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29/01/14

L'Abbazia di San Galgano, Tarkovskij e il cavaliere di Chiusdino.




Quando il grande regista russo Andrej Tarkovskij, esule dal suo paese, nei primi anni ’80 girava per l’Italia accompagnato dall’amico Tonino Guerra, alla ricerca di luoghi ideali dove ambientare il suo nuovo film – quello che si chiamava Nostalghia, vero e proprio atto d’amore per il suo paese forzosamente abbandonato – restò folgorato dalla campagna senese e in particolare da quello spettrale monumento che si erige a pochi chilometri da Chiusdino: l’Abbazia di San Galgano.

Confessò a Guerra che quella antica basilica in rovina, rimasta senza copertura, immersa nella brughiera, invasa dalle nebbie autunnali, gli ricordava i paesaggi misteriosi del suo paese.

A San Galgano, dunque – dopo aver ambientato la famosa sequenza della passeggiata esoterica del pazzo con la candela in mano nella vasca vuota di Bagno Vignoni – Tarkovskij dedicò l’ultima scena del suo film.


 
fotogramma da Nostalghia di Andrej Tarkovskij, 1983


Prima di lui, nel 1962, quel luogo aveva stregato anche Roger Vadim, che l’aveva utilizzato anch’egli per l’ultima scena del suo film, Il riposo del guerriero, quando sullo sfondo della grande Abbazia volteggiano nell’aria i biondi capelli di Brigitte Bardot.

Il fascino di San Galgano e della sua Abbazia, oramai così diffuso, non è però legato alle celebrazioni tributate da film anche illustri: affonda piuttosto le sue radici in nove secoli di storia, in vicende molto complesse e difficili per noi da decifrare, legate alle vicende di un Santo minore di cui sappiamo molto poco e la cui notorietà è di gran lunga legata al mito di una spada nella roccia, ancora esistente– apparentemente conficcata nello stesso punto da 900 anni – e custodita sotto una teca di vetro, all’interno della cosiddetta Rotonda di Montesiepi, la cappella adiacente all’Abbazia, dedicata a San Galgano, ed edificata nel luogo esatto dove si ritirò e morì nell’anno 1181.

Ma chi era Galgano ? Perché il suo nome è legato a quello di una spada nella roccia ? E in quale modo questa storia è legata al mito celtico di Artù e di Lancillotto ?

Dovremo scoprirlo anche per capire per quale motivo all’eremo e alla grande Abbazia a cielo aperto, siano legate molte credenze, molti elementi misteriosi, come fili intrecciati di un’unica grande storia che parla di montagne sacre, di centri del mondo, di cammini iniziatici di consapevolezza alla ricerca di un altrove, di un oltre, di un contatto con le forze nascoste del Cielo.

Tutto quello che sappiamo di certo riguardo la vita di Galgano Guidotti è quello che ci è pervenuto attraverso gli atti dell’inquisitio del 1185: deposizioni di testimoni che di fronte a delegati pontifici permisero di ricostruire la vita e le opere dell’uomo, facendogli meritare l’elevazione alla gloria degli altari.

Oltre a questi preziosi documenti esiste ben poco di certo, soltanto racconti agiografici che magnificano imprese più o meno mirabolanti del Santo e che si diffusero lungamente in epoca medievale.


Ricapitolando, Galgano Guidotti nacque intorno al 1150 a Chiusdino, un piccolo centro di origine longobarda, a 35 chilometri da Siena. Figlio unico e molto atteso – al punto che i passi della inquisitio riguardanti i genitori, Dionigia (ancora viva al momento del processo di beatificazione e testimone importante) e Guidotto ricordano da vicino le vicende bibliche di Abramo e Sara -  di una famiglia benestante, era destinato ad una brillante carriera di cavaliere, di militare. 




