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11/01/14

Perdono e assoluzione non sono la stessa cosa.




C'è una ragione anche quando si sbaglia.  Ma puoi sapere che hai sbagliato solo se riconosci dentro di te l'errore. 

Ogni crescita umana si basa sul perdono.  Quando riconosci l'errore non l'hai ancora riconosciuto veramente come tale: lo riconoscerai soltanto quando qualcuno potrà perdonarti.  Avrai bisogno di quel perdono e potrai averlo se troverai qualcuno generoso, disposto ad accogliere il tuo errore e il tuo sbaglio. 

Dopo che sarai stato perdonato dall'esterno, dovrai perdonarti tu.  E sarà un lavoro molto più lungo, che potrà durare anche per l'intera tua vita. 

Per questo perdonare (e ancora di più perdonar-si) è così difficile. 

Ma il perdono è l'unica cosa che permette di ri-conoscere l'errore o lo sbaglio (è in termini psico-analitici l'attraversamento dell'Ombra, che unicamente, permette il processo di individuazione del Sé). 

Altra cosa è la pratica, diffusissima, della assoluzione. L'assoluzione non costa nulla. L'assoluzione è un colpo di spugna: nulla è mai successo, il fatto non sussiste. 

Per questo è così facile auto-assolversi. Ti dai la benedizione e ti dici che tutto il mondo sbaglia e dunque è perfettamente legittimo che anche tu sbagli.  Anzi, lo sbaglio nemmeno esiste perché tutti sbagliano. E lo sbaglio dunque, dov'è ?

L'assoluzione è la nostra scolorina dell'anima. L'uomo lo fa dai tempi del Neolitico.  Per vivere e sopravvivere deve costruir-si per forza una quantità di inganni, raccontarsi parecchie frottole alle quali far finta di credere, ogni giorno.

E per questo scopo, l'auto-assoluzione è fondamentale.   Si evitano le verità che si incontrano dentro se stessi, si tengono al sicuro, sotto chiave.   

Le verità, poi, prima o poi si impongono. Le verità sono evidenti, eclatanti, vogliono sempre venir fuori.  Ma si può sempre far finta di niente, anche quando la vita sta per finire. Darsi l'assoluzione, cancellare tutto.  

"I'm imperfect guy in imperfect world," ha twettato pochi giorni fa Lance Armstrong dopo aver ucciso per anni e anni la verità, lo sport, la dignità sua e dei colleghi, aver mentito al mondo intero nel più cinico dei modi.

Il mondo è imperfetto e nessuno mi perdonerà. E anche se dovesse perdonarmi, faccio prima io a darmi l'assoluzione. E buonanotte.

Un mondo di non-perdonati e di in-consapevoli, felici di esserlo.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 





21/09/11

Misericordia per tutti ?



La lettura dei brani evangelici è sempre frutto di scoperte, se soltanto si ha la pazienza e la disponibilità di ascolto.  Sempre, scopriamo cose illuminanti su di noi, e sul nostro destino.


Come ognuno sa, le parole dei Vangeli sono poi anche le più abusate e le più equivocate.

Ciascuno, nel corso dei secoli le ha interpretate.  E spesso anche per fini di comodo, come è ovvio.

E però ci sono cose che sono difficilmente interpretabili.

Le ultime due domeniche del tempo ordinario ci hanno sottoposto due parabole, enunciate da Gesù, che sono celebri e sono anche fonte di numerose intepretazioni.

Io credo però che certe volte basterebbe leggere con attenzione. Ascoltare e basta.

Quella di domenica scorsa è la parabola dei lavoratori della vigna. Quella che definisce l'assunto cristiano: gli ultimi saranno i primi.
Proviamo a rileggere.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)

Qui, la cosa che vorrei far notare è una, oltre al fatto indubitabile che Cristo indica un senso di giustizia molto diverso da quello degli uomini (chi arriva per ultimo ha le stesse chances di chi è arrivato per primo): e cioè che il presupposto per ottenere il denaro (la ricompensa) è LAVORARE PER LA VIGNA. Cioè, rispondere alla chiamata. Operare per aderirvi. Farlo sul serio.   Poi, dice Cristo, se lo si fa per una vita intera, o se lo si capisce alla fine, poco conta.  Ma non è che la porta è aperta a tutti, indistintamente. Se non si risponde alla chiamata, se non si PARTECIPA al lavoro, io credo sia molto chiaro, il denaro non arriverà. Questo è quel che dice la parabola, mi sembra.

La seconda lettura, sette giorni fa, presenta la parabola sulla restituzione del debito.  Anche qui, rileggiamo.

