18/04/23

Come nacque "Il Giorno più bello per Incontrarti"

 



Il giorno più bello per incontrarti (Fazi Editore, 2000), nacque molti anni prima di essere scritto - e pubblicato. La vicenda al centro del romanzo infatti, fu ispirata da un fatto vero, i cui particolari avevo appreso durante un lavoro d'inchiesta, per la RadioRai, nel maggio 1988. 

Da giovane giornalista, membro di una redazione formata da giovani talenti, ero sempre alla ricerca di nuovi fenomeni da indagare. Incappai così in uno studio realizzato dal Viminale che, all'epoca, forniva i dati riguardo al fenomeno degli scomparsi - quelle persone che si allontanano da casa senza apparente motivo e sembrano sparire nel nulla. 

Si trattava - e si tratta - di un fenomeno molto più esteso di quanto pensassi e di quanto pensassero gli autori del programma. Migliaia di persone, in un solo anno. La gran parte, allontanamenti volontari (specie di giovani) che si risolvevano presto in un ritorno a casa.

Una parte considerevole di questi scomparsi però, spesso non tornava. 

E a parte i casi celebri, sui quali costruimmo delle ricostruzioni ad hoc, come quello del Professor Federico Caffè o di Ettore Majorana, v'erano diversi casi di persone assolutamente comuni, scomparse da un giorno all'altro nel nulla, per la disperazione dei familiari e degli amici. Naturalmente eravamo partiti, su questo argomento, molto prima di Chi l'ha visto, o programmi simili che sono seguiti. 

A caccia di casi ignoti ai più, mi imbattei in quello di un ragazzo veneto, la cui storia mi colpì moltissimo. Si chiamava Tiziano Zennaro, e viveva con la famiglia, in condizioni economiche piuttosto disagiate, nell'isola di Pellestrina, all'interno della Laguna Veneta, di fronte a Chioggia. Un giorno Tiziano, giovane difficile, si era allontanato da casa senza fare ritorno. Non era la prima volta, ma stavolta i genitori capirono che era diverso. Iniziarono le ricerche, sull'isola e sulla terraferma, senza esito. 

Un mese dopo, si era d'inverno, le acque della Laguna restituirono il corpo di un ragazzo. I genitori di Tiziano furono subito chiamati. Il cadavere era in condizioni di avanzato deterioramento, ma in sede di rilievi autoptici, si evidenziò che alcuni dati, come ad esempio l'altezza, corrispondevano a quelli di Tiziano. Il riconoscimento fu fatto e il caso chiuso. Il presunto Tiziano fu seppellito a Pellestrina.

Ecco che però, qualche anno dopo, arriva una cartolina a casa Zennaro. Il padre non c'è più, la madre ancora piange il figlio. La cartolina è una sorta di resurrezione di Lazzaro: è infatti firmata proprio da Tiziano, il figlio creduto morto. Scrive da una struttura psichiatrica, a Padova, dove è ricoverato.  La madre, superato lo shock, va a riprendersi Tiziano: scopre che è ricoverato nella struttura dal giorno in cui è stato trovato, in strada, senza documenti e senza che il ragazzo sapesse dire come si chiamasse. Curato per lunghi mesi, finalmente Tiziano a un certo punto ha recuperato la memoria: ha ricordato il suo nome e il nome e l'indirizzo della madre. E ha scritto.

La madre si riporta a casa il figlio, ma comunque non va a finire bene. Tiziano sta male, è insofferente: si lascia praticamente morire d'inedia, nella casa sull'isola e medici e psichiatri non riescono a salvarlo. 

Quando trovai questa storia, così letteraria, che ricordava davvero il Mattia Pascal, presi il primo treno per Venezia, e andai su quei luoghi. L'isola di Pellestrina, anche a maggio, era un luogo desolato. La vecchia madre di Tiziano viveva ora a Venezia, all'Arsenale. La trovai in una piccolissima casa, con il caffé pronto in cucina. Mi raccontò tutta la storia con una sorta di benedetta rassegnazione: Tiziano era sempre stato "un'anima inquieta" e bisognava accettarlo. 