La sua vicenda però si interruppe in modo simile a quella di altri santi medievali, compreso lo stesso San Francesco di Assisi, con una chiamata mistico-religiosa, che per Galgano si manifestò sotto forma di diverse visiones, che ebbero per protagonista l’arcangelo Michele.  Nella prima, a Galgano veniva richiesto di lasciare i genitori e di abbandonare la vocazione cavalleresca.  La seconda – un grande sogno – sta invece all’origine dello stesso mito della spada nella roccia.  L’arcangelo, stavolta, gli fa strada, lo conduce presso un grande fiume, sormontato da un ponte, oltrepassato il quale gli appare un prato fiorito prima e una specie di profonda grotta, poi, che lo conduce miracolosamente in un luogo sconosciuto – scoprirà dopo essere proprio  la collina di Montesiepi  -  dove a Galgano appaiono i dodici apostoli seduti in domo rotunda, all’interno di una casa rotonda.  Gli apostoli si dispongono a cerchio intorno a lui e gli offrono un libro aperto, che Galgano non riesce a decifrare. Dopodiché, con un grande boato, gli si manifesta la Maestà divina che gli ordina di costruire in quel preciso luogo una casa in onore di Dio, della beata Maria, di San Michele Arcangelo e dei Dodici Apostoli.

Dopo il sogno, Galgano vaga alla ricerca del posto dove lo ha condotto l’Arcangelo durante la visione, e lo trova quando il suo cavallo – che si rifiutava di obbedirgli – lo conduce proprio a Montesiepi. 

Galgano si ferma, scende da cavallo, si inginocchia. E qui compie quel gesto che darà origine alla leggenda.

Ha l’idea di farsi una croce di legno e di impiantarla proprio in quel luogo, ma non trova il necessario.  

Decide allora di piantarvi la spada. E l’arma si conficca così bene nel terreno – con l’elsa che disegna una croce perfetta nell’aria – che né Galgano, né nessun altro riesce più ad estrarla.




E’ la conversio dell’ipotetico cavaliere, che rinuncia a tutto e decide, da quel momento di vivere e trasformare quel luogo nella domus che la Maestà divina gli ha indicato.

Su questa base storica – Galgano come abbiamo visto muore nel 1181 -  si sviluppa la leggenda alimentata poi dall’agiografia dei monaci cistercensi che nei pressi dell’eremo di Montesiepi decidono di costruire, nel 1220, la grande Abbazia,  sul modello di quella fondata da Bernardo da Chiaravalle ai piedi delle Ardenne in Francia, a sua volta ispirata da quella di Citeaux.  


La Cappella costruita sull’eremo di Montesiepi, invece, seguirà fedelmente il sogno di Galgano: un cerchio, una rotonda, con al suo centro il punto esatto della visione divina, dove è stata piantata la spada nella roccia, che diventa un asse cosmico, un centro del mondo che “pone in comunicazione le tre aree cosmiche: terra, cielo e quella sorta di inferi costituiti dalla sottostante caverna che Galgano ha attraversato.” (1)



1.       F. Cardini, San Galgano e la spada nella roccia,  Cantagalli, Siena, 2000, pag. 100.

23/10/13

Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (6.- fine)



Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (6.- fine)


Sul tema del sacrificio, dell’incontro tra il sacrificio umano – quello di Giuda Iscariota, ma anche quello di ogni uomo, e dello stesso Tarkovskij, ormai giunto al termine della sua vita  - e quello divino del Cristo, si giocano le ultime riflessioni del grande regista, che sembra consegnare la sua anima, “faccia a faccia con la propria vita”, come scrive il 4 novembre, un mese prima di morire.

Sono anche le considerazioni che concludono il suo libro più famoso, quello nel quale Tarkovskij ha riassunto il suo pensiero teorico, sul cinema, sulla creazione, sull’arte (20) . Nelle ultime pagine di Scolpire il Tempo, scrive:   
       Il nostro mondo è scisso in due parti: il bene e il male, la spiritualità e il pragmatismo.  Il nostro mondo umano è costruito, è modellato sulla base delle leggi materiali poiché l’uomo ha costruito la propria società sul modello della morta materia. Perciò egli non crede nello Spirito e rifiuta Dio.
      C’è una speranza che l’uomo sopravviva, nonostante tutti i segni del silenzio apocalittico preannunciato dall’evidenza dei fatti ?  La risposta a questo interrogativo, forse, è  contenuta nell’antica leggenda sulla resistenza dell’albero inaridito, privato dei succhi vitali, che ho preso come base del film più importante nella mia biografia artistica (21).
      Un monaco, passo dopo passo, secchio dopo secchio portava l’acqua sulla montagna e innaffiava l’albero inaridito, credendo senz’ombra di dubbio nella necessità di quel che faceva, senza abbandonare neppure per un istante la fiducia nella forza miracolosa della sua fede nel Creatore e perciò assistette al Miracolo: una mattina i rami dell’albero si rianimarono e si coprirono di foglioline. Ma questo è forse un miracolo ?  E’ soltanto la verità.   (22)
     
