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14/10/22

Beatles: "Love me Do" ha compiuto 60 anni !

 


Tanti auguri "Love Me Do". L'iconico brano dei Beatles, che segno' il debutto discografico dei quattro ragazzi inglese, ha appena compiuto 60 anni.

Fu infatti composto da Paul McCartney e John Lennon qualche anno prima e pubblicato nel 1962 (sul lato B del 45 giri P.S. I Love You). 

Nel mese di ottobre - esattamente il 5 - uscì quindi il primo 45 giri ufficiale. 

Quella armonica a bocca blues, suonata da Lennon, che divenne indimenticabile (e che si ispirava all'artista americano di rhythm and blues Bruce Channel in Hey! Baby). 

Il brano, che fu poi incluso nell'album di esordio dei Beatles Please Please Me del 1963, ebbe una gestazione complicata in fase di registrazione.

Furono infatti tre i batteristi che si alternarono in differenti occasioni. 

La prima registrazione è del 6 giugno 1962 agli Abbey Road Studios di Londra con Pete Best alla batteria; a meta' agosto, Best venne sostituito da Ringo Starr e il 4 settembre venne eseguita una nuova registrazione sempre agli Abbey Road Studios. 

Non soddisfatti, una settimana dopo, l'11 settembre, la band torno' in studio per una nuova sessione con il batterista Andy White e con Ringo al tamburello

La prima versione del 45 giri è comunque quella con Ringo Starr alla batteria e la stessa è stata inclusa anni dopo nella versione americana di Rarities e in Past Masters, volume uno. 

La versione con Andy White è quella presente nel primo album inglese dei Beatles, Please Please Me, nell'EP The Beatles' Hits (e in tutti gli album seguenti in cui e' presente la canzone) nonché nelle ristampe del singolo avvenute nel 1976 e nel 1982.

Una versione blues piu' lenta di Love Me Do, presente in alcuni bootleg, e' stata suonata dai Beatles nel 1969, durante la session di Get Back per l'album Let It Be. 

Tra le storie che si narrano su Love Me do, quella che vuole che Lennon quell'armonica l'aveva rubata in un negozio di Arnhem nel 1960 e l'altra secondo cui il manager Brian Epstein tentò di far diventare Love me Do una hit nel Regno Unito comprando egli stesso diecimila copie del disco. 

19/08/22

Quella volta che George Harrison fu aggredito e colpito da 40 coltellate, mentre si trovava a casa


Ascoltava la musica con le cuffie per cacciare le voci che gli rimbombavano nel cervello

Un ex tossicodipendente da eroina e da metadone. Con una passione: la musica. E un'ossessione: che i Beatles fossero demoni. E prima di loro che lo fossero gli Oasis.

Così Lynda Abram descriveva la sofferenza di suo figlio Michael, l'uomo che quasi uccise George Harrison piantandogli un coltello a un centimetro dal cuore

Un miracolo che il chitarrista dei Beatles fosse sopravvissuto. 

Michael Abram 33 anni, viveva vicino a Liverpool. Quella notte entrò nella casa di Harrison a Henley on Thames, a 70 chilometri da Londra e lo accoltellò. 

La moglie dell'ex Beatle Olivia riuscì a colpirlo con una lampada e i due sono riuscirono a immobilizzarlo fino all'arrivo della polizia. 

Harrison fu ricoverato all'ospedale di Harefield, a ovest di Londra, specializzato in medicina toracica. In un primo tempo era stato portato, con la moglie, al Royal Berkshire Hospital di Reading.

Le sue condizioni comunque non erano gravi. 

"Ho visto mio figlio l'ultima volta ieri - raccontò la signora Abram ai cronisti di un giornale locale - e mi sembrava molto calmo, ma negli scorsi sei mesi è stato malissimo. Ho a lungo cercato di aiutarlo ma è stato come sbattere la testa contro un muro". 

La donna aggiunse che Michael aveva alle spalle una lunga storia di tossicodipendenza, e dal mese di maggio aveva "smesso di usare eroina e anche il metadone", si era rivolto a consulenti psichiatrici che - a suo dire - "non l'hanno aiutato". 

Per la signora Abram "se il servizio sanitario avesse dato retta a Michael, questo (l'attacco agli Harrison) non sarebbe successo". 

"Era solito urlare molto - ha proseguito la 52/enne Lynda - ma non è mai stato violento o aggressivo. Era ossessionato da tanti tipi musica. Diceva di ascoltarla con le cuffie per cacciare le voci dal suo cervello. Settimane fa era fissato con gli Oasis, ora coi Beatles che considerava dei demoni". 

 Secondo la polizia tutto faceva pensare che l'aggressione fosse preparata, e che non si trattò di un tentativo di furto andato male. 

Impressione in qualche modo confermata dalla madre. 



Uno squilibrato, insomma, proprio come quello che l'8 dicembre del 1980, a New York, uccise John Lennon. 

Abram fu subito ricoverato in ospedale per una lesione cranica, con la porta piantonata dai poliziotti che temono possa tentare il suicidio. 

L'episodio fu  subito commentato da Paul McCartney che si disse sconvolto per l'accaduto, rivolgendo o gli auguri all'ex compagno. "Grazie a Dio - ha detto - George e Olivia stanno bene e mando loro tutto il mio affetto". 

Ma già allora restò nell'ombra la maledizione del quartetto di Liverpool e le analogie con la morte di John Lennon. Mark David Chapman, l'assassino del leader dei Betles, che si era appostato in strada, in attesa che lui e Yoko Ono, rientrassero nel loro appartamento, nel "Dakota Building" che si affaccia su Central Park a Manhattan. 

"Hey Mr Lennon" gli disse quella mattina di dicembre del 1980. John si voltò, giusto il tempo di vedere il volto del suo assassino, e cinque colpi di pistola misero fine alla sua vita. Aveva 40 anni. Condannato a 20 anni, Chapman, uno squilibrato ossessionato dal "Giovane Holden" di Salinger ha confessato di aver ucciso John Lennon per "piantare l'ultimo chiodo nella bara degli anni Sessanta".

10/07/22

La lettera - intima - che Paul Mc Cartney scrisse a John Lennon e lesse nel 1994 per l'ingresso di John nella Rock'n Roll of Fame - Testo e video



Buona domenica!
Pubblico, a beneficio dei lettori di questo blog, il testo e il video (in fondo all'articolo) della bellissima lettera postuma scritta da Paul McCartney a John Lennon in occasione della cerimonia di introduzione nella Hall of Fame del 19 gennaio 1994, quando Lennon fu inserito nella leggendaria lista come artista solista.


Caro John,


Mi ricordo quando ci siamo incontrati per la prima volta, a Woolton, alla festa del paese. Era una bella giornata estiva, avevo camminato fin lì e ti ho visto sul palco. E tu stavi cantando "Come Go With Me", dai Vichinghi Dell, ma non sapevi le parole e così le inventavi. "Vieni con me al penitenziario." Non era nel testo.

Mi ricordo quando scrivevamo le nostre prime canzoni insieme. Andavamo a casa mia, a casa di mio padre, e fumavamo il Ty-Phoo the con la pipa di mio padre che conservava in un cassetto. Non ha fatto molto per noi, ma ci ha portato sulla strada.

Volevamo essere famosi.

Ricordo le visite alla casa di tua mamma. Julia era una donna molto alla mano, una donna molto bella. Aveva i capelli lunghi e rossi e suonava l'ukulele. Non avevo mai visto una donna che sapeva farlo. E mi ricordo di aver dovuto spiegarti gli accordi per la chitarra, perché avevi imparato a suonare gli accordi per l'ukulele.

E poi al tuo 21esimo compleanno hai ricevuto 100 sterline da uno dei tuoi parenti ricchi di Edimburgo, e quindi abbiamo deciso di andare in Spagna. Così abbiamo fatto l'autostop da Liverpool, fino a Parigi, e abbiamo deciso di fermarci lì, per una settimana. E alla fine ci siamo fatti fare il nostro taglio di capelli, da un tizio di nome Jurgen, che ha finito per essere il "taglio di capelli alla Beatle".

Ricordo quando ti presentai il mio amico George, il mio compagno di scuola, che tu facesti entrare nella band dopo che lui ebbe suonato "Raunchy" sull' autobus. Rimanesti colpito. E incontrammo Ringo che lavova tutta la stagione al campo Butlin - era un professionista esperto - ma la barba doveva sparire, e se la tagliò.

Più tardi abbiamo ottenuto di suonare ad un concerto al Cavern Club di Liverpool che era ufficialmente un club blues. Noi non sapevamo veramente tutti i numeri blues. Apprezzavamo molto il blues, ma non sapevamo i numeri del blues, così ci siamo presentati con un "Signore e signori, questo è un grande numero di Big Bill Broonzy chiamato" Wake Up Suzie Little " E il pubblico continuava a dire "Questo non è il blues, questo non è il blues. Questa canzone è pop." Ma abbiamo continuato a suonarla.

E poi siamo finiti in tour. Era un tizio chiamato Larry Parnes che ci ha ingaggiati per il nostro primo tour. Ricordo che cambiammo tutti i nostri nomi per quell'occasione. Cambiai il mio in Paul Ramon, George Harrison diventò Carl Harrison e, anche se la gente pensa che in realtà non cambiasti veramente il tuo nome, mi sembra di ricordare che diventasti Long John Silver per tutta la durata del tour.

Viaggiavamo su un furgoncino durante il tour, e una notte il parabrezza si ruppe. Eravamo in autostrada e stavamo tornando a Liverpool. Si congelava e quindi abbiamo dovuto metterci uno sopra l'altro nella parte posteriore del furgone creando un sorta di panino-Beatle. Abbiamo avuto modo di conoscerci. Ci siamo conosciuti così.

Siamo arrivati ​​ad Amburgo e abbiamo incontrato personaggi del calibro di Little Richard, Gene Vincent ... Mi ricordo di Little Richard quando ci invitò al suo hotel. Stava guardando l'anello di Ringo e disse: "Amo questo anello. Ho un anello simile. Potrei darti un anello simile." Così siamo andati tutti in albergo con lui. (Non abbiamo mai avuto un anello.)

Siamo tornati con Gene Vincent nella sua camera d'albergo una volta. Era andato tutto bene finchè non si avvicinò ad un cassetto del comodino e ne tirò fuori una pistola. Dicemmo: "Ehm, dobbiamo proprio andare, Gene, dobbiamo andare ..." Uscimmo di corsa!

E poi arrivarono gli Stati Uniti - New York City - dove ci siamo incontrati con Phil Spector, le Ronettes, Supremes, i nostri eroi, le nostre eroine. E poi a Los Angeles, incontrammo Elvis Presley per una grande serata. Abbiamo visto il ragazzo sul suo territorio nazionale.  Ragazzi! Era un eroe.

E poi, Ed Sullivan. Volevamo essere famosi, e lo eravamo davvero diventati. Voglio dire, immaginate di incontrare Mitzi Gaynor a Miami!

Poi, la registrazione ad Abbey Road. Ricordo ancora mentre suonavamo "Love Me Do." Tu ufficialmente cantavi "Love me do", ma perché suonavi l'armonica. Poi George Martin disse all'improvviso nel mezzo della sessione: " Può Paul cantare il verso " Love me do? " , il pezzo cruciale.

Mi ricordo mentre cantavo "Kansas City" - beh, non riuscivo a farlo, perché è difficile da cantare quella roba. Sai, urlare nella parte superiore della testa (?). Sei sceso dalla sala di controllo e mi ha portato da una parte e mi hai detto: "Ce la puoi fare, devi solo urlare, si può fare." Così, grazie. Grazie per questo. Sono riuscito a farlo.

Mi ricordo mentre scrivavamo "A Day in the Life" insieme, e l'occhiata d'intesa che ci siamo lanciati quando abbiamo scritto il verso "I'd love to torn you on". Sapevamo quello che stavamo facendo, sai. Uno sguardo furtivo.

Dopo di che c'era questa ragazza di nome Yoko. Yoko Ono. Lei si presentò a casa mia un giorno. Era il compleanno di John Cage e lei disse che voleva entrare in possesso di alcuni manoscritti di diversi autori per consegnarglieli, e ne voleva uno mio e tuo. Così ho detto: "Beh per me va bene, ma dovrai andare da John ".

E lei lo ha fatto ...

Dopo di che avevo impostato un paio di macchine di registrazione Brennell, che eravamo soliti usare, e tu sei rimasto sveglio tutta la notte e hai registrato "Two Virgins". Ma lo hai fatto da solo - non aveva niente a che fare con me.

E poi, poi c'erano le telefonate con te. La gioia per 
me, dopo tutta la merda di business che avevamo attraversato, era che stavamo tornando insieme e comunicavamo ancora una volta.
E la gioia quando mi dicesti che stavi a letto ora. E che stavi giocando con il tuo piccolo bambino, Sean. E 'stato meraviglioso per me, perché mi ha dato qualcosa a cui aggrapparmi.

Così ora, anni dopo, eccoci qui. Tutte queste persone. Qui si sono riuniti per ringraziarti per tutto quello che hai significato per tutti noi.

Questa lettera viene dal cuore, dal tuo amico Paul.

John Lennon, ce l'hai fatta. Stasera sei entrato nella Rock Hall 'n' Roll of Fame.

Dio ti benedica.

Paul 



Originale: 

"Dear John,

I remember when we first met, at Woolton, at the village fete. It was a beautiful summer day and I walked in there and saw you on stage. And you were singing “Come Go With Me,” by the Dell Vikings, But you didn’t know the words so you made them up. “Come go with me to the penitentiary.” It’s not in the lyrics.

I remember writing our first songs together. We used to go to my house, my Dad’s home, and we used to smoke Ty-Phoo tea with the pipe my dad kept in a drawer. It didn’t do much for us but it got us on the road.

We wanted to be famous.

I remember the visits to your mum’s house. Julia was a very handsome woman, very beautiful woman. She had long, red hair and she played a ukulele. I’d never seen a woman that could do that. And I remember to having to tell you the guitar chords because you used to play the ukulele chords.

And then on your 21st birthday you got 100 pounds off one of your rich relatives up in Edinburgh, so we decided we’d go to Spain. So we hitch-hiked out of Liverpool, got as far as Paris, and decided to stop there, for a week. And eventually got our haircut, by a fellow named Jurgen, and that ended up being the “Beatle haircut.”

I remember introducing you to my mate George, my schoolmate, and getting him into the band by playing “Raunchy” on the top deck of a bus. You were impressed. And we met Ringo who’d been working the whole season at Butlin’s camp - he was a seasoned professional - but the beard had to go, and it did.

Later on we got a gig at the Cavern Club in Liverpool which was officially a blues club. We didn’t really know any blues numbers. We loved the blues but we didn’t know any blues numbers, so we had announcements like “Ladies and gentlemen, this is a great Big Bill Broonzy number called “Wake Up Little Suzie.” And they kept passing up little notes - “This is not the blues, this is not the blues. This is pop.” But we kept going.

And then we ended up touring. It was a bloke called Larry Parnes who gave us our first tour. I remember we all changed names for that tour. I changed mine to Paul Ramon, George became Carl Harrison and, although people think you didn’t really change your name, I seem to remember you were Long John Silver for the duration of that tour. (Bang goes another myth.)

We’d been on a van touring later and we’d have the kind of night where the windsceen would break. We would be on the motorway going back up to Liverpool. It was freezing so we had to lie on top of each other in the back of the van creating a Beatle sandwich. We got to know each other. These were the ways we got to know each other.

We got to Hamburg and met the likes of Little Richard, Gene Vincent…I remember Little Richard inviting us back to his hotel. He was looking at Ringo’s ring and said, “I love that ring.” He said, “I’ve got a ring like that. I could give you a ring like that.” So we all went back to the hotel with him. (We never got a ring.)

We went back with Gene Vincent to his hotel room once. It was all going fine until he reached in his bedside drawer and pulled out a gun. We’ said “Er, we’ve got to go, Gene, we’ve got to go…” We got out quick!

And then came the USA — New York City — where we met up with Phil Spector, the Ronettes, Supremes, our heroes, our heroines. And then later in L.A., we met up with Elvis Presley for one great evening. We saw the boy on his home territory. He was the first person I ever saw with a remote control on a TV. Boy! He was a hero, man.

And then later, Ed Sullivan. We’d wanted to be famous, now we were getting really famous. I mean imagine meeting Mitzi Gaynor in Miami!

Later, after that, recording at Abbey Road. I still remember doing “Love Me Do.” You officially had the vocal “love me do” but because you played the harmonica, George Martin suddenly said in the middle is the session, “Will Paul sing the line “love me do?”, the crucial line. I can still hear it to this day - you would go “Whaaa whaa,” and I’d go “loove me doo-oo.” Nerves, man.

I remember doing the vocal to “Kansas City” — well I couldn’t quite get it, because it’s hard to do that stuff. You know, screaming out the top of your head. You came down from the control room and took me to one side and said “You can do it, you’ve just got to scream, you can do it.” So, thank you. Thank you for that. I did it.

I remember writing “A Day in the Life” with you, and the little look we gave each other when we wrote the line “I’d love to turn you on.” We kinda knew what we were doing, you know. A sneaky little look.

After that there was this girl called Yoko. Yoko Ono. She showed up at my house one day. It was John Cage’s birthday and she said she wanted to get hold of manuscripts of various composers to give to him, and she wanted one from me and you. So I said,” Well it’s ok by me. but you’ll have to go to John.”

And she did…

After that I set up a couple of Brennell recording machines we used to have and you stayed up all night and recorded “Two Virgins.” But you took the cover yourselves — nothing to do with me.

And then, after that there were the phone calls to you. The joy for me after all the business shit that we’d gone through was that we were actually getting back together and communicating once again. And the joy as you told me about how you were baking bread now. And how you were playing with your little baby, Sean. That was great for me because it gave me something to hold on to.

So now, years on, here we are. All these people. Here we are, assembled, to thank you for everything that you mean to all of us.

This letter comes with love, from your friend Paul.
John Lennon, you’ve made it. Tonight you are in the Rock ‘n’ Roll Hall of Fame.

God bless you.

Paul


09/07/22

L'incredibile vicenda delle foto perdute dei Beatles in India, in un documentario da non perdere


 "I Beatles in India" è un documentario realizzato nel 2021, vincitore di molti premi, realizzato in stile quasi naif, eppure assai godibile, visibile su Amazon Prime Video a costo di noleggio di 1,99 euro.

Il documentario è particolarmente interessante perché racconta sostanzialmente la vicenda di un canadese, Paul Saltzman, che nel 1968 aveva 23 anni e che per circostanze veramente incredibili capitò nell'ashram di Maharishi Mahesh Yogi, esattamente nella settimana in cui soggiornarono lì i Beatles. Trascorrendo con loro una settimana intera e scattando una quantità di foto di smisurato valore che, altrettando incredibilmente, Paul tenne per 30 anni chiuse nel suo garage, dimenticandone quasi l'esistenza.
Come si sa, nel febbraio del 1968, spronati da George Harrison, i Beatles arrivarono a Rishikesh, nel nord dell'India, per apprendere l'arte della meditazione trascendentale dal filosofo indiano Maharishi Mahesh Yogi, incontrato per la prima volta l'estate precedente. Per quel viaggio, in cui la musica ebbe un ruolo cruciale, ai Fab Four si unirono amici come Mia Farrow, Donovan e Mike Love dei Beach Boys.
Saltzman che all'epoca era in India per lavorare come fonico di ripresa in una piccola produzione che girava un film sull'India, andò a Rishikesh sulla spinta di una delusione d'amore e con la motivazione di imparare la Meditazione Trascendentale, che Maharishi stava facendo conoscere in occidente.
Paul non aveva previsto però, e non poteva sapere, che in quei luoghi estremi lungo la riva del Gange nei boschi popolati di scimmie e di uccelli esotici avrebbe condiviso pranzi, cene, passeggiate, chiacchierate e sedute di meditazione con John, Paul, George e Ringo accompagnati dalle rispettive mogli e compagne.
Il film vede anche la partecipazione straordinaria dello storico dei Beatles Mark Lewisohn, che ripercorre col regista i momenti salienti di quel viaggio, del compositore nominato all'Oscar Laurence Rosenthal, di Pattie Boyd (modella e fotografa che fu moglie di Harrison e di Eric Clapton) e di sua sorella e Jenny, oltre che di David Lynch, che è anche tra i produttori esecutivi del film.
Fu un momento formidabile anche per la carriera del quartetto di Liverpool. Racconta infatti Paul Saltzman: "Nel 1968, i Beatles si recarono in India per trovare qualcosa che la fama e la fortuna non potevano dare loro. Cercavano la pace interiore. Fu un momento di enorme creatività e di cambiamento. In 7 brevi settimane trascorse nell'ashram scrissero 48 canzoni. Senza sapere che si trovassero lì, io ero arrivato a Rishikesh per imparare la meditazione, nel disperato tentativo di guarire il mio cuore spezzato. Siamo stati insieme per una settimana. La meditazione mi ha cambiato la vita, così come l'incontro con loro. È stata un'esperienza profondamente privata tanto che, tornato a casa, ho riposto in una scatola le 54 foto che avevo scattato. E me ne sono dimenticato per 32 anni".
Altamente consigliabile, specie agli appassionati di musica, degli annoi '60 e dei Fab Four.

Fabrizio Falconi - 2022

17/06/22

* Domani il leggendario Paul McCartney compie 80 anni ! Storia della sua canzone forse più intima e più famosa*

 

Paul McCartney fotografato dalla moglie Linda

Domani Paul McCartney di sicuro il musicista vivente più famoso al mondo, compie la bellezza di 80 anni. Nato il 18 giugno 1942, sotto il segno dei Gemelli, a Liverpool, McCartney, in coppia con il collega John Lennon ha scritto qualcosa come 170 canzoni fondamentali nella storia della musica. A queste sono da aggiungere poi, ovviamente, quelle della sua lunga carriera solista. 

Tra quelle 170 forse la canzone più intima e famosa, quella che meglio di ogni altro disegna il mito di Paul, inserite nell'ultimo album dei Beatles, omonimo, è Let it Be, esattamente la sesta traccia di quel capolavoro, canto del cigno del gruppo. 

Come è noto, Paul McCartney rivelò che l'ispirazione per la canzone gli venne da un sogno, nel quale aveva parlato con la madre Mary, morta di cancro nel 1956 quando lui aveva solo 14 anni. 

Paul, infatti, al momento dell'incontro fatale con John Lennon era orfano di madre, come lo stesso John, che aveva perso la sua all'età di 16 anni.

Nel sogno, secondo il racconto del musicista, la madre consigliava a Paul, preoccupato per le tensioni nel gruppo, di lasciare correre, cioè to let it be, nel senso che "tutto si sarebbe aggiustato".

John Lennon accolse la canzone con malcelato sarcasmo, poiché la considerava troppo "pseudo-religiosa". Secondo alcuni, l'antipatia di Lennon per il brano sarebbe confermata proprio dalla collocazione della canzone sull'album, posta appena dopo l'irridente frase di Lennon: «And now we'd like to do "Hark The Angels Come"!» ("Ed ora vorremmo eseguire Udite! Gli angeli cantano!"), e subito prima dell'esecuzione di Maggie Mae, dedicata ad una prostituta di Liverpool.

Il singolo raggiunse la prima posizione in classifica in mezzo mondo. 

Fu l'ultimo singolo dei Beatles pubblicato prima dello scioglimento della band. Infatti sia l'album Let It Be che il singolo The Long and Winding Road uscirono quando il gruppo ormai ufficialmente non era più in attività. 


Nel 2004 il brano ha raggiunto il ventesimo posto nella classifica delle 500 canzoni migliori di tutti i tempi pubblicata dalla rivista Rolling Stone.

La versione finale venne registrata il 31 gennaio 1969, come parte del progetto Get Back (l'album che successivamente diventerà Let It Be). McCartney suonava un pianoforte a coda Blüthner, Lennon il basso, Billy Preston l'organo, George Harrison la chitarra elettrica e Ringo Starr la batteria.

In questa seduta furono registrate due versioni della canzone. In entrambe le versioni il pianoforte suonato da McCartney presenta un accordo dissonante a 2:58.

Recentemente McCartney nella sua autobiografia (Paul McCartney - The lyrics. Parole e ricordi dal 1956 a oggi - A cura di Paul Muldoon, Traduzione di Franco Zanetti e Luca Perasi, Rizzoli e © 2021) è tornato con un più ampio racconto, sulla genesi di Let it be. Ecco il passo relativo: 

 "Sting una volta mi ha detto che cantare Let it be al Live Aid non è stata una buona scelta da parte mia. Pensava che fosse implicito che era necessario agire, e "non cercate di cambiare, le cose vanno già bene così" non era un messaggio adatto in quell'occasione, in quell'enorme chiamata alle armi che il Live Aid rappresentava. Ma Let It be non è una canzone sull'autosoddisfazione, o sulla connivenza. Parla dell'avere un senso del quadro d'insieme, del rassegnarsi alla visione globale. 

La canzone è nata in un momento di angoscia. Era un periodo difficile, perché stavamo andando verso la separazione dei Beatles. E un periodo di cambiamento, in parte anche perché John e Yoko si erano messi assieme e questo aveva condizionato le dinamiche del gruppo. Yoko si metteva in mezzo, nel vero senso della parola, alle sessioni di registrazione, il che era gravoso. Ma era anche qualcosa con cui dovevamo fare i conti. Sino a che non vi fosse stato un problema davvero serio - sino a che uno di noi non avesse detto: "Non posso cantare se lei è qui" - dovevamo lasciare che fosse così. Non eravamo polemici, ce la siamo messa via e siamo andati avanti. Eravamo ragazzi del Nord, quell'atteggiamento era parte della nostra cultura. Sorridi e sopporta. