28/02/21

La Poesia della Domenica: "L'accenno di un canto primaverile" di Aleksandr Blok

 


 L’accenno di un canto primaverile

Il vento portò da lontano
l’accenno di un canto primaverile,
chissà dove, lucido e profondo
si aprì un pezzetto di cielo.
In questo azzurro smisurato,
fra barlumi della vicina primavera
piangevano burrasche invernali,
si libravano sogni stellati.
Timide, cupe e profonde
piangevano le mie corde.
Il vento portò da lontano
le sue squillanti canzoni.


 Aleksandr Blok

 

26/02/21

Morti 2 grandi poeti: Lawrence Ferlinghetti e Philippe Jaccottet


















101 anni compiuti lo scorso settembre Lawrence Ferlinghetti, morto a San Francisco, aveva tenuto la sua prima mostra come pittore a New York. 

Disegni, dipinti e stampa dell'ultimo dei Beat erano stati esposti da New Release, una galleria di Chinatown. 

Padre italiano di Brescia, madre francese, Ferlinghetti era nato a Yonkers, alle porte di New York, il 24 marzo 1919, in piena epidemia di spagnola e ha celebrato il suo ultimo compleanno in piena pandemia da Covid

E' stato pittore per tutto il tempo in cui e' stato anche poeta, editore, libraio e attivista politico. City Lights, la libreria di San Francisco da lui fondata nel 1953, aveva sede nel quartiere italo-americano di North Beach, non lontano da Chinatown. 

Ed e' stato un atto di giustizia poetica che le sue opere figurative siano state presentate in uno spazio che, nella sua prima incarnazione negli anni Trenta, si trovava in piena Little Italy e vendeva agli immigrati italiani musica del paese di origine. La mostra doveva aprire in marzo per celebrare il compleanno, ma il Coronavirus aveva costretto al rinvio.

 In esposizione due dipinti, nove opere su carta e tre stampe dagli anni Ottanta a oggi in cui l'artista interpretava miti greci (Icaro, Leda, Oreste e sua madre, Clitennestra), ritraeva figure letterarie e giovani uomini e donne nudi. 

"Ho amato Ferlinghetti da quando ero al liceo. Conoscevo bene il suo lavoro letterario, ma solo cinque o sei anni fa ho visto per la prima volta la sua produzione figurativa", aveva spiegato all'ANSA la gallerista Erin Goldberger. "La piccola selezione e' stata scelta per rappresentare la conoscenza, la cura e la passione che Ferlinghetti ha avuto per la poesia, la scrittura, la mitologia e la storia".

In "Il giovane Yeats" del 2008, Ferlinghetti ha creato un ritratto che evoca il periodo blu di Picasso in cui le parole "Maud Gonne gone" scritte sul petto del poeta evocano Maud Gonne, attrice e suffragetta irlandese, che fu una delle sue muse. 

Testimone della Summer of Love e della rivoluzione hippy, primo editore di Jack Kerouac e Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs e Frank O'Hara, Ferlinghetti ha fatto la storia della Beat Generation evocata in parte in "Little Boy", il suo ultimo libro uscito in occasione del centesimo compleanno. 

Solo nel 1953, dopo una infanzia alla "Lord Fauntleroy" di Charles Dickens, la guerra in Marina, gli studi alla Columbia e alla Sorbona, Ferlinghetti si trasferi' a San Francisco, la citta' dove da allora ha vissuto e lavorato fino all'ultimo giorno. City Lights divenne un magnete per la rivoluzione culturale del movimento Beat e la casella postale dove i poeti si facevano recapitare la posta quando erano "on the road". Nel 1956 Ferlinghetti pubblico' "Howl" di Ginsberg e per questo editore e autore finirono in carcere per oscenita': il processo un anno dopo fece entrambi diventare internazionalmente famosi. 


Raro caso di poeta, insieme a Rene' Char e Saint-John Perse, ad essere pubblicato ancora in vita nella prestigiosa collezione della Biliothe'que de la Ple'iade, Philippe Jaccottet, morto a 95 anni nella notte tra il 24 e il 25 febbraio, e' stato piu' volte candidato al Premio Nobel. 

Considerato uno dei maggiori poeti europei, e' stato anche un grande saggista e traduttore di giganti come Rilke, Musil e Ungaretti

Il 17 marzo sara' pubblicata da Marcos Y Marcos una sua opera in prosa inedita in Italia, inclusa nella Pleiade di Gallimard: 'Passeggiata sotto gli alberi' nella traduzione di Cristian Rossatti, con la prefazione di Fabio Pusterla che ha curato molte sue opere. "Respiro solo dimenticandomi di me" afferma Jaccottet che nelle sue opere interroga la natura, la morte. 

In questo libro, una testimonianza generosa, tesa e radicale, svela la rara intensita' di mettersi in cammino, regolare il ritmo del passo e del respiro, avanzare nel bosco, su un terreno malcerto. 

Cogliere il momento di confine in cui l'ombra della notte assorbe gli alberi, i giardini, le vigne, le rocce. Ce la fa toccare e affidandoci a lui, tratteniamo il fiato di fronte a una sorgente pura. 

"Lo seguiamo allora anche piu' in la', sulle tracce di una parola che non tradisca quella luce originaria: la parola poetica. Senza certezze, con la sorridente esitazione di chi dipana un filo nel momento stesso in cui lo segue, Jaccottet ci dona i suoi dubbi, i suoi lampi, la possibilita' salvifica di sperimentare e descrivere la meraviglia" come spiega Pusterla. 

Svizzero di lingua francese, vincitore del Premio Goncourt per la poesia nel 2003 e di tanti altri riconoscimenti tra cui il 'Grand prix national de Traduction' nel 1987, Jaccottet era nato il 30 giugno 1925 a Modon, nel cantone svizzero di Vaud ma ha vissuto la maggior parte della vita, oltre mezzo secolo, a Grignan, nel sud della Francia, dove e' morto e dove sara' sepolto

Dopo gli studi in lettere all'Universita' di Losanna, ha vissuto anche a Parigi per un breve periodo, lavorando come corrispondente dell'editore Mermod. 

