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05/07/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 33. "Metropolis" di Fritz Lang (1926)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 33. "Metropolis" di Fritz Lang (1926)

Pochi altri film nella storia del cinema hanno influenzato tutto ciò che è venuto dopo, come il capolavoro distopico-kolossal diretto da Fritz Lang nel 1926.


Le immagini del film ispirano da decenni il mondo del cinema, della pubblicità e della musica.  E tanto per citare qualche nome, il Ridley Scott di Blade Runner, il George Lucas di Star Wars o il Terry Gilliam di Brazil sono enormemente debitori al capolavoro tedesco.

L'idea di Metropolis venne a Fritz Lang ammirando lo skyline notturno di New York dal transatlantico con il quale aveva raggiunto gli Stati Uniti qualche anno prima, per la messa in scena del suo I Nibelunghi.

Metropolis venne realizzato dalla casa di produzione tedesca UFA e dal produttore Erich Pommer con una ricchezza di mezzi assolutamente incredibile, con ben diciannove mesi di riprese e un totale di 310 giorni e 60 notti di riprese, 600.000 metri di pellicola impressionata, 36.000 comparse tra uomini, donne e bambini per un costo totale di 50 milioni di marchi tedeschi dell'epoca (che provocò la bancarotta della UFA, la quale fu rilevata dell'editore Hugenberg, membro del partito nazista, che la trasformò nella fabbrica di consenso del Regime.

Metropolis è un film modernissimo e visionario, rappresentando la società della megalopoli Metropolis, che nel 2026 (ci siamo quasi arrivati!) è spaccata in due: vicini al cielo, in vetta ai loro immensi grattacieli, gli aristocratici godono di un'esistenza felice, immersi nel lusso; mentre nelle tenebre delle sconfinate catacombe sotterranee, all'ombra di mostruose macchine che ne dispongono l'esistenza quotidiana, gli operai vivono e lavorano come formiche secondo ritmi ossessivi e disumani.

Per stroncare la ribellione degli operai, il supermagnate Fredersen ordina allo scienziato-mago Rotwang di costruire un robot-femmina che, assunta l'identità della dolce operaia Maria, seduca le masse di lavoratori e le inciti alla rivolta, offrendo così alla classe dominante l'alibi per reprimere una volta per tutte ogni ribellione.

Ma la situazione sfugge ad ogni controllo e a salvare Metropolis saranno proprio il cuore della vera Maria e del suo innamorato, il figlio di Fredersen.

Una parabola definitiva sul potere e le masse, che ha segnato la storia del Novecento e continua a gravitare con i suoi potenti simboli anche sulla contemporaneità. 

Metropolis 
di Fritz Lang
Germania, 1926
durata da 80 minuti a 200 minuti a seconda delle diverse versioni
con Alfred Abel

notizie tratte da "Un secolo di grande cinema", "Il grande cinema di Ciak", vol.II  Milano, Aprile 2000




04/04/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 9. Il Monello (The Kid) di Charles Chaplin (1921)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 9. Il Monello (The Kid) di Charles Chaplin (1921)

Per i grandi geni, in ogni campo, l'ispirazione può nascere da tutto. Ma in primis, il loro spirito si muove intorno a quel che vivono nelle loro vite personali.  E' per questo forse che Il Monello (The Kid), film capolavoro di Chaplin, che si avvia a festeggiare tra due anni il secolo di vita, essendo stato presentato a New York nel gennaio del 1921, presenta quello straordinario connubio tra malinconia e vitalità, sullo sfondo delle vicende allegre e strazianti di un bambino. 

Chaplin, infatti, al momento dell'inizio delle riprese del film (luglio 1919) non si trovava in un periodo felice della sua vita privata: da poche settimane aveva perso il primo figlio, chiamato Norman Spencer, avuto dalla prima moglie (Mildred Harris), che era nato con gravi deformazioni e sopravvisse  solo per tre giorni. 

Nei mesi seguenti, anche in conseguenza di questo gravissimo lutto, il matrimonio fallì definitivamente e perfino il film rischiò di finire sotto sequestro unitamente ai beni di Charlie nella causa di divorzio intentatagli dalla moglie.

Per fortuna Chaplin prevedendo questa eventualità, aveva consegnato in custodia una copia dei negativi del film al fratello Sidney e non appena terminato il montaggio del film cominciò a spostarsi  in incognito (per quanto la sua popolarità lo consentisse) in luoghi diversi e città diverse.

