31/10/22

L'incredibile storia della "Colonnina telefonica" sulla Tomba di Roberto Rossellini al cimitero del Verano a Roma

La colonnina della T.E.T.I al Verano (foto Stefania Giudice) 

Una delle curiosità più particolari - e commoventi - del Cimitero Monumentale del Verano, dove riposa il meglio della cultura e dello spettacolo italiano degli ultimi 150 anni, è la cosiddetta "Colonnina della Teti, recentemente restaurata", che si trova proprio al fianco della tomba di famiglia dove è sepolto il grande Roberto Rossellini insieme ai suoi più stretti familiari.

La colonnina della Teti o meglio della T.E.T.I. (l'allora compagnia telefonica nazionale), come si legge nella targa apposta sotto il mandato del sindaco Marino, ricorda quanto accaduto nel 1946 quando "fu installata per consentire al regista Roberto Rossellini di seguire la lavorazione del film 'Germania anno zero' mentre con la moglie Marcella de Marchis vegliava sulla tomba del primogenito romano, morto all'età di 9 anni"

La tomba della famiglia Rossellini al Verano (foto Stefania Giudice) 

La vicenda della colonnina telefonica è iniziata nel 1946. Era l'anno di '"Paisa" e Roberto Rossellini si accingeva a girare "Germania anno zero" quando una banale appendicite si portò via il figlio, Romano, di 9 anni. 

Una tragedia che ha stravolse Rossellini e la moglie Marcella de Marchis e gli fece mettere le radici su quella piccola tomba, da dove non riusciva a staccarsi

Perchè l'esigenza vitale fu, per Roberto e Marcella, vivere fino in fondo e condividere il dolore vegliando sul figlio perduto. Ma c'era il film da portare avanti e gli obblighi, che la nuova pellicola imponeva, da onorare. Per potere comunicare con il produttore e gli sceneggiatori del nuovo film, Rossellini si fece allora installare una linea telefonica della teti di fronte alla tomba di famiglia

Il telefono non esiste più, ma quella colonnina in ghisa è ancora lì, al cimitero monumentale del Verano.

Dopo 68 anni, la colonnina fu restaurata e in quella occasione il figlio di Roberto, Renzo, disse: "Le opere di mio padre le divido in quelle prima della morte di romano e in quelle successive, dove c'è una spiritualità non presente in quelle precedenti. 'Germania anno zero' mio padre l'ha organizzato da qui. Dopo i bombardamenti di San Lorenzo qui molte tombe erano aperte e io passavo ore e ore a giocare con le ossa, creavo trombette, sono stato allevato nel lutto e nel dolore dei miei genitori. Negli anni passati ho fotografato la colonnina e la tomba e l'ho mandate a tutti i sindaci di Roma, ma solo grazie alla sensibilità di Marino questo oggetto è entrato nella storia" 

Una storia che Roma fa bene a non dimenticare. 




28/10/22

Scrittori, osate l'impossibile, non accontentatevi dell'ordinario: lo raccomandava Calvino

 


Rileggendo l'ultima delle Lezioni Americane di Calvino, l'ultima che scrisse, quella sulla Molteplicità (è la quinta, come è noto l'ultima, la sesta, dedicata alla Consistenza, Calvino non fece in tempo a scriverla), si ritrovano diversi passi che suonano come un monito agli scrittori di oggi (italiani) a ritrovare il coraggio di raccontare - e prima ancora di pensare - "in grande", ponendosi obiettivi alti, non consueti, non minimi, non minimalisti, non ordinari, non rinunciatari, non scontati. 

"L'eccessiva ambizione dei propositi" - scrive Calvino - "può essere rimproverabile in molti campi, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là di ogni possibile realizzazione. 

Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. 

Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo.

Uno scrittore che certo non poneva limiti all'ambizione dei proprio progetti era Goethe, il quale nel 1780 confida a Charlotte von Stein di star progettando un "romanzo sull'universo".  Poco sappiamo di come egli pensasse di dar corpo a questa idea, ma già l'aver scelto il romanzo come forma letteraria che possa contenere l'universo intero è un fatto carico di futuro."

Già: carico di futuro. Forse è per questa mancanza di coraggio e di ambizione che la letteratura italiana di oggi è così poco "carica di futuro". 

Fabrizio Falconi - 2022 

26/10/22

1922 : Due nuovi podcast per raccontare la Marcia su Roma e la violenza fascista contro i giornali




Cosa rappresenta la Marcia su Roma 100 anni dopo? Come l'hanno raccontata i quotidiani dell'epoca? 

In occasione del centenario la casa editrice di audiolibri e audiodocumentari tracce.studio propone il podcast di Andrea Fabozzi "1922 Italia anno zero. La Marcia su Roma nei giornali di cento anni fa" e la versione audio del libro di Emilio Lussu "Marcia su Roma e dintorni". 

Il podcast "1922 Italia anno zero. La Marcia su Roma nei giornali di cento anni fa" e' una vera e propria rassegna stampa dei giornali che un secolo fa raccontarono il colpo di stato fascista. 

Consultati emeroteche e archivi online, il giornalista del manifesto Andrea Fabozzi restituisce gli eventi e le idee che hanno consentito a Mussolini di prendere il potere ridando la parola ai protagonisti della vita politica e ai commentatori di allora. 

Emilio Lussu scrive "Marcia su Roma e dintorni" nel 1931 quando e' esule in Francia, con l'intenzione di spiegare cos'era il fascismo ai lettori stranieri.

L'irresistibile ironia e il lapidario sarcasmo con cui Lussu si esprime possono essere solo di chi conosce fino in fondo gli eventi che descrive e non nutre il minimo dubbio sul modo giusto di giudicarli. 

La presentazione venerdi' 28 ottobre alle 17 alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, a Roma. 

Di puntata in puntata, Fabozzi nel podcast attinge alla ricchissima produzione editoriale del tempo, quando la carta stampata era al centro della comunicazione e della battaglia politica. 

Malgrado la lettura fosse privilegio di una minoranza, come del resto lo stesso voto, e' infatti sui giornali e sulle riviste che i leader politici, a partire dal principale protagonista di questa storia, combattevano le loro battaglie e costruivano le loro carriere. 

E non a caso la violenza fascista prima e dopo la conquista del potere si rivolse innanzitutto contro giornalisti e redazioni. Il podcast è disponibile sul sito htpps://tracce.studio e sulle principali piattaforme che distribuiscono contenuti audio (audible, storytel, kobo, Ibs, Feltrinelli.it, ecc.). 

25/10/22

"Gesù di Nazareth" - Uno sforzo produttivo mai più eguagliato. I numeri impressionanti.

 



Provate a trovare in tutta la storia del cinema un film che possa vantare un cast come questo. In ordine alfabetico: Ann Bancroft, Ernest Borgnine, Claudia Cardinale, Valentina Cortese, James Farentino, James Earl Jones, Stacy Keach, Tony Lo Bianco, James Mason, Jan McShane, Laurence Olivier, Donald Pleasence, Christopher Plummer, Anthony Quinn, Fernando Rey, Ralph Richardson, Rod Steiger, Peter Ustinov, Michael York, Olivia Hussey e inoltre: Robert Powell, Jan Bannen, Marina Berti, Regina Bianchi, Maria Carta, Jan Holm, Lee Montague, Yorgo Voyagis. 