La sua prima raccolta di poesie e' 'L'Effraie' del 1953, uscita per Gallimard. Ha collaborato a La Nouvelle Revue Française dove ha fatto conoscere la letteratura tedesca. Fra le sue raccolte piu' celebri Il barbagianni. 

L'ignorante (1958) e Alla luce d'inverno (1977), pubblicata da Marcos y Marcos nel 1997 che ha in catalogo abbiamo anche 'E, tuttavia'. 

Oltre alla poesia e' autore di numerosi volumi in prosa, diari e di critica letteraria tra cui uno studio su Jean-Pierre Lemaire in 'Jean-Pierre Lemaire: Les Marges du jour'. Oltre a Musil, del quale ha fatto conoscere in Francia 'L'uomo senza qualita'', ad Ungaretti e Rilke, ha tradotto il russo Ossip Mandelstam e gli si deve una trasposizione dell'Odissea di Omero, dei versi di Friederich Hölderlin e di "Morte a Venezia' di Thomas Mann. 

24/02/21

Ecco 30 meravigliosi itinerari nella Tuscia tra Letteratura (Dante, Pirandello) e Cinema (Monicelli, Clooney)



L'Italia di Dante, a 700 anni dalla morte, i paesaggi narrati da Goethe in Viaggio in Italia e gli scorci che hanno ispirato Pirandello per il Rondone e Rondinella. E poi ancora i luoghi scelti come set da Monicelli e Comencini, Sorrentino e George Clooney

Sono gli oltre 300 chilometri di cinema, arte, mitologia e letteratura da vivere in bici, a cavallo o a piedi negli "studios a cielo aperto" della Tuscia

Una collezione di 30 itinerari rilanciati dalla Camera di Commercio di Viterbo con il progetto Tuscia Sport & Leisure (www.tusciasport.it) per riscoprire, dopo 12 mesi di pandemia, il turismo sportivo e green, sostenibile e lento, percorrendo anche le location dei grandi set naturalistici e storici di film d'autore come L'Armata Brancaleone di Mario Monicelli, il Pinocchio di Luigi Comencini, Il vigile di Luigi Zampa e La Strada di Federico Fellini. 

O di serie tv e kolossal tra cui Catch-22 con George Clooney, The Young Pope di Paolo Sorrentino e il successo internazionale I Medici, che hanno scelto come set Villa Lante, Sutri e Viterbo

Non solo cinema, pero'. 

Viaggiando nel tempo e nello spazio, tra i percorsi da scoprire c'è poi il sentiero che conduce dal borgo di Vitorchiano, con l'unico Moai esistente fuori dall'Isola di Pasqua, fino a Bomarzo, attraversando il Monumento naturale di Corviano, le cascate del Martelluzzo, la Riserva Naturale Monte Casoli e il Parco dei Mostri

Oppure si può procedere da Soriano nel Cimino a Cura di Vetralla attraverso la Faggeta recentemente divenata Patrimonio Unesco

E ancora, tra Vejano e Blera, ecco il Ponte del Diavolo, mentre il percorso dei castelli regala panorami mozzafiato con luoghi suggestivi come il Borgo Fantasma di Celleno e il Paese delle favole di Sant'Angelo di Roccalvecce. 

Per gli amanti d'archeologia, da non perdere il Parco Marturanum e la Valle del Tevere. 

23/02/21

Un brano di "Porpora e Nero" di Fabrizio Falconi - Il ritrovamento della quarta e ultima traccia



Da Porpora e Nero:

“Ho letto l’articolo di Heckscher che ha allegato alla traduzione, è molto affascinante. Se veramente Bernini per l’elefante ha preso ispirazione dall’Hypnerotomachia Pamphili di Francesco Colonna, vorrebbe dire che sia lui che Kircher si stavano occupando dei simboli dei Rosacroce”. 
Per l’occasione si era scomodato anche Meister. Laura lo aveva seduto di fianco, nel sedile posteriore dell’ammiraglia scura che li stava portando a destinazione.
“Sì è una ipotesi interessante”, rispose freddamente Laura senza staccare gli occhi dalla strada.
“È il testo che chiamano Poliphilo?”
“Proprio quello”.
“È molto famoso, ho consultato una copia tempo fa. È un testo pieno di suggestioni. Ma non avevo mai pensato all’episodio di Poliphilo che si addormenta in una valle e sogna un elefante con un obelisco sul dorso. È impressionante la somiglianza con quello di Bernini”.
“Sì, ma non sapremo mai come siano andate le cose”.
“Bonnard cosa dice?” chiese Meister toccando la spalla all’autista per fargli segno di accostare. Laura fissava le sue mani, che sembravano quelle di un adolescente, allungate e prive di peli.
“Non so, credo che propenda per l’ipotesi romana. L’ipotesi che Bernini sia stato influenzato dal vero elefante regalato dal re del Portogallo, inviato quasi un secolo prima in regalo a Leone X”.
“Sì, Annone, l’elefante bianco”.
Laura si sentiva inquieta per la presenza di Meister, e anche se egli continuava a mostrargli il suo lato erudito e socievole, sperava che la mattinata insieme finisse quanto prima.
“La sapienza dell’istinto e della natura che sorregge quella degli uomini”, continuò Meister con fervore. La macchina si era fermata davanti all’albergo Bologna, ed erano ormai a pochi passi dalla Minerva.
“Aspetti un secondo. I nostri uomini stanno bonificando la zona”.
Laura lo guardò interdetta:
“Bonificando?”.
“Sì, stavolta non ci faremo sorprendere. Abbiamo creato una specie di cordone, a protezione di eventuali intrusi. Non vogliamo tra i piedi nessuno”.
Dopo una breve attesa, comparve vicino al finestrino il faccione di Montenegro. Sollevò il pollice nell’aria e si allontanò a piedi in direzione della piazza. Meister fece cenno a Laura di scendere
e insieme si incamminarono verso l’obelisco della Minerva.
La piazza era semideserta, alle otto del mattino. Uno spazzatore automatico puliva la strada all’angolo di fronte al lussuoso albergo. La luce fredda dell’inverno conferiva un aspetto metafisico al piccolo obelisco eretto davanti alla immensa bianca facciata della Chiesa della Minerva.
Avvicinandosi, Laura notò un paio di persone vestite di scuro agli angoli opposti della piazza, che dovevano essere gli scagnozzi di Meister. Montenegro si era fermato sui gradini della chiesa, guardandosi intorno. 
“Facciamo presto”, intimò Meister nervoso. 
Lasciò che fosse Laura, per prima a salire sui tre gradini
del piedistallo. Sorreggendosi con una mano alla base, Laura scrutò al di sotto della gualdrappa che ricadeva di fianco all’elefante. 
Allungò una mano tra le zampe dell’animale scolpito, prima da una parte poi dall’altra mentre Meister la osservava in silenzio. Finalmente sentì tra le dita quello che cercava: un foglietto ripiegato in quattro. Laura fece un cenno a Meister, estrasse la mano e subito la infilò nella tasca del cappotto
come lui le aveva chiesto di fare. Partì un cenno a Montenegro. Il quale a sua volta lo ripeté ai due uomini di guardia agli estremi della piazza. Tutti rimasero al loro posto, mentre Laura e Meister tornarono verso la macchina. 
Quando l’autista mise in moto e guidò lungo via Santa Caterina da Siena e il Collegio Romano, Meister chiese a Laura di consegnargli il biglietto, e lo aprì ansiosamente sotto i suoi occhi: stavolta c’era una fotografia in bianco e nero: la riproduzione di un geroglifico egizio e al di sotto una piccola scritta, nella stessa calligrafia dei biglietti precedenti:



Prima monas
Considera la mano sinistra

Meister rimase ad osservare l'immagine a lungo, poi alzò lo sguardo trionfante su Laura: “Non abbiamo lavorato invano!”

22/02/21

A Versailles torna a splendere il famoso Teatro di Maria Antonietta



Il teatro di Maria-Antonietta si rifa' il trucco

Durante la crisi sanitaria, che ha reso impossibili le visite guidate o scolastiche, restauratori, esperti d'arte ed artisti si sono messi al lavoro per risistemare il teatro della regina situato nel celeberrimo parco della Reggia di Versailles, residenza del re Sole alle porte di Parigi. 

Pandemia o meno, il teatro di Marie Antonietta - anche noto come 'Théatre de la Reine' - e' un gioiello tanto bello quanto vulnerabile ed accoglie il pubblico rarissime volte. 

Una gemma fragile dunque, nascosta nei giardini del 'Petit Trianon' e luogo segreto di Maria Antonietta. 

"E' un po' come se fosse la Bella addormentata nel Bosco", dice Raphael Masson, responsabile del Patrimonio di Versailles, intervistato dalla France Presse. 

Fu proprio qui che nell'estate del 1785 la sovrana di origini austriache e appassionatissima di musica e teatro sali' in scena per l'ultima volta, interpretando il ruolo di Rosine nel 'Barbiere di Siviglia', sotto allo sguardo del suo stesso autore, il drammaturgo Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. 

Costruito dall'architetto personale della regina, Richard Mique, il teatro è l'unico in Francia ad aver conservato macchinari funzionanti come all'epoca. 

Durante la Rivoluzione francese, la sala non venne distrutta, perché ritenuta senza valore, e nei suoi 240 anni di esistenza é stata usata rarissime volte. Il che ha contribuito a mantenere questo spazio in ottimo stato. 

"Questo teatro e' un miracolo di conservazione", dice Masson, descrivendo gli ultimi interventi di restauro. Come il nuovo sipario blu cobalto, appeso a dicembre, che in realta' e' "una tela di lino dipinta in trompe-l'oeil che imita una pieghettatura". 

Illusione pura, come del resto i marmi finti con cui e' decorata la sala che ai tempi di Maria Antonietta poteva accogliere fino a 250 spettatori. 

Tre le scene attualmente a disposizione: un interno rustico, una foresta e il tempio di Minerva. 

Grazie agli inventari, alcuni storici dell'arte lavorano alla fedele ricostruzione di una quarta scenografia, la "piazza pubblica". 

Molto fragile, nonostante il restauro nel 2001, la sala non e' mai stata messa norma per restare fedele alla sua storia, il che la rende le visite rare e difficili. "C'e' un concerto ogni due anni", spiega Masson, ricordando che "il teatro non puo' essere utilizzato in modo regolare, ma aspettiamo la fine (della crisi sanitaria, ndr) per poterlo far vedere al pubblico". 




19/02/21

Roma omaggia John Keats a 200 anni dalla sua morte



Sedotto dalla bellezza architettonica e paesaggistica di Roma ma soprattutto attratto dal suo clima mite, il poeta inglese John Keats scelse di vivere nella Capitale per cercare sollievo dalla tubercolosi, malattia che lo stava consumando e che aveva gia' ucciso sua madre e suo fratello. 

Trovò un appartamento al secondo piano della centralissima piazza di Spagna al civico 26, sul lato destro della scalinata di Trinita' dei Monti

Abitò quell'appartamento assieme al fedele amico e pittore Joseph Severn e ad altri artisti inglesi, tutti di passaggio durante il loro Gran Tour nel nostro Paese. 

Ma nel cuore di Roma, in quella che oggi è una casa ricca di preziose testimonianze e di tributi letterari, il giovane autore di Ode to a Nightingale scomparve prematuramente il 23 febbraio del 1821

Aveva appena 25 anni ma le sue odi e il suo talento artistico lo avevano gia' inserito tra le voci piu' autorevoli e significative del Romanticismo inglese. 

Oggi la casa-museo del poeta, dove passarono anche lord Byron e Percy Bysshe Shelley, si sta preparando a celebrare i due secoli dalla sua morte con visite guidate virtuali nell'appartamento dove Keats mori' di tubercolosi e tra le stanze che ospitano ritratti e manoscritti, mobili e cimeli di Keats e di altri grandi poeti inglesi, tutti innamorati di Roma

Oltre alle due sale espositive, della Keats-Shelley Memorial House si visitano anche la terrazza, una sala da te', un negozio di libri, una piccola stanza per la proiezione di video sui poeti romantici e soprattutto una delle piu' belle e ricche biblioteche di letteratura romantica del mondo, con oltre 8 mila volumi

Alle celebrazioni per il bicentenario si aggiunge anche una serie di video-racconti girati nella casa-museo, tra cui il filmato immersivo "The Death of Keats", con la voce narrante della rock star e attore irlandese Bob Geldof, ambasciatore dell'iniziativa Keats-Shelley200. 