Non ci sono forse parole migliori di queste per raccontare cosa sono state la vita e il percorso artistico di Tarkovskij.  Il miracolo della pienezza espressiva, creativa dei suoi film è sotto gli occhi di vecchie e nuove generazioni. Il suo cinema è senza tempo, come la bellezza è senza tempo.

La fiducia, la fede nella vita – e nel suo ispiratore – pur nelle traversie di una esistenza obiettivamente molto difficile, a tratti penosa, hanno compiuto questo miracolo.
      
Forse meglio di ogni altro, Tarkovskij è stato colui che con la sua arte – ma anche con il resoconto della sua vita – è riuscito a tradurre, già in questo tempo terrestre, l’aforisma di Lao-tse, che lo stesso regista aveva posto tra i suoi preferiti: Quel che v’è di più potente al mondo è quel che non si vede, non si ode, e non si tocca.


(6. - fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


20.      Scolpire il Tempo, di Andrej Tarkovskij è pubblicato in Italia da Ubulibri, 2002, a cura di Vittorio Nadai.
21.      Il film a cui si riferisce è l’ultimo, Sacrificio.
22.     Scolpire il Tempo, cit. pag. 211



22/10/13

Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (5./)



Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (5)


La malattia incurabile di Tarkovskij ottiene almeno questo effetto. L’interessamento personale del presidente francese Francois Mitterrand fa sì che Mikhail Gorbaciov, divenuto Segretario Generale del Partito Comunista Sovietico da qualche mese, prenda a cuore la vicenda dei familiari del regista concedendo finalmente al figlio di uscire dalla Russia e ricongiungersi al padre.

Sono arrivati, Andrjusa e Anna Semenovna ! scrive a grandi lettere Tarkovskij nel suo diario, il 19 gennaio del 1986 e questa pagina è accompagnata dalla prima foto che ritrae insieme padre e figlio, di nuovo insieme dopo cinque anni. Andrjusa è un adolescente,  Tarkovskij è un uomo malato, nel suo letto, gli occhiali sulla federa,  un libro (la Bibbia?) accanto al cuscino.  Scrive: Se avessi incontrato Andrjusa per la strada non l’avrei riconosciuto. E’ cresciuto molto, ha raggiunto 1 metro e 80 centimetri di altezza e ha solo 15 anni ! Un dolce, buon ragazzo dai grandi denti. Tutto questo ha del miracoloso !

Gli ultimi mesi di vita di Tarkovskij trascorrono a Parigi, tra pause di momentanei miglioramenti, progetti per nuovi film -  un Amleto, una pellicola su Sant’Antonio,  un progetto sul Vangelo – e ancora fitte note nei Diari, sempre più rivolte a un dialogo ultimo con Dio:  Dobbiamo abbandonare i nostri pregiudizi. Noi non sappiamo vedere. Dio solo vede e ci insegna ad amare il nostro prossimo. L’amore trionfa su tutto. E in ciò Dio si manifesta.  Senz’amore crolla tutto. (16)

L’11 aprile, quando la malattia si è fatta più dura, con fortissimi dolori al petto e alla schiena, e i conati di vomito causati dalla chemioterapia, scrive:

Un’immensa speranza è penetrata oggi nell’anima mia: non so come definirla, semplicemente come felicità.   La speranza che la felicità sia possibile.  Fin da stamattina le finestre della mia stanza d’ospedale sono inondate di sole. Ma la felicità non dipende da questo: ecco, è il Signore !