Su quella vicenda e prendendo qualcosa di Tiziano e di quello che avevo scoperto su di lui, costruii la storia e il personaggio di Giovanni, che scompare nell'autunno del 1977 e il cui corpo - presunto - viene ritrovato sulla spiaggia di Sitges, poco dopo la sua sparizione. 

E la vicenda, in questo caso, si fa misteriosa quando la vedova, ben quattordici anni dopo, riceve una enigmatica cartolina da Giovanni, che evidentemente è ancora vivo, da qualche parte. 

La storia di Tiziano Zennaro si è in qualche modo incarnata - mentre scrivevo - in quella di Giovanni e mi piace pensare che abbia fornito una nuova casa, una casa di carta, a lui che era così insofferente ad averne una. Forse tra le pagine di questo romanzo, anche l'anima di Tiziano ha trovato un posto dove stare.

Fabrizio Falconi . 2023



17/04/23

André Breton, Chagall, Max Ernst, Hannah Arendt, Walter Benjamin: protagonisti di una bellissima serie Tv su Netflix, "Transatlantic"


André Breton, Chagall, Max Ernst, Hannah Arendt, Walter Benjamin, sono loro qui i protagonisti.

Davvero un'altra insperata bellissima sorpresa nel panorama delle serie tv, che ritenevo stesse diventando asfittico, in crisi.
Invece non perdete Transatlantic (titolo fuorviante, completamente sbagliato, NON è una storia ambientata in un Transatlantico e non c'entrano niente i transatlantici), una bellissima serie di produzione tedesco/francese/inglese ora su Netflix.
La storia vera di Varian Fry e Mary Jane Gold che nel 1941 misero in salvo a Marsiglia, circa 2000 persone destinate ai campi di sterminio nazista.
Tra di loro molti intellettuali, artisti, i più prestigiosi dell'epoca, quelli che ho citato, e altri celebri, fedelmente rappresentati qui.
Una serie molto diversa da quelle storiche ambientate in quel periodo. Un tocco meraviglioso della ideatrice Anna Winger e due registe svizzere, a metà e in perfetto equilibrio tra dramma e commedia, con sfumature che fanno pensare a Wes Anderson, fotografia bellissima, musiche all'altezza, cast freschissimo, che diverte e commuove.
8 puntate che si vedono con grande piacere, un prodotto notevolmente intelligente e di livello inusuale rispetto alle offerte di grande consumo di Netflix.

Fabrizio Falconi - 2023

06/04/23

La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 


La chiesa di San Lorenzo in Lucina e la misteriosa tomba di Poussin

 

Uno dei più antichi titoli delle chiese di Roma è quello di Lucinae attribuito alla chiesa che ancora oggi sorge nella piazza omonima nel centro della città e che, sorto in tempi antichissimi, è già ricordato nel 366 sulla residenza di una matrona romana, chiamata appunto Lucina (anche se non mancano altre ipotesi, tra le quali quella che nel luogo sorgesse un boschetto (lucus) da cui l'edificio prese il nome).

Quel che è certo è che sotto papa Sisto III (nell'anno 440 d.C.) avvenne la trasformazione in luogo di culto pubblico. Un rifacimento complessivo fu operato nel secolo XIII da Pasquale II, mentre al Duecento risale l'erezione, sulla sinistra della chiesa, del palazzo Fiano che divenne la residenza dei Peretti. Ma nuovi interventi furono compiuti nel corso dei secoli (anche Gian Lorenzo Bernini vi mise mano per costruirvi la Cappella Fonseca) fino ai successivi rimaneggiamenti sotto Papa Pio IX (1856) e del 1927 (anno in cui si ripristinò il portico murato) che conferiscono alla chiesa l'aspetto odierno.

Essa, oltretutto affonda le sue fondamenta, in parte, sotto il grandioso horologium (centosessanta metri per sessanta), fatto costruire dall'imperatore Augusto nel 10 a.C.,  la celebre Meridiana, i cui resti affiorano in diversi punti nei sotterranei degli edifici del quartiere di Campo Marzio (e anche della Chiesa). 

San Lorenzo in Lucina è una specie di museo, ospitando una serie di famose opere d'arte, come il crocefisso dipinto da Guido Reni al centro dell'altare maggiore.

