31/08/22

L'incredibile Karma di Roman Polanski sull'America

 

Roman Polanski contestato dal gruppo delle "Femen" qualche anno fa a Parigi

Trovo una vecchia intervista a Roman Polanski, rilasciata a Panorama il 9 gennaio 1975 (il Panorama di Lamberto Sechi) e salto sulla sedia quando trovo questo passaggio:
(Ricordo che nel 1975 sono passati soltanto 6 anni dal massacro di Cielo Drive, in cui Manson e la sua banda ha ucciso la moglie di Polanski, Sharon Tate incinta a due settimane dal parto e i suoi amici. L'intervistatore dunque chiede al regista: "Ma lei non se l'è presa con l'America (dopo l'assassinio della moglie, Sharon Tate)? Polanski risponde così:)
"Non sono così primitivo. Amo l'America. L'America è un'esperienza nella storia dell'umanità, forse la sola che abbia funzionato. E' l'unico paese veramente democratico... quello che è successo è il prezzo che si paga per la libertà, per la democrazia... Davvero bisogna vivere in America per ammirare questo paese. Quando leggo un fatto di cronaca, mi dico sempre che SE DOVESSI ESSERE ARRESTATO DALLA POLIZIA, PER UNA RAGIONE GIUSTA O INGIUSTA, PREFERIREI CHE SUCCEDESSE IN AMERICA PIUTTOSTO CHE IN QUALSIASI ALTRO PAESE. Ed è già molto. E' un paese in cui LA LEGGE FUNZIONA: se ne può criticare l'applicazione, non il principio."
E' stupefacente la quantità di Karma presente in questa frase:
Come è noto infatti, SOLTANTO 2 ANNI DOPO il rilascio di questa intervista, nel 1977, Polański venne accusato a Los Angeles di "violenza sessuale con l'ausilio di sostanze stupefacenti" ai danni di una ragazzina di tredici anni e undici mesi, Samantha Geimer, modella, figlia di una conduttrice televisiva; il fatto avvenne nella villa di Jack Nicholson. L'accusa comprendeva in tutto sei capi d'imputazione.
A causa dell'età della vittima, fu prescritta ai sensi di legge, una perizia psichiatrica del reo, per la quale Polanski fu mandato per 90 giorni nella prigione di Stato californiana a Chino. Dopo 42 giorni Polański venne rilasciato anticipatamente con una valutazione che consigliava una pena detentiva con la condizionale, quindi senza più detenzione. Quando emerse che il giudice non avrebbe seguito la proposta, il regista dagli Stati Uniti fuggì a Londra. Poco dopo si trasferì a Parigi per evitare l'estradizione da parte del Regno Unito. Da allora, cioè da 45 ANNI, evita l'ingresso negli Stati Uniti, nonché negli stati dai quali può temere l'estradizione. Dato che dal 1975 possiede la cittadinanza francese, non può essere estradato dalla Francia agli Stati Uniti.
Più volte, nel corso degli ultimi decenni, Polanski si è dichiarato fortemente "perseguitato dalla giustizia americana".

Fabrizio Falconi - 2022

30/08/22

12 Settembre 1928: Muore Italo Svevo, gigante della letteratura italiana, "ebreo a metà"

 


Sta per avvicinarsi l'anniversario della morte di uno tra i più grandi scrittori italiani di sempre. 

Il 13 settembre 1928, infatti, Italo Svevo morì, alcuni giorni dopo essere rimasto ferito in un incidente stradale a Motta di Livenza, vicino alla natia Trieste. Aveva 68 anni.

Questo è il ricordo che ne fa il quotidiano israeliano Haaretz: 

Sebbene Svevo abbia scritto per la maggior parte della sua vita, è stato solo in tarda età che la critica si è accorta di lui e i lettori hanno iniziato a comprare i suoi libri. Questo piacevole cambiamento era avvenuto in gran parte grazie agli sforzi di James Joyce, che si era dato da fare per far tradurre dall'italiano e pubblicare all'estero le opere del suo vecchio amico.

Aron Ettore Schmitz, come era stato chiamato alla nascita, era nato il 19 dicembre 1861 a Trieste, allora parte dell'Austria. (Pochi anni dopo entrò a far parte dell'impero austro-ungarico; dopo la prima guerra mondiale fu annessa all'Italia). Era il sesto degli otto figli di Francesco Schmitz, un commerciante tedesco-ebraico di articoli in vetro, e della ex Allegra Moravia, un'ebrea originaria di Trieste.

Aron crebbe parlando il tedesco e il dialetto triestino dell'italiano. Come ha notato il suo biografo P.N. Furbank, il nome di penna "Italo Svevo" - che significa "Italus lo Svevo" - era un'indicazione dell'identità "ibrida" che Schmitz sentiva.

Frequentò la scuola elementare ebraica, dopodiché fu mandato in un collegio di lingua tedesca vicino a Wuerzburg, in Baviera. Dopo aver conseguito il diploma di scuola secondaria, nel 1880, voleva lavorare solo come scrittore. Il padre, però, si aspettava che entrasse nel mondo degli affari e lui tornò a Trieste per iniziare gli studi all'Istituto Superiore Revoltella, una scuola commerciale.

Francesco Schmitz, nel frattempo, investì tutto il suo capitale in un'azienda di soffiatura del vetro che, quando fallì, lo lasciò non solo in bancarotta ma anche a malapena in grado di funzionare.

Per mantenere la famiglia, Ettore lasciò la scuola e iniziò a lavorare nel reparto corrispondenza commerciale della Unionbank di Vienna, a Trieste, lavoro che mantenne per i successivi 18 anni. Tutto il tempo libero di Svevo, però, era dedicato alla lettura e alla scrittura, e iniziò a pubblicare racconti e saggi quasi nello stesso periodo in cui iniziò a lavorare in banca.

La sua esperienza in banca gli servì anche come materiale per il suo primo romanzo, "Una vita", completato nel 1888, che riguarda un impiegato di banca che insegue la figlia del suo capo, per poi fuggire da lei quando lei lo accetta. Come tutti gli altri suoi primi romanzi, "Una vita" fu autopubblicato.