Un mese dopo, Sacrificio viene presentato al Festival di Cannes.  La giuria, all’ultima votazione gli preferisce, per la Palma d’Oro, Mission di Roland Joffé. A Sacrificio viene assegnato, tra le polemiche (17), il Gran Premio Speciale della Giuria.  Il figlio,  Andrei, va a ritirare il premio  sulla Croisette  al posto del padre.

Nelle settimane successive, che gli restano da vivere,  Tarkovskij continua a riflettere e a scrivere, febbrilmente, sul progettato film sui Vangeli.  Torna sul tema del sacrificio, e di quello che gli appare come il Sacrificio del Cristo, che gli altri, tutti contiene e riassume.


L’amore è sempre un donarsi agli altri, scrive. E nonostante il termine sacrificio, sacrificale,  comporti un significato quasi negativo ed esteriormente distruttivo (se preso nella accezione del linguaggio parlato) riferito alla persona che si sacrifica, in effetti l’essenza di quest’atto è sempre amore, cioè un fatto positivo, creativo, divino. (18) 

E ancora:  Ma perché esiste Giuda Iscariota ?  A che è servito il suo bacio ? Perché Giuda ? Evidentemente per spiegare con chi Lui aveva a che fare: cioè con gli uomini.  L’unico personaggio che porta un inimmaginabile peso psicologico. Giuda è il motivo per cui Gesù deve compiere la sua missione. Un esempio concreto per capire fin dove l’uomo può arrivare nella sua caduta.  Qui bisogna scavare più in profondità ! (19) .

(segue -5./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

15.   Op.cit. pag. 653.
16.   Op. cit. pag. 663.
17. Sarà lo stesso presidente francese Francois Mitterrand a definire uno ‘scandalo’ la mancata assegnazione del massimo riconoscimento al film di Tarkovskij.
18.   Op.cit. pag. 682
19.   Op. cit. pag. 686

20/10/13

Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (4./)



Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (4.)


Nei taccuini di Tarkovskij cominciano ad intensificarsi citazioni dalle Scritture, dall’Ecclesiaste, dai Vangeli, soprattutto, ma anche da Lao-tse, Seneca, Dostoevskij, Montaigne.

E la radicalità nei confronti di quella che Tarkovskij chiama falsa conoscenza, ritorna in forme sempre più definitive e apparentemente arbitrarie. La vera poesia si accompagna alla religiosità, scrive, un non credente non può essere un poeta. (11)
        
Ma essere poeta, di qua come di là dalla Cortina di Ferro continua ad essere sempre più difficile. Spero quando si ha a che fare con mancanze primarie. A Larisa, la moglie di Tarkovskij viene concesso alla fine del 1982 un permesso per raggiungere il marito a Roma. Ma con lei non c’è l’adorato figlio, adesso dodicenne, al quale le autorità non permettono l’espatrio. Andrej ha il cuore spezzato: ha la moglie, ma non il figlio.  Vorrebbe lasciar tornare la moglie in Russia, ma ha paura che una volta rientrata non le permettano più di uscire.   Si svolgono accorate telefonate tra Roma  e Mosca. 

Scrive: Con quanta tristezza Tjapa (il figlio,  NDA) parla al telefono ! Che nostalgia che ha… Come deve essere disumana una società per arrivare a dividere le famiglie senza nessuna pietà, con il solo scopo di avere degli ostaggi. E sarà sempre peggio, questo è chiaro. Ma è anche chiaro che Dio ci guida. (12)  E più avanti: Penso continuamente a quanto abbiano ragione coloro che ritengono che la creatività sia una condizione dello spirito.  Donde viene?  .. Il nostro dovere dinanzi al Creatore impiegando il libero arbitrio di cui Egli ci ha fatto dono, combattendo il male che è in noi, di superare gli ostacoli sul nostro cammino verso di Lui, di crescere in senso spirituale, combattere tutto ciò che c’è in noi di turpe. Dobbiamo purificarci. Allora non avremo nulla da temere. Aiutami Signore ! Mandami un Maestro! Sono stanco di aspettarlo… (13)

Nel 1983, intanto esce sugli schermi Nostalghia.  Che ottiene favori non unanimi. C’è anzi già chi è disposto a scommettere che il grande autore russo abbia perso brillantezza e ispirazione, lontano dal suo paese d’origine. Il film vince il Gran Premio della Giuria  a Cannes, nonostante l’ostruzionismo di Sergej Bondarciuk, il regista ‘ortodosso’ sovietico, che fa parte della Giuria. 