Ma la Chiesa è famosa anche per la celebre sepoltura del pittore francese Nicolas Poussin (1594 – 1665), sulla quale sono fiorite leggende esoteriche di ogni tipo.

Poussin è uno dei più famosi pittori francesi, noto anche per essere il pittore di corte del re Luigi XIII e per aver supervisionato i lavori per la realizzazione del Louvre, ma a partire dai trent'anni trascorse la sua intera vita a Roma, dove ricevette la prima commissione nel 1626 dai conti Barberini per la realizzazione di un grande dipinto, Il sacco del tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito, creduto per molto tempo perduto e ritrovato recentemente dal critico Denis Mahon.

Fautore dapprima dello stile barocco, Poussin, a partire dal 1630 cominciò ad abbandonare del tutto quel gusto artistico, per una rimeditazione attraverso una ricerca di chiarezza razionale, sul senso dell'esistenza e sul ruolo dell'arte come transito oltremondano.

A Roma Poussin morì, nel 1665, e fu sepolto proprio all'interno della Chiesa a Campo Marzio.

Il suo monumento funebre è tra i più enigmatici. La tomba fu concepita da Francois René de Chateaubriand (attivo a Roma fra il 1802 e il 1804), come si legge nella dedica in epigrafe subito al di sotto del busto del pittore (realizzato dallo scultore Jean-Louis Deprez) : F.A. De Chateaubriand a Nicolas Poussin per la gloria delle arti e l'onore della Francia. 

L'epitaffio invece, scritta da Pietro Bellori, il bibliotecario della regina Cristina di Svezia, recita: Trattieni il sincero pianto. In questa tomba vive Poussin che aveva dato la vita ignorando egli stesso di morire; qui egli giace, ma egli vive e parla nei quadri.

Infine, al di sotto dell'epitaffio, è realizzato in bassorilievo il profilo di un suo celebre capolavoro: Pastori in arcadia, che oggi è conservato al Museo del Louvre di Parigi e che esiste anche in un'altra versione dello stesso pittore, del 1627 e conservata in Inghilterra, a Chatsworth House.

E sotto questa rappresentazione, è inscritto il celebre motto Et in Arcadia ego, intorno al quale sono sorte le leggende più disparate e al quale sono stati dedicati interi libri.

In realtà Poussin non fu il primo ad utilizzare questo motto, che appare per la prima volta in un dipinto del Guercino, realizzato intorno al 1620.

La frase si riferisce alla mitica regione della Grecia, l'Arcadia, dove la leggenda narra che i pastori vivevano una vita idilliaca, lontana dai clamori e dagli affanni del tempo e della guerra e di ogni altra miseria umana.

La frase però, da un punto di vista strettamente letterale, risulta monca e priva di verbo.  Se infatti il significato è chiaramente: “anche io (sono stato o sono) in Arcadia”, è evidente che la frase manca del verbo – sum – che dovrebbe essere posto dopo il soggetto ego.

La citazione è stata subito interpretata come un memento mori come è reso esplicito anche dalle scene rappresentate dal Guercino – due pastori che si imbattono in un grande teschio – e da Poussin – pastori ideali  (c'è anche una donna, che nella versione di Chatsworth esibisce anche delle pose sensuali) che scoprono una tomba austera.

In pratica il significato della frase sembra essere: Anche la persona che riposa in questa tomba una volta viveva in Arcadia. Oppure: Anche io ero un Arcade, prima di incontrare la morte.

Il motto latino e l'associazione alla scena allegorica è stata ricollegata fantasiosamente con la pseudostoria (frutto di manipolazioni di tutti i tipi, in epoche successive) del Priorato di Sion.

Il legame con la morte (nel bassorilievo sulla tomba di Poussin i pastorelli contemplano quella che sembra essere a tutti gli effetti la tomba stessa del pittore) e la stranezza della frase senza verbo hanno fatto ipotizzare che la citazione contenga in realtà un codice anagrammato.

C'è stato chi ha tentato di sciogliere l'enigma, componendo la frase I! Tego arcana Dei, ovvero Vattene ! Io celo i misteri di Dio, alludendo ad un mistero del quale Poussin fosse al corrente, ossia che nella Chiesa fosse presente una sepoltura di una importante figura biblica (o addirittura dello stesso Gesù).