La video-storia, innovativa e coinvolgente, racconta attraverso la lettura delle lettere di Keats il suo viaggio in Italia, la permanenza nell'appartamento di piazza di Spagna e la sua scomparsa. 

Inaugurato nel 1909, il museo dedicato a Keats e a Shelley è un viaggio nel Romanticismo inglese, un santuario dedicato a tutti quegli artisti d'Oltremanica che trovarono ispirazione nei bucolici paesaggi italiani. In realtà, i mobili e gli oggetti lasciati da Keats nella sua stanza non sono quelli originali perché tutti i suoi beni vennero bruciati subito dopo la sua morte per impedire, secondo le credenze del tempo, la diffusione della malattia. 

Eppure entrando nella camera che si affaccia sulla celebre piazza si ha la sensazione di vedere il poeta intento a leggere e a scrivere sul suo scrittoio. 

Gli unici due oggetti originali sono il camino e la maschera mortuaria di Keats posizionata accanto al letto. 

Le visite guidate virtuali nella casa-museo partono il 23 febbraio, giorno della commemorazione, e si prenotano sul sito: ksh.roma.it 

Ma gli omaggi di Roma non finiscono qui: John Keats venne sepolto nel cimitero acattolico di Testaccio, vicino alla Piramide Cestia, un luogo di pace e di grande suggestione. 

Accanto alla tomba di Keats, sulla cui lapide si legge "Qui giace un uomo il cui nome fu scritto sull'acqua", riposa l'amico di sempre, il pittore Joseph Severn che morì 58 anni dopo la scomparsa del poeta. 

Poco lontano una lapide ricorda che qui, nel Cimitero degli Inglesi, come viene chiamato, furono sparse le ceneri di Shelley, altro grande poeta britannico e grande amico di Keats

Quando, nel 1877, Oscar Wilde si reco' in visita alla tomba di colui che considerava il piu' grande poeta del secolo, defini' il cimitero acattolico come il posto piu' sacro di Roma

Anni dopo, nel 1881, dedico' al giovane poeta romantico il sonetto The Grave of Keats, esposto oggi nel salone nella casa-museo. 

18/02/21

Scacchi e Cinema: in un Ebook la guida a tutti i film

Stanley Kubrick alla scacchiera durante le riprese de Il Dottor Stranamore, 1964


Gli scacchi e il cinema. Un connubio antico che risale addirittura ai primi anni della nascita della settima arte, ormai quasi 130 anni fa

Sull'onda del travolgente successo della serie Netflix La regina degli scacchi, arriva nelle librerie virtuali il nuovo libro di Claudio Nobile "Scacchi e cinema", scritto in collaborazione con Bruno Nobile

Una guida critica a tutti i film inerenti il "gioco dei re", come spiega lo stesso sottotitolo dell'ebook, edito da StreetLib e in vendita sulle principali piattaforme digitali a 3,99 Euro; 

Gli autori passano in rassegna oltre 1.500 pellicole, rigorosamente schedate e catalogate, in 69 capitoli tematici

Un must-have per cinefili e appassionati del gioco di società più popolare al mondo che, con ogni probabilità, potrebbe essere anche introdotto alle Olimpiadi del 2024. 

Sono molti i cineasti o gli attori con la passione degli scacchi, da Woody Allen a John Wayne, passando per Marlon Brando e Stanley Kubrick. 

Sono rimaste impresse nella memoria di chiunque le scene di "Il settimo sigillo" o di "007, dalla Russia con amore". 

Pedoni e cavalli, torri e alfieri hanno da sempre costellato il panorama cinematografico mondiale, fino a influenzare anche le produzioni televisive. 

I due capitoli principali dell'ebook sono "28 film sovrani" e "Cameo". 

Nel primo caso ci si sofferma sulle pellicole dove gli scacchi hanno un ruolo centrale, mentre nel secondo quelle in cui il gioco compare in modo più rapido. 

La guida si pone come obiettivo quello di guidare il lettore nella comprensione dell'utilizzo degli scacchi nei film analizzandone la grammatica, il significato e la resa qualitativa. 

16/02/21

La Villa Paolina di Roma e il mito della sua proprietaria Paolina Bonaparte

 


 

Via XX Settembre è una nobile strada di Roma dove si sono stabilite diverse ambasciate e uffici diplomatici: una di queste è la sede della rappresentanza di Francia presso la Santa Sede che è ospitata nei nobili locali della Villa Paolina, in quell’area una volta definita dalle Mura Aureliane, la cosiddetta strada Pia (oggi via XX Settembre) e via di Porta Salaria (oggi via Piave).

La villa sorse intorno al 1748  per volere del cardinal Silvio Valenti Gonzaga, segretario di Stato di papa Benedetto XIV, su un preesistente edificio che era proprietà di una famiglia fiorentina dal curioso cognome: Cicciaporci.
All’interno della villa il cardinale raccolse splendide collezioni molte eterogenee tra loro, soprattutto strumenti scientifici e poi quadri,  gioielli e argenterie, come si può desumere da un celebre quadro di Gian Paolo Pannini, la  Galleria del cardinale Valenti Gonzaga, oggi conservato al Wadsworth Atheneum di Hartford, in Inghilterra.

In questa tela è raffigurato un gruppo di persone nell’intento di esaminare il progetto della villa, immerso in una galleria di invenzione sulle pareti è possibile però ammirare alcuni pezzi della collezione del cardinale: libri, statue e arazzi che testimoniano la cultura divorante e l’eclettismo dei gusti del Cardinale-umanista.

Alla morte del Cardinale, la villa fu acquistata nel 1809 da un’altra proprietaria illustre: Paolina Bonaparte, che le diede il nome e ordinò nuove sontuose decorazione all’interno e all’esterno della Villa.

Paolina (che in realtà si chiamava Maria Paola) era come noto la sorella prediletta di Napoleone,  che nel 1797 era andata in sposa al generale Victor Leclerc, e alla morte di questo (il matrimonio durò solo cinque anni) divenne, su insistenza del fratello, la sposa del potentissimo principe Camillo Borghese, più anziano di lei di cinque anni, la personalità più eminente della Roma di allora, il che ne fece la regina della vita mondana romana, vista anche la sua bellezza e il suo noto anticonformismo che la portò anche a posare scandalosamente nuda per Antonio Canova nel celebre capolavoro che oggi è l’attrazione principale del Museo Borghese, nella villa omonima.