Nel 1896, dopo la morte di entrambi i genitori, Svevo sposò Livia Veneziane, una cugina e una cattolica romana praticante. Egli stesso non era interessato alla vita religiosa - insistette per una cerimonia nuziale laica - ma dopo che Livia si ammalò gravemente, dopo la nascita del loro primo figlio, e immaginò che la sua malattia fosse una punizione per aver sposato un ebreo, Svevo si offrì di sottoporsi al battesimo.

Dopo aver pubblicato il suo secondo romanzo, "Senilità" (in inglese "As a Man Growser Older"), nel 1898, e aver visto che non aveva avuto successo, Svevo decise di smettere di pubblicare, pur continuando a scrivere. Come spiegò: "Scrivere si deve. Quello che non si deve fare è pubblicare".

L'anno successivo iniziò a lavorare per il suocero, proprietario di una fabbrica di vernici marine di grande successo. Per 25 anni non pubblicò nulla.

Avendo l'incarico di aprire una filiale dell'azienda di vernici in Inghilterra, Svevo iniziò a prendere lezioni di inglese alla scuola Berlitz di Trieste, dove il suo insegnante era un giovane James Joyce.

Joyce, che conosceva Ettore come "Hector", condivise con il suo studente alcune sezioni del suo "Dubliners" e Svevo ricambiò con alcuni dei suoi lavori. Joyce lo esortò a continuare a scrivere e Svevo autopubblicò in italiano quello che divenne il suo romanzo più famoso, "Le Confessioni di Zeno", nel 1923.

Nuovo tipo di romanzo, "Confessioni" è il libro di memorie di Zeno Cosini, scritto su richiesta del suo psicanalista, al quale si era rivolto per capire la sua dipendenza dal tabacco.

Joyce mostrò "Confessioni" a due critici francesi, che ne organizzarono la pubblicazione nel loro Paese. L'accoglienza entusiastica che ebbe in quel paese indusse la critica italiana a riconsiderare l'opera di Svevo, che finalmente, in quelli che finirono per essere gli ultimi anni di vita, cominciò a ricevere i riconoscimenti che prima gli erano sfuggiti.

Il 12 settembre 1928, mentre torna con la famiglia da un periodo di cure termali a Bormio, Svevo è coinvolto in un incidente stradale presso Motta di Livenza (provincia di Treviso), in cui rimane ferito apparentemente in maniera non grave

Nella vettura ci sono il nipote Paolo Fonda Savio, l'autista e la moglie Livia. 

Secondo la testimonianza della figlia Svevo si sarebbe fratturato solo il femore, ma mentre viene portato all'ospedale del paese ha un attacco di insufficienza cardiaca con crisi respiratoria, anche se non muore immediatamente. 

Raggiunto il nosocomio peggiora rapidamente: in preda all'asma, muore 24 ore dopo l'incidente, alle 14:30 del 13 settembre. La causa del decesso sono asma cardiaco sopraggiunto per l'enfisema polmonare di cui soffre da tempo e lo stress psicofisico dell'incidente.

Il quarto romanzo, Il vecchione o Le confessioni del vegliardo, una "continuazione" de La coscienza di Zeno, rimarrà incompiuto. 

29/08/22

Le incredibili circostanze che consentirono a Roman Polanski di salvarsi dall'Olocausto quando aveva 10 anni. L'emozionante incontro con i nipoti dei suoi salvatori

 

Roman Polanski adolescente, nel dopoguerra

Salvarono Roman Polanski durante la Shoah ed ora sono 'Giusti tra le nazioni', il massimo riconoscimento con cui il Mausoleo della Memoria di Yad Vashem a Gerusalemme onora chi ha protetto gli ebrei dai nazisti a rischio della propria vita. 

In Polonia un nipote di Stefania e Jan Buchala, la coppia di contadini cattolici che nascosero il piccolo Roman e lo salvarono, hanno ricevuto la legittimazione pubblica di un atto di grande coraggio. 

Quella di Polanski è una storia dal passato travagliata. Nato a Parigi nel 1933 da genitori polacchi - padre ebreo, Maurycy Liebling (in seguito Polanski), e madre cattolica, ma di origini ebraiche, Bula Katz-Przedborska - Polanski nel 1937, quando aveva solo 4 anni,  fu riportato in Polonia, mentre già la persecuzione anti ebraica era oramai all'apice nella vicina Germania e la guerra non sembrava poi così lontana.

Una scelta per molti versi incomprensibile e fatale, motivata, sembra, dal fatto che il padre di Roman temeva la persecuzione degli ebrei da parte dei francesi, sottovalutando in modo incredibile quel che stava succedendo in Germania, alle porte del suo paese. Non appena i tedeschi conquistarono la Polonia infatti, la sua famiglia fu confinata nel Ghetto di Cracovia: il padre fu poi deportato a Mauthausen mentre la madre finì ad Auschwitz. 

Roman Polanski con il padre Maurycy, sopravvissuto a Mauthausen, negli anni '70


Ma prima, i genitori cercarono di mettere in salvo il figlio, fiduciosi che potesse nascondersi in mezzo al resto della popolazione polacca. 

L'occasione fu fornita dalla madre: in quanto donna delle pulizie impiegata nel Castello Reale di Wawel, residenza del governatore nazista della Polonia Hans Frank in pieno centro di Cracovia, la donna poteva uscire dal Ghetto con un permesso

In una circostanza favorevole riuscì a portare con sé Roman insegnandogli la strada per arrivare all'appartamento di Heinrich e Casimira Wilk, una coppia di amici di famiglia cattolici

Nel marzo del 1943, prima di essere deportati, il padre portò il ragazzo nei pressi del reticolato che circondava il Ghetto e, dopo aver tranciato il filo metallico, lo fece scappare indirizzandolo verso la casa dei Wilk. 

Da loro Polanski restò nascosto per un certo periodo prima di essere trasferito da un'altra coppia di cattolici, Boleslav e Yadwiga Putek. Ma fu solo una tappa: la destinazione finale fu un isolato villaggio vicino Cracovia dove vivevano Stefania e Jan Buchala, poveri contadini con già tre figli. 

Roman Polanski sopravvisse ai nazisti e, alla fine della guerra, si riunì al padre scampato alla morte a Mauthausen. Ma non rivide più la madre, uccisa ad Auschwitz. 