Ipotesi rafforzata da altri autori che, aggiungendo il sum alla frase, hanno ottenuto l'anagramma: Arcam dei tango Iesu, ovvero, Io tocco la tomba di Gesù. In questo caso, però, si è spiegato, la tomba del Maestro non sarebbe nella chiesa di San Lorenzo in Lucina, come ipotizzato, ma in un luogo misterioso della Francia, che servì da ispirazione a Poussin per il dipinto dei Pastori dell'Arcadia conservato al Louvre, il quale è modello del bassorilievo tombale.

Le tracce alla ricerca di questo luogo hanno portato dapprima in Francia, nella località di Les Pontiles, vicino a Rennes-le-Chateau, e poi in Inghilterra, nello Staffordshire, dove esiste una versione scolpita (non si sa in quale epoca) del dipinto realizzato da Poussin, nel cosiddetto Sheperd's Monument nel giardino della Sugborough house.

Ma ricerche in loco, non hanno dato nessun esito e tutte queste teorie sono state  ripetutamente smentite dai critici d'arte e dagli storici.

Quel che è certo è che Arcadia divenne dopo la morte di Poussin, la più celebre delle Accademie romane, fondata nel 1690 dai frequentatori del circolo di Cristina di Svezia (alla Lungara) che vollero così proseguire l'opera del pittore e le sue ricerche, in ogni campo delle arti e della cultura.


Fabrizio Falconi, tratto da Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, 2015

04/04/23

"Daisy Jones & The Six", una bella serie da non perdere


Daisy Jones & The Six
, è una serie tv che raccomando caldamente per diversi motivi.

In primis, é originale nei contenuti, nel tono e nella scrittura, in un momento non molto felice per le serie tv, che ultimamente sembrano a corto di idee e povere di qualità.
Daisy Jones & The Six - 10 puntate da 40-50 minuti l'una, su Amazon prime video - è stata scritta da Scott Neustadter e Michael H. Weber esperti sceneggiatori, già candidati ai premi Oscar (The Disaster Artist, 2018), tratto da un fortunato romanzo di Taylor Jenkins.
L'idea vincente è quella di scrivere la storia di una band immaginaria (che sembra a tratti più vera del vero), che - come molte in quel periodo - esplode nei primi anni '70 (quel periodo non-ripetibile e non-più-raggiungibile nella qualità della musica pop-rock) negli USA, che realizza un solo album di enorme successo e si scioglie inspiegabilmente alla fine della tournée di lancio, dopo un concerto a Chicago memorabile, davanti a migliaia di spettatori.
La Jenkins e gli sceneggiatori hanno pensato molto, durante la scrittura ai Fleetwood Mac e alle burrascose relazioni dentro quel gruppo, in particolare quella tra la cantante Stevie Nicks e Lindsey Buckingham, chitarrista e frontman.
Quindi la storia della serie è ispirata a quella, ma non esplicitamente, e procede sulla sua linea.
La maggiore qualità di "Daisy Jones" è il tono delicato e il gusto con cui viene narrata questa storia, senza precipitare negli stra-logori luoghi comuni del pernicioso menu sesso droga & rock'n roll.
Qui interessano molto di più i caratteri, le storie personali, le relazioni. Tutto quello che all'epoca rese grande - musicalmente e non - una generazione ancora non fagocitata dalla tecnologia digitale e dalla musica virtuale.
La scelta vincente è il cast: il fascinoso protagonista è l'inglese Sam Claflin. Le due donne che dividono in due il suo cuore sono Riley Keough che, oltre a impersonare Daisy Jones, nella vita è la nipote diretta di Elvis Presley (è la figlia di Lisa Marie Presley, figlia di Elvis) e l'argentina Camilla Morrone (Camilla Dunne), famosa alle cronache per essere la compagna di Leo Di Caprio.
Ma anche tutti i personaggi di contorno funzionano assai bene. Tutti sanno recitare, tutti sono convincenti, tutti lavorano in sottrazione, senza esagerazioni e senza gigionismi.
La serie si vede con vero, grande piacere fino all'ultima puntata che dura 70 minuti, e che ovviamente presenta il redde rationem della intera storia.
Applausi.

Fabrizio Falconi - 2023