Nello stesso anno va in scena una memorabile rappresentazione del Boris Godunov al Covent Garden di Londra che ottiene un successo trionfale. Tarkovskij si rende conto che ormai non può più tornare indietro.  L’ostracismo delle autorità sovietiche, anzi, gli rendono necessario alzare i toni, nella speranza di smuovere le cose e riunificare la sua famiglia,  e nel 1984 chiede e ottiene asilo politico dagli Stati Uniti, con un annuncio che viene dato in una affollatissima conferenza stampa a Milano.

Ma il regime di Mosca non è disposto ancora a cedere.  
Nel 1985 Tarkovskij è impegnato nella realizzazione del suo ultimo film, Sacrificio (Offret), che rappresenta una sorta di testamento spirituale del grande regista, con la storia di Alexander, un uomo che assiste al crollo di ogni cosa in cui crede in seguito all'improvviso scoppio di una guerra nucleare, e che  disperato prega Dio di salvare il mondo, facendo voto di rinunciare a tutto ciò che possiede, se questa sua preghiera si dovesse realizzare.

Tarkovskij fa appena in tempo a terminare le riprese del film.  Il 6 dicembre del 1985, a Parigi, si sottopone ad una radiografia e scopre di avere “un’ombra” nel polmone sinistro. Dieci giorni dopo gli viene diagnosticato un tumore incurabile.

I Diari registrano la reazione umana di Tarkovskij, il dolore profondo, anche la disperazione, che però si rivolge subito ad altro, agli altri, a coloro che ama:

L’uomo nel corso della propria vita sa che prima o poi dovrà morire. Non sa però quando morrà, perciò sposta questa scadenza lontano nel futuro. E questo lo aiuta a vivere. Ora, invece, io lo so. E niente mi può aiutare a sopravvivere. E questo è molto duro.   Però ora la cosa importante è Lara. Come potrò dirglielo ?! Come potrò infliggerle un colpo tanto tremendo con le mie stesse mani ?!  Come reagirà ?  Come farà in futuro per Andrjusa e la mamma ? (14)  Bisogna continuare a combattere per ottenere il loro espatrio. Andrjusa ha bisogno di vivere libero, non deve vivere in prigione. Visto che abbiamo cominciato su questa strada, bisognerà andare fino in fondo. (15)


(segue -4./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

       
11.     Op. cit. pag.486
12.   Op. cit. pag. 550
13.   Op. cit. pag. 556
14.   La “mamma” a cui si riferisce qui è Anna Semenovna, madre di Larisa, cioè la suocera di Tarkovskij, che è colei che per tutti gli anni dell’esilio di Tarkovskij si è occupata del nipotino, Andrej, e che riuscirà a lasciare la Russia, proprio a causa della malattia di Tarkovskij, insieme al bambino, un mese dopo questa nota scritta dal regista.
15.      Op.cit. pag. 653.

19/10/13

Dieci grandi anime - 2. Andrej Tarkovskij (3./)




Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (3)

Tarkovskij si sente a un bivio, e sa che sta per arrivare l’ora di una difficile scelta, che appare però inevitabile.  Sono divenute sempre più frequenti le visite, in Russia, di Tonino Guerra, uno dei maggiori sceneggiatori italiani. Guerra parla il russo, è un poeta, come il padre di Andrej.  Nasce una grande amicizia, un rapporto profondo e creativo, il progetto di lavorare insieme ad un nuovo film (7) .  Ogni nuova visita di Tonino Guerra a Mosca, rappresenta una tentazione per Tarkovskij, il quale capisce che si tratta forse dell’occasione che il destino gli ha messo davanti per abbandonare definitivamente il suo paese, e lavorare finalmente senza più pressioni, senza più censure, liberamente all’estero, dove il suo lavoro è apprezzato e pienamente riconosciuto.

