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30/09/22

La Rovina del Gioco (o Ludopatia) - Dostoevskij e Puskin

 


   Interrompere l’illusione, fermarsi in tempo, ragionare, essere prudenti: virtù sconosciute agli amanti del rischio del gioco. Sicuri lasciapassare per la rovina.

   «Domani, domani tutto finirà», è il mantra che ripete Aleksej Ivanovic il giovane precettore protagonista de Il giocatore (1866). Nel teatro popolato da ludopatici seriali messo in scena da Dostoevskij il domani è l’opzione, la vera scommessa.

   Aristocratici e poveri, inebriati dalla fede nel dèmone del Caso, credono di poterne cavalcare la soma imbizzarrita.  Perdere è oggi. Vincere è domani. C’è un domani in cui si vincerà, e tutto finirà.  E anche se si vincesse oggi, c’è ancora un altro domani da sfidare.

   Il virus è contagioso e quasi mai si guarisce.

   Lo spirito russo, così profondamente incardinato sull’eterna sfida alla minaccia incombente del Destino e del Caso aveva già trovato un analogo eroe ne La dama di picche di Puskin (1834), con l’apparentemente imperturbabile  protagonista Hermann, giovane ufficiale che si sente immune – per pura fede nella volontà, essendone infatti potentemente attratto – dal vizio del gioco e che finisce per diventarne succube nel modo più imprevedibile: un commilitone gli rivela infatti che una nobildonna, sua nonna, conosce il segreto per vincere infallibilmente al gioco delle tre carte (arcano trasmessole nientemeno che dal Conte di Saint-Germain in persona).

   Hermann viene introdotto con il favore della dama di compagnia nell’appartamento della duchessa, ma questa spaventata dall’irruzione, dalle insistenze e dalle minacce, muore sul colpo  prima di rivelare il mistero.

   Sarebbe la salvezza di Hermann, se non fosse che la rovina si ripresenta sotto forma di sogno prima e di un fantasma poi: sotto queste sembianze la nobildonna promette al giovane di svelargli la combinazione vincente – tre, sette e asso – ad una condizione: che esso sposi la sua prediletta dama di compagnia.

   L’ossessione è irresistibile. Hermann vi soggiace.

   Si decide finalmente a vincere la prudenza del raziocinio e sfida la sorte, ma senza ottemperare alla richiesta del matrimonio preventivo. E se il sette e il tre si confermano vincenti, al posto dell’asso, il mazzo sfodera la donna di picche, sotto l’effige della quale si riconoscono i lineamenti beffardi della vecchia contessa. La rovina ingoia così anche il povero Hermann, che diventa pazzo.

Tratto da: Fabrizio Falconi, Le Rovine e l'Ombra, Castelvecchi editore, Roma, 2017





10/08/18

Libro del Giorno: "La figlia del Capitano" di Aleksandr Puškin.


Ritorna in libreria nella versione ET - Einaudi Classici (impreziosita da una bellissima copertina che riporta la Ragazza Moscovita di A.P. Rjabuschkin, olio su cartone del 1903, conservata a San Pietroburgo al Museo di Stato Russo), il capolavoro di Aleksandr Puškin, pubblicato nel 1836, un anno prima della sua prematura morte avvenuta in duello. 

Come scrive Leone Ginzburg nella prefazione, La Figlia del Capitano è un romanzo completamente imperniato sul delicato problema del comportamento morale, pur assumendo - o forse proprio per questo - i toni di una fiaba russa. 

Petr Andreevic Grinev, il giovane alfiere protagonista, giudicato troppo ribelle dal severo padre, viene spedito a prestare il servizio militare all'avamposto di Belogorsk, nella sperduta steppa russa, rinunciando così al sogno di trasferirsi nella scintillante San Pietroburgo. 

Giunto qui insieme al fido tutore Savel'ic, attraverso un lungo viaggio in carrozza in mezzo alla tormenta di neve, il giovane viene accolto come in una famiglia, dal comandante della fortezza, il capitano Mironov, da sua moglie Vasilisa e dalla figlia Mar'ia Ivànovna, detta Masa.

Sono però gli anni della sanguinosa sollevazione antinobiliare - 1773-1774 - che sconvolse tutta la Russia Orientale, capeggiata dal cosacco analfabeta Pugacev, che un avamposto dietro l'altro, distrugge tutto quello che incontra, insieme al suo esercito (rimpinguato dalla popolazione locale che coglie l'occasione per sollevarsi contro i possidenti che vessavano i liberi coltivatori), fino a giungere proprio alla fortezza di Belogosrk, che viene conquistata dai cosacchi senza alcuna fatica. 

Il terribile Pugacev, visto da vicino, da Petr, rivela aspetti sorprendenti: non solo l'efferato brigante, capace di ogni malvagità, ma anche il furbo paesano, vanitoso e malinconico, perfino generoso, quando riconosce in Petr il ragazzo incontrato qualche tempo prima durante la tormenta di neve in una stazione di posta, che gli ha offerto il suo pellicciotto prezioso per coprirsi. 

Attraverso duelli, scontri e prigionie, si dipana la contrastata vicenda d'amore tra Petr e la dolce Masa, che per coronare il loro sogno dovranno superare innumerevoli traversie, compreso l'arresto del giovane ufficiale e la commissione di una dura condanna da scontare, proprio con l'accusa di essersi reso complice del brigante Pugacev, prima che le guardie dello zar riuscissero finalmente a neutralizzarlo. 

Un racconto meraviglioso, sempre sospeso tra incantamento e realismo, che può essere considerato il precursore del grande romanzo russo che troverà in Turgenev, Dostoevskij e Tolstoj i suoi massimi esponenti. 

Una lunga riflessione, dolente e pura, sul dovere, sull'onore, sulla dignità e sulla decenza. 

Che si legge come una vera e propria introduzione ai grandi temi della modernità.