Franco Gàbici, L'Avvenire, 16/7/2012
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14/01/25
Ricordo di un incontro-intervista con Vittorio Gassman
Era l'estate del 1990. Vittorio Gassman era, ancora e pienamente, il "mattatore" del cinema e del teatro italiano e io un giovane cronista di cultura e spettacolo.
Panorama, per cui lavoravo già da tempo, mi chiese di andare a intervistare Gassman a casa sua: una intervista piuttosto di routine, incentrata su quelli che erano in quel momento i progetti del grande attore.
Varcai dunque il cancello di Villa Brasini - che i romani chiamano familiarmente "Il Castellaccio" per via della sua bizzarra architettura - nei pressi di Ponte Milvio, a Roma. Gassman era in quel periodo, da poco uscito dalla sua famosa "depressione", durata circa due anni, di cui l'attore parlò spesso anche in pubblico, in particolare durante la sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show di quell'anno - un notevole e breve estratto è visibile su Youtube cliccando qui.
Probabilmente, con il senno di poi (cioè dell'oggi), in quella occasione, avrei considerato non certo una felice scelta, quella, per un depresso, di andare a vivere proprio a Villa Brasini (pur splendido edificio), per via della fama sinistra che vi aleggia, anche per episodi assai recenti e di cui ho scritto in un libro di qualche successo (clicca qui).
Gassman mi venne incontro, affabile ed elegante, mi fece accomodare nel grande salone vetrato della casa - con vista su un giardino interno - poi venne a sedersi, interrotto durante la nostra chiacchierata, dal figlio più piccolo, Jacopo, avuto dalla terza moglie, Diletta D'Andrea, nato nel 1980 e che dunque aveva all'epoca dieci anni, e del quale il padre dimostrava di essere innamorato. Riuscì a un certo punto a convincerlo a lasciarci soli e iniziò il nostro colloquio.
Parlò a lungo del progetto assai ambizioso che all'epoca portava avanti: la messa in scena del Moby Dick di Melville, a teatro, con l'impianto scenico di Renzo Piano, che effettivamente andò in prima durante le celebrazioni colombiane di Genova con il Teatro Stabile di quella città, poi portato anche a Siviglia e infine negli Stati Uniti (sempre nell'ambito di quelle celebrazioni). L'intero spettacolo è visibile cliccando qui.
Mi parlò poi della serie TV Tutto il mondo è teatro alla quale stava lavorando e che avrebbe condotto l'anno seguente (1991) su RaiUno con grande successo (visibile un estratto qui).
Infine mi parlò di un progetto a cui teneva tantissimo e che invece - per quel che mi risulta - non si fece mai: un film dal terzo libro che aveva scritto, dopo Un'avvenire dietro le spalle (1981) e Vocalizzi (1989): Memorie dal sottoscala, di cui avrebbe dovuto essere regista, ma non protagonista ("preferisco concentrarmi sulla regia: l'interprete sarà forse straniero, magari un inglese, qualcuno che incarni lo spirito di quest'uomo inquietante e goffo"), nonostante fosse totalmente autobiografico e raccontasse "in chiave grottesca una nevrosi, non gli anni della mia depressione."
Chissà che fine ha fatto quel copione, scritto con Giancarlo Scarchilli e chissà che prima o poi qualcuno non si decida a rispolverarlo.
L'incontro, che ricordo vivamente - per la gentilezza e la simpatia che mi dimostrò - si concluse e salutai Gassman, che come molti grandi dell'epoca sapeva anche essere umile o semplice, che dir si voglia. Appena dieci anni dopo, ci ha lasciato. Con molti (nostri, di spettatori) rimpianti.
L'intervista uscì su Panorama il 19 agosto del 1990.
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12/12/24
1846: Il primo volo in Mongolfiera a Roma ! - Un estratto da "Storie incredibili su Roma che non vi hanno mai raccontato" di Fabrizio Falconi, in tutte le librerie
Nel 1846, Villa Borghese era ancora tutta di proprietà della nobile famiglia – di origini toscane – che a essa
aveva dato il nome, dai primi dei Seicento.
Con il tempo, però, e soprattutto negli ultimi decenni, la villa aveva subito notevoli trasformazioni, a opera soprattutto del principe Marcantonio IV Borghese (1730-1809) che, tra le altre cose, aveva ordinato ai suoi architetti la costruzione di un anfiteatro destinato a ospitare corse di cavalli, esibizioni e feste, e ispirato alla piazza del Campo di Siena, città da cui la famiglia Borghese, originariamente, proveniva.
Nacque così piazza di Siena, subito divenuta il fulcro della villa, che nel frattempo i Borghese avevano deciso di aprire al pubblico, cioè al popolo di Roma, per il passeggio durante i giorni festivi e dove, in quelle occasioni, erano ospitati eventi e balli. Uno dei fatti memorabili che ebbero luogo a Roma, nell’Ottocento, fu il primo volo in mongolfiera, che si levò proprio da piazza di Siena.
Il protagonista fu il francese François (o Francisque) Arban, nato a Lione nel 1815, pio niere dell’aviazione che aveva iniziato a dedicarsi alla mon golfiera nel 1832. Qualche anno più tardi, Arban venne a Roma, invitato dai Borghese. Ospite della villa, annunciò che avrebbe ten tato un’esibizione sui cieli della capitale. Dopo due mesi di permanenza romana e di preparazione, finalmente, alle tre e mezzo del pomeriggio del 14 aprile del 1846 Arban salì a bordo del suo pallone, davanti a una folla straboccante assiepata sulle tribune di piazza di Siena, che cominciò ad applaudirlo mentre compiva un primo giro a pochi metri d’altezza, ancora trattenuto da una corda di ancoraggio.
Qualche minuto dopo, sciolto l’ormeggio, al suono della banda militare e spinto dal vento di sud-est, Arban prese quota con l’aerostato sorvolando l’intera Villa Borghese. Seguendo la direzione del vento, come raccontano i cro nachisti dell’epoca, l’aviatore «sorpassò più volte i giri del Tevere, dirigendosi rapidamente verso i monti Sabini, po tendo però sempre scorgere da quel punto, la Villa [Borghese], le fabbriche e la maestosa cupola della città da cui pochi minuti prima si dipartiva».
