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06/06/22

L'equivoco di Casanova: "Io lo odio," diceva Fellini



Rivendo il Casanova di Fellini (1976), dopo parecchi anni, si scoprono nuove cose: è un film stupefacente, strano, cupo, mortuario, splendido. Esattamente nello stesso anno in cui Kubrick affrontava con Barry Lindon quello stesso secolo, il Settecento, disegnando geografie di spazi aperti, magnifiche quinte naturali, paesaggi che sembrano usciti dalla pittura fiamminga, Fellini si concentrava e si rinchiudeva nello spazio claustrale dello studio 5 di Cinecittà dove il film fu INTERAMENTE girato, ricostruendo lì Venezia, Parigi, Londra.

Si assiste inebetiti alla mostruosa capacità creativa dei tecnici e artigiani italiani di allora: Peppe Rotunno, Danilo Donati (premiato per questo film con l'Oscar), la sartoria Tirelli, i coreografi e ballerini che allestirono un poderoso mondo visionario, dove tutto è falso e tutto è più reale del reale.

Anche Donald Sutherland fu una scelta impeccabile, anche se Dino De Laurentiis che poi si ritirò dal produrre il costosissimo film, avrebbe voluto addirittura Robert Redford.

Ma Fellini non voleva un Casanova bello e lucido. Voleva un Casanova da incubo, marcio dentro e con gli occhi acquosi come Venezia, decadente, finito, o forse mai entrato nella vita per davvero.

E' un film che fa bene rivedere per capire cosa fosse il cinema italiano di quei tempi e che fa male per lo stesso motivo.

La causa del notevole insuccesso al botteghino fu certamente l'equivoco alla base del film, che Fellini aveva ben presente e che aveva accettato.

I produttori, prima De Laurentiis, poi Rizzoli (che rinunciarono) infine Alberto Grimaldi, erano ovviamente allettati all'idea di vendere all'estero il "Casanova", trionfo della figura del latin lover ante litteram italiano, del mattatore sessuale latino, realizzato nientemeno che da Fellini.

Una accoppiata che si sarebbe venduta da sola, senza nemmeno bisogno di pubblicizzarla e che loro credevano avrebbe esaltato "fellinianamente" le leggendarie doti amatorie/sessuali del maschio italico.

Non avevano però fatto i conti con Fellini, che dopo aver scelto di girare il film, decise di metterlo in scena boicottando completamente la figura dell'avventuriero veneziano, facendola a pezzi, massacrandola, realizzando il suo film più cupo, mortuario, decadente, completamente respingente.

La libertà dell'artista, a quei tempi, poteva prevalere e prevaleva, sugli interessi del botteghino.

Bernardino Zapponi, co-sceneggiatore del film, racconta il feroce corpo a corpo che sin dall'inizio Fellini ingaggiò con il suo personaggio. Racconta Zapponi:

"Fellini lo odiava: “è un cavallo. Come posso raccontare la vita di un cavallo”. Normalmente lo chiamava “lo stronzone”. Effettivamente non esisteva personaggio più antitetico di Fellini che il famoso libertino settecentesco."

Più tardi, in uno special televisivo, intervistato da Gianfranco Angelucci e Liliana Betti, Fellini ci va giù ancora più duro, e impietosamente dice:

"Gli italiani che si sentono tutti 'in pectore' grandi seduttori, hanno anch'essi creato il proprio precursore in Casanova... Nella terribile frustrazione sessuale in cui gli italiani si dibattono, era quasi fatale che si generasse il mito di un campione che riscattasse tutti. In anni, in secoli di educazione misogina e sessuofobica, amministrata dalla Chiesa cattolica, il maschio latino ha accumulato nei confronti della donna una tale paralizzante bramosia che lo ha fatto restare un adolescente, un individuo cui è stata impedita la crescita... Conclusione? Casanova, io lo odio."

E nonostante questa lucidità totale, e l'evidenza del film - di cui basterebbe guardare un solo minuto - ancora c'è qualcuno che lega lo stesso Fellini al mito del Casanova e del seduttore seriale latino-italiano, un equivoco che perdura e forse ancora strappa, ovunque lui si trovi, un sorriso di scherno al genio riminese, che sempre ci manca.

Fabrizio Falconi - 2022