 In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». (Mt 18,21-35)

Anche qui, la cosa che mi preme mettere in luce, è che il racconto di questa parabola, se dobbiamo far credito alle parole di Cristo nel loro senso letterale, ci dice molto chiaramente che il Regno non è aperto a tutti. Una questione che sembra contrastare molto nettamente con una versione del cristianesimo assai edulcorato che oggi sembra aver preso piede (anche in ambienti ecclesiastici, anche nelle omelie sempre più tirate via che capita di ascoltare):   Cristo dice che se non si opera cristianamente, cioè come in questo caso, se si è duri di cuore, se nella vita ci si chiude avidamente agli altri, si è incapaci di perdonare il prossimo, di essere misericordiosi, NON CI SARA' NESSUNA misericordia.  Il Signore della parabola, non accoglie il servo 'traditore' dicendogli: "non ti preoccupare, tutto a posto, verrai perdonato."   Il padrone, quel padrone (che è il Signore) è invece durissimo:  il servo ingrato viene mandato nientemeno agli aguzzini, che dovranno estirpargli il credito ricevuto.  Se non fosse abbastanza chiaro, la parabola aggiunge a chiosa finale: Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.


Ecco, questo è quel che dice Cristo.   Poi, certo, oggi a noi fa molto comodo credere e pensare altro. Ma questo, a me non sembra affatto rispecchiare il fondamento stesso della vita cristiana così come è stato enunciato dal suo Fondatore.

Fabrizio Falconi

11/04/10

Il perdono, l'auto-assoluzione, le parole di Cristo.


Le parole di Gesù Cristo sono sempre di fuoco, sono sempre nette, e sempre precise, e sempre chiare e vanno dritte ai cuori, e a quelle bisogna ritornare, sempre.

Ed è così che mi hanno fatto molto riflettere quelle parole che Gesù appena risorto indirizza ai suoi apostoli che sono sconcertati dalla sua presenza viva. Gesù, dopo aver detto 'Pace a voi' e dopo aver mostrato le mani e il fianco con le piaghe ancora fresche, impone quel famoso e tremendo mandato (in base al quale molti di loro andranno dritti incontro al martirio): "come il Padre ha mandato me, io ho mando voi."

Ma subito dopo aggiunge: " Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati." (Giovanni 20,19-31).

Sono parole che fanno molto riflettere, e che non ammettono equivoci. Ci dicono che il perdono - il vero perdono - non è mai scontato, non è mai gratuito, non è mai incondizionato, non è mai per tutti, sempre.

E' una cosa che nella mentalità del cattolicesimo moderno sembra del tutto dimenticata. L'introduzione del sacramento della confessione ha fatto ritenere, fa ritenere, che TUTTO possa/debba essere perdonato.

Non è così. Il facile perdono è più dannoso del male originario, a quanto pare. Perdonare troppo facilmente - senza che vi sia un vero, autentico pentimento - o peggio ancora auto-perdonarsi, auto-assolversi è qualcosa che è molto difficile giustificare nell'ottica del Cristo.

Bisognerebbe ricordarlo, ricordarselo sempre, quando - in presenza di omissioni e peccati, anche molto gravi - la prima cosa che si fa è scaricare la colpa sugli altri, su presunti o veri nemici, e pretendere o, peggio ancora, concedersi un facile e immediato perdono auto-assolutorio.


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18/03/09

Il perdono che non sappiamo dare.


Mentre la fede cattolica sembra ormai interessarsi soltanto alle esternazioni, alle polemiche, alle questioni legate all'etica, alla biologia, alla politica, ecc.. Il Vangelo sempre ci sorprende e - per fortuna - ci riporta al nucleo essenziale della nostra fede, a quel nucleo che è veramente importante, e senza il quale - si direbbe parafrasando San Paolo - assai vano sarebbe il nostro credere.

Uno degli aspetti principali della fede cristiana, la virtù che Cristo ha, in modo veramente rivoluzionario, calato nel mondo, è il perdono.

La liturgia di ieri ci ha riproposto questo semplice, straordinario brano del Vangelo: "In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. " La cosa che tutti dovremmo notare, credo, è che la domanda di Pietro non dice: "al mio fratello, se pecca contro di me e poi si pente ?" ma soltanto " se pecca contro di me".

Quindi, questo perdono iperbolico che il Signore ci richiede (70 volte 7, simbolo di pienezza) va - andrebbe - concesso non soltanto a chi pecca contro di me, ma anche a chi pecca contro di me, senza pentirsene.

Beh, se noi riflettiamo sulle nostre vite, su quanto ci è difficile anche solo perdonare una persona che ci ha fatto del male, e che si è pentita e che ci chiede perdono - il nostro orgoglio si oppone, sdegnosamente - figuriamoci quanto può essere difficile valutare e praticare il perdono per colui che ci ha offeso gratuitamente, e nemmeno se ne è pentito, ma anzi magari si vanta anche di quell'offesa.

Ma ogni volta io torno alla domanda iniziale: perchè il Signore ci chiede queste cose che umanamente ci appaiono im-praticabili, quasi utopistiche ? Io credo che ce lo chieda, perchè sa che nel cuore di un uomo questo perdono è possibile. Che l'uomo, nella sua grandezza (che contiene anche tanta bassezza) è capace della cosa più umana del mondo, e cioè di perdonare chi ti ha fatto del male.

Quanto bisogno abbiamo di perdono. Ma ancor di più quanto bisogno abbiamo di perdonare, di imparare a perdonare sul serio. Non basta una vita. Ma ogni giorno è buono (e santo) per provare ad iniziare.