Da tempo giravo intorno a quello che viene unanimemente considerato il capolavoro probabilmente massimo della letteratura sudamericana, un po' intimorito.
Il paragone con l'Ulisse di Joyce - di cui Grande Sertao viene considerato a maglie larghe l'equivalente latino - comportava il misurarsi con una lettura impegnativa.
Lo è stato.
Grande Sertao è un libro mirabile ma difficile, nel quale bisogna entrare gradatamente, lasciandosi coinvolgere dal suo flusso narrativo ininterrotto, che si sviluppa nel corso di 500 densissime pagine, nelle quali manca del tutto un qualsiasi riferimento a paragrafi, capitoli o parti. In cui perfino i capoversi sono assai rari. In cui anche i dialoghi sono quasi sempre inseriti direttamente dentro il magma del racconto, il quale ha una unica voce recitante in un tempo sospeso e non definito storicamente: quella dell'avventuriero Riobaldo, conosciuto anche come Tataranà nella prima parte del libro e come Urutù Bianco nella seconda parte, il quale si rivolge ad una non definita 'vossignoria', la cui identità fino all'ultima pagina, non verrà mai svelata.
João Guimarães Rosa, nato nello stato brasiliano del Minas Gerais, nel 1908 e morto a Rio de Janeiro, nel 1967, lavorò incessantemente a Grande Sertao per un decennio, che costituisce una opera-mondo: narra la storia di due personaggi Riobaldo, appunto, il narratore, e Reinaldo detto Diadorim.
Diadorim amico d'infanzia di Riobaldo è il figlio di Joca Ramiro, un capobanda di jagunços, avventurieri che si spostano continuamente lungo le immensità del territorio brasiliano, guerreggiando contro bande nemiche, innamorandosi, tra continue avventure e sparatorie.
Riobaldo tesse la storia della sua vita in un discorso di scoperta e autoconoscenza, scoprendo il mondo del sertão; si rivela come se dicesse il sertão sono io per identificarsi. In queste pericolose traversie, Riobaldo confronta le forze del bene e del male, incorporando nel flusso della memoria il filo della sua vita che non segue un racconto lineare.
Il rapporto con Diadorim, alter-ego conturbante del protagonista, con i capi sotto i quali gli tocca combattere, quello con Otacilia, una lontana innamorata, con i fazenderos, esasperati dalle tirannie dei capibanda locali, ma soprattutto con il Sertao, vera anima vivente del racconto. Il Sertao, con la sua natura selvaggia e senza freni, con i suoi animali, i silenzi, le imboscate, le piogge torrenziali, il sole che spacca le pietre, è il grande teatro sul quale si agita la vita convulsa e scellerata di Riobaldo, all'insegna della ricerca della propria vera identità.
Un'opera magna e stupefacente che stordisce e lega il lettore pagina dopo pagina, trasportandolo in un mondo surreale e lontano, senza tempo.
Più che a Joyce, in realtà, si pensa spesso a Cervantes.
Un grande libro, che resta.
Fabrizio Falconi
Feltrinelli Universale economica Edizione: 14 Anno edizione: 2017