23/02/21

Un brano di "Porpora e Nero" di Fabrizio Falconi - Il ritrovamento della quarta e ultima traccia



Da Porpora e Nero:

“Ho letto l’articolo di Heckscher che ha allegato alla traduzione, è molto affascinante. Se veramente Bernini per l’elefante ha preso ispirazione dall’Hypnerotomachia Pamphili di Francesco Colonna, vorrebbe dire che sia lui che Kircher si stavano occupando dei simboli dei Rosacroce”. 
Per l’occasione si era scomodato anche Meister. Laura lo aveva seduto di fianco, nel sedile posteriore dell’ammiraglia scura che li stava portando a destinazione.
“Sì è una ipotesi interessante”, rispose freddamente Laura senza staccare gli occhi dalla strada.
“È il testo che chiamano Poliphilo?”
“Proprio quello”.
“È molto famoso, ho consultato una copia tempo fa. È un testo pieno di suggestioni. Ma non avevo mai pensato all’episodio di Poliphilo che si addormenta in una valle e sogna un elefante con un obelisco sul dorso. È impressionante la somiglianza con quello di Bernini”.
“Sì, ma non sapremo mai come siano andate le cose”.
“Bonnard cosa dice?” chiese Meister toccando la spalla all’autista per fargli segno di accostare. Laura fissava le sue mani, che sembravano quelle di un adolescente, allungate e prive di peli.
“Non so, credo che propenda per l’ipotesi romana. L’ipotesi che Bernini sia stato influenzato dal vero elefante regalato dal re del Portogallo, inviato quasi un secolo prima in regalo a Leone X”.
“Sì, Annone, l’elefante bianco”.
Laura si sentiva inquieta per la presenza di Meister, e anche se egli continuava a mostrargli il suo lato erudito e socievole, sperava che la mattinata insieme finisse quanto prima.
“La sapienza dell’istinto e della natura che sorregge quella degli uomini”, continuò Meister con fervore. La macchina si era fermata davanti all’albergo Bologna, ed erano ormai a pochi passi dalla Minerva.
“Aspetti un secondo. I nostri uomini stanno bonificando la zona”.
Laura lo guardò interdetta:
“Bonificando?”.
“Sì, stavolta non ci faremo sorprendere. Abbiamo creato una specie di cordone, a protezione di eventuali intrusi. Non vogliamo tra i piedi nessuno”.
Dopo una breve attesa, comparve vicino al finestrino il faccione di Montenegro. Sollevò il pollice nell’aria e si allontanò a piedi in direzione della piazza. Meister fece cenno a Laura di scendere
e insieme si incamminarono verso l’obelisco della Minerva.
La piazza era semideserta, alle otto del mattino. Uno spazzatore automatico puliva la strada all’angolo di fronte al lussuoso albergo. La luce fredda dell’inverno conferiva un aspetto metafisico al piccolo obelisco eretto davanti alla immensa bianca facciata della Chiesa della Minerva.
Avvicinandosi, Laura notò un paio di persone vestite di scuro agli angoli opposti della piazza, che dovevano essere gli scagnozzi di Meister. Montenegro si era fermato sui gradini della chiesa, guardandosi intorno. 
“Facciamo presto”, intimò Meister nervoso. 
Lasciò che fosse Laura, per prima a salire sui tre gradini
del piedistallo. Sorreggendosi con una mano alla base, Laura scrutò al di sotto della gualdrappa che ricadeva di fianco all’elefante. 
Allungò una mano tra le zampe dell’animale scolpito, prima da una parte poi dall’altra mentre Meister la osservava in silenzio. Finalmente sentì tra le dita quello che cercava: un foglietto ripiegato in quattro. Laura fece un cenno a Meister, estrasse la mano e subito la infilò nella tasca del cappotto
come lui le aveva chiesto di fare. Partì un cenno a Montenegro. Il quale a sua volta lo ripeté ai due uomini di guardia agli estremi della piazza. Tutti rimasero al loro posto, mentre Laura e Meister tornarono verso la macchina. 
Quando l’autista mise in moto e guidò lungo via Santa Caterina da Siena e il Collegio Romano, Meister chiese a Laura di consegnargli il biglietto, e lo aprì ansiosamente sotto i suoi occhi: stavolta c’era una fotografia in bianco e nero: la riproduzione di un geroglifico egizio e al di sotto una piccola scritta, nella stessa calligrafia dei biglietti precedenti:



Prima monas
Considera la mano sinistra

Meister rimase ad osservare l'immagine a lungo, poi alzò lo sguardo trionfante su Laura: “Non abbiamo lavorato invano!”

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