L'ispirazione per quel film cui teneva moltissimo - era in assoluto il suo primo lungometraggio - era arrivata a Chaplin invece - come lui stesso raccontò nella sua autobiografia - dall'assistere ad uno spettacolo all'Orpheum Theatre di Los Angeles dove aveva visto esibirsi un bambino prodigio di soli cinque anni, Jackie Coogan, restando folgorato dalle sue capacità espressive. 

Il giorno dopo, parlando con i più stretti collaboratori, Chaplin disse di aver trovato un nuovo soggetto per un film che si sarebbe chiamato The Kid e che avrebbe visto proprio il piccolo Jackie come protagonista.

I primi giorni di riprese dimostrarono a Charlie che non si era sbagliato: il connubio tra lui e il bambino era perfetto.  Si erano trovati con complicità e naturalezza eccezionali.

Nacque dunque quel capolavoro che è Il Monello. Opera-mondo che ha eternizzato in un racconto di 68 minuti i temi dell'infanzia e della povertà, dell'ingiustizia e del potere, della sopraffazione e della ribellione, del pacifismo e della creazione artistica. 

La storia inizia con una donna sedotta e abbandonata che viene dimessa dall'istituto di carità in cui ha dato alla luce suo figlio. Non potendo mantenerlo, decide di abbandonare il piccino all'interno di una macchina di lusso con la speranza che sia la ricca famiglia proprietaria del mezzo a crescere il bambino.

Il pentimento l'assale di lì a poco, ma il destino ha fatto della macchina, con la disperazione della madre, l'obiettivo di due malviventi che, impossessatisi del mezzo, dopo la scoperta del fagotto col bimbo non si faranno scrupolo di gettarlo via tra le macerie di un quartiere degradato, dove casualmente è di passaggio il vagabondo Charlot.

Inizia di qui il cammino di redenzione dell'orfanello.  Anche Charlot non è affatto immune dalla viltà umana: anche lui infatti prova a sbarazzarsi del bimbo - ed è comprensibile, viste le sue condizioni.  Ma poi, rinvenuto tra le fasce che l'avvolgono un biglietto invocante perdono per il gesto di abbandono e implorante assistenza per il bimbo, si decide a trattenere con sé il neonato.

Iniziano dunque le picaresche avventure dei due, tra l'educazione famigliare nel fatiscente sottotetto dove il Vagabondo abita, l'iniziazione "lavorativa" del piccolo come complice del "padre" nell'attività di vetraio ambulante - con il bambino che tira sassate ai vetri per consentire al padre di trovare lavoro immediato; i duelli nelle strade con i poliziotti; il ritorno della madre che fa beneficenza nel quartiere dove vive il suo bambino e senza riconoscerlo, ovviamente, gli regala un peluche; le risse di strada; l'improvvisa malattia del bambino; il tentativo degli assistenti di sottrarre il bambino con la forza - e la conseguente drammaticissima scena del rapimento;  la fuga dei due in dormitorio pubblico.; il riconoscimento del piccolo da parte del guardiano che mentre Charlot dorme, lo riconsegna alla polizia e questi alla madre; Chaplin e Coogan in una scena L'incombere dell'oscurità porta i due al dormitorio pubblico; lo straziante ritorno a casa del Vagabondo, disperato per la mancanza del bambino, che finisce per addormentarsi sui gradini della casa.

E qui l'incredibile colpo di genio di Chaplin, con la straordinaria scena del sogno di Charlot. Nel quale egli intravede il suo quartiere diventato una sorta di paradiso nel quale si intrufola il diavolo, scatenando un putiferio.

Charlot infine viene svegliato dallo strattone del poliziotto che lo invita a seguirlo sulla macchina che lo trasporta davanti all'ingresso di una sontuosa abitazione, dalla cui porta d'ingresso si catapulterà fuori, saltandogli al collo, il suo monello e l'ex ragazza madre, ora ricongiunta al figlio, che invita Charlot ad entrare in casa.

Un meraviglioso lieto fine che nulla toglie al valore estetico e morale (cioè umano) di un film prodigiosamente muto, che parla ancora oggi e sempre allo spettatore di qualunque latitudine, di qualunque età, di qualunque censo, di qualunque tempra morale. 

Fabrizio Falconi


Il Monello

(The Kid)
USA, 1921
Durata 68 min
con Charlie Chaplin, Edna Purviance, Jackie Coogan, Henry Bergman, Tom Wilson