Pasolini andò in Russia: "Mosca come la Garbatella"

 


L'interesse di Pier Paolo Pasolini per la letteratura russa è talmente ampio da meritare un posto a sé nell'ormai sconfinata bibliografia sulla sua opera. Dall'illimitatezza del mondo contadino sempre vagheggiato e poi cantato ne La religione del mio tempo sino al saccheggio di temi e immagini dostoevskijane, la scrittura del poeta di Casarsa risulta essere attraversata da un costante filo rosso che lega parte della sua produzione a quanto sperimentato in terra russa.

Pasolini era stato inviato per “Vie Nuove” al Festival della Gioventù a Mosca nel 1957, e lì, ospite del Congresso degli scrittori, Pasolini non vede che anime buone. Passa in Russia in tutto tre settimane, dal 27 luglio al 16 agosto, tra Mosca e Odessa, con una delegazione di cui facevano parte il filosofo senatore Banfi, Sandro Curzi, Mario La Cava, e subito si disveste dei “vizi acquisiti in secoli di storia”, dei russi “pigri, complicati ed eccessivi come al tempo di Dostoevskij”, per testimoniare una società “veramente diversa”. Semplice, diretta, umile.

Un idillio, “un’esperienza meravigliosa e fondamentale”. 

Mosca, poi, è ““una immensa Garbatella: un misto dunque di liberty e di Novecento, con pareti colossali e graticci di finestre. Spesso tuttavia con file di casette basse, ad un piano o due piani”. Ci sono grattacieli, “quegli «orrendi» edifici, condannati da Krusciov. Ma non sono insopportabili. Ispirano anzi della simpatia. Sono cose commoventi, come tutti gli sforzi degli umili per apparire grandi. Mosca è una città di contadini”. Un’altra storia, senza più classi sociali, non sottomessa, come si dice, a una “classe dirigente”. I russi sono i contadini padani della domenica, naturali tra di loro come “i ragazzini nelle piazzette dei paesi”. L’aria è pulita, il cibo sano, i rumori naturali, rapporti sinceri e solidali. Sono temi che riprenderà in una sezione di La religione del mio tempo.

Tra gli autori da egli più amati - oltre al citato Dostoevskij e a Osip Mandel'štam - spicca senz'altro la figura intellettuale e umana di Anna Achmatova. La poetessa, che conosceva bene l'italiano tanto da tradurre i "Canti" di Leopardi, è ammirata da Pasolini soprattutto in virtù della sua natura 'scomoda', da intellettuale disorganica come lui stesso si imponeva di essere. A lei dedica una poesia struggente, in cui la comunione ideale di anime e intenti è resa attraverso un'immersione nello stile dell'autrice, di cui sono riconosciuti la bellezza e il 'mistero'.
Pier Paolo Pasolini - Quasi alla maniera dell'Achmatova, per lei
Un poeta dice che un poeta è un passero
che ripete tutta la vita le stesse note.
Le tue sono le note di un passero che crede
che la sua vita sia tutta la vita.
Nessuno va a disilludere un passero, perché
un passero non può farsi disilludere:
la sua sicurezza è come la presenza –
sulla terra – del paese di Tsarskoe Selò.
È passata su Tsarskoe Selò la rivoluzione?
Certo, è passata, ma semplicemente come
"un evento che non ha l’eguale"
e il passero continua a cantare.
Nulla esiste se non si misura col mistero:
che testimonianza avremmo degli "eventi"
se non cantasse prima e dopo di loro
un passero col suo canto lieve e severo?
(Poesie marxiste, 1964-1965, in Tutte le poesie, Mondadori)

Fonte: Pier Paolo Pasolini e la Russia: una poesia per Anna Achmatov di Ginevra Amadio

03/03/22

Guerra in Ucraina - Perché invece di censurare Dostoevskij, andrebbe letto per far rinascere la Russia

 


Sconcertato come tutti dalla folle decisione di una università italiana di annullare il corso di uno scrittore italiano tra i massimi conoscitori di Dostoevskij, decisione per fortuna subito ritrattata e frutto evidentemente di un colpo di sole, o di una scellerata concezione del politically correct, ho ritrovato questa pregevole intervista di qualche anno fa (2012) realizzata da Alessandro Zaccuri a Tat’jana Kasatkina, filologa e critica letteraria che presso l’Accademia delle scienze di Mosca ha presieduto la commissione per lo studio dell’autore di Delitto e castigo. Le sue parole, rilette oggi, suonano profetiche e spiegano perché Dostoevskij può e deve essere proprio il punto di ripartenza della Russia, arrivata a un punto di non ritorno nel suo processo di putinizzazione

«Dostoevskij – diceva la Kasatkina – è lo scrittore russo della sua epoca più vicino ai lettori di oggi, giovani compresi. Più di Tolstoj, grandissimo romanziere, certo, che però finisce per allontanarsi da noi per la sua preoccupazione di impartire precetti morali. Si presenta come un maestro, vuole insegnarci la bontà, ma davanti a questa pretesa l’essere umano si sottrae, perché intuisce l’accusa nascosta in un simile atteggiamento: “Così non va bene, pare che sostenga Tolstoj, non sei come dovresti essere, non sei abbastanza buono”. Dostoevskij, al contrario, lancia un richiamo al qual l’essere umano non può non rispondere. “Sii, dice a ciascuno di noi, diventa te stesso”. È una sfida completamente diversa, che implica il rischio, l’avventura, un totale abbandono all’inatteso».

Anche il pericolo di perdersi? Il concetto dostoevskijano di «sottosuolo» non è del tutto rassicurante, obietta Zaccuri.

«Perché viene frainteso», risponde al Kasatkina, «nei Ricordi del sottosuolo Dostoevskij rappresenta l’uomo del suo tempo, al quale non è stata neppure data la possibilità di credere in Dio. Una condizione terribile, con il mondo ripiegato su se stesso, chiuso a ogni occasione di incontro con l’Assoluto. È il momento in cui l’umanità crede di salvarsi con le sue sole forze, facendo affidamento sulla propria intelligenza. Il cosiddetto “uomo del sottosuolo” non rappresenta il nostro lato di tenebra, ma il disaccordo radicale nei confronti di questa limitazione. Sente di essere più grande di ciò che gli viene imposto, è come se dovesse sottoporsi a un intervento chirurgico che lo mutili per adeguarlo alle richieste della mentalità corrente. Ma lui sa che nella sua persona non c’è nulla di superfluo e quindi non può smettere di picchiare conto la “parete di pietra” eretta dalle leggi di natura, a causa della quale sarebbe condannato a un’esistenza solo orizzontale

Del resto, già prima di scrivere Ricordi del sottosuolo, in alcune pagine poi espunte da Memoria da una casa morta Dostoevskij aveva affermato con chiarezza che la vera pena non sta nella sofferenza e neppure nella reclusione: l’uomo soffre veramente solo quando sa di non essere più libero».

«Ho scoperto L’idiota a undici anni: allora (all'epoca della Unione Sovietica, ndr) non potevamo conoscere il Vangelo, ma potevamo conoscere il principe Myskin. È stata la mia e la nostra salvezza. Dostoevskij ci ha fatto capire che eravamo costretti a vivere sotto un cielo artificiale. Meglio, sotto una stuoia che era stata stesa al posto del cielo. Intendiamoci, anche oggi c’è qualcuno che si adatta a stare sotto una specie di ombrello che lo separa da Dio. Ma per la maggior parte di noi quella era la morte. Dostoevskij è stato più di uno scrittore: è stata la persona che ci ha aiutato a liberarci di quella stuoia, in modo da ritrovare il cielo. Andando oltre la parete di pietra, insomma».

Vale anche per la Russia di oggi?

«Dopo le scorse elezioni è accaduto qualcosa di sorprendente per la sua naturalezza. A Mosca sono scese in piazza non meno di trentamila persone (cinquantamila, secondo alcuni), non con l’intento di creare disordini, ma per guardare finalmente il potere negli occhi. “Non capiamo come sia possibile continuare a mentire così”, questa è la sostanza della ribellione, che coincide con la richiesta di essere trattati non come sudditi, bensì come esseri umani. Le proposte che hanno preso a circolare sul web non sono rivolte alle autorità, ma ai singoli cittadini, alle persone nella loro straordinaria e irripetibile singolarità. Il compito è lo stesso indicato da Dostoevskij: “Sii”, e cioè “diventa uomo in tutta la tua pienezza, lì dove ti trovi, in ciò che fai ogni giorno”. La vera rivoluzione russa sta in questo cambiamento interiore, che prescinde dai passi che il governo vorrà o non vorrà compiere».