Interrompere l’illusione, fermarsi in tempo,
ragionare, essere prudenti: virtù sconosciute agli amanti del rischio del
gioco. Sicuri lasciapassare per la rovina.
«Domani,
domani tutto finirà», è il mantra che ripete Aleksej Ivanovic il
giovane precettore protagonista de Il
giocatore (1866). Nel teatro popolato da ludopatici seriali messo in scena da Dostoevskij il domani è
l’opzione, la vera scommessa.
Aristocratici e poveri, inebriati dalla fede
nel dèmone del Caso, credono di poterne cavalcare la soma imbizzarrita. Perdere è oggi. Vincere è domani. C’è un
domani in cui si vincerà, e tutto finirà.
E anche se si vincesse oggi, c’è ancora un altro domani da sfidare.
Il virus è contagioso e quasi mai si
guarisce.
Lo spirito russo, così profondamente
incardinato sull’eterna sfida alla minaccia incombente del Destino e del Caso
aveva già trovato un analogo eroe ne La
dama di picche di Puskin (1834), con l’apparentemente imperturbabile protagonista Hermann, giovane ufficiale che si
sente immune – per pura fede nella volontà, essendone infatti potentemente
attratto – dal vizio del gioco e che finisce per diventarne succube nel modo
più imprevedibile: un commilitone gli rivela infatti che una nobildonna, sua
nonna, conosce il segreto per vincere infallibilmente al gioco delle tre carte
(arcano trasmessole nientemeno che dal Conte di Saint-Germain in persona).
Hermann viene introdotto con il favore della
dama di compagnia nell’appartamento della duchessa, ma questa spaventata
dall’irruzione, dalle insistenze e dalle minacce, muore sul colpo prima di rivelare il mistero.
Sarebbe la salvezza di Hermann, se non fosse
che la rovina si ripresenta sotto forma di sogno prima e di un fantasma poi:
sotto queste sembianze la nobildonna promette al giovane di svelargli la
combinazione vincente – tre, sette e asso – ad una condizione: che esso sposi
la sua prediletta dama di compagnia.
L’ossessione è irresistibile. Hermann vi
soggiace.
Si decide finalmente a vincere la prudenza
del raziocinio e sfida la sorte, ma senza ottemperare alla richiesta del
matrimonio preventivo. E se il sette e il tre si confermano vincenti, al posto
dell’asso, il mazzo sfodera la donna di picche, sotto l’effige della quale si
riconoscono i lineamenti beffardi della vecchia contessa. La rovina ingoia così
anche il povero Hermann, che diventa pazzo.
Tratto da: Fabrizio Falconi, Le Rovine e l'Ombra, Castelvecchi editore, Roma, 2017
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