La Villa in Via XX Settembre (provenendo da Porta Pia, la si incontra sul lato destro introdotta da un grande portale in bugnato) divenne la residenza personale e principale di Paolina a Roma, con il Casino a più piani, la scala monumentale, le colonne doriche, e soprattutto la splendida collezione esotica, che in parte Paolina aveva ereditato dal precedente proprietario della Villa e in parte arricchì secondo il suo gusto personale.

Anche il giardino, per volontà della nobile Bonaparte, divenne uno dei più lussureggianti e belli (quello rimasto oggi è semplicemente una piccola porzione) con molte piante rare, tra le quali i primi arbusti di ananas piantati  a Roma.

Paolina, poi, dal temperamento irrequieto (che suscitava continui scandali e costringeva il fratello a richiamarla all’ordine) nutriva continue curiosità che si nutrivano dei bizzarri gusti del precedente proprietario: nella grande sala del pianterreno ad esempio, Silvio Valenti Gonzaga aveva fatto trasportare una grande pietra circolare proveniente dagli scavi del Campo Marzio, forse attinente alla Meridiana di Augusto, sulla superficie della quale erano riportate misteriose figure matematiche, trapezi, triangoli, pentagoni, esagoni e solidi.

La grande sala possedeva poi, già dai tempi del Cardinale Gonzaga, una particolarissima proprietà acustica, che sembra divertisse molto Paolina: posizionandosi ad uno degli angoli del salone era infatti ascoltare distintamente le conversazioni che si svolgevano al lato opposto.  Il che, in quegli anni dominati dalla frenetica vita di corte, dagli intrighi e dai pettegolezzi, forniva degli innegabili vantaggi.

Con la morte di Paolina (nel 1824) purtroppo anche la Villa cadde in uno stato di abbandono, aggravato dai pesanti danneggiamenti subiti nel 1870 durante gli scontri e i cannoneggiamenti della Presa di Porta Pia. Rimase comunque di proprietà dei Bonaparte, fin quando fu acquistata dall’ambasciatore di Prussia (nel 1907) per restaurarla e stabilirvi gli uffici diplomatici. 

Nel frattempo gran parte del rigoglioso giardino era andato perduto e sacrificato per essere dato in concessione per la nascita di nuove costruzioni abitative.

La Villa poi, in un certo senso, tornò a casa (la patria di Paolina) nel 1951 quando come detto fu acquistata dal governo francese per realizzarvi l’ambasciata presso la Santa Sede.

 

Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013

15/02/21

100 anni dalla nascita di Giulietta Masina: Un libro la ricorda

 



Giulietta Masina avrebbe compiuto 100 anni il 22 febbraio 2021. Per festeggiare il centenario dalla nascita della grande attrice, moglie di Federico Fellini, la casa editrice Edizioni Sabinae con il Centro Sperimentale di Cinematografia pubblica la biografia 'Giulietta Masina' di Gianfranco Angelucci, scrittore ed esegeta felliniano, che arriva in libreria il 20 febbraio.

Nata a San Giorgio di Piano, in provincia di Bologna il 22 febbraio 1921, Giulia Anna "Giulietta" Masina, morta il 23 marzo 1994 a Roma, ha conquistato le platee di tutto il mondo con personaggi indimenticabili come Gelsomina ne 'La strada' e Cabiria in 'Le notti di Cabiria' diretta da Fellini, che hanno vinto entrambi l'Oscar al miglior film straniero. 

Indelebile anche il personaggio di Fortunella nell'omonimo film del 1958 di Eduardo De Filippo. 

Oltre che dal marito, con cui ha formato una delle coppie piu' celebri del cinema italiano, e' stata diretta dai maggiori registi italiani e stranieri, da Roberto Rossellini in 'Paisa'' dove ha fatto la sua prima apparizione, ad Alberto Lattuada in 'Senza pieta'' e Luigi Comencini in 'Persiane chiuse'.

Durante la sua lunga carriera ha vinto numerosi premi tra cui un David di Donatello piu' due speciali, quattro Nastri d'Argento e un Globo d'oro. 

Una delle ragioni di questo libro e' che Giulietta "era davvero l'altra meta' del cielo di Federico Fellini, e se non si conosce lei, la sua vita, la sua vicenda, la sua arte, si rischia di non conoscere abbastanza da vicino neppure Federico" spiega la nota editoriale. 

"Questa creatura umana che Giulietta ha saputo incarnare e tratteggiare con tanta ammirevole precisione e trepidazione, e' semplicemente la donna portatrice di vita, senza la quale non esisterebbe nessuno di noi, ne' il popolo di questa terra, ne' il futuro che ci attende, ne' l'arte, ne' la creativita', ne' la memoria, ne' i viaggi interstellari che forse condurranno il genere umano a colonizzare nuovi mondi, chissa' in quali remote contrade del cosmo" dice Angelucci. 

Il volume contiene un ricco apparato fotografico che proviene dall'Archivio fotografico del Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale. 




GIANFRANCO ANGELUCCI 
GIULIETTA MASINA 
EDIZIONI SABINAE- CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA 
PP 242, EURO 18,00

14/02/21

La Poesia della Domenica: "Coniando sfere dissimili" di Fabrizio Falconi






Coniando sfere dissimili
come granelli,
biglie sbeccate
nell'ilare quiete della valle,
segnata dallo strisciare serpesco
della morte, tutti c'eravamo:
assonnati risvegliati menomati,
pulzelle disarcionate da selle,
musicisti temporalmente tristi,
inconsapevoli reticenti colpevoli,
spersi bambini tersi,
tutti,
sotto il campanile mattonato
acuminato,
contro il cielo alabardato.






13/02/21

Libro del Giorno: "Due vite" di Emanuele Trevi

 


Un libro prezioso, di rara qualità. Emanuele Trevi ritorna con "Due vite", recentemente ristampato da Neri Pozza e già sicuro concorrente - e possibile o probabile vincitore - del premio Strega 2021. Un libro che, nello stile di Trevi, è in parte memoriale, in parte omaggio/tributo a due amici scrittori morti prematuramente, in parte saggio di critica letteraria, in parte pura narrazione (le biografie, cioè, qui diventano pura materia letteraria). 