Si tratta dell'elenco, non completo, degli interpreti del "Gesù di Nazareth" di Franco Zeffirelli, in onda a partire dal 27 marzo 1977, con una media di 26 milioni e 700 mila ascoltatori ed una punta massima di 28 milioni e 300 mila (cifre spaventose confrontate con quelle della tv di oggi). 

Il "Gesù" è evidentemente un successo, ed è pure un capolavoro. Zeffirelli e i critici non si sono mai voluti particolarmente bene, ma sulla sua opera televisiva tutti (o quasi tutti) sono d'accordo. Mai i Vangeli erano stati portati sullo schermo con tanto realismo e al tempo stesso con altrettanto profondo senso della loro spiritualità. Oltretutto, sia la vicenda che i suoi contenuti sono comprensibili a chiunque, senza che lo stile della narrazione abbia un solo minuto di cedimento.

Il "Gesù" entra immediatamente a far parte della storia della TV di tutto il mondo e viene venduto alle televisioni di decine di nazioni. Zeffirelli è letteralmente sommerso di premi e riconoscimenti.  

Le riprese erano cominciate il 29 settembre del 1975 in Marocco nel villaggio di Fartassa. Attorno al Natale dello stesso anno, la troupe, composta in massima parte da italiani, si è poi trasferita a Montastir, in Tunisia, dove erano stati ricostruiti il Tempio di Gerusalemme e la Fortezza Antonia. 

La colossale opera è stata terminata, ancora a Montastir, in tempi relativamente brevi, il 28 maggio del 1976. 

Vi hanno partecipato 240 attori e migliaia di comparse reclutate fra le popolazioni locali. 



24/10/22

Umberto Galimberti: La fede cristiana non è "la fede nei miracoli"

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio, L'incredulità di Tommaso 

In un suo recente intervento su La Repubblica - D del 15 ottobre - Umberto Galimberti torna a riflettere sulla Fede e in particolare sulla fede miracolistica, la fede nei miracoli, quella che secondo il filosofo, "sottrae ai credenti la qualità spirituale alimentando le parti più infantili di noi."

E' un intervento come sempre stimolante, su cui si può discutere. Mi preme però riportare qui un passo particolarmente interessante sul quale tutti - anche i cristiani - riflettono spesso molto poco. 

"Vorrei spostare l'attenzione sulla devozione, peraltro molto diffusa, che riduce la fede cristiana a fede nei miracoli. 

Guai se una fede trova nel miracolo il sigillo della verità, adunando le folle intorno a un santuario costruito a seguito di una apparizione o di un evento considerato miracoloso, perché questo significa contravvenire al monito che Gesù rivolge all'apostolo Tommaso che dubita della sua resurrezione: "Perché hai visto, o Tommaso, hai creduto; beati coloro che non hanno visto e hanno creduto."(Giovanni, 20,29)

Se Gesù ha mostrato a tutto il popolo di Gerusalemme lo strazio della sua passione e a pochissimi il miracolo della resurrezione, ciò forse significa che non intendeva consegnare la fede, che da allora si sarebbe detta "cristiana", allo stupore del miracolo, ma intendeva affidarla alla sua partecipazione al dolore del mondo, che da quel giorno, nella religione cristiana, acquistò un senso, peraltro testimoniato dal fatto che il simbolo di quella religione divenne il crocefisso." 

Parole su cui è bene meditare.

Fabrizio Falconi - 2022 


23/10/22

Muore a 98 anni, Zilli Schmidt, sopravvissuta ad Auschwitz, portavoce del riconoscimento del genocidio nazista di Sinti e Rom

 


È morta Zilli Schmidt, una sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz, Lety e Ravensbrueck che si è fatta portavoce del riconoscimento del genocidio nazista di Sinti e Rom. Aveva 98 anni. 

Secondo la fondazione del Memoriale degli ebrei assassinati d'Europa, il memoriale dell'Olocausto di Berlino, la Schmidt è morta venerdì. Non è stata indicata la causa del decesso. 

Come uno degli ultimi sopravvissuti al genocidio di Sinti e Rom, ha dichiarato la fondazione in un comunicato, la morte di Schmidt "lascia dietro di sé un profondo vuoto". 

Sia i Sinti che i Rom sono popolazioni gitane che vivono prevalentemente nell'Europa orientale. 

Gli storici stimano che fino a 500.000 Sinti e Rom siano stati uccisi durante l'Olocausto. 

Nata come Zilli Reichmann nello stato tedesco orientale della Turingia nel 1924, la Schmidt è cresciuta in una famiglia sinti tedesca di commercianti di strumenti e gestori di cinema ambulanti. 

Fu arrestata e inviata al campo di concentramento di Lety nel 1942 e poi, insieme alla sua famiglia, ad Auschwitz-Birkenau nel 1943

Zilli Schmidt da giovane, prima dell'arresto nazista, con un amica


Nel 1944, la Schmidt fu deportata da Auschwitz al campo di concentramento di Ravensbrueck, in Germania. 

Lo stesso giorno in cui fu trasferita, gran parte della sua famiglia, compresi i genitori, la figlia e la sorella, furono uccisi insieme a molti altri Sinti e Rom ad Auschwitz

Dopo la guerra, la Schmidt si è battuta per il riconoscimento e l'aiuto delle vittime del genocidio nazista.

In seguito, ha iniziato a parlare pubblicamente delle sue esperienze contro il razzismo e l'estremismo di destra. 

Nel 2021 ha ricevuto la Croce Federale al Merito, che premia coloro che hanno dato un contributo notevole alla società tedesca. 

"Lei ci ha raccontato le sofferenze dei Sinti e dei Rom sotto la dittatura nazionalsocialista, a Lety, Auschwitz e Ravensbrueck, dove era stata deportata", ha detto all'epoca il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. 

Dopo la notizia della sua morte, il ministro della Cultura tedesco Claudia Roth ha elogiato Schmidt come una persona con il "coraggio di affrontare le rimostranze" sia del passato che del presente. "Sono eternamente grata che Zilli abbia scelto di parlare della sua vita e degli orrori che le sono accaduti", ha dichiarato Roth in un comunicato. Schmidt mancherà "come testimone contemporaneo, come combattente per il riconoscimento del genocidio dei Sinti e dei Rom", ha aggiunto Roth. 

22/10/22

E' morto a 93 anni Mc Divitt, l'astronauta dell'Apollo 9 che fu il primo a vedere nello spazio un UFO

 


È morto James A. McDivitt, comandante della missione Apollo 9 che testò il primo equipaggiamento completo per andare sulla Luna. Aveva 93 anni

McDivitt fu anche il comandante della missione Gemini 4 del 1965, dove il suo migliore amico e collega Ed White compì la prima passeggiata spaziale statunitense. 

Le sue fotografie di White durante la passeggiata spaziale sono diventate immagini iconiche. 

Non ha avuto la possibilità di atterrare sulla Luna e invece è diventato il responsabile del programma dell'agenzia spaziale per cinque missioni Apollo dopo l'atterraggio sulla Luna dell'Apollo 11. 

Durante il suo primo volo nel 1965, McDivitt riferì di aver visto "qualcosa là fuori", un oggetto stranissimo, della forma di una lattina di birra volare fuori dalla sua navicella Gemini. 