Nella deposizione per Yad Vashem, il regista - come ricorda Haaretz - ha scritto: "Stefania, senza alcuna ricompensa, solo per amore degli altri, ha messo a rischio la sua vita, quella del marito e dei suoi figli, nascondendomi a casa sua per quasi 2 anni. Durante questo tempo, nonostante la povertà e la penuria di di cibo per la sua famiglia, mi ha nascosto e nutrito. Dopo la guerra, come regista, ho viaggiato per due volte in Polonia nel villaggio vicino Cracovia. Sfortunatamente non ho trovato nessun segno di vita da parte loro".

Stefania e Jan erano infatti morti entrambi nel 1953 e sepolti in una tomba poi svuotata per far posto ad altri deceduti. Ma il regista non si è arreso: dopo infinite ricerche e indagini negli archivi, ha finalmente rintracciato un loro congiunto

E quindi è stato Stanislaw Buchala a ricevere il riconoscimento di Yad Vashem a nome dei parenti che hanno salvato un piccolo ragazzino ebreo diventato un grande regista

Roman Polanski con Stanislaw Buchala, nipote della coppia di contadini che salvarono la vita a lui, bambino


Polanski utilizzò i suoi ricordi di bambino nel suo film più commovente, Il Pianista, e recentemente è tornato in patria paterna realizzando, nel ruolo di protagonista e non dietro la macchina da presa, il documentario Polanski Horowitz Hometown. Nonostante i suoi 89 anni appena compiuti, lo scorso 18 agosto, il regista resta sempre attivo e questo documentario è stato premiato al Festival di Cracovia. 

Ma qual è la trama di questa opera? Accompagnato dal suo amico di sempre e sopravvissuto alla Shoah, uno degli ebrei salvati da Oskar Schindler, il celebre fotografo Ryszard Horowitz che conobbe, durante la guerra, nel Ghetto di Cracovia, Polanski si è confrontato con il suo doloroso passato

Come ha sottolineato Mateusz Kudla, regista e produttore del documentario, messo in atto assieme ad Anna Kokoszka Romer, il filmato si concentra “sulla memoria, sul destino e sul trauma. Attraverso questi due personaggi, che hanno avuto la fortuna di sopravvivere, – ha proseguito Kudla in un’intervista all’Agenzia di stampa francese France Press (AFP) – abbiamo voluto mostrare la tragedia di tutti gli abitanti del Ghetto che non ce l’hanno fatta”. 

Il documentario è forte ed emozionante in alcune scene. Infatti, in una delle sequenze, Polanski ricorda di aver visto un ufficiale nazista sparare a una donna anziana, con il sangue che schizzava dappertutto. “Terrorizzato, corsi attraverso il corridoio dietro di me e mi nascosi nelle scale” ha rievocato il regista nel filmato. Nonostante all’epoca avesse solo sette anni, quando la Seconda Guerra Mondiale cominciò, Roman ha trattenuto nella memoria ogni dettaglio. 

All’amico Horowitz, Polanski racconta che quell’episodio fu “il mio primo incontro con l’orrore”. 

Polanski a 18 anni con un amico

Un momento molto commovente della pellicola è l’incontro fra Polanski, visibilmente commosso, e i nipoti di Stefania e Jan Buchala, i contadini polacchi cattolici che lo nascosero dai nazisti.

Come ha puntualizzato il Times of Israel, il documentario Hometown si concentra sull’infanzia di Polanski, evitando qualsiasi riferimento agli scandali da lui vissuti, che l’hanno bandito da Hollywood e gli precludono il ritorno in America per “timore di essere arrestato”. Soddisfatti del lavoro svolto, i registi Mateusz Kudla e Anna Kokoszka Romer hanno dichiarato che “si tratta di qualcosa che rende Roman Polanski testimone della storia e utile a impedire che tutto questo possa accadere di nuovo in futuro”. Si sono poi augurati che presto il documentario possa essere distribuito e disponibile online o in streaming.

28/08/22

25 anni dalla morte di Diana Spencer: una morte piena di misteri. La collisione con una Fiat uno bianca mai rintracciata

La famosa foto scattata da uno dei paparazzi che inseguivano la macchina di Diana e Dodi pochi secondi prima dell'incidente mortale 


Fra 3 giorni l'anniversario - il 25mo - della morte di Diana Spencer.  Nonostante sia passato molto tempo non accenna a diminuire l'interesse per una donna a cui sono stati dedicati film, opere, serie tv, e per la sua morte ancora piena di misteri.

Ripercorriamone le circostanze:

Il 31 agosto 1997, Diana muore in un incidente stradale a Parigi, nel tunnel della corsia Georges-Pompidou sotto Place de l'Alma, dove viaggiava con il suo compagno Dodi Al-Fayed e il loro autista, Henri Paul, e Trevor Rees-Jones, guardia del corpo di Al-Fayed.

Ingresso est del ponte Alma. Il giorno prima, il 30 agosto, Diana e Dodi avevano lasciato la Sardegna, dove avevano trascorso la fine delle loro vacanze, a bordo del jet privato Gulfstream IV, con i colori verde e oro dei negozi Harrods. Sono atterrati alle 15.20 all'aeroporto di Le Bourget provenienti da Olbia . Mentre riposavano nell'hotel privato di Dodi in Rue Arsène-Houssaye a Parigi, la presenza dei paparazzi li indusse a rinunciare alla cena da Chez Benoît, un ristorante chic del Marais, a favore del ristorante L'Espadon del Ritz in Place Vendôme. Sono arrivati al Ritz alle 21.50 e hanno scelto di cenare nella suite reale del palazzo. Con i paparazzi che li stavano osservando mentre lasciavano il Ritz, Dodi decise di lasciare la propria auto guidata dal suo autista e la Range Rover delle guardie del corpo guidata da Jean-Francois Musa, proprietario della società Étoile Limousines che forniva auto aziendali per il Ritz, simulando la partenza di Diana e Dodi. Hanno preso una seconda uscita, più discreta, e sono entrati in una Mercedes-Benz S280 (W140) con il numero di targa 688 LTV 75 (un'auto esca di Étoile Limousines senza licenza per eludere i paparazzi) guidata da Henri Paul, il direttore della sicurezza del Ritz, con la guardia del corpo Trevor Rees-Jones sul sedile anteriore del passeggero. Ma alcuni paparazzi che non si erano lasciati ingannare dalla manovra diversiva si stavano già avvicinando. La Mercedes, partita alle 12.20, ha percorso la corsia Georges-Pompidou (corsia di destra della Senna) ed è entrata nel tunnel all'altezza del ponte dell'Alma a una velocità stimata tra i 118 e i 155 km/h (velocità determinata da due crash test effettuati dagli esperti del servizio di incidentologia Mercedes-Benz che hanno anche valutato la velocità dell'impatto sul pilastro: 105 km/h37), inseguita da paparazzi e da un motociclista della stampa.

Quando l'auto è entrata nel tunnel alle 0.23, ha sbandato e ha colpito il muro di destra, poi ha deviato sulla carreggiata a due corsie prima di schiantarsi contro il tredicesimo pilastro del ponte che separa l'altra parte delle due corsie in direzione opposta, dove si è spezzata e si è fermata bruscamente. Dodi Al-Fayed e Henri Paul, il conducente, morirono sul colpo; Trevor Rees-Jones rimase gravemente ferito ma sopravvisse grazie all'airbag. Diana è stata salvata dai rottami, ancora viva, e, dopo i primi soccorsi sulla scena, è stata trasportata in ambulanza all'ospedale Pitié-Salpêtrière dove è arrivata poco dopo le 2 del mattino. Durante il tragitto verso l'ospedale, Diana ha subito diversi arresti cardiaci, costringendo i medici a fermare e riavviare il suo cuore. L'ambulanza ha guidato lentamente (40 km/h) e ha impiegato circa 15 minuti per arrivare all'ospedale, poiché una velocità maggiore avrebbe aumentato la pressione sanguigna della vittima e peggiorato le sue condizioni, compresa un'emorragia interna. Una toracotomia d'urgenza ha rivelato un'ampia ferita nella vena polmonare sinistra. Nonostante la chiusura di questa ferita e il massaggio cardiaco interno ed esterno, i medici la dichiararono morta due ore dopo il suo arrivo, alle 4.25 .

La morte di Diana è stata annunciata in una conferenza stampa congiunta dal medico dell'ospedale che l'aveva curata, il professor Bruno Riou, dal Ministro degli Interni, Jean-Pierre Chevènement, e dall'Ambasciatore del Regno Unito in Francia, Sir Michael Jay. Intorno alle 14.00, le due sorelle del Principe Carlo e di Diana (Lady Sarah McCorquodale e Lady Jane Fellowes) sono arrivate a Parigi per l'identificazione e sono ripartite 90 minuti dopo.

Gli esperti americani di medicina d'urgenza hanno criticato i servizi di soccorso francesi per averla curata sul posto (per circa un'ora) invece di portarla d'urgenza in ospedale, affermando che solo un intervento chirurgico d'urgenza avrebbe potuto salvarla. Nessuno saprà mai se sarebbe davvero sopravvissuta, tanto è pericoloso il trasporto di una persona in stato di shock emorragico.

Secondo le prime notizie, l'auto di Diana si è scontrata con il pilastro a oltre 190 km/h e l'ago del tachimetro era bloccato su quella cifra. Viene poi riferito che la velocità dell'auto era in realtà tra i 95 e i 110 km/h, e che il tachimetro non aveva l'ago in quanto digitale (le ultime indagini indicano che la velocità di collisione era tra i 117 e i 152 km/h). L'auto viaggiava quindi ben oltre il limite legale di 50 km/h e molto più velocemente di quanto sarebbe stato prudente nel tunnel dell'Alma. Nel 1999, un'inchiesta condotta dal giudice istruttore Hervé Stephan affidò all'IRCGN la perizia tecnica sui detriti rinvenuti sul posto e concluse che la Mercedes si era scontrata con un'altra auto (una Fiat Uno bianca) che viaggiava nella stessa direzione nel tunnel. Il conducente non si è identificato e l'auto non è mai stata ritrovata.

Secondo gli investigatori, la collisione è stata causata dall'autista che, ubriaco e in velocità, ha cercato di sfuggire ai paparazzi. Le conclusioni dell'inchiesta francese - che Henri Paul era ubriaco - si basavano principalmente sull'analisi dei campioni di sangue, condotta sotto la direzione del professor Ivan Ricordel, che stabilì un livello di alcol tre volte superiore al limite legale (secondo un rapporto dell'ambasciatore Jay del settembre 1997).

Il 3 settembre 1999, i nove fotografi e il motociclista della stampa, accusati di "omicidio colposo e lesioni colpose" e "omissione di soccorso a persone in pericolo", sono stati prosciolti dai giudici, che hanno attribuito l'incidente all'autista Henri Paul, che guidava sotto l'effetto dell'alcol, aggravato dall'uso di antidepressivi.

Una seconda indagine britannica dimostrò che Diana, Dodi, Rees-Jones e Paul non indossavano le cinture di sicurezza. Inoltre, il tunnel del ponte Alma è notoriamente poco illuminato e con scarsa visibilità. I pilastri di cemento al centro della galleria non erano allora protetti per ridurre gli effetti di una collisione. Dopo aver ascoltato 250 testimoni e aver ripercorso le ultime 48 ore della coppia, l'inchiesta giudiziaria britannica si è conclusa il 7 aprile 2008, quando la giuria della Royal Court of Justice ha dichiarato colpevoli di omicidio colposo l'autista e i paparazzi che seguivano l'auto di Diana e Dodi al Fayed. L'incidente "è stato causato o contribuito dalla velocità e dal comportamento del conducente e dalla velocità e dal comportamento dei veicoli che seguivano". Tre fattori avrebbero contribuito alla tragedia: "il fatto che la capacità di giudizio del conducente fosse alterata dall'alcol, che Diana non indossasse la cintura di sicurezza e che l'auto avesse urtato un pilastro" nel tunnel, ha concluso l'inchiesta giudiziaria.

Il 13 luglio 2006, la rivista italiana Chi pubblicò delle fotografie (rubate dal fascicolo dell'inchiesta) che mostravano Diana nei suoi ultimi momenti. La fotografia in bianco e nero mostra Diana che riceve ossigeno tra i rottami dell'auto. Questa fotografia è tratta da Lady Diana: The Criminal Investigation, un libro di Jean-Michel Caradec'h. Nonostante le critiche, l'editore della rivista ha difeso la sua decisione di pubblicarle.

Le famiglie di Dodi Al-Fayed e Henri Paul non hanno accettato i risultati dell'indagine francese. Mohamed Al-Fayed, padre di Dodi, ritiene che la principessa e suo figlio siano stati uccisi in un complotto ordito dall'MI647 e commissionato dal principe Filippo, duca di Edimburgo, che a suo dire non accettava l'idea che i suoi nipoti avessero un patrigno musulmano . Il 6 gennaio 2004 è stata aperta a Londra un'inchiesta giudiziaria condotta da Michael Burgess (en), Coroner della Casa Reale, nota come Operazione Paget. Questa inchiesta è costata quattro milioni di euro all'inizio del 2006. Ha negato punto per punto tutte le accuse mosse dal padre di Dodi Al-Fayed.

Nell'agosto 2013, il Metropolitan Police Service ha indagato sulle accuse mosse durante il processo al sergente Danny Nightingale, un cecchino dello Special Air Service (SAS) condannato per possesso illegale di un'arma, secondo cui la sua unità avrebbe organizzato l'omicidio di Diana Spencer. Nel dicembre 2013, gli investigatori di Scotland Yard hanno annunciato di non aver trovato "alcuna prova credibile" del coinvolgimento delle truppe d'élite dell'esercito britannico nella morte della principessa.

Nel 2017, l'indagine condotta da Pascal Rostain, Bruno Mouron e Jean-Michel Caradec'h, pubblicata nel libro Qui a tué Lady Di? ha rivelato i problemi di stabilità della Mercedes-Benz S280 (W140), che aveva subito un grave incidente nel settembre 1994 ed era stata "restaurata" da un demolitore.

Secondo le informazioni dell'associazione "Mercedes-Benz Classe S W140 C140 France "53 , e dopo aver lanciato una petizione contro l'esposizione del relitto in un museo, la Mercedes-Classe S è stata definitivamente distrutta il 25 gennaio 2019.

Nel suo libro Diana è morta del 2006 e nel suo film Diana et les fantômes de l'Alma del 2007, trasmesso da France 3, Francis Gillery riassume la sua indagine sulla vicenda di Diana e su come questa sia stata una vittima collaterale di un attentato alla sua vita.

19/08/22

Quella volta che George Harrison fu aggredito e colpito da 40 coltellate, mentre si trovava a casa


Ascoltava la musica con le cuffie per cacciare le voci che gli rimbombavano nel cervello

Un ex tossicodipendente da eroina e da metadone. Con una passione: la musica. E un'ossessione: che i Beatles fossero demoni. E prima di loro che lo fossero gli Oasis.

Così Lynda Abram descriveva la sofferenza di suo figlio Michael, l'uomo che quasi uccise George Harrison piantandogli un coltello a un centimetro dal cuore

Un miracolo che il chitarrista dei Beatles fosse sopravvissuto. 

Michael Abram 33 anni, viveva vicino a Liverpool. Quella notte entrò nella casa di Harrison a Henley on Thames, a 70 chilometri da Londra e lo accoltellò. 

La moglie dell'ex Beatle Olivia riuscì a colpirlo con una lampada e i due sono riuscirono a immobilizzarlo fino all'arrivo della polizia. 

Harrison fu ricoverato all'ospedale di Harefield, a ovest di Londra, specializzato in medicina toracica. In un primo tempo era stato portato, con la moglie, al Royal Berkshire Hospital di Reading.

Le sue condizioni comunque non erano gravi. 

"Ho visto mio figlio l'ultima volta ieri - raccontò la signora Abram ai cronisti di un giornale locale - e mi sembrava molto calmo, ma negli scorsi sei mesi è stato malissimo. Ho a lungo cercato di aiutarlo ma è stato come sbattere la testa contro un muro". 

La donna aggiunse che Michael aveva alle spalle una lunga storia di tossicodipendenza, e dal mese di maggio aveva "smesso di usare eroina e anche il metadone", si era rivolto a consulenti psichiatrici che - a suo dire - "non l'hanno aiutato". 

Per la signora Abram "se il servizio sanitario avesse dato retta a Michael, questo (l'attacco agli Harrison) non sarebbe successo". 

"Era solito urlare molto - ha proseguito la 52/enne Lynda - ma non è mai stato violento o aggressivo. Era ossessionato da tanti tipi musica. Diceva di ascoltarla con le cuffie per cacciare le voci dal suo cervello. Settimane fa era fissato con gli Oasis, ora coi Beatles che considerava dei demoni". 

 Secondo la polizia tutto faceva pensare che l'aggressione fosse preparata, e che non si trattò di un tentativo di furto andato male. 

Impressione in qualche modo confermata dalla madre. 



Uno squilibrato, insomma, proprio come quello che l'8 dicembre del 1980, a New York, uccise John Lennon. 

Abram fu subito ricoverato in ospedale per una lesione cranica, con la porta piantonata dai poliziotti che temono possa tentare il suicidio. 

L'episodio fu  subito commentato da Paul McCartney che si disse sconvolto per l'accaduto, rivolgendo o gli auguri all'ex compagno. "Grazie a Dio - ha detto - George e Olivia stanno bene e mando loro tutto il mio affetto". 

Ma già allora restò nell'ombra la maledizione del quartetto di Liverpool e le analogie con la morte di John Lennon. Mark David Chapman, l'assassino del leader dei Betles, che si era appostato in strada, in attesa che lui e Yoko Ono, rientrassero nel loro appartamento, nel "Dakota Building" che si affaccia su Central Park a Manhattan. 

"Hey Mr Lennon" gli disse quella mattina di dicembre del 1980. John si voltò, giusto il tempo di vedere il volto del suo assassino, e cinque colpi di pistola misero fine alla sua vita. Aveva 40 anni. Condannato a 20 anni, Chapman, uno squilibrato ossessionato dal "Giovane Holden" di Salinger ha confessato di aver ucciso John Lennon per "piantare l'ultimo chiodo nella bara degli anni Sessanta".

17/08/22

Proust e l'aforisma tradito!


Un giorno qualcuno dovrà pur scrivere la storia degli aforismi traditi, equivocati, sbagliati.

Uno degli esempi più eclatanti riguarda uno attribuito a Proust e quasi sempre del tutto travisato, distorto, male interpretato.

Lo si scopre a pag. 264 del Quinto Volume della Recherche - La Prigioniera - dove si trova il fin troppo celebre aforisma attribuito a Marcel Proust che la vulgata generale - e purtroppo ormai l'ignoranza on line, che lo riprende e lo rimanda all'infinita - vuole reciti: "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi."

Il problema è che esso, scritto così, viene completamente frainteso da chi lo legge e anche da chi lo pubblica. La frase di Proust infatti non termina in quel punto.

Il pensiero è più esteso - l'aforisma estratto è una arbitraria sintesi - e recita: "L'unico vero viaggio, l'unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, VEDERE L'UNIVERSO CON GLI OCCHI DI UN ALTRO, DI CENTO ALTRI, VEDERE I CENTO UNIVERSI CHE CIASCUNO VEDE, CHE CIASCUNO E'. LO POSSIAMO FARE CON UN ELSTIR (uno dei pittori della Recherche), CON UN VINTEUIL (uno dei musicisti della Recherche): CON I LORO SIMILI, VOLIAMO VERAMENTE DI ASTRO IN ASTRO.

Quindi quello che dice qui Proust NON è che bisogna avere "nuovi (propri) occhi", cioè un diverso sguardo personale, cambiare cioè il modo di guardare (da soli). Quello che ci sta dicendo è che (solo) attraverso la creazione artistica, la mediazione delle grandi anime degli artisti, è possibile per noi guardare le cose diversamente, avere un punto di vista realmente diverso, molto diverso dal cambiare semplicemente lo scenario che abbiamo davanti agli occhi e che cambiamo di volta in volta per colmare la nostra irrequietezza.

Fabrizio Falconi - 2022

16/08/22

L'amore di Sammy Davis Jr. con la svedese May Britt: un matrimonio che mandò in crisi l'America razzista

 



May Britt è un'attrice svedese che raggiunse la massima popolarità sul finire degli anni '50 interpretando al cinema "I giovani leoni" (The Young Lions) di Edward Dmytryk (1958) dove recitava da protagonista al fianco di mostri sacri come Marlon Brando, Montgomery Clift e Maximilian Schell.

Britt era stata scoperta da adolescente dal produttore Carlo Ponti (futuro marito di Sofia Loren) e dallo scrittore e regista Mario Soldati, nel 1951. 

I due si trovavano in Svezia per scegliere una giovane bionda per il ruolo di protagonista in Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, che Mario Soldati avrebbe diretto l'anno seguente. 

Si recarono nello studio dove lei lavorava come assistente di un fotografo di Stoccolma, per visionare album e di modelle. Dopo averla incontrata, le proposero la parte. 

May Britt, come fu ribattezzata professionalmente (il nome completo era May Britt Wilkens), si trasferì a Roma. Come previsto, fece il suo debutto al cinema come attrice protagonista nel film di Soldati, e in seguito lavorò in una decina di produzioni a Cinecittà, partecipando anche al film epico Guerra e pace del 1956. 

Alla fine degli anni Cinquanta, la Britt si trasferì a Hollywood dopo aver firmato con la 20th Century Fox. 

Recitò in alcuni film, tra cui I giovani leoni (1958), I cacciatori (1958) con Robert Mitchum e Robert Wagner e Murder, Inc. (1960) con Peter Falk, oltre a un remake molto criticato de L'angelo azzurro (1959) nel leggendario ruolo creato da Marlene Dietrich nel 1930.

Britt aveva nel frattempo sposato Edwin Gregson, uno studente universitario, nel 1958. 

L'anno seguente, chiese il divorzio.

Nel 1959 incontrò Sammy Davis Jr., allora popolarissimo. I due iniziano a frequentarsi e, dopo un breve fidanzamento, si sposarono il 13 novembre 1960. 

Il loro matrimonio suscitò una vasta eco e molte polemiche nell'America puritana e razzista di allora.  Basti pensare che all'epoca il matrimonio interrazziale era vietato per legge in 31 Stati americani e solo nel 1967 queste leggi (ormai ridotte a 17 Stati) furono dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.

Circola perfino la leggenda che John F. Kennedy e Robert F. Kennedy chiesero a a Frank Sinatra di intercedere con Davis per rimandare il matrimonio con May fino a dopo le elezioni presidenziali del 1960.

Prima delle nozze, Britt si convertì all'ebraismo. La coppia fu infatti sposata dal rabbino riformista William M. Kramer.

Harry Belafonte, che all'epoca era sposato con una donna bianca, fu invitato a esibirsi durante la festa di matrimonio. 

Una volta sposata, Britt lasciò il cinema. Lei e Davis ebbero una figlia, Tracey (nata il 5 luglio 1961 - morta il 2 novembre 2020), e adottarono due figli: Mark Sidney Davis (nato nel 1960, adottato il 4 giugno 1963) e Jeff (nato nel 1963). 

Fu un grande amore anche se i due divorziarono nel 1968 dopo che Davis ebbe una relazione con la ballerina Lola Falana. 

Dopo il divorzio, Britt riprese a lavorare con sporadiche apparizioni televisive, l'ultima nel 1988. 

Da allora si è ritirata e si dedica principalmente alla pittura. Attualmente risiede in California. Il suo terzo marito, Lennart Ringquist, è morto nel 2017.

Fabrizio Falconi - 2022 




15/08/22

Poesia di Ferragosto: "Follia sacra" di Rumi

 





Follia sacra - di Rumi.

Lascia ogni ipocrita astuzia, o amante, diventa pazzo, diventa pazzo !
Entra nel mezzo del fuoco, diventa falena, diventa falena !

Tu sei notte di Tomba, va e divieni notte del Destino
e, come il Destino, agli spiriti tutti diventa nido, diventa nido !

I tuoi pensieri mirano a un luogo e là ti trascinano:
tralascia i pensieri e, come il Destino, diventa veggente, diventa veggente !

Fin quando andrai, come Torre, solo in due direzioni ? Fin quando sarai debole come Pedina ?
Fin quando andrai storto come Alfiere ? Diventa Regina, diventa Regina !

Hai ringraziato finora l'amore dei doni e dei beni ch'egli ti ha dato:
dà ora in dono te stesso, diventa un grazie, diventa un grazie !

Per lunga era fosti pietra, per altra fosti bruto,
e ancora un'era anima fosti, diventa Amato, diventa Amato !

O spirito loquente finché correrai qua e là per tetti e per mura ?
Lascia ogni discorso di lingua, diventa muto, diventa muto !

Gialal ad-Din Rumi - circa 1260.

14/08/22

Alla disperata ricerca di una identità: Chi sono?

 


"Sono alla disperata ricerca di una identità". Potrebbe essere questa la frase simbolo dei nostri anni. 

Il problema è che l'Occidente ha del tutto tradito le sue origini del Conosci te stesso di Delfi, sul quale ha costruito la sua intera storia da Odisseo a Dante fino a Baudelaire. 

Conosci te stesso significava che nessuna identità è possibile, se non si viaggia dentro se stessi, alla scoperta di sé stessi (cioè della propria anima). 

Questo viaggio per vari e diversi motivi primo fra tutti il fatto che comporta sofferenza e attraversamento di territori oscuri - nessuno vuole più farlo

Oggi l'occidentale galleggia su bolle d'aria e preferisce tentare di darsi una identità interpretando a caso dei ruoli, intercambiabili. 

Ma, come insegna tutta la letteratura del Novecento, non è indossando maschere che si assumono vere identità. 

Nella baraonda del carnevale ci si diverte pure ma quando arriva il mercoledì mattina si è ancora più soli e ancora più ignoti a se stessi. 

Crescere costa fatica, vivacchiare no. 

Crescere vuol dire cambiare, vivacchiare vuol dire rintanarsi nella comfort zone dello status quo.

Fabrizio Falconi - 2022 



13/08/22

I mancini? Un esercito di talenti: da Einstein a Hendrix - ecco l'elenco




Tre presidenti degli Stati Uniti e un premio Nobel per la fisica, il piu' grande genio di tutti i tempi

Ma anche grandi artisti passati e presenti e grandi sportivi che hanno saputo fare di quello che un tempo veniva definito un handicap da correggere un grande vantaggio competitivo o piuttosto una manifestazione tangibile del genio e qualche volte della sregolatezza

Sono i mancini, un esercito che copre il 10% della popolazione e che un tempo veniva 'corretto' perche', e' il caso di dire, per maestre e genitori, era l'unica strada possibile da seguire. 

Un numero sempre crescente di persone piu' o meno note che conserva, sopite o espresse fino al successo, caratteristiche di genialita' e intelligenza a tratti non comuni. 

E oggi, 13 agosto, e' la giornata a loro dedicata, una giornata istituita nel 1992 dal Left Handers Club, nel Regno Unito.

Ed ecco che orgogliosamente si citano tra i piu' illustri mancini il principe William, ben tre presidenti degli Stati Uniti, Barack Obama, Bill Clinton e George Bush padre, il premio Nobel per la Fisica Albert Einstein, che pero' usava la destra per scrivere perche' era stato costretto alla correzione, ma anche quello che e' considerato uno dei piu' grandi geni dell'umanita', Leonardo Da Vinci. 

Ma le abilita' riconosciute ai mancini anche dalla scienza si manifestano in tutte le discipline: Diego Armando Maradona che trasformo' la tanto vituperata mano sinistra definita in passato mano del Diavolo, nella 'mano de Dios', la mano di Dio, il 'Profeta del Gol' Johan Cruijff, forte con il piede destro e quello sinistro, John McEnroe, mancino dotato di un talento che ha deliziato il mondo del tennis, per la musica il premio Nobel per Letteratura Bob Dylan, il bassista dei Beatles Paul McCartney, il chitarrista Jimi Hendrix, dall'indimenticabile tocco mancino e non solo, visto che la chitarra la suonava anche con i denti e l'asta del microfono. Julia Roberts e Nicole Kidman. 

E secondo la scienza i mancini ricordano meglio gli eventi, hanno cioe' una migliore memoria episodica perche' i loro emisferi cerebrali sono piu' strettamente connessi, sono piu' abili in matematica, nella risoluzione dei problemi complessi piu' che nell'aritmetica semplice. 

Hanno un vantaggio anche negli sport quali ping-pong o baseball, che richiedono reattivita'. Sono forti nel pugilato. I mancini avrebbero una loro specificita' anche nelle diverse aree della salute. 

Le donne mancine, in particolare quelle in menopausa, possono essere piu' a rischio di sviluppare tumore al seno e in generale chi usa la sinistra come dominante puo' essere maggiormente soggetto a disturbi del sonno e schizofrenia, ma al tempo stesso risulta essere piu' protetto da artrite, ulcere e ha un vantaggio nel recupero dopo un ictus. 

I mancini sono anche capaci di pensare maggiormente 'fuori dagli schemi' quando si tratta di trovare soluzioni ai problemi. Ma essere mancini non e' ancora facile , anche se non vengono piu' corretti, il mondo non sembra ancora a loro misura: le disposizioni di case e uffici (porte, cucine, lavelli) sono progettate per il comfort di chi usa la destra come mano dominante, apriscatole e le forbici se non specifici possono essere difficili da usare.

Per non parlare di oggetti come mouse dei pc, tradizionalmente posizionati a destra della tastiera (anche in questo caso ve ne sono di specifici da acquistare), chitarre, ma anche banalmente delle posate al ristorante che tocca invertire, delle sfide nella scrittura a mano e nello sport. Non piu' pregiudizi e correzioni ma ancora qualche scoglio da superare ma che i mancini sanno bene come aggirare. 


12/08/22

Quando eravamo free-lance : una parola oggi scomparsa

 

Fabrizio Falconi a ventisette anni 

Per molti anni ho fatto (o sono stato) un free-lance e solo ora mi accorgo che questa parola ormai non la usa più nessuno.

Il motivo è che l'instabilità lavorativa è diventata la norma.

Per noi che la vivevamo allora era una splendida opportunità.

La lente a ritroso di quello che allora era il futuro ci ha mostrato quanto fortunati fummo all'epoca, quando il lavoro c'era, accadeva spesso che premiasse i talentuosi, ed era anche ben retribuito.

Non pensavamo alle garanzie, alla pensione, al domani.

Ci buttavamo nella mischia, e si passava attraverso mille collaborazioni e cose ed esperienze assai diverse, che a volte stordivano e inebriavano. E che era poi bello raccontare.

Ci si innamorava anche, e non solo del lavoro.

Si imparava, più che altro, da chi era più bravo.

Poi certo anche allora era pieno di quelli che conoscevano bene e praticavano silenziosamente mille scorciatoie privilegiate e di quelli che tenevano ben serrate le porte a chi non aveva patentini di casta da esibire.

Ma anche di questo ce ne fregavamo.

La più importante medaglia da portare a casa era il lavoro che si era fatto, a tuo padre che sgobbava in officina da quando aveva 16 anni e a tua madre che hai visto piegata a cucire, in ogni giorno e ogni stagione, dalle 8 di mattina a mezzanotte, sempre.

Fabrizio Falconi 

11/08/22

Un grande romanzo italiano da riscoprire: "La dura spina" di Renzo Rosso


Ho appena finito di rileggere La Dura Spina, pubblicato da Renzo Rosso nell'aprile del 1963.

È stata una fatica trovarlo.
Il libraio di fiducia che trova tutto non riusciva a reperire copia alcuna.
Il romanzo, dopo la gloriosa edizione negli Elefanti di Garzanti, era caduto nell'oblio, risollevato solo per poco da una edizione Isbn, casa editrice oggi fallita, del 2010, ormai introvabile.
Nell'oblio come del resto tutta l'opera di Rosso, di cui oggi, sia in libreria, sia su Amazon et similia, non si trova più nulla di nulla.
Mentre se si cerca il nome dello scrittore su Google bisogna districarsi tra 8 milioni di occurrances dedicate al suo omonimo "fondatore della jeanseria Diesel" (O tempora o mores).
La Dura Spina è uno degli ultimi grandi romanzi italiani. Uscì lo stesso anno de Il male oscuro di Giuseppe Berto e come quello coniugava sperimentalismo (anche se qui ispirato alla grande tradizione mitteleuropea) con quella che in gergo letterario potrebbe chiamarsi "catastrofe dell'Io".
Triestino, Rosso si iscriveva sulla scia di Svevo e di Saba (a cui rubò il verso che dà il titolo al romanzo), modernizzandoli, raccontando il vuoto (e il pieno) esistenziale di un pianista acclamato, Ermanno Cornellis, e pieno di (troppe) donne, che torna a Trieste per un concerto e rimane invischiato in una imprevista storia sentimentale.
Il romanzo arrivò finalista allo Strega ma non vinse (tanto per cambiare). Nei decenni successivi divenne però vero libro di (ristretto) culto.
Nel frattempo Rosso, musicista anche nella vita, si era trasferito come tanti intellettuali friulani prima di lui, a Roma. Aveva vinto il concorso in RAI come assistente musicale e tra Via Asiago e viale Mazzini aveva lavorato per più di trent'anni continuando sempre a scrivere (e a pubblicare con sempre maggiore difficoltà), prima di finire i suoi giorni nel suo piccolo eremo a Tivoli, nel 2009.
Ora che anche La Dura Spina sta finendo nell'oblio, almeno dei libri cartacei pubblicati, non è inutile continuare almeno a parlarne (e a leggere se possibile) nella speranza che qualche editore lo ripubblichi ancora. Perché i libri che valgono davvero sono pochi e quelli che valgono dovrebbero poter continuare a procurare piacere a chi legge.

Fabrizio Falconi - 2022

Renzo Rosso
La Dura Spina
Isbn Edizioni - 2010
p. 347
ISBN-10 ‏ : ‎ 8876381686 ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8876381683

10/08/22

L'incredibile storia del ristoratore romano che finì protagonista del Fellini's Satyricon


Nel Satyricon, realizzato nel 1969 da Federico Fellini, film oggi assai ostico, colmo di visioni apparentemente scollegate, privo di una vera e propria trama, cupo e volutamente respingente, è centrale il personaggio di Trimalcione, che Fellini riprende fedelmente dal testo di Petronio.
Anzi, il peso della cena da Trimalcione (liberto arricchito che sfoggia un lusso volgare) risulta inferiore nella pellicola. Diciannove minuti e cinquanta secondi, il sedici per cento del totale del film. Mentre nel “romanzo” l’episodio occupa più di un terzo di spazio, il trentasei per cento per la precisione.
Altra differenza fondamentale è che nel libro il poeta Eumolpo, interpretato dal grande Salvo Randone non è presente nella cena, e nel film sì.
La cosa geniale è che Fellini scelse per il ruolo di Trimalcione, così importante, il "Moro", all'anagrafe Mario Romagnoli, oste capitolino, titolare del ristorante “Al moro” e come tale (“il Moro”) accreditato nei titoli di coda.
Il ristorante, piccolo, intimo, era uno di quelli preferiti da Fellini, a due passi da Fontana di Trevi.
Fellini fu colpito dallo sguardo “sabbioso” dell’uomo, dalla sua faccia di “Onassis tetro”, immobile, quasi una mummia.
Una faccia più "romana" di questa, in effetti, sembra impossibile che potesse essere trovata.
"Il Moro" si era portato sul set la moglie e la figlia che, nei primi giorni, avevano tentato invano di fargli ripassare le battute.
Nonostante tutta la sua buona volontà da alunno delle scuole elementari se ne stava li col faccione buio e greve.
La lentezza, la concentrazione per cercare di ricordare una parola erano tali per cui l'impresa risultava patetica e impossibile.
Racconta Fellini: "Allora per sbloccarlo gli dissi: senti Moro, prova a dire i numeri, unoduetrè, quattrocinque... Senonché il ritmo della mia voce che gli dava le battute a questa nuova emozione di dover dire dei numeri non combinava nulla di buono. Come fare? Alla fine fu lui, geniale, a suggerire una soluzione. "Potrei dire dei menù. Perché lì io vado come un treno". E così Trimalcione raccontava al poeta Eumolpo, un artista cialtrone, miserabile e scroccone, come aveva fatto le sue ricchezze dicendo "Oggi ciavemo du' cotolette a scottadito che ve magnate pure le dita, poi n' insalata con la rughetta, ' na goccia d' olio, tutto limone e niente aceto che l' aceto sulla rughetta non ci sta bene..."
Geniale.