«L’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità». Così scrive Emanuele Trevi in un brano di questo libro che, all’apparenza, si presenta come il racconto di due vite, quella di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori prematuramente scomparsi qualche tempo fa e legati, durante la loro breve esistenza, da profonda amicizia. 

Trevi ne delinea le differenti nature: incline a infliggere colpi quella di Rocco Carbone per le Furie che lo braccavano senza tregua; incline a riceverli quella di Pia Pera, per la sua anima prensile e sensibile, così propensa alle illusioni. Ne ridisegna i tratti: la fisionomia spigolosa, i lineamenti marcati del primo; l’aspetto da incantevole signorina inglese della seconda, così seducente da non suggerire alcun rimpianto per la bellezza che le mancava. Ne mostra anche le differenti condotte: l’ossessione della semplificazione di Rocco Carbone, impigliato nel groviglio di segni generato dalle sue Furie; la timida sfrontatezza di Pia Pera che, negli anni della malattia, si muta in coraggio e pulizia interiore. 

Tuttavia, la distanza giusta, lo stile dell’unicità di questo libro non stanno nell’impossibile tentativo di restituire esistenze che gli anni trasformano in muri scrostati dal tempo e dalle intemperie. Stanno attorno a uno di quegli eventi ineffabili attorno a cui ruota la letteratura: l’amicizia

Nutrendo ossessioni diverse e inconciliabili, Rocco Carbone e Pia Pera appaiono, in queste pagine, come uniti da un legame fino all’ultimo trasparente e felice, quel legame che accade quando «Eros, quell’ozioso infame, non ci mette lo zampino». 


Emanuele Trevi

Due Vite

Neri Pozza Editore, 2020

ISBN: 978-88-545-2046-2 

 Collana: Piccola Biblioteca 

 Pagine: 144 Prezzo: €12,00

12/02/21

1.500.000 di Visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi. Grazie !

 


Grazie davvero di cuore a tutti i lettori di Questo Blog !


Abbiamo raggiunto insieme il traguardo ragguardevole di 1 milione e mezzo di visitatori! 

Di tempo ne è passato dal primo post pubblicato nel Blog, quasi tredici anni fa, esattamente il 31 marzo del 2008. 

Il Blog era diverso. In questi anni è cambiato e cresciuto ma ha mantenuto, credo, il suo stile. Quello di proporre sempre argomenti che arricchiscano in conoscenza e consapevolezza; oltre ad un agile aggiornamento su quello che interessa il mondo della cultura e dell'arte e della storia e della attualità della città di Roma.

Ripropongo qui di seguito il post del primo giorno, che proponeva una pagina del Vangelo di Marco: quel Mantello che tutti noi siamo chiamati a gettare via - come fece Bartimeo - quando vogliamo andare incontro alla conoscenza.

grazie di questo bel viaggio insieme, che oggi registra un nuovo inizio.

Fabrizio Falconi



E giunsero a Gèrico. E mentre partiva da Gèrico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!".
Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".
Allora Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio! Alzati, ti chiama!".
Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a lui: "Rabbunì, che io riabbia la vista!".
E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.
(Marco, 10 - 46,52)

09/02/21

Roma la Grande e Pompei il Mito, per la prima volta insieme al Colosseo !




Roma, la megalopoli, al pari di Alessandria o Cartagine. E Pompei, il mito, con le domus a specchiarsi sul mare

Per la prima volta una mostra ricostruisce la storia del lungo e intenso rapporto tra le due citta' piu' famose dell'archeologia con "Pompei 79 d.C. Una storia romana", da oggi fino al 9 maggio allestita in un monumento simbolo come il Colosseo

Frutto di una sinergia che ha messo insieme il Parco archeologico del Colosseo, con la collaborazione scientifica del Parco Archeologico di Pompei e del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e curata dall'archeologo Mario Torelli, recentemente scomparso, è un viaggio indietro nel tempo che ripercorrendo le relazioni sociali e culturali tra le due citta', va dalla Seconda guerra sannitica, quando la Roma repubblicana inghiotte nella sua orbita molte comunita' campane alla fine del IV a.C, fino ai drammatici momenti dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C

In mezzo, racconta all'ANSA la direttrice del Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo, c'e' anche "il secolo d'oro, il II a.C., quando Roma si apre al Mediterraneo e arriva fino all'Egeo" e, come dimostrano le oltre 100 opere selezionate, "importa oggetti, ma anche saperi, maestranze e tecnologie". 

Ma c'e' anche la Pompei piegata dal terremoto, "che al momento dell'eruzione non aveva ancora terminato la sua ricostruzione, come testimonia il ritrovamento di numerosi ristoranti e alberghi per i manovali dei cantieri".

E poi la religione o il lusso, con la "ricostruzione della facciata della Domus rivenuta nel 2000 al Gianicolo, con raffinatissimi marmi color rosso e giallo antico". 

Dopo la riapertura del Colosseo con il concerto dall'Arena, l'esposizione si inserisce in una stagione che ha visto già il nuovo allestimento dell'Antiquarium del Parco Archeologico di Pompei e attende ora la mostra sugli spettacoli gladiatori, la prossima primavera al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. 

08/02/21

Alla Casa del Cinema di Roma una grande mostra su Mario Monicelli

 

Mario Monicelli al lavoro (alla sua sinistra si riconosce un giovanissimo Carlo Vanzina, assistente alla regia)



Debutta oggi,  lunedi' 8 febbraio alla Casa del Cinema la mostra "Mario Monicelli" realizzata dal Centro Sperimentale di Cinematografia.

La mostra e' allestita nelle sale della Casa del Cinema intitolate a due grandi sceneggiatori del cinema italiano come Sergio Amidei e Cesare Zavattini. 