Continuando l’avventura, Arban si trovò ben presto a quote altissime, al punto tale che cominciò ad avere problemi di respirazione, con il termometro che segnava un grado sopra lo zero. Rifocillatosi col vino che aveva a bordo e col cibo «di cui si era ugualmente munito», e verificata l’altezza ormai troppo elevata, aprì la valvola abbassando la mongolfiera di diverse centinaia di metri quando, dopo un’ora di viaggio, gli si aprì sotto gli occhi lo scenario del fiume Velino e poi della valle reatina, accorgendosi subito delle moltitudini di persone che lo indicavano e gli face vano cenno di avvicinarsi, abbassandosi ancora.
La popolazione reatina era entusiasta, seguiva il percorso a piedi, a cavallo o con vetture, e finalmente, nei pressi del lago di Piediluco, convinse Arban ad atterrare, visto anche che si profilavano, minacciose, le montagne degli Appennini.
Aveva viaggiato per cinquanta miglia (ottanta chilometri) quando gettò via gli ultimi sacchi di zavorra, lanciando a una trentina di persone che lo aspettavano le corde per l’ancoraggio. Particolare curioso, tra i primi che vennero ad aiutare Arban a scendere dall’aerostato ci fu un tipo che, dopo averlo abbracciato e baciato, chiese a bruciapelo al volatore, in italiano: «Mi dai tre numeri?». Ancora provato dall’impresa e ostacolato dal non sapere la lingua, Arban capì soltanto in un secondo momento che quello gli chiedeva con insistenza tre numeri per giocare al Lotto.
Arban, insomma, era visto come una specie di mago, al quale non dovevano mancare nemmeno capacità divinatorie e – immaginiamo più che altro per togliersi il fastidio di torno – con il lapis scrisse alcuni numeri a casaccio che furono ricevuti dal “villico reatino” come un prezioso tesoro. Invitato a riposarsi dopo l’impresa nella casa di un notabile del luogo, alle tre del mattino seguente Arban prese la diligenza che doveva riportarlo a Roma, dove giunse alle tre del pomeriggio, subito accolto dal principe Borghese, grato per l’impresa che aveva appena compiuto.
La popolarità di Arban dopo quel primo viaggio aumentò a dismisura, al punto che in diverse altre città italiane furono organizzate sue esibizioni a bordo della mongolfiera. La sua carriera di aviatore però si infranse presto in circostanze tragiche: tre anni dopo, preso il volo da Barcellona per un’esibizione, con l’intenzione di superare i Pirenei e arrivare fino a Lione, Arban non riuscì a portare a compimento l’impresa. La forza dei venti sospinse infatti l’aero stato verso il largo del mar Mediterraneo, dove scomparve nel nulla. I suoi resti e quelli del velivolo non furono mai più ritrovati, dando adito alle più diverse leggende, tra cui quella secondo cui la sua mongolfiera, arrivata addirittura fino in Africa, aveva consegnato l’aviatore agli indigeni che lo avevano fatto prigioniero e ucciso.
Estratto da: Fabrizio Falconi, Storie incredibili di Roma che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton Editore, 2024
01/09/24
"Costantino, il sogno vero che cambiò l'occidente", di Fanco Gabìci
COSTANTINO. Il sogno vero che cambiò l’Occidente
Non è dato sapere se sia realmente accaduto o se si tratti di una leggenda, ma sta di fatto che gli studiosi hanno preso in considerazione la questione e alcuni sono andati alla ricerca di riferimenti astronomici che potrebbero giustificare la famosa visione che apparve all’imperatore Costantino 1700 anni fa, il 27 ottobre del 312, alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio combattuta in località Saxa Rubra e nel corso della quale venne sconfitto Massenzio.
Secondo Lattanzio (250-327) la visione sarebbe avvenuta in sogno, mentre Eusebio di Cesarea (265-340) scrive che la croce luminosa sarebbe apparsa in pieno pomeriggio e fu osservata anche da tutti i soldati. Sulla croce campeggiava la scritta «Toutô nika», che più tardi Rufino tradusse Hoc signo victor eris» e che la tradizione trasformò nel più noto «In hoc signo vinces».
Tutti invece concordano sul fatto che Costantino, dopo la visione, fece incidere sui labari dei soldati la lettera greca «chi», il simbolo del Dio cristiano. Già Filostorgio (368-439) aveva proposto una interpretazione astronomica del «segno celeste» e in tempi più recenti Fritz Heiland del Planetario di Jena ha avanzato l’ipotesi che la visione potesse essere interpretata come una congiunzione planetaria. A differenza delle stelle, che vengono chiamate "fisse" perché su intervalli temporali abbastanza lunghi mantengono inalterate le loro reciproche posizioni, i pianeti non hanno posizioni immobili e in effetti il termine "pianeta" deriva da un termine greco che significa «astro errante».
Heiland, dunque, dopo aver ricostruito il cielo del 312 notò che nell’autunno di quell’anno Giove, Saturno e Marte, tre pianeti molto luminosi, si trovavano vicini e allineati fra le costellazioni del Capricorno e del Sagittario.
La configurazione planetaria insolita poteva essere interpretata dai soldati come un cattivo presagio e Costantino avrebbe addirittura inventato la storia della visione per trasformare il presagio in un segno di buon auspicio. Subito dopo il tramonto, inoltre, in mezzo alla volta celeste campeggiava il Cigno, una costellazione a forma di croce, tant’è che viene chiamata dagli astronomi la «Croce del Nord».
Una stella laterale, poi, le conferiva l’aspetto di uno «staurogramma», dove con questo termine si definisce il monogramma che si ottiene sovrapponendo le due lettere greche maiuscole tau (T) e rho (P).
Sotto il Cigno, inoltre, si trova la costellazione dell’Aquila, simbolo di Roma e dei suoi eserciti, e anche questa circostanza contribuì a rafforzare i significati simbolici della visione.
Interessante a questo proposito è l’affresco di Piero della Francesca nella basilica di San Francesco di Arezzo intitolato «Il sogno di Costantino» nel quale l’artista, come ricordano Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi nel volume In hoc signo vinces (Edizioni Mediterranee), riproduce il cielo stellato relativo all’evento e un angelo dall’aspetto di cigno che porge una croce all’imperatore.
Va anche sottolineato che la posizione dell’angelo nell’affresco non è casuale, ma rispecchierebbe la posizione realmente occupata nel cielo dalla costellazione del Cigno.
Un altro segno della visione di Costantino si può ammirare all’interno del battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte di Napoli, fatto erigere dallo stesso imperatore. Sulla cupola, infatti, spicca un bellissimo mosaico che raffigura un grande staurogramma a ricordo della visione di Costantino. Legato a Costantino è anche il casale di Malborghetto, continua a leggere qui.
COSTANTINO. Il sogno vero che cambiò l’Occidente Franco Gàbici, L'avvenire, lunedì 16 luglio 2012
18/07/24
Una copia di "Passeggiate Letterarie a Roma" in dono alla Libreria Eli fino al 9 agosto, per gli amici vecchi e nuovi.
La Libreria Eli di Roma che quest'anno ha ospitato i miei incontri sulle Passeggiate Letterarie a Roma, quest'estate offre la possibilità agli amici vecchi e nuovi che si recheranno in Libreria in questi giorni, di ricevere una copia gratuita del mio libro.
Ne sono molto molto felice e ringrazio Marcello Ciccaglioni e gli amici della Eli, con l'augurio di ritrovarci presto. Qui sotto, un estratto dalla Lettera inviata dalla Libreria agli amici e soci come bilancio della stagione appena trascorsa e stimolo per la nuova che arriva. F.
Anche quest’anno, grazie alla tua presenza siamo riusciti a portare avanti questo bellissimo progetto che racchiude l’essenza di eli: un luogo di incontro in cui condividere Esperienze, Libri e Idee.
Sono passati sette anni da quando abbiamo mosso i primi passi e ognuno di voi, chi prima chi dopo e chi ora, ci ha accompagnato e sostenuto in questo nuovo viaggio.
Ci rivolgiamo a te che frequenti i nostri corsi, a te che ti impegni nei gruppi di lettura e/o di scrittura, a te che partecipi ai nostri incontri, conferenze e presentazioni, a te che hai sottoscritto la nostra card… ma anche a te che ci leggi ogni settimana, che condividi i risultati raggiunti e ci conforti nei giorni meno soleggiati.
È grazie a te se non ci arrendiamo, stai contribuendo a rendere tutto questo possibile.
Per ringraziarti del tuo sostegno, fino al 9 agosto puoi passare in Libreria per ritirare un dono che noi di eli abbiamo pensato di regalarti: un prezioso compagno di avventure che ti accompagnerà in questa città stupenda che abbiamo il piacere di sentire nostra. Un dono che è stato ideato e realizzato all’interno del nostro Arcipelago. (*)
In quest’occasione, vorremmo proporti un’iniziativa che speriamo tu accolga con il nostro stesso entusiasmo e che garantirà a una libreria indipendente come la nostra di continuare a fare ciò che ci viene meglio: promuovere la cultura attraverso i libri.
Il più grande distributore italiano di libri ci ha offerto una collaborazione speciale, in virtù della quale potremo farti recapitare a casa, nel luogo di lavoro, in vacanza - ovunque tu voglia - entro 48 ore qualsiasi libro disponibile sul mercato, a patto che tu lo ordini attraverso di noi. Per fornirti questo servizio nel modo più rapido ed efficace possibile, ti proponiamo di effettuare un versamento dal valore minimo di 50€ che ci consentirà di farti recapitare in tutta Roma e in tutta Italia, i libri che deciderai di leggere, senza dover ogni volta perderti in farraginosi movimenti bancari. Naturalmente i versamenti potranno essere ripetuti e ogni mese avrai il saldo residuo.
Oltre alla spedizione completamente gratuita dei tuoi libri anche in vacanza, avrai accesso a molti altri vantaggi:
- Sconto del 5% sui libri nuovi;
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Sicuri della tua sensibilità e del tuo appoggio, ti aspettiamo!
(*) L’Arcipelago di Eli è costituito da una serie di isole culturali e non solo. L’isola della Galleria La Tartaruga, quella della casa editrice Palombi e quella della Tenuta Le Velette.
E per mercoledì prossimo, 24 luglio, brindisi in Libreria per l' "Eliday"
Per ogni informazione: info@libreriaeli.it
Libreria ELI
di Nuova Stagione Srl
Viale Somalia 50 A
00199 – Roma
Tel. 0686211712
12/07/24
Da dove viene la parola "Arena"? I Romani.....
La storia delle parole è affascinante quanto quella della archeologia.
Nel romanesco antico e anche molto più raramente in quello moderno, il termine "rena" era ed è usato per indicare la sabbia (del mare), anche in altre parti d'Italia anche se "sabbia" è ovviamente molto più diffuso.
Ma la cosa interessante è che la parola italiana "Arena", di origine latina, era strettamente legata a "rena" avendo la stessa radice etimologica e significando: "luogo dove c'è la sabbia".
La sabbia infatti costituiva il fondo che veniva diffuso nelle "arene" o "circhi" della Antica Roma, trasportandolo dalla vicina Ostia.
Il maestoso Circo di Massenzio sulla Via Appia, per dire, ha rivelato agli archeologi, proprio dal fatto che non è stata trovata sabbia negli scavi dell'arena, che probabilmente esso non fu mai usato.
Il che si deve al fatto che era stato voluto dall'Imperatore per intitolarlo al figlio Romolo, il quale però morì giovanissimo - a 9 anni - probabilmente annegato nelle acque del Tevere nel 309, preconizzando in modo incredibile la stessa morte che toccò al Padre, Massenzio, 3 anni dopo, al termine della Battaglia di Ponte Milvio.
Fabrizio Falconi
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via appia
23/06/24
Esce domani, 24 giugno, il nuovo libro: "Passeggiate Letterarie a Roma" - Palombi Editore
Dalle note di copertina:
Essendo Roma una città speciale,
anche camminare a Roma è cosa speciale. La grande bellezza della
Città Eterna, infatti, non è tanto in quello che tutti vedono con chiarezza – e
che non può non manifestarsi, visto lo splendore monumentale, ovunque – ma in
quello che si nasconde: che è sepolto, che è custodito nella penombra, nei
cortili, nei vicoli, nelle viscere, nei particolari, nelle catacombe, negli
anfratti vicino ai quali si passa con noncuranza, inevitabilmente distratti
dalla grandezza di ciò che si incontra poco oltre. È proprio questa
stratigrafia, questo continuo accostamento di elementi diversi e apparentemente
inconciliabili, a conferire alla città un contenuto e un aspetto così diverso e
affascinante. È ciò che l’autore sperimenta nelle sue Passeggiate Letterarie
a Roma da molti anni e ciò che racconta in questo libro, in dodici
selezionate e splendide camminate nei mille luoghi che hanno attraversato il
tempo.
Fabrizio Falconi,
scrittore e giornalista romano, ha pubblicato opere di narrativa, poesia e
saggi.
Alla storia e alle storie di Roma ha dedicato diversi volumi: I fantasmi di Roma, 2010, saggio; In hoc vinces (con B. Carboniero), 2011; Monumenti esoterici d'Italia, 2013; Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, 2013; Roma segreta e misteriosa, 2015; il romanzo Porpora e Nero, 2019; La Storia di Roma in 501 domande e risposte, 2020; Le Basiliche di Roma, 2022.
24/05/24
I tesori di Santa Maria Sopra Minerva, una delle più belle chiese di Roma
I tesori di Santa Maria Sopra Minerva, una delle più belle chiese di Roma
Tratto da Fabrizio Falconi - Le Basiliche di Roma - Newton Compton, Roma, 2022 - tutti i diritti riservati
La meravigliosa Basilica
a pochi passi dal Pantheon è uno dei casi in cui il nome dell’edificio
chiarisce da se stesso la sua origine, le sue fondamenta. La Chiesa di Santa Maria sopra Minerva è
una delle più straordinarie di Roma. Fondata nel secolo
VIII sui resti di un tempio di Minerva Calcidica e
rifatta in forme gotiche nel 1280, deve il suo fascino anche a questo: il
sorgere sullo stesso luogo esatto dell'antico Tempio di Iside al Campo Marzio
(o Iseo Campense o Iseum et Serapeum) che
i Romani avevano dedicato al culto delle due divinità orientali, Iside e
Serapide e che nel corso dei secoli, dopo la caduta dell’impero, ha restituito
preziosissimi reperti, in gran provenienti dall'Egitto e trasportati a Roma
dopo che quella provincia fu acquisita da Augusto dopo la morte di Cleopatra
imperatrice. Non solo: nella stessa zona dell’Iseo Campense,
sorgeva anche il Tempio di Minerva Chalcidica, costruita dall’imperatore
Domiziano, l’ultimo della dinastia Flavia, alla fine del I secolo d.C.
L’appellativo di Chalcidica significava letteralmente “guardiana” o
“portiera” e si riferiva al fatto che il tempio in onore della dea (chiamato
anche in seguito Minerveum), era
stato costruito proprio di fronte al Porticus Divorum, la grande area
porticata voluta dallo stesso Domiziano, dedicata al padre Vespasiano e al
fratello Tito.
L’esistenza di una chiesa
cristiana, edificata sopra i resti di questi edifici è testimoniata già nel 700
d.C. ed era stata affidata alle suore basiliane provenienti da Costantinopoli, ma
fu rifatta completamente in forme gotiche intorno al 1280 da architetti toscani,
quando il possesso dell’oratorio era passato nelle meni dei frati domenicani. È
dunque particolarmente importante in una città come Roma dove sono piuttosto
rari gli esempi del puro gotico.
Modificata poi con vari interventi
nei secoli scorsi, la basilica è una delle più importanti di Roma per i tesori
d'arte che contiene e per contenere le tombe della Santa patrona d’Italia,
di quattro pontefici e di innumerevoli altre personalità.
La splendida facciata – quasi
minimalista – della chiesa, fu dovuta al conte Francesco Orsini che ne finanziò
la costruzione nel 1453. Sopraggiunti problemi economici però, evidentemente,
ne bloccarono il completamento ed essa rimase incompiuta fino al 1725, fino a
quando non intervenne papa Benedetto XIII. La facciata resta ancora oggi
semplicissima, nuda e disadorna abbellita però da due portali rinascimentali (i
laterali) e uno ottecentesco (il centrale), sovrastati da tre rosoni. La
facciata, nitida e bianca fa da sfondo alla piazza antistante, al centro della
quale si erge il celebre Elefantino (o Pulcino) della Minerva, opera
dello scultore Ercole Ferrata su progetto del Bernini, che sorregge uno dei
tredici, vetusti obelischi originali egizi romani, il più piccolo di tutti
(proveniente proprio dall’Iseum et Serapeum).
L’interno della basilica è imponente, a tre navate, separate da massicci pilastri e offre al visitatore il colpo d’occhio di uno sterminato cielo stellato che fa pensare ai simili soffitti medievali a crociera della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, o del duomo di Siena o di San Gimignano, ma invece è di fattura moderna: risale infatti al XIX secolo, quando si scelse una decorazione più in linea con le linee gotiche antiche dell’edificio. Nel pavimento sono invece incastonate moltissime e importanti iscrizioni e sepolture. Nelle due navate laterali si aprono invece diverse cappelle che contengono numerosi tesori. Cominciando dalla navata di destra, nel primo pilastro si ammira la tomba e il busto di Antonio Castalio, una delle più belle sculture del rinascimento romano. Più avanti, nella quinta cappella, la tomba seicentesca firmata dal Maderno, di Papa Urbano VII, il pontefice che detiene il record di minor durata del pontificato: soltanto tredici giorni in tutto, dal 15 al 27 settembre del 1590. Subito dopo la sua elezione, infatti, il papa fu colto da violente febbri malariche, che ne impedirono anche la cerimonia di incoronazione. Venne sepolto in San Pietro, ma fu poi trasferito qui per la sua generosità nei confronti della Arciconfraternita dell’Annunziata che si dedicava all’assistenza delle zitelle bisognose e che aveva sede vicino a Santa Maria sopra Minerva. Sull’altare di questa cappella, una bellissima Annunciazione di Antoniazzo Romano, del 1460. Nella settima cappella, un affresco di Melozzo da Forlì – Cristo giudice tra due angeli - che adorna una delle tombe rinascimentali.
Nella navata di sinistra, invece,
la terza cappella conserva un piccolo olio su tavola, che dopo una
dubbia attribuzione al Pinturicchio, è oggi unanimemente considerato opera
di Pietro di Cristoforo Vannucci, più famoso con il nome di Perugino
(1448-1523), il maestro di Raffaello. Perugino (o allievi della sua
stretta scuola) lo realizzò negli anni successivi al 1479, quando fu
chiamato da Papa Sisto IV per decorare l'abside della Cappella della Concezione
nel coro della Basilica Vaticana. È un ritratto, quello del Salvatore del
Perugino, estremamente affascinante. Per l'uso dei colori (il verde
intenso del mantello sul rosso pompeiano della tunica), per l'effige del
volto, in espressione dolcissima, con il capo debolmente reclinato sulla
destra, il viso incorniciato dai capelli castani, le guance rosee, lo sguardo
penetrante. Perugino usò la tecnica dello sguardo animato (comune
ad altri celebri ritratti rinascimentali, tra cui La Gioconda):
grazie ad un sapiente uso della prospettiva, lo sguardo del Cristo, infatti,
sembra seguire quello dell'osservatore. Lo si sperimenta davanti al
dipinto, spostandosi lentamente da destra verso sinistra e al contrario: lo
sguardo del Cristo sembra continuare ad osservare direttamente negli occhi,
colui che guarda.
Passando ora al transetto, alla fine
della navata di destra, eccoci davanti alla meravigliosa Cappella Carafa, uno
dei capolavori assoluti del Quattrocento, con gli straordinari affreschi di Filippino
Lippi, su commissione del cardinale Oliviero Carafa. Nelle quattro vele della
volta, sono rappresentate quattro Sibille. Lo stemma al centro è quello della
famiglia Carafa. La parete centrale inserisce all’interno della scena dell’Annunciazione
la figura di san Tommaso che presenta
alla Vergine Maria il cardinale Carafa,
inginocchiato. Nella parte alta c’è l’Assunzione della Vergine e una corona di angeli
che le danzano intorno, ciascuno con in mano uno strumento musicale diverso, un
vero e proprio inventario di strumenti musicali dell’epoca. Nella parete destra,
scene della vita di san Tommaso, mentre sulla lunetta,
verso sinistra è raffigurato il miracolo del Crocifisso che parlando al Santo
gli dice: “hai scritto bene di me Tommaso, che ricompensa vuoi?”. E sembra lui
abbia risposto: “Nient’altro che te Signore”. In basso, è
raffigurato invece il Santo in cattedra che tiene in mano un libro con la
scritta: "Sapientiam sapientum perdam", che significa
"Distruggerò la sapienza del sapiente", frase tratta dagli scritti di
san Paolo. Davanti a lui una figura con un volto inquietante, raffigurante il
peccato con un cartiglio che dice "Sapientia vincit malitiam",
"La sapienza vince la malizia”, chiara allusione alla spiritualità
domenicana da sempre caratterizzata da una ricerca della Verità e una lotta al
vizio e all’errore. Tommaso è circondato da quattro figure femminili che
rappresentano la filosofia, la teologia, la dialettica e la grammatica. I molti
personaggi in primo piano sono per lo più eretici (identificati anche da
iscrizioni dorate sui loro indumenti), tra cui il profeta persiano Mani,
fondatore del manicheismo , con un dito sulle
labbra, Eutiche con un orecchino di
perla, Sabellio, Ario e altri. I libri per
terra sono quelli eretici, che stanno per essere bruciati. All’interno della
Cappella anche la grande tomba di papa Paolo IV Carafa, opera di Pirro Ligorio.
Proseguendo a sinistra del presbiterio, una statua molto particolare:
pochi sanno infatti che la basilica di Santa Maria sopra Minerva, oltre ai
molti tesori custodisce anche un’opera di Michelangelo, il Cristo Portacroce,
che fu realizzata tra il 1519 e il 1520 con l’intervento di allievi del
maestro. Originariamente il Cristo era interamente nudo, cosa che ovviamente urtò
la suscettibilità di qualche notabile o cardinale, che ordinò di ricoprirne i
fianchi con una fascia di bronzo dorato. Con lo stesso metallo fu realizzata
anche una calzatura per il piede destro, sporgente, proprio per prevenirne la
consunzione ad opera dei fedeli, come è avvenuto per il piede della statua
dell’Apostolo, in San Pietro.
Al di sotto dell’altare maggiore, realizzato in stile neogotico,
riposano i resti del corpo di Santa Caterina da Siena, contenuti in un
sarcofago del Quattrocento. La Santa, patrona d’Italia e compatrona d’Europa
morì a Roma il 29 aprile del 1380 e fu sepolta nel cimitero di Santa Maria
sopra Minerva. Il teschio e un dito sono invece conservati e venerati nella
basilica di San Domenico, a Siena, città di nascita della Santa. Il sarcofago,
che si vede attraverso i vetri, sotto l’altare è assai suggestivo, perché
raffigura la santa, giacente.
L’abside della Basilica conserva poi le tombe di due papi, opere
di Antonio da Sangallo il giovane: Clemente VII e Leone X, entrambi
appartenenti alla famiglia dei Medici. Sempre nel transetto sinistro, nel
passaggio che viene comunemente usato per l’uscita secondaria dall’edificio,
un’altra importante sepoltura: quella del Beato Angelico, al secolo Guido di
Pietro. Il sommo pittore morì a Roma il 18 febbraio del 1455 e fu qui
sepolto. La lapide interrata mostra il
rilievo del corpo del pittore con indosso l’abito domenicano, entro una
nicchia rinascimentale e una iscrizione che recita: “Qui giace il venerabile
pittore Fra Giovanni dell'Ordine dei Predicatori. Che io non sia lodato
perché sembrai un altro Apelle, ma perché detti tutte le mie ricchezze, o Cristo, a te. Per
alcuni le opere sopravvivono sulla terra, per altri in cielo. la città di
Firenze dette a me, Giovanni, i natali.” |
Tornando a Santa Caterina, nella
sagrestia della Basilica si venera il piccolo Oratorio di Santa Caterina, con
la camera dove morì la Santa, ornata da affreschi del Quattrocento. Tra le
molte altre sepolture, nella Basilica, ricordiamo quelle di altri due papi,
oltre ai tre già citati: Urbano VII (morto nel 1590) e Benedetto XIII (1730); quella
del poeta, umanista e cardinale Pietro Bembo, del vescovo Guglielmo Durand e dello
scultore Andrea Bregno. Tra le molte vicende storiche di cui la Basilica fu
testimone, vanno annoverati anche due conclavi, da cui uscirono eletti Eugenio
IV nel 1431 e Nicolò V nel 1455. Quest’ultimo, come raccontano le cronache
dell’epoca, “fu posto a sedere sopra l’altare maggiore della chiesa e vi
ricevette l’obbedienza.”
La Basilica, ogni 25 marzo
ospitava la caratteristica cerimonia in occasione della festività
dell’Annunziata, alla presenza del papa: si trattava dell’elargizione dei
sussidi dotali alle zitelle che venivano prescelte tra tutti i rioni della
città e che si riunivano nella piazza Santa Chiara, dov’era la sede della
Arciconfraternita dell’Annunziata, fondata nel 1460. Da qui, le donne, a due a
due, vestite di bianco (dovevano essere vergini e di buona reputazione) e con
una candela in mano, procedevano in processione fino a Santa Maria sopra
Minerva per assistere alla messa solenne, al termine della quale, ricevevano
dalle mani del papa un sacchetto contenente la dote che variava da un minimo di
trentacinque a un massimo di ottanta scudi, oltre alle vesti e a un fiorino per
le scarpe.
Tratto da Fabrizio Falconi - Le Basiliche di Roma - Newton Compton, Roma, 2022 - tutti i diritti riservati
22/04/24
Ma perché così tanti errori in "Ripley", la serie Netflix di Steven Zaillian ?
"Ripley" (su Netflix) va a diventare la serie dell'anno, ma perché tutti quegli errori?
Ho provato a capire perché in un prodotto di così grande qualità vi siano così tante inverosmiglianze, dettagli, ricostruzioni sbagliate, incoerenze dei luoghi, dei tempi e della sceneggiatura, e alla fine l'unica risposta che mi convice è quella che scherzando, ma non tanto, un amico mi ha dato: "Perché Zaillian (regista e sceneggiatore della serie, colosso del cinema americano, premio Oscar per Schindler's List, e sceneggiatore di molti film di Scorsese) si sente come il Cavaliere Nero, nella celebre barzelletta raccontata da Gigi Proietti, e a lui non puoi... "rompere le scatole" (eufemismo).
La fulminante battuta sembra in effetti l'unica spiegazione possibile: Zaillian è un maestro troppo esperto per mettere in scena questa sequela di piccoli e grandi errori/orrori senza averlo voluto. Probabilmente, dunque, trattasi di una ostentazione/provocazione voluta: "la storia la conoscete già, ora mi diverto a fare quello che voglio".
Il fatto è che sono talmente tante e alla fine - almeno a me- hanno un po' rovinato il gusto estetico di una grande serie che trova i suoi due punti di forza 1) nella magnifica interpretazione di Andrew Scott (un cupo misantropo, misogino, bugiardo, cinico, manipolatore che in fondo non ha nessuno scopo che quello di produrre il male - per tutta la serie non ha praticamente il conforto di un solo amico, di una persona che conosce, di una situazione relazionale (uomo o donna), il suo è un moto perpetuo fine a se stesso, che non è basato sull'appagamento); 2) nel grandioso bianco e nero di Rober Elswit, anche lui premio Oscar e fotografo di film importantissimi.
Ecco dunque in ordine sparso, le molte cose che - specialmente a un pubblico italiano (l'intera serie è ambientata in Italia tranne un brevissimo prologo newyorchese) - risultano incomprensibili e in alcuni casi veramente grottesche:
- La prima volta che Ripley passa per Napoli, Zillian ci mostra le consuete "cartoline", scorci della città. Il primo tipo che vediamo seduto al bar però legge chissà perché "La Stampa" di Torino.
- Quando Dickie propone a Tom di andare a Sanremo nessuno spiega il perché. Che cosa deve andare a fare Dickie a Sanremo e d'inverno, poi?
- Appena scesi a Sanremo, i due vanno a dormire in un albergo. La mattina dopo seguiamo Dickie che va a cercare un profumo per Margie. Tom lo aspetta fuori dal negozio. Subito ci accorgiamo che tutti gli scorci fotografati all'esterno, non sono di Sanremo ma di Roma, finché non compare addirittura e resta per parecchio, la facciata della Chiesa di Sant'Eustachio a Roma, con l'immancabile cervo e il suo campanile. Non possono essere nemmeno "ricordi" di Tom, perché lui fino a quel momento non è mai stato a Roma. Tutta Sanremo, chissà forse per questioni di budget, è stata filmata con scorci tutti riconoscibili di Roma.
- La scena dell'omicidio sulla barca (lunghissima, occupa quasi tutta la puntata) è una sequenza di assurdità: dopo aver ucciso Dickie, Tom cade in acqua come Fantozzi dopo aver acceso involontariamente il motore della barca. Come si è raccontato nelle puntate precedenti lui non sa nuotare bene e ha paura dell'acqua: eppure, da vero supereroe, resta a galla mentre per due o tre volte la barca gli passa sulla testa, riceve un colpo in testa dal blocco di cemento che fa da ancora, sviene, resuscita sempre in acqua, riesce a prendere al volo la corda che passa trainata dalla barca a tutta velocità, si issa a forza di mani, arriva a 1 centimetro dall'elica senza essere risucchiato, riesce a spegnere il motore e risale sopra.
Poi, quando torna a riva e dopo mille capriole in acqua, ha ancora tutti gli oggetti di Dickie nelle tasche e perfino l'accendino - che gli serve per incendiare la corda dell'ancora e tagliarla - funziona perfettamente al primo clic. E' tutto ben pettinato, non si cambia i vestiti, rimane con quelli inzuppati addosso, e sale sul treno con quelli.
- Anche l'omicidio di Freddy Miles è pieno di assurdità. Dopo averlo ucciso e avergli spaccato il cranio, lo porta a spalle a mezzanotte (non le cinque di mattina) giù in ascensore e per le scale del palazzo; naturalmente per tutto il tempo non incontra anima viva, imbratta di sangue tutto, ascensore che si blocca e lo costringe a uscire a metà delle rampe, scale, pianerottolo, ecc... si assenta per un sacco di tempo per arrivare fino all'Appia Antica, tornare a piedi e in taxi, quando torna nessuno l'ha scoperto e lui pulisce gli ettolitri di sangue lasciati in giro con una pezzetta di 10 cm. quadrati (la mattina dopo, l'imbranata portiera-Buy pensa che le chiazze di sangue siano quelle di un topo...)
- Il commissario romano Ravini, è il personaggio più divertente e assurdo: nei primi anni '60 è un romano poliglotta, che parla un inglese più fluido di quello di Carlo d'Inghilterra e anche il francese, perfetto, ma non sa pronunciare il cognome Miles (nome comunissimo) che invece di "Mails" pronuncia incomprensibilmente per tutta la serie "Milasi". Ravini è un brocco, e però un brocco simpatico. Uno a cui piace fare conversazioni, ma parlare lui. Le notizie sui crimini su cui sta indagando gli interessano poco o niente. Nonostante i sospetti evidenti, lascia Tom libero di andarsene a villeggiare a Palermo.
- Anche molti altri personaggi italiani della serie parlano un inglese fantastico, ma poi chissà perché il noleggiatore delle barche di Sanremo ha l'accento romano, come anche un antiquario di un negozio di Napoli.
- Dopo l'omicidio di Dickie, Tom va in giro per due giorni presentandosi in giro, anche nelle reception degli alberghi, con il passaporto di Dickie e la foto di Dickie. Ma nessuno, guardando la foto sembra capace accorgersi che con ogni evidenza, non è lui. E soltanto dopo il secondo giorno cambia la foto sovrapponendo la sua foto su quella di Dickie.
- La questione delle foto poi è assurda: l'omicidio di Miles, di cui Dickie/Tom viene ritenuto responsabile, va a finire su tutti i giornali italiani, tutti i giorni, ma nessuno mette mai una foto dello scomparso e ricercato Dickie, anche semplicemente quella del passaporto o una delle mille che potrebbe fornire Marge, che Ravini va a trovare fino ad Atrani e che fa la fotografa (una qualsiasi foto di Dickie, ovviamente metterebbe fine immediatamente al giallo, evidenziando che Tom si spaccia per lui). E naturalmente lo stesso Ravini non pensa neanche lontanamente a chiedere a Marge che gliene mostri qualcuna.
- Marge, la fidanzata di Dickie è poi una specie di bella addormentata nel bosco. Scompare (a Sanremo per fare cosa?) il suo fidanzato in compagnia di un uomo di cui lei subito diffida e che gli appare come un truffatore, e non fa nulla. Ci mette una vita a mettersi in moto, arriva a Roma e anziché aspettare Dickie sotto casa, si accontenta delle 3 cose in croce che gli dice Tom e se ne torna serenamente a casa.
- Il massimo dell'inverosimiglianza poi è quando, nell'ultima puntata, Ravini viene al corrente del fatto che Tom è vivo e che vive a Venezia. Naturalmente lo va ad incontrare, e alla prima occhiata dovrebbe accorgersi che è il falso Dickie (cioè la stessa persona che ha incontrato sotto le vesti di Dickie fino a quel momento e con cui si è incontrato e ha parlato tante volte) camuffato sotto un burlesco travestimento a metà tra diabolik e la commedia dell'arte, e invece non solo non lo riconosce (anche se perfino la voce è identica e inconfondibile, e poi il volto è praticamente lo stesso), ma ci conversa abilmente del più e del meno, gli stringe la mano da 2 cm. di distanza e se ne torna serenamente a casa.
A nota bisognerebbe poi aggiungere tutte le inesattezze/errori/assurdità a proposito di Caravaggio i cui quadri, a Roma, e poi a Napoli e Palermo diventano l'ossessione del fuggitivo Tom. Una per tutte, nella ricostruzione seicentesca all'inizio della 6a puntata, in costume, Ranuccio Tomassoni - l'uomo che fu assassinato da Caravaggio viene fatto morire sulla riconoscibilissima Salita dei Borgia, che non c'entra niente con i luoghi originari, visto che il ferimento a morte avvenne notoriamente nel campo della Pallacorda, in Campo Marzio. Quando poi le guardie pontificie fanno irruzione nella casa/studio del pittore, vi trovano la Crocefissione di San Pietro, il quadro che si trova oggi nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo e che Caravaggio ha dipinto parecchio tempo prima del fattaccio che lo costringe a lasciare Roma.
Vabbè, questo è soltanto una piccola selezione ed era un po' per puntualizzare un po' per divertimento. Onore comunque al merito di Zillian, Elswit, Andrew Scott e tutti i bravi attori (purtroppo Malkovich si vede per 30 secondi in tutto) stranieri e italiani, e pure del povero imbranato Ravini, per sei serate trascorse comunque nella beatitudine di immagini meravigliose.
Fabrizio Falconi - 2024
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14/03/24
Domenica 17 Marzo alle 17,30 alla Libreria Eli "Roma nel Seicento" , sesto incontro con la magia di Roma
Le radici della Grande Bellezza nel Seicento Romano, nel sesto incontro alla Libreria Eli.
Dalla fine del '500 con la rivoluzione urbanistica di Sisto V, a Beatrice Cenci, Giordano Bruno, Galileo, la Pimpaccia, Pasquino, la Roma Papalina e i grandi geni, Borromini e Bernini che si sfidano sulla quinta teatrale della città più bella al mondo.
Mille storie, segreti e curiosità, tantissime immagini.
Roma Domenica 17 marzo alle ore 17,30.
16/02/24
DOMENICA PROSSIMA 18 FEBBRAIO ALLE 17.30 "IL RINASCIMENTO A ROMA" - ALLA LIBRERIA ELI con Fabrizio Falconi
Continuano gli Incontri con le PASSEGGIATE LETTERARIE A ROMA IN LIBRERIA:
DOMENICA 18 FEBBRAIO ALLE ORE 17,30 ALLA LIBRERIA ELI:
DOMENICA 18 FEBBRAIO ALLE ORE 17,30 ALLA LIBRERIA ELI:
Il Rinascimento a Roma - L'età dell'oro
Un viaggio meraviglioso tra i luoghi simbolo del Rinascimento romano:
dalla Cappella Sistina all'epopea dei Borgia, da San Clemente all'Ara Coeli,
il genio inarrivabile di Michelangelo, Raffaello, Pinturicchio e tanti altri.
Mille storie, segreti e curiosità, tantissime immagini.
QUI SOTTO TUTTE LE INFO:
12/10/23
"Il Cielo Sopra Berlino" riesce al cinema - Un sorprendente ricordo personale
Adesso che il film sta riuscendo nelle sale - nel bagliore del nuovo restauro - posso raccontare questo fatto davvero surreale, che mi accadde anni fa.
Come molti altri, io avevo amato smisuratamente quel film di Wenders, e Bruno Ganz (che ci ha lasciato qualche anno fa) era per me, come per molti altri, soprattutto il meraviglioso, malinconico angelo de "Il Cielo sopra Berlino" (The Wings of Desire), il film diretto da Wim Wenders nel 1987, vincitore come regista al Festival di Cannes di quell'anno, edizione che fra l'altro avevo seguito come giornalista accreditato.
Bene, parecchi anni dopo quel film (15 per l'esattezza) - che però avevo sempre in testa, compresi i dialoghi scritti da Peter Handke - una mattina d'inverno decisi di portare mio figlio a visitare Castel Sant'Angelo, qui a Roma.
Doveva essere il 2002, Matteo era dunque molto piccolo. La giornata era cupa, nuvolosa e con parecchio vento, con un cielo che sembrava più berlinese che romano.
Giungemmo sulla Terrazza superiore, quella dominata dal colossale angelo in bronzo che rinfodera la spada sul cielo di Roma, scolpito da Peter Anton von Verschaffelt nel 1753.
Mi avvicinai di qualche passo e aspettai di vederlo meglio.
Con sconcerto mi accorsi che era proprio lui, era proprio Bruno Ganz, con i capelli raccolti da un elastico sulla nuca e il lungo cappotto scuro fino ai piedi. Per un momento pensai perfino che dovessero esserci le sue ali trasparenti, quelle che di cui era dotato nel film di Wenders, le ali dell'angelo, mentre si sporgeva sui tetti estremi di Berlino.
Era solo. Lo spiai per un po'. Sembrava assorto nei suoi pensieri. Più volte rivolse lo sguardo all'angelo enorme in bronzo che lo sovrastava. Rimase più di venti minuti, poi scomparve in fretta giù per le scale.
Non ho mai dimenticato quell'incontro, e ancora mi chiedo che cosa ci facesse lì, da solo, vestito proprio da angelo, come nel film.
Chissà, forse Bruno Ganz un po' angelo lo era veramente.
Forse non lo ha detto a nessuno. Forse in realtà non è nemmeno morto. Ma è volato da qualche parte senza dir niente a nessuno. Mistero. Comunque, posso dire, la più bella - e indimenticabile - "apparizione" della mia vita.
Fabrizio Falconi - 2023
03/10/23
Parte alla Libreria Eli il seminario "Storie di Roma" con Fabrizio Falconi, dal 20 ottobre
SEMINARIO DI INCONTRI CON FABRIZIO FALCONI
LIBRERIA ELI – VIALE SOMALIA 50
· Corso/seminario di incontri
STORIE DI ROMA, presso la Libreria con cadenza mensile – ogni terzo venerdì del
mese, alle 18.30 - durante il quale si ripercorrono
gli itinerari sul territorio monumentale, antico e moderno di Roma, la
città che tutto – con la sua storia e i suoi luoghi – racchiude.
· Il corso/seminario durerà da ottobre 2023 a maggio 2024 affrontando in percorsi di circa due ore ciascuno, le tappe significative della storia tri-millenaria di Roma mediante la scoperta dei luoghi conosciuti e meno conosciuti e degli aneddoti, curiosità, letture, citazioni, con uso di slides e il coinvolgimento immersivo dei partecipanti.
Questo il piano degli
incontri, che seguiranno un percorso cronologico:
22 Ottobre 2023: Le
origini della Città – I Luoghi e le leggende della Fondazione, i Re di Roma.
17 Novembre 2023: L’età
antica – La Roma Repubblicana
15 Dicembre 2023: L’età
antica – La Roma Imperiale
19 Gennaio 2024: Dalla
Caduta dell’Impero Romano d’Occidente all’Anno Mille
16 Febbraio 2024: La
Roma Medievale
15 Marzo 2024: Il Rinascimento
a Roma
19 Aprile 2024: Il
Risorgimento a Roma e l’Ottocento
17 Maggio 2024: Dai
primi del Novecento ai giorni nostri
Tutti gli incontri avranno inizio alle ore 18.30
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