Il 5 gennaio del 1979, scrive nei Diari:

Larisa (8) e io stiamo pensando molto seriamente a Tonino.  Non si può continuare così. Come farò a restituire i debiti che abbiamo ? Non so come riuscirò a consegnare Stalker. Che non accetteranno senza che io apporti cambiamenti radicali al film, cambiamenti che io, in ogni caso, mi rifiuto di introdurre. Solo un vero miracolo mi può aiutare.
       E se me ne andassi sull’onda di un grosso scandalo ? Questo significherebbe almeno due anni di tormenti: per Andrjuska a scuola, per Marina, la mamma, mio padre. Sarebbero sottoposti a continue vessazioni.   Cosa posso fare ?! Non mi resta che pregare! E avere fede.     E la cosa più importante è che questo (quello della croce) è un simbolo che non bisogna capire, ma soltanto sentire, capire…  Nonostante tutto, credere…     Siamo crocefissi in una sola dimensione, mentre il mondo è pluridimensionale. E noi questo lo sentiamo e soffriamo per l’impossibilità di conoscere la verità…. Ma non serve conoscere ! Bisogna amare. E credere. Perché la fede è conoscere tramite l’amore. (9).
      
E’ un passaggio molto importante questo, per Tarkovskij.

La fuga dalla Russia si concretizzerà prima con il permesso ottenuto nel 1979 per raggiungere Roma e contattare i dirigenti RAI per la realizzazione del progettato film italo-russo scritto con Tonino Guerra, e poi, dopo un breve intermezzo moscovita, con il definitivo distacco dell’aprile 1980, quando Tarkovskij sfrutta l’invito del premio David di Donatello -  Lo Specchio ha ottenuto il massimo riconoscimento dalla giuria - per raggiungere nuovamente l’Italia.  

Gli anni dell’esilio significano per Tarkovskij una ulteriore chiusura in se stesso. L’isolamento a cui lo costringe la lingua – non parla inglese, soltanto russo e poco francese – le difficoltà continue con le autorità del suo Paese, che negano l’espatrio con ogni pretesto a Larisa e al figlio,  la frequentazione di ambienti estranei e completamente diversi (molto più disinvolti, superficiali, mondani) da quelli che è stato abituato a frequentare nel suo paese, lo portano a intensificare le note dei suoi Diari, e a spingere la sua ricerca spirituale a una radicalità estrema.

Sono anni di viaggi continui, di esplorazioni – insieme a Tonino Guerra girano in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di locations per Nostalghia – di partecipazioni a festival e cerimonie in suo onore, a salotti borghesi nei quali egli rappresenta l’ospite esotico, l’intellettuale russo in esilio, che lo fanno sentire sempre più un pesce fuor d’acqua.

Si fa più profondo, in quest’uomo troppo intelligente e introverso, un rifiuto delle inutili apparenze. Una continua ricerca della vera sostanza.


Nel mondo si possono riscontrare in assoluto un numero assai maggiore di squarci verso l’Assoluto di quanto possa sembrare a prima vista. Solo che non li sappiamo vedere e riconoscere, scrive nel luglio del 1981, la nostra conoscenza non è che sudore, secrezione organica, prodotto delle funzioni naturali dell’organismo inseparabili dall’esistenza, che non ha nessun rapporto con la Verità.  L’unica funzione della nostra coscienza è quelle di creare finzioni, mentre la conoscenza è data dal cuore, dall’anima. (10) 

(segue -3./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


1.   Sarà Nostalghia, che uscirà quattro anni dopo, nel 1983, verrà scritto a quattro mani da Guerra e Tarkovskij e sarà girato interamente in Italia, prodotto dalla RAI.
2.   Larisa Pavlova Egorkina è la moglie di Tarkovskij, sposata in seconde nozze nel 1969 e da cui l’anno seguente il regista ha il suo secondo figlio, Andrej Andreevic. Larisa resterà fedelmente  – nonostante i sette anni di forzata separazione – al fianco di Tarkovskij fino all’ultimo giorno della sua vita.
3.   Op.cit. pag.237
4.   Op.cit. pag. 400