Si tratta di una spettacolare galleria di immagini provenienti dall'archivio fotografico della Cineteca Nazionale, che ripercorrono passo passo tutta la storia artistica di Mario Monicelli, dagli esordi in coppia con Steno alla fine degli anni '40 (Toto' cerca casa) fino al film del commiato, Le rose del deserto (2006)

In attesa della riapertura degli spazi espositivi di Casa del Cinema sarà possibile "vedere" questa straordinaria storia artistica per immagini grazie alle riprese della mostra con la regia di Stefano Landini e agli approfondimenti su singoli momenti del cinema di Monicelli, accompagnati da un anomalo "Virgilio" come il critico Alberto Crespi che raccontera' insieme al direttore della Casa del Cinema, Giorgio Gosetti e ad altri ospiti - tra i quali lo scrittore Paolo Di Paolo, autore di un saggio presente nel numero di "Bianco e Nero" dedicato a Monicelli - alcuni titoli memorabili nella filmografia del regista, da "L'armata Brancaleone" a "La grande guerra", dagli esordi sul set alle collaborazioni con gli sceneggiatori, gli attori, i produttori, i tecnici di un cinema italiano applaudito in tutto il mondo. 

Appuntamento ogni lunedi', dall' 8 febbraio sui social network della Casa del Cinema (Facebook, Twitter, Instagram) e sui profili Facebook del Centro Sperimentale di Cinematografia e della Cineteca Nazionale, in attesa di una visita dal vivo della mostra.

07/02/21

Libro del Giorno: "La casa di Parigi" di Elizabeth Bowen

 


Pubblcato anni fa in una versione tagliata dalla casa editrice Essedue, “La casa di Parigi”  è tornato in libreria pubblicato da Sonzogno nella collana diretta da Irene Bignardi e in  versione integrale, tradotto da Alessandra di Luzio accompagnato da una postfazione di Leonetta Bentivoglio.

Da molti considerato il capolavoro di Elizabeth Bowen (1899-1973) una delle più raffinate e importanti scrittrici del novecento anglosassone, irlandese che visse molto a Londra, affiliandosi al celebre circolo di Bloomsbury, profondamente ammirata da Virginia Woolf, "La casa di Parigi" è un romanzo vischioso, che avvolge come un incantesimo e conduce il lettore attraverso un misterioso viaggio nella psicologia e nei destini di pochi personaggi.

Siamo a Parigi, in inverno, la Grande guerra è finita da poco, aleggia sulla città un'atmosfera cupa e grigia. Alla Gare du Nord scende Henrietta, undici anni, con in mano la sua scimmietta di pezza. Viene a prenderla la signorina Fisher, un'amica di famiglia che la ospiterà per una intera giornata in un elegante appartamento, in attesa di farla ripartire per il Sud della Francia. 

In quella casa borghese, dal confortevole odore di pulito, Henrietta si imbatte in una gradita sorpresa: c'è un suo coetaneo, il fragile Leopold, avviato verso un futuro incerto. 

Tra i due bambini, estremamente sensibili e inquieti, dopo l'iniziale diffidenza, si accende la curiosità: di ciascuno nei confronti dell'altro, e di entrambi verso il misterioso mondo degli adulti. 

I due fanciulli, grazie agli indizi disseminati attorno a loro, rivivono, tra immaginazione e realtà, le tormentate storie d'amore dei grandi, in particolare quella scandalosa tra la madre di Leopold e il suo padre naturale. 

Acclamato come un classico al momento della pubblicazione (1935), "La casa di Parigi", oltre a mettere in scena una passione sentimentale, è un acuto studio psicologico e un esercizio di finezza letteraria sulla prima irruzione del dolore, sulla scoperta del sesso, sulla perdita dell'innocenza e sull'intrico delle conseguenze e del danno. 

Un romanzo importante, dalla cadenza solenne e dalla prosa jamesiana che desta ammirazione per la profondità psicologica e la capacità descrittiva, dei paesaggi naturali e umani.

Elizabeth Bowen

La Casa di Parigi

Sonzogno, Venezia 2016

Traduzione di Alessandra Di Luzio

Postfazione di Leonetta Bentivoglio

286 pagine, Euro 15

05/02/21

Una nuova mostra a Roma su Federico Fellini, nella sua Cinecittà


Federico Fellini fotografato da Elisabetta Catalano


A suggello delle celebrazioni per il suo Centenario, Federico Fellini ritorna nella 'sua' Cinecitta', con una grande mostra fotografica e multimediale, all'interno dello storico Teatro 1, che si inaugurerà il 10 febbraio e sarà visitabile fino al 21 marzo 2021. 

Un inedito percorso iconico che racconta il rapporto elettivo tra il geniale regista ed Elisabetta Catalano, regina del ritratto fotografico

Curata da Aldo E. Ponis con la direzione artistica di Emanuele Cappelli, testi, ricerca scientifica e iconografica a cura di Laura Cherubini e Raffaele Simongini, la mostra e' stata realizzata da Istituto Luce-Cinecitta' con il contributo della DG Cinema e Audiovisivo, e vive delle immagini dello straordinario Archivio Elisabetta Catalano. 

Fellini, che per le questioni dello sguardo aveva una precisione pressoché infallibile, amò farsi fotografare da Elisabetta Catalano lungo tutto un arco della sua vita, tra il 1963 e gli ultimi anni, stabilendo un'affinità elettiva fondata sui clic, sulla capacità comune di afferrare l'anima di un personaggio (di una persona) in un rapido movimento di camera

Un percorso di oltre 60 immagini, videoproiezioni, oggetti, spiegano gli organizzatori, che non vuole essere il semplice racconto di Fellini al lavoro sul set, ma fa vedere piuttosto il regista che diventa lui stesso soggetto dell'arte nelle mani di un'artista che lo capi' come solo un'immagine puo' fare. 

Ne emerge il ritratto di un Fellini inedito insieme a quello di una fotografa straordinaria, ritrattista di tutti i piu' grandi da Michelangelo Antonioni ad Anouk Aimee, da Susanna Agnelli ad Alighiero Boetti, da Bernardo e Attilio Bertolucci a Italo Calvino , da Claudia Cardinale a Gerard Depardieu Giangiacomo ed Inge Feltrinelli, Amintore Fanfani. Dustyn Hoffman, Audrey Hepburn fino ad Andy Warhol e Zaha Hadid, solo per citarne alcuni. 