Fu ovviamente definito un UFO e McDivitt scherzò in seguito dicendo di essere diventato "un esperto di UFO di fama mondiale".

L'Apollo 9, che orbitò intorno alla Terra e non andò oltre, fu una delle missioni spaziali meno ricordate del programma della NASA. 

In una storia orale del 1999, McDivitt ha detto che non gli dava fastidio che fosse stata trascurata: "Capisco perché l'abbiano fatto, sai, non è atterrato sulla Luna. E quindi non fa parte dell'Apollo. Ma il modulo lunare era... fondamentale per l'intero programma".

Volando con i compagni di equipaggio dell'Apollo 9, Rusty Schweickart e David Scott, la missione di McDivitt fu il primo test nello spazio del leggero lander lunare, soprannominato Spider. 

L'obiettivo era verificare se le persone potessero vivere al suo interno, se fosse in grado di agganciarsi all'orbita e - cosa che divenne cruciale nella crisi dell'Apollo 13 - se i motori del modulo lunare fossero in grado di controllare la pila di veicoli spaziali, che comprendeva il modulo di comando Gumdrop. 

All'inizio dell'addestramento, McDivitt rimase impressionato dalla fragilità del modulo lunare: Ho guardato Rusty e lui ha guardato me e ci siamo detti: "Oh mio Dio! Stiamo davvero per far volare una cosa del genere?" Era davvero squallido... era come cellophane e carta stagnola messi insieme con scotch e punti metallici!"

A differenza di molti altri astronauti, McDivitt non desiderava volare fin da bambino. Era semplicemente bravo a farlo. Crescendo a Kalamazoo, nel Michigan, McDivitt non aveva i soldi per l'università. Ha lavorato per un anno prima di frequentare un junior college. 

Quando si arruolò nell'Aeronautica Militare a 20 anni, poco dopo lo scoppio della guerra di Corea, non era mai salito su un aereo. Fu accettato per l'addestramento da pilota prima ancora di essersi alzato da terra. "Per fortuna mi piaceva", ha ricordato in seguito. McDivitt ha volato in 145 missioni di combattimento in Corea ed è tornato in Michigan dove si è laureato in ingegneria aeronautica. In seguito fu uno dei piloti collaudatori d'élite della base aerea di Edwards e divenne il primo studente della Scuola per piloti di ricerca aerospaziale dell'Aeronautica. L'esercito stava lavorando alle proprie missioni spaziali umane, poi abbandonate. 

Nel 1962, la NASA scelse McDivitt per far parte della seconda classe di astronauti, spesso chiamata "New Nine", insieme a Neil Armstrong, Frank Borman, Jim Lovell e altri. McDivitt fu scelto per comandare la seconda missione Gemini a due uomini, insieme a White. La missione di quattro giorni del 1965 girò intorno al globo 66 volte. Il volo di prova dell'Apollo 9 durò 10 giorni nel marzo del 1969, quattro mesi prima dello sbarco sulla Luna, e fu relativamente privo di problemi e privo di conseguenze. "Dopo aver volato con l'Apollo 9 mi fu chiaro che non sarei stato il primo ad atterrare sulla Luna, cosa che per me era importante", ha ricordato McDivitt nel 1999. "Ed essere il secondo o il terzo non era così importante per me". Così McDivitt è passato alla gestione, prima del lander lunare Apollo, poi della parte Houston dell'intero programma. Nel 1972 McDivitt lasciò la NASA e l'Aeronautica per una serie di incarichi nell'industria privata, tra cui quello di presidente della divisione vagoni ferroviari della Pullman Inc. e di dirigente dell'azienda aerospaziale Rockwell International. Si è ritirato dall'esercito con il grado di generale di brigata. 1

19/10/22

Oggi, 19 ottobre, nasceva il grande Vinicius De Moraes: il racconto di quando la dittatura lo mise alle porte

 


Ricorre oggi l'anniversario della nascita del grande Vinicius de Moraes, nato a Rio de Janeiro il 19 ottobre 1913. 

Il grande poeta e musicista brasiliano ebbe - come molto colleghi all'epoca, compresi i "tropicalisti" Gilberto Gil, Caetano Veloso, Chico Buarque de Hollanda - molti problemi con la dittatura militare. tra gli anni '60 e '70. 

Nel 1968, Vinicius de Moraes partecipò a spettacoli a Lisbona, in compagnia di Chico Buarque e Nara Leão. In seguito, invitato dal critico Ricardo Cravo Albin, Vinicius fece una dichiarazione storica al Museu da Imagem e do Som (dove era membro del Consiglio Superiore del MPB). Ma quell'anno segnò la fine della sua carriera diplomatica.

Dopo 26 anni di servizio al MRE, il Ministero delle Relazioni Esterne, Vinicius fu mandato in pensione con la legge istituzionale n. 5, creata dalla dittatura militare brasiliana, un fatto che lo ha ferì profondamente. 

Il giorno della pubblicazione dell'atto, Vinicius si trovava in Portogallo per un concerto con Baden Powell. Venne a conoscenza del provvedimento grazie ai giornalisti che lo stavano cercando per un commento dopo pranzo, quando Vinicius amava fare un sonnellino. 

Di fronte al nuovo paradigma che si stava installando in patria, Vinicius pensò di esiliarsi, di suicidarsi o di contattare i colleghi di Rio. 

Nell'esibizione successiva con Baden, Vinicius recitò la sua poesia "Minha pátria" mentre il suo partner strimpellava l'inno nazionale brasiliano alla chitarra.

Dopo questa rappresentazione, gli studenti salazaristi (seguaci del dittatore portoghese Salazar) si affollarono alla porta del teatro per protestare contro il poeta. 

Avvertito di ciò e consigliato di uscire dal retro del teatro, il poeta preferì affrontare le proteste e, in piedi davanti ai manifestanti, iniziò a recitare "Poética I" ("De manhã escureço/De dia tardo/De tarde anoiteço/De noite ardo"). 

Poi successe qualcosa di incredibile: uno dei giovani si tolse il mantello accademico e lo appoggiò a terra, in modo che Vinicius potesse passarci sopra - un gesto imitato dagli altri studenti e che, in Portogallo, è una forma tradizionale di omaggio accademico. 

Secondo un'intervista pubblicata da Veja il 12 gennaio 2000, l'ex presidente João Figueiredo ha spiegato le vere ragioni dell'allontanamento del poeta dall'Itamaraty: "Dice addirittura che molte persone dell'Itamaraty sono state allontanate per corruzione o pederastia. È vero. Ma nel suo caso si trattava di vagabondaggio. Ero il capo dell'Agenzia Centrale del Servizio e ricevevamo continuamente segnalazioni che lui, in servizio al consolato brasiliano di Montevideo, che guadagnava 6.000 dollari al mese, non si faceva vedere da tre mesi. Abbiamo consultato il Ministero degli Affari Esteri, che ha confermato l'accusa. Abbiamo controllato e abbiamo scoperto che non ha lasciato i bar di Rio de Janeiro, suonando la chitarra, esibendosi, con un bicchiere di whisky al suo fianco. Non abbiamo battuto ciglio. Mettiamo le cose in chiaro. Il promemoria diceva infatti "licenziate quel barbone". Tuttavia, i militari riconobbero il valore del suo lavoro e non menzionarono nemmeno le sue posizioni politiche nel documento.

La sua riabilitazione al corpo diplomatico brasiliano è avvenuta solo trent'anni dopo la sua morte, grazie alla legge 12 265 del 21 giugno 2010.

In una cerimonia a Palazzo Itamaraty, Vinicius de Moraes è stato elevato al rango di ministro di prima classe, una posizione spesso associata a quella di ambasciatore.




18/10/22

Fabrizio Falconi fotografato da Gabriele Pagnini a Cannes nel 1987

 

Fabrizio Falconi fotografato da Gabriele Pagnini a Cannes nel 1987 

Nel Maggio dell'87, mentre seguivo il Festival di Cannes come inviato accreditato - in una edizione di grande livello, purtroppo vinta da un modesto film francese, Sous le soleil de Satan di Maurice Pialat, proclamazione che suscitò polemiche ma era piuttosto prevedibile visto che ricorreva il 40mo anniversario del festival), durante una delle mille corse su e giù per la Croisette mi fermai a bere qualcosa al bar del Majestic, insieme a Gabriele Maria Pagnini con cui avevo fatto amicizia in quei giorni.

Gabriele era ed è ancora uno dei migliori ritrattisti italiani ed era lì per Vogue. Senza nessuna posa, mi scattò al volo (inquadrando appena nell'obiettivo) questa foto, che mi ricorda i tempi belli di quegli anni e che mi piace ritrovare ogni tanto tra le cose.

Al link qui sotto alcune delle bellissime foto di Gabriele ai veri divi:



17/10/22

Putin, Trump e tutti i megalomani potenti di oggi: La "Sindrome di Napoleone" spiegata da Tolstoj in "Guerra e Pace"


Pensando ai vari Putin, Trump, Lukashenko, Bolsonaro, ai tanti megalomani malati al potere oggi in diverse parti del mondo, ricorrono le parole che Lev Tolstoj usò per descrivere il tiranno di allora, Napoleone, definendo per primo, con parole profetiche, quella Sindrome (
la Sindrome di Napoleone), che catturò lui e dopo di lui, molti altri tiranni assoluti alla velleitaria conquista del mondo. 


Un uomo senza principi, senza abitudini, senza tradizioni, senza nome, che non è neppure un francese, per i più strani casi si fa avanti tra tutti i partiti che agitano la Francia, e senza aderire a nessuno di essi, è portato a un posto eminente

L’ignoranza dei colleghi, la debolezza e la nullità degli avversari, la sincerità nel mentire, la mediocrità brillante e sicura di sé di quest’uomo lo portano alla testa di un’armata

Una innumerevole quantità di cosiddetti casi lo accompagna dovunque. 

Al suo ritorno dall’Italia egli trova il governo in tale stato di disfacimento che gli uomini che vengono a far parte di questo governo vengono inevitabilmente stritolati o distrutti. 

Quell’ideale di gloria e grandezza che consiste non solo nel credere che nulla sia male per la propria persona, ma anche nell’inorgoglirsi di qualsiasi misfatto, attribuendogli un incomprensibile significato sovrannaturale si foggia liberamente in lui

Egli non ha nessun progetto: ha paura di tutto; ma i partiti si aggrappano a lui ed esigono la sua collaborazione. 

Lui solo, col suo ideale di grandezza e di gloria, con la sua folle adorazione di se stesso, con la sua audacia nel misfatto, con la sua sincerità nel mentire, lui solo può adempiere a ciò che si deve compiere.

E’ necessario per il posto che lo aspetta, e perciò quasi indipendentemente dalla sua volontà e malgrado la sua indecisione, la mancanza di un piano e tutti gli errori che commette, è trascinato nella congiura che ha per fine la conquista del potere, e la congiura è coronata da successo

Il caso, milioni di casi gli danno il potere e tutti gli uomini, come fossero d’intesa, cooperano al consolidamento di questo potere. 

Non c’è un’azione, non un misfatto, non il minimo inganno che egli commetta, che subito non si trasformi sulle bocche di coloro che lo circondano in una grande gesta. E non soltanto lui è grande, ma sono grandi i suoi avi, i suoi fratelli, i suoi figliastri, i suoi cognati. Tutto concorre a privarlo delle ultime forze della ragione e a preparare per lui una tremenda parte da rappresentare. E quando egli è pronto, sono pronte anche le forze. 

Lev Tolstoj – “Guerra e Pace”, da pag. 1326 (edizione italiana) in poi

14/10/22

Beatles: "Love me Do" ha compiuto 60 anni !

 


Tanti auguri "Love Me Do". L'iconico brano dei Beatles, che segno' il debutto discografico dei quattro ragazzi inglese, ha appena compiuto 60 anni.

Fu infatti composto da Paul McCartney e John Lennon qualche anno prima e pubblicato nel 1962 (sul lato B del 45 giri P.S. I Love You). 

Nel mese di ottobre - esattamente il 5 - uscì quindi il primo 45 giri ufficiale. 

Quella armonica a bocca blues, suonata da Lennon, che divenne indimenticabile (e che si ispirava all'artista americano di rhythm and blues Bruce Channel in Hey! Baby). 

Il brano, che fu poi incluso nell'album di esordio dei Beatles Please Please Me del 1963, ebbe una gestazione complicata in fase di registrazione.

Furono infatti tre i batteristi che si alternarono in differenti occasioni. 

La prima registrazione è del 6 giugno 1962 agli Abbey Road Studios di Londra con Pete Best alla batteria; a meta' agosto, Best venne sostituito da Ringo Starr e il 4 settembre venne eseguita una nuova registrazione sempre agli Abbey Road Studios. 

Non soddisfatti, una settimana dopo, l'11 settembre, la band torno' in studio per una nuova sessione con il batterista Andy White e con Ringo al tamburello

La prima versione del 45 giri è comunque quella con Ringo Starr alla batteria e la stessa è stata inclusa anni dopo nella versione americana di Rarities e in Past Masters, volume uno. 

La versione con Andy White è quella presente nel primo album inglese dei Beatles, Please Please Me, nell'EP The Beatles' Hits (e in tutti gli album seguenti in cui e' presente la canzone) nonché nelle ristampe del singolo avvenute nel 1976 e nel 1982.

Una versione blues piu' lenta di Love Me Do, presente in alcuni bootleg, e' stata suonata dai Beatles nel 1969, durante la session di Get Back per l'album Let It Be. 

Tra le storie che si narrano su Love Me do, quella che vuole che Lennon quell'armonica l'aveva rubata in un negozio di Arnhem nel 1960 e l'altra secondo cui il manager Brian Epstein tentò di far diventare Love me Do una hit nel Regno Unito comprando egli stesso diecimila copie del disco. 

13/10/22

Torna Park Chan-wook, il geniale maestro di "Old Boy" e "Mr. Vendetta" - Il nuovo film, "Decision to Leave" potrebbe essere il suo più devastante - L'intervista

 


Molto prima che "Parasite" di Bong Joon Ho trionfasse agli Oscar e "Squid Game" facesse il giro del mondo, Park Chan-wook stupiva il pubblico mondiale con la sua visione sontuosamente stilistica, oltraggiosamente violenta e diabolicamente elaborata del cinema coreano. 

Il suo ultimo film, "Decision to Leave", è per certi versi più sobrio dei precedenti. Non ha la violenza brutale di "Oldboy" o il sesso di "The Handmaiden". 

Ma potrebbe essere il suo più devastante. È un noir tortuoso che si intreccia con una storia d'amore. Intricato e malizioso, "Decision to Leave" è un altro arazzo di genere di cui il magistrale Park può fare un elegante gioco. Al Festival di Cannes di maggio ha vinto il premio per la miglior regia

Park Hae-il interpreta un detective della polizia di Busan che si infatua di una vittima di omicidio (Tang Wei). La loro relazione in evoluzione si svolge come un'indagine

Prima dell'uscita del film nelle sale americane, venerdì, Park ha incontrato un giornalista durante una pausa del New York Film Festival, parlando della realizzazione di "Decision to Leave" (uno dei maggiori successi al botteghino del 2022 in Corea del Sud), del suo ruolo nell'espandere l'impronta del cinema coreano e del fatto che, a prescindere da martelli insanguinati o polpi mangiati interi, l'amore è sempre stato il suo soggetto principale.

Intervista 

D. La stanza in cui scrive è stata paragonata a quella che intrappola il protagonista di "Oldboy". È vero? 

PARK: (Ride) Quando abbiamo progettato la casa, abbiamo creato una stanza appositamente per me per scrivere. È una stanza piccola, con solo un tavolo e una scrivania, e sembra quasi di soffocare all'interno. Ma non scrivo solo in quella stanza. Scrivo davvero ovunque. Scrivo in uffici, caffè, alberghi e in aereo.

D. Tra un film e l'altro vive una vita relativamente tranquilla, vero? 

PARK: La mia casa è in una piccola città in una zona remota fuori Seoul. Anche la mia casa di produzione è alla periferia di Seoul. Quindi sono quasi come uno che lavora in un'azienda e fa la spola tra il mio ufficio e la mia casa.

D: A cosa pensava quando lei e il suo co-sceneggiatore, Jeong Seo-kyeong, avete scritto "Decision to Leave"? 

PARK: All'epoca stavo lavorando alla post-produzione di "Little Drummer Girl" e ho dovuto dirigere da solo l'intera serie di sei episodi. Ci è voluto molto tempo ed è stato anche molto impegnativo dal punto di vista fisico. Mi sono ammalato a casa. Naturalmente mia moglie era con me, ma comunque. Durante la fase di post-produzione, il mio co-sceneggiatore ha fatto un viaggio di famiglia a Londra e mi ha incontrato due volte in un caffè. Abbiamo avuto conversazioni generali su quale dovesse essere il mio prossimo lavoro. I due principi fondamentali da cui siamo partiti sono stati: Volevo che il film fosse un film coreano e che venisse proiettato nelle sale cinematografiche. Poi volevo che fosse un film poliziesco. Credo sia dovuto al fatto che all'epoca stavo leggendo la serie di Martin Beck. Ne sono stato molto influenzato. Volevo partire da un'ambientazione molto familiare: Un detective assegnato a un mistero di omicidio. E volevo creare una storia d'amore.

D: Il suo film suggerisce che tutti sono colpevoli in amore, ma il sospetto lo ucciderà.

PARK: È un bel modo di esprimerlo. Quando si è innamorati, si è naturalmente curiosi dell'altra persona. Si vuole sapere di più su di lui. In questo processo d'amore, c'è sempre un senso di dubbio che ti spinge a scavare più a fondo. Quando questo assume una forma drammatica, può anche trasformarsi in uno stalking dei suoi social media o in un'occhiata al telefono o in domande per verificare se sta mentendo. Molte persone fanno queste cose o hanno il desiderio di farle. Quando si raggiunge quel punto di dubbio e di suspense, penso che diventi davvero simile a un'indagine investigativa.

D.: L'amore potrebbe non essere quello che alcuni pensano immediatamente come il tema principale dei suoi film. Perché pensa di tornare sempre alle storie d'amore? 

PARK: Tutti i miei film parlano fondamentalmente di persone innamorate. Ma ognuno di questi lavori nella mia filmografia ha i suoi elementi di genere, come il thriller o l'horror. Credo che questo sia troppo forte e faccia dimenticare che si tratta di amore. L'occupazione di un artista è naturalmente quella di esplorare ciò che l'uomo è realmente, e credo che il soggetto migliore per esplorare le caratteristiche dell'uomo sia l'amore. Ma anche come intrattenitore, l'amore è il soggetto migliore. L'amore ha il brivido, il mistero, la comicità, ti tocca e ti fa inorridire. 

D.: Il suo film è spesso divertente, persino farsesco, ma finisce, indimenticabilmente, in tragedia. Come ha visto funzionare questo arco tonale? 

PARK: Ci sono alcune tragedie in cui è solo una progressione di eventi tristi che accadono. Ma credo che ci sia anche una tragedia che deriva da un film che non sembra tale. Il contrasto fa emergere ancora di più la tragedia. C'è qualcosa di molto farsesco nella loro situazione. C'è una farsa che deriva dalla simpatia. Senza risate, mi sembra di forzare un'emozione al pubblico. Come se dicessi loro: "Siete tristi, vero?" "Siete inorriditi, vero?". C'è un senso di totalità che deriva dall'umorismo che riempie tutti i buchi mancanti. 

D.: Anche il modo in cui la tecnologia modella la vita di uomini e donne è un tratto distintivo dei suoi film. Perché ha affollato "Decision to Leave" con telefoni, messaggi di testo e applicazioni di traduzione? 

PARK: Volevo che questo film fosse molto classico e avesse questi elementi mitici. Se si considera l'ultima scena, ricorda davvero Orfeo. Ma non volevo che fosse un film classico con lettere scritte a mano. Se avessi voluto farlo, avrei potuto inserirlo in un contesto in cui non c'erano telefoni. Molti registi sentono il desiderio di farlo. Invece, ho scelto di incorporare attivamente la tecnologia moderna, anche più di quanto si vede in spettacoli sugli adolescenti come "Euphoria". Prendere questa decisione è stato un momento significativo per me. 

D.: È orgoglioso del suo ruolo nella diffusione del cinema e della cultura pop coreana? 

PARK: Se mi fossi prefissato l'obiettivo di diffondere l'amore per il cinema coreano e avessi lavorato duramente per raggiungerlo, ne sarei orgoglioso. Ma la verità è che è successo così. È semplicemente il risultato del mio tentativo di divertirmi nel realizzare le mie opere e di permettere al pubblico di divertirsi guardando i miei lavori. Non sono mai consapevole del pubblico non coreano o straniero quando faccio un film. È più che altro che faccio i miei film con l'intenzione di farli apprezzare al pubblico coreano del futuro. Cinquanta o cento anni dopo, voglio che si divertano tanto quanto il pubblico contemporaneo. 

Fonte: Jake Coyle per AP-


12/10/22

Annie Ernaux dopo il Nobel per la Letteratura compare in pubblico a New York: "Finché qualcosa non è stato scritto, non esiste davvero"

 


Da quando Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel per la letteratura la scorsa settimana, i libri dell'autrice francese hanno conquistato un numero tale di ammiratori che molti titoli sono esauriti su Amazon.com e nelle librerie, alcuni non disponibili per un mese o più. 

Ma all'Albertine Books, nell'Upper East Side di Manhattan, la sua apparizione lunedì sera è sembrata meno una presentazione che una riunione di vecchi amici, francesi e americani. 

L'evento, raggiungibile al secondo piano attraverso una scala a chiocciola all'interno dei Servizi Culturali dell'Ambasciata di Francia, aveva registrato il tutto esaurito ben prima dell'annuncio del Nobel.

Lunedì, una prima fila di partecipanti si è estesa dietro l'angolo e alla fine centinaia di persone si sono ammassate all'interno, compresa una folla in esubero che l'ha osservata attraverso un video trasmesso dal piano inferiore. 

Accolta da un'ovazione da parte di un pubblico di sole persone in piedi, tra cui i colleghi Garth Greenwell e Rachel Kushner, l'ottantaduenne Ernaux ha parlato a lungo e con ritmo energico, attraverso la sua traduttrice, della sua carriera e del processo di scrittura. 


Le sue risposte ampie contrastavano con lo stile economico dei suoi libri autobiografici, notoriamente brevi, tra cui "Passione semplice", di 64 pagine, e "Happening", di 96 pagine, il suo candido ricordo di un aborto illegale nel 1963, che l'anno scorso è stato adattato in un film omonimo in lingua francese. 

 La serata era intitolata "L'arte di catturare la vita con la scrittura". La Ernaux, intervistata dall'autrice Kate Zambreno, ha paragonato il suo lavoro a un'esplorazione a lungo termine della sua mente, facendo eco a un sentimento comune tra gli autori: Scrivono per scoprire ciò che pensano. 

"La letteratura mi è apparsa come l'unico mezzo per raggiungere quella che io chiamo verità o realtà", ha detto. "È un modo per rendere chiare le cose, non in modo semplice, anzi, scrivere le cose le rende più complesse. È anche un modo per dire che finché qualcosa non è stato scritto non esiste davvero". 

Cresciuta nella Normandia rurale, la Ernaux è stata elogiata dai giudici del Nobel per aver mostrato "grande coraggio e acutezza clinica" nel rivelare "l'agonia dell'esperienza di classe, descrivendo la vergogna, l'umiliazione, la gelosia o l'incapacità di vedere chi si è". 

La Ernaux ha detto lunedì sera che il suo obiettivo non è mai stato quello di scrivere un "bel libro" o di far parte del mondo letterario che ora la celebra, ma di articolare i suoi pensieri e le sue esperienze e renderli riconoscibili agli altri. 

Zambreno ha ricordato un momento di "Happening" in cui Ernaux va in biblioteca per fare una ricerca sull'aborto, ma non trova nessun libro che ne parli. La Ernaux ha spiegato che i libri l'hanno "nutrita e nutrita" fin dall'infanzia e che era sensibile sia a ciò che non includevano sia a ciò che includevano. "Happening" era di per sé una sorta di correttivo, e confidava che avrebbe avuto una certa risonanza, soprattutto dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade l'estate scorsa. 

La Ernaux ha ricordato la sua difesa del diritto all'aborto, legalizzato dalla Francia nel 1975, e la sua gratitudine per la "sorellanza" di coetanei con cui ha potuto condividere la sua storia. 

Ma nemmeno le discussioni più intime hanno avuto il potere duraturo di inserire le parole in un testo rilegato. Anni dopo, dopo aver abortito, negli anni Duemila, quando ho scelto di scrivere di quello che chiamavo un "evento" o un "fatto", la gente mi chiedeva "perché sei tornata su questo argomento?"", ha detto. "E questo perché avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che aveva bisogno di essere annullato, di essere guardato, di essere esplorato. Ed era solo attraverso la narrazione che quell'"accadimento" poteva essere guardato in quel modo"

Fonte: AP 

11/10/22

L'incredibile, esponenziale, aumento di suicidi nell'esercito americano (soprattutto in Alaska)

La celebre scena del soldato "Palla di Lardo" in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick

 

L'aumento dei tassi di suicidio tra i membri del servizio attivo ha costretto il Pentagono a rivedere i protocolli militari per la salute mentale. Ma molti membri del servizio in crisi hanno ancora paura di farsi avanti e ammettere di aver bisogno di aiuto. E coloro che cercano aiuto si trovano spesso a combattere contro il radicato stigma che circonda i problemi di salute mentale, gli ostacoli burocratici e la pressione interna per rimanere in servizio. 

Il Pentagono ha creato un comitato indipendente per rivedere i programmi di salute mentale e di prevenzione dei suicidi dell'esercito. Allo stesso tempo, una rete di organizzazioni caritatevoli vicine ai militari ha cercato di colmare le lacune con una serie di programmi e iniziative di sensibilizzazione. 

Dopo aver terminato una missione in Afghanistan nel 2013, Dionne Williamson si sentiva emotivamente insensibile. Altri segnali d'allarme sono apparsi durante i diversi anni di permanenza all'estero. "È come se mi fossi persa da qualche parte", ha detto Williamson, un capitano di corvetta della Marina che ha sperimentato disorientamento, depressione, perdita di memoria e stanchezza cronica. Sono andato dal mio capitano e ho detto: "Signore, ho bisogno di aiuto. C'è qualcosa che non va"

Mentre il Pentagono cerca di affrontare la spirale dei tassi di suicidio nei ranghi militari, l'esperienza di Williamson fa luce sulla realtà dei membri del servizio che cercano aiuto per la salute mentale. Per la maggior parte di loro, il semplice fatto di riconoscere le proprie difficoltà può intimidire. E ciò che segue può essere frustrante e scoraggiante. 

Williamson, 46 anni, alla fine ha trovato la stabilità grazie a un ricovero di un mese e a un programma terapeutico che prevede l'equitazione. Ma ha dovuto lottare per anni per ottenere l'aiuto di cui aveva bisogno. "Mi chiedo come io abbia fatto a sopravvivere", ha detto

A marzo, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin ha annunciato la creazione di un comitato indipendente per rivedere i programmi di salute mentale e di prevenzione dei suicidi dell'esercito. 

Secondo i dati del Dipartimento della Difesa, i suicidi tra i membri del servizio attivo sono aumentati di oltre il 40% tra il 2015 e il 2020. Il numero è aumentato del 15% solo nel 2020. In posti da tempo caldi per i suicidi come l'Alaska - dove i membri del servizio e le loro famiglie devono fare i conti con un isolamento estremo e un clima rigido - il tasso è raddoppiato. 

Uno studio del 2021 del Cost of War Project ha concluso che, dall'11 settembre, il numero di membri del servizio e di veterani morti per suicidio è quattro volte superiore a quello dei caduti in combattimento.

Lo studio descrive in dettaglio i fattori di stress specifici della vita militare: "l'elevata esposizione ai traumi (mentali, fisici, morali e sessuali), lo stress e il burnout, l'influenza della cultura maschile egemonica dell'esercito, il continuo accesso alle armi e la difficoltà di reintegrarsi nella vita civile".

Il Pentagono non ha risposto alle ripetute richieste di commento. 

Ma Austin ha riconosciuto pubblicamente che le attuali offerte del Pentagono in materia di salute mentale, compreso l'Ufficio per la prevenzione dei suicidi della Difesa istituito nel 2011, si sono rivelate insufficienti. "È imperativo prendersi cura di tutti i nostri compagni di squadra e continuare a ribadire che la salute mentale e la prevenzione dei suicidi rimangono una priorità fondamentale", ha scritto Austin a marzo. "È chiaro che abbiamo ancora del lavoro da fare". L'anno scorso l'Esercito ha emanato nuove linee guida per i suoi comandanti su come gestire i problemi di salute mentale nei ranghi, con tanto di diapositive e copione. Ma rimangono sfide impegnative a lungo termine. 

La situazione in Alaska è particolarmente grave. A gennaio, dopo una serie di suicidi, il sergente maggiore Phil Blaisdell si è rivolto ai suoi soldati in un emozionante post su Instagram. "Quando il suicidio è diventato la risposta?", ha chiesto. "Per favore, mandatemi un DM se avete bisogno di qualcosa. Per favore." 

La senatrice statunitense Lisa Murkowski, R-Alaska, ha affermato che, mentre il distacco in Alaska può essere un sogno per alcuni membri del servizio, per altri è un incubo solitario che deve essere affrontato.  

"Bisogna prestare attenzione a questo aspetto quando si vedono le statistiche balzare così in alto", ha detto Murkowski. "In questo momento, ci sono tutti. I capi di Stato Maggiore guardano l'Alaska e dicono: "Santo cielo, cosa sta succedendo lassù?"". 

o stress di un incarico in Alaska è aggravato dalla carenza di terapisti sul campo. Durante una visita alla Joint Base Elmendorf-Richardson in Alaska all'inizio di quest'anno, il Segretario dell'Esercito Christine Wormuth ha ascoltato gli operatori sanitari della base che dicono di essere a corto di personale, di essere esauriti e di non poter vedere i pazienti tempestivamente. Se un soldato cerca aiuto, spesso deve aspettare settimane per un appuntamento. 

 "Abbiamo persone che hanno bisogno dei nostri servizi e non possiamo raggiungerle", ha detto un consulente di lunga data a Wormuth durante una riunione. "Abbiamo bisogno di personale e finché non lo avremo, continueremo ad avere soldati che muoiono". 

Il torneo annuale di pesca di combattimento a Seward, in Alaska, è stato creato per "far uscire i ragazzi dalle caserme, portarli fuori dalla base per un giorno e farli uscire dalla loro testa", ha detto il cofondatore Keith Manternach. Il torneo, iniziato nel 2007 e che ora coinvolge più di 300 membri del servizio, prevede una giornata di pesca in acque profonde seguita da un banchetto celebrativo con premi per la cattura più grande, la cattura più piccola e la persona che si ammala di più. "Penso che ci sia un enorme elemento di salute mentale", ha detto Manternach. 

Non è solo in Alaska. Il sergente Antonio Rivera, un veterano di 18 anni che ha completato tre missioni in Iraq e un anno a Guantanamo Bay, a Cuba, riconosce liberamente di soffrire di un grave disturbo da stress post-traumatico. "So di aver bisogno di aiuto. Ci sono dei segnali e ho aspettato abbastanza", ha detto Rivera, 48 anni, assegnato a Fort Hood in Texas. "Non voglio che i miei figli soffrano perché non sono andato a cercare aiuto".

Sta facendo yoga, ma dice di aver bisogno di più. È riluttante a cercare aiuto all'interno dell'esercito. "Personalmente mi sentirei più a mio agio se potessi parlare con qualcuno all'esterno", ha detto. "Mi permetterebbe di aprirmi molto di più senza dovermi preoccupare di come questo possa influire sulla mia carriera". 

Altri che parlano dicono che è difficile ottenere assistenza. 

10/10/22

Carrère: "Limonov sarebbe potuto diventare anche lui come Putin"

 

Eduard Limonov a Parigi nel 1987


Credo che in ore come queste, in cui sempre di più ci si interroga sullo spirito dell'anima russa, sulle contraddizioni e lacerazioni di quel popolo, sulla sua storia monumentale e incomprensibile, sulle ragioni del suo popolo, sui regimi che negli ultimi secoli si sono alternati al potere assoluto di quella sterminata nazione, dagli Zar a Putin, sia quanto mai utile ritornare al grande libro di Emmanuel Carrère, che sotto le sembianze della biografia di un personaggio perennemente sopra le righe come Eduard Limonov, costruisce un saggio aggiornato, significativo, penetrante, sullo spirito russo, arrivando - nella narrazione, fino al 2010, ad "era Putin" inoltrata. 

Ed è forse particolarmente utile rileggere una delle ultimissime pagine, nelle quali Carrère traccia un bilancio della vita di questo uomo senza pace, poeta, dissidente, politico, soldato, intellettuale, bohèmien, donnaiolo, dissoluto, continuamente mosso da un bisogno di notorietà, da un bisogno di differenziarsi dalla massa dei "normali", invidioso dei potenti e dei famosi, solidale con i reietti e i perdenti, del tutto incoerente nella sua estrema coerenza. 

Carrère disegna in questa pagina una bruciante somiglianza tra il suo eroe, "perdente" sempre e Vladimir Putin, mettendo in luce ciò che li accomuna. Rileggiamo:

A Putin penso parecchio, mentre si avvicina la fine di questo libro. E più ci penso, più ritengo che il dramma di Eduard (Limonov ndr),sia stato credere di essersi sbarazzato dei vari capitani Levitin che gli avevano avvelenato la giovinezza e vedersi invece parare davanti, tanti anni dopo e quando credeva di avere ormai la strana spianata, un super capitano Levitin: il tenente colonnello Vladimir Vladimirovic (Putin ndr.)

In occasione della campagna presidenziale del 2000 è stato pubblicato un libro di colloqui con Putin il cui titolo, in originale, è "In prima persona".  (...)

Dicono che Putin parli in politichese: non è vero. Putin fa quello che dice, dice quello che fa, e quando mente è così spudorato che non ci casca nessuno.  Se si esamina la sua vita, si ha l'inquietante sensazione di trovarsi di fronte a un doppio di Eduard.

Putin è nato in una famiglia dello stesso tipo di quella di Eduard, soltanto dieci anni dopo: padre sottoufficiale, madre donna delle pulizie, tutti accalcati dentro la stanza di una kommunalka. Ragazzino gracile e introverso, è cresciuto nel culto della patria, della grande guerra patriottica, del KGB, della fifa che esso incuteva a tutti quei senza palle di occidentali. 

Da adolescente è stato, per usare le sue stesse parole, un teppistello, e se non è diventato un delinquente, lo deve soltanto al judo, a cui si è dedicato con tanta intensità che i suoi compagni ricordano ancora le terribili urla provenienti dalla palestra dove si allenava, da solo, la domenica. 

E' entrato negli organi per romanticismo, perché essi annoveravano uomini eccezionali che difendevano la patria, e lui era orgoglioso di diventare uno di loro. 

Ha diffidato della perestrojka, non ha mai sopportato che masochisti o agenti della CIA facessero tante storie per i gulag e i crimini di Stalin, la fine dell'impero è stata per lui la più grande catastrofe del ventesimo secolo, e ancora adesso la pensa così. 

Nel caos dei primi anni '90 si è ritrovato dalla parte dei perdenti, dei beffati, ridotto a fare il tassista. Adesso che è al potere adora, come Eduard, farsi fotografare a petto nudo, i muscoli in evidenza, con addosso i pantaloni della tuta mimetica e un coltello da commando alla cintura.

Come Eduard è freddo e astuto, sa che l'uomo è un lupo per gli altri uomini, crede solo nel diritto del più forte, nell'assoluto relativismo dei valori e preferisce fare paura piuttosto che averla. 

Come Eduard disprezza i frignoni che considerano sacra la vita umana. L'equipaggio del Kursk può impiegare otto giorni a morire asfissiato sul fondo del mare di Barents, le forze speciali possono gasare centocinquanta ostaggi nel teatro della Dubrovka e trecentocinquanta bambini nella scuola di Beslan, ma Vladimir Vladimirovic dà al popolo notizie della sua cagnolina che ha partorito. La cucciolata sta bene: pappa di gusto, bisogna vedere le cose in maniera positiva. 

La differenza tra Putin e Eduard è che Putin ce l'ha fatta. Putin è il capo. 

(...)

Limonov, se si trovasse al posto di Putin, certamente direbbe e farebbe tutto quello che Putin dice e fa. Ma Limonov non è al posto di Putin, e non gli resta che occupare quello, così incongruo per lui, di oppositore virtuoso, difensore di valori in cui non crede (democrazia, diritti umani e stronzate del genere) al fianco di persone oneste che incarnano tutto quello che lui ha sempre disprezzato.  Non esattamente uno scacco matto, ma certo, in queste condizioni, non è semplice saper stare al proprio posto.


10 e lode. 



09/10/22

L'ultimo giorno di vita di John Lennon e le sue ultime incredibili parole


Come trascorse l'ultima giornata di vita di John Lennon, uno dei più grandi musicisti della storia, assassinato da Mark David Chapman, lo squilibrato che gli sparò davanti al portone della sua casa di New York la sera dell'8 dicembre del 1980 ? 

Anche quel tragico 8 dicembre John, che ebbe una vita sempre movimentatissima, non si fermò un attimo. Come raccontò in seguito sua moglie Yoko Ono, quella fu una bellissima giornata a New York, il cielo era terso e l’aria era frizzante: la coppia aveva una marea di impegni in programma, tra i quali uno shooting fotografico, un’intervista e un’altra session di lavoro alla loro canzone Walking On Thin Ice presso gli studi Record Plant.

Dopo aver fatto colazione al Café La Fortuna insieme a Yoko, John Lennon andò al Viz-à-Viz per farsi dare una sistemata ai capelli: quando uscì fuori dal salone, l’artista aveva un nuovo taglio in stile retrò, che ricordava molto quello che aveva all’inizio della sua carriera. Subito dopo tornò nel suo appartamento, dove la fotografa Annie Leibovitz stava allestendo il set per lo shooting fotografico che avevano già iniziato la settimana precedente. Il produttore David Geffen aveva fatto in modo che John e Yoko ottenessero la prossima copertina di Rolling Stone, ma l’editore Jann Wenner cercò di realizzare una cover dedicata esclusivamente all’ex dei Beatles. In ogni caso, la fotografa che si occupò del servizio fotografico in seguito raccontò che non avrebbe mai dimenticato quella giornata: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.

Quella mattina Yoko Ono non posò per le foto insieme al marito: aveva deciso di farsi da parte per lasciare la copertina a lui, ma la fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un tenero bacio e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 – spiegò – sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”. Alla fine John e Annie decisero di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie che invece era vestita, in posizione fetale. La fotografa così li immortalò in questa posa sul pavimento color crema del loro salotto.

La fotografa inizialmente fece una prova con una Polaroid e John ne fu entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”, disse il musicista. Annie quel giorno scattò un intero rullino, sia a John e Yoko insieme, sia a lui da solo, in varie stanze della sua casa. Una volta terminato il servizio fotografico, John scese al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko Ono, lo attendava il team di RKO Radio per un’intervista con Dave Sholin. A lui raccontò la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.

Dave Sholin rimase affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile – disse in seguito di quell’incontro – non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parlò anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko – disse – perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti

A Sholin parlò poi della sua musica, spiegando di pensare alla sua carriera come un percorso continuo: “Ho sempre considerato il mio lavoro come un'opera unica – disse – sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. Queste parole oggi fanno un certo effetto, considerando che John Lennon morì poco dopo averle pronunciate. Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata - proseguì – sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.

Dopo l’intervista, John e Yoko uscirono e la strada sotto la loro casa era stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, chiese infatti il musicista che, nel frattempo, era stato raggiunto dal fotografo e suo grande amico Paul Goresh che doveva fargli vedere alcuni scatti che aveva realizzato di recente. A quel punto si avvicinò un fan e gli chiese un autografo sulla copertina di una copia di Double Fantasy: questo momento fu immortalato da Goresh. Nessuno poteva immaginare che quel fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato solo cinque ore più tardi avrebbe ucciso Lennon, sconvolgendo il mondo.

Ignaro del suo destino, l’ex dei Beatles salì in macchina e andò con sua moglie agli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas li stava aspettando per lavorare a Walking On Thin Ice, un brano composto da Yoko Ono al quale John collaborò, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, il musicista era pienamente soddisfatto e molto entusiasta del risultato: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa – disse alla moglie – è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”. In realtà i produttori gli suggerirono di pubblicarlo dopo le feste e di fare le cose per bene, considerando anche che Double Fantasy stava continuando a scalare le classifiche britanniche, cosa alla quale John Lennon teneva particolarmente. In quei giorni era molto felice anche perché finalmente Yoko Ono stava iniziando ad attirare l’interesse della stampa e della critica e di questo era molto orgoglioso.

Dopo aver completato il lavoro, la coppia e il produttore si diedero appuntamento al mattino seguente per gli ultimi ritocchi. John e Yoko erano esausti perché in quelle ultime settimane avevano lavorato senza sosta, così decisero di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché era tardi, però, alla fine preferirono tornare subito a casa per augurare la buonanotte al figlio Sean che era con la babysitter. Alla cena ci avrebbero pensato dopo: salirono così nella limousine che li riportò a casa e scesero davanti alla loro residenza, il Dakota. Yoko scese per prima e si avviò verso il portone, mentre John la seguiva, portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice.

Erano le 10:45 di una serena notte newyorkese quando la quiete fu interrotta dallo sparo che uccise Lennon. A premere il grilletto fu proprio quel fan che poche ore prima gli aveva chiesto un autografo. Pochi minuti dopo il canale ABC diede la terribile notizia, interrompendo il big match di football tra i New England Patriots e i Miami Dolphins. John Lennon morì prima di arrivare in ospedale e ben presto la strada dove abitava si riempì di fan sconcertati.

Alcuni giorni dopo, il 14 dicembre, su richiesta di Yoko Ono alle 2 del pomeriggio fu organizzata una veglia di preghiera: la donna invitò tutti a partecipare e in tutto il mondo le radio osservarono dieci minuti di silenzio in onore del grande artista. A Liverpool si radunarono circa 30mila fan, mentre 50mila persone si riunirono a Central Park per ricordare quell’uomo che aveva definito New York come la sua casa. Quel giorno tutti i progetti di John Lennon andarono in frantumi e la storia della musica cambiò per sempre.


Fonte: VirginRadio.it