Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (1./)
Jiddu Krishnamurti, il maestro
spirituale – oggi riconosciuto come uno dei più grandi del secolo scorso – non si stancò
mai nelle migliaia di incontri e conferenze, tenute in giro per il mondo, e
nelle scuole da lui fondate, in Svizzera, in Inghilterra – a Brockwood Park,dove oggi esiste la fondazione internazionale che porta il suo nome (e una scuola internazionale per giovani dai 14 ai 24 anni) – in California o in
India, di ribadire che la religione, come è generalmente intesa – e quindi
anche lo stesso pensiero della esistenza o non esistenza di Dio - non è altro che una forma di costrizione, un
inganno del pensiero, un limite della realtà che noi stessi accettiamo e che
deforma ogni nostra percezione.
Chi
deve portare ordine nel mondo della realtà ? afferma Krishnamurti, in
risposta a una delle persone che venivano quotidianamente ad interrogarlo
(1), L’uomo
ha detto “Lo porterà Dio. Credi in Dio e avrai ordine. Ama Dio e avrai ordine.
“ Ma quest’ordine diventa meccanico a causa del nostro desiderio di sicurezza,
desiderio di sopravvivere, di trovare il modo più facile per vivere.
Come sa chi conosce la densa opera filosofica
e spirituale di Krishnamurti, il senso del suo insegnamento fu proprio giocato
sul rifiuto di quelle concezioni errate da parte degli uomini, frutto delle
distorsioni causate dalla paura, dalla sofferenza, dalla paura della
morte. Il pensiero umano è come
soggiogato da queste influenze negative che condizionano la conoscenza di se
stessi. Ed è, anzi, proprio il pensiero
umano, il suo movimento incessante, frenetico, instancabile, il principale
nemico di ogni vera conoscenza.
Il pensiero è meccanico, e fa parte della
realtà. In campo psicologico il pensiero
ha creato il ‘me’ e nell’elenco delle
costrizioni, degli artifici del ‘me’, creati del pensiero, Krishnamurti
inserisce anche Dio: me, mio, casa mia, la mia proprietà, mia moglie, mio
marito, i miei bambini, il mio paese, il mio Dio.
La sfida contenuta nel pensiero e nella
vita stessa di Krishnamurti è invece in un totale rovesciamento di questa
prospettiva. La verità è quando il pensiero si ferma. E’ quando non c’è più
differenza tra osservante ed osservato.
Quando si capisce che tutto il
movimento della vita è uno, indiviso e quando si è consapevoli di questo.
Soltanto allora, dice Krishamurti, la mente ringiovanisce e possiede una
immensa energia. E si può intravedere la
bellezza e la verità.
Un pensiero di questo tipo, si obietterà,
è lontano da un tradizionale senso religioso. Ma soltanto ad un esame molto
superficiale la grande opera lasciata in eredità da Krishnamurti, composta da
molti libri, meditazioni, taccuini e trascrizioni di un numero enorme di
conferenze e incontri, potrà essere liquidata come lontana da una prospettiva
religiosa.
In effetti, se appena si è disposti ad
addentrarsi nell’opera e nella vita del maestro indiano, ci si accorge che
tutta la sua esistenza, in fin dei conti, non fu dedicata ad altro che a
questo: alla conoscenza – non razionale, non positivista – della verità celata
dietro l’apparenza e l’illusione della realtà, e in definitiva all’accostarsi
al mistero unico del trascendente.
Trascendente a proposito del quale però Krishnamurti – con profonda
coerenza – continuò a rifiutare
qualsiasi definizione. Dio è qualcosa di cui non si può parlare, disse
in un incontro a Ojai, in California, che non può essere tradotto in parole, perché
deve rimanere per sempre il non conosciuto.
E questo, detto da un uomo a cui accadde nella
vita di essere scambiato per un Dio – cosa che non capita certamente spesso –
non è poco.
Sì, perché la vicenda umana di
Krishnamurti è davvero singolare e molto interessante, al pari dell’opera che
ci ha lasciato.
Nato l’11 maggio del 1895 a Madanapalle, un
piccolo paese di collina tra Madras e Bangalore, ottavo di dieci figli, da un
funzionario indiano dell’Erario sotto l’amministrazione britannica, e da sua
moglie, Sanjeevamma. Una famiglia bramina, di lingua telegu, strettamente
vegetariana. (2) Suo padre, pur essendo
un bramino ortodosso apparteneva alla Società Teosofica -
fondata a New York da Helena Blavatsky sul presupposto che tutte le
religioni abbiano un’unica origine – dal 1882,
e la madre era una devota di Sri Krishna. Per questo al piccolo Jiddu fu
dato il nome di Krishna.
(1./segue)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
1. La citazione qui riportata è tratta da J.
Krishnamurti, Verità e realtà,
Ubaldini Editore, Roma, 1977, pag.
100. Tutte le opere di Krishnamurti
sono tradotte e pubblicate in Italia dall’editore Ubaldini.
2. Tutte le notizie biografiche contenute in questo
capitolo sono tratte da quella che è considerata la biografia più esauriente
scritta su K. : Mary Lutyens, La Vita e la Morte di Krishnamurti, Ubaldini, 1990,
Roma. Mary Lutiens fu amica di
Krishamurti sin dagli anni dell’adolescenza e fu scelta dallo stesso maestro
come sua biografa.