Occhi unici, quelli di Elisabetta, ai quali Fellini più di altri amò far vedere il proprio sguardo. 

03/02/21

Scoperte in Egitto Mummie dalla lingua d'oro !




"Foglie d'oro a forma di lingua" piazzate nella bocca di mummie di epoca greco-romana "in un uno speciale rituale per assicurare" ai defunti "la capacita' di parlare nell'Aldila' davanti al tribunale d Osiride", dio egizio della morte e dell'Oltretomba, sono state rinvenute in scavi condotti a ovest di Alessandria. 

Lo riferisce un post su Facebook pubblicato dal ministero delle Antichita' egiziano.

La scoperta e' stata fatta da "una missione egitto-dominicana dell'Universita' di Santo Domingo guidata da Kathleen Martinez", premette il post precisando che gli scavi sono stati condotti presso il "tempio di Taposiris Magna". 

Sono state rinvenute 16 tombe scavate nella roccia, "popolari in era greco-romana", con all'interno "un certo numero di mummie in cattivo stato di conservazione". 

 Taposiris Magna, come noto, e' una citta' fondata dal faraone Tolomeo II Filadelfo tra il 280 e il 270 a.C e il cui nome significa "grande tomba di Osiride", che Plutarco identifica con un tempio egizio della citta'. 


02/02/21

Che fine ha fatto il famoso Colosso di Nerone - alto 35 metri - che si trovava di fianco al Colosseo?

 

Ricostruzione del Colosso di Nerone 


Il Colosso di Nerone andato perduto

 

Un basamento rettangolare in peperino (roccia magmatica che i romani trasportavano dalla Tuscia) di grandi dimensioni (17 metri per 15) è quanto rimane del sito dove sorgeva l’imponente statua dedicata a Nerone, la più grande mai realizzata in bronzo.

Il parallelepipedo, provato dalle ingiurie del tempo, oggi praticamente ignorato dai turisti e dai visitatori che a migliaia ogni giorno si mettono in fila per visitare l’Anfiteatro Flavio, reca una iscrizione in marmo: “Area del basamento del Colosso di Nerone”. In effetti non si tratta (e non si trattava) propriamente del basamento, ma delle fondamenta di quella possente struttura di supporto che doveva sostenere la gigantesca statua dell’imperatore.

Commissionata allo scultore greco Zenodoro, era alta ben 35 metri e costituiva il massimo tributo alla divinizzazione di sé che Nerone aveva voluto per autocelebrarsi.

Originariamente il colosso era posizionato nel vestibolo della Domus Aurea, la residenza imperiale, proprio per incutere soggezione e timore nei visitatori, e raffigurava l’imperatore con la testa radiata e nelle vesti del Sole. Dopo la sua caduta, la grande statua dalla Velia – dove Adriano fece innalzare il tempio di Venere e Roma – fu trasferita nell’area dell’anfiteatro che Vespasiano fece costruire.  Il trasporto eccezionale, riferiscono le cronache dell’epoca, fu effettuato grazie all’utilizzo di ben dodici elefanti, incaricati di trainare il Colosso. L’immagine del Sole divinizzata rimase così nella sua nuova collocazione per diversi secoli. L’imperatore Commodo decise perfino di “ritoccarla”, modificandone i lineamenti perché assomigliasse a lui.

Fu proprio comunque la presenza inconfondibile del Colosso – sembra – a conferire per assonanza il nome Colosseo all’enorme Anfiteatro Flavio, ancora oggi simbolo di Roma. Ma che fine ha fatto?

Purtroppo non si sa esattamente. L’ultima citazione che lo riguarda è nel Cronografo del 354 d.C., il calendario illustrato opera di Furio Dionisio Filocalo. 

Nessuna cronaca successiva lo riporta, facendo propendere per l’ipotesi che il Colosso, vero simbolo del potere imperiale romano, e della sua tracotanza, sia stato abbattuto e distrutto già all’epoca delle prime invasioni barbariche, e le enormi parti in bronzo subito fuse per realizzarne armi. Della statua si persero definitivamente le tracce, come della sua omologa di Rodi considerata una delle sette meraviglie dell’umanità.


Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2015


La targa marmorea dell'Area del Basamento del Colosso di Nerone, nei pressi del Colosseo


01/02/21

Imparare a gestire le frustrazioni, non a evitarle

 


Dal momento in cui l'uomo, l'essere umano viene gettato nell'esistenza, per dirla con Heidegger, egli è chiamato a partecipare a una partita impari, che non potrà mai vincere contro tre avversari che hanno mezzi più potenti dei suoi: la natura (ivi compreso "il caso"), la massa degli altri uomini e se stesso.
Dal momento che gli avversari sono così potenti, l'uomo può aspirare solo a parziali - e molto limitate - vittorie, con esclusione degli eroi e dei santi che suppliscono al fallimento con un sovradimensionamento della parte dell'onore e della moralità.
E dal momento che le sconfitte saranno molte, l'esperienza più comune dell'essere umano è quella della frustrazione (cioè del non esaudimento dei propri desideri/aspirazioni).
Ecco dunque che nella vita la cosa più importante da insegnare non sarebbe la fuga o la rimozione dalle/delle frustrazioni. Ma la loro gestione.
Saper gestire le frustrazioni è ciò che rende un essere umano evoluto nel suo cammino durante la vita.
Ci sono molti modi per imparare a gestire le frustrazioni. La tradizione orientale punta alla radice: per eliminare le frustrazioni si punta alla riduzione crescente fino alla totale eliminazione dei desideri, ritenuti inganni della mente e dell'io.
In Occidente tutto è più complicato, perché l'occidentale non sa - o non può - rinunciare facilmente alle aspirazioni e ai desideri.
L'occidentale è antropologicamente aduso a costruire la propria individualità sulla realizzazione dei desideri e delle aspirazioni.
L'unica via che si presenta allora davanti all'essere occidentale è quella del discernimento, dell'imparare a districarsi nella giungla dei desideri e delle aspirazioni (e delle relative frustrazioni).
La saggezza risiede in questa lezione che si impara giorno per giorno, che insegna a giocare con la propria frustrazione come con l'istinto di un animale che si deve con dolcezza e fermezza addomesticare realizzando il prototipo di una giusta misura.


Fabrizio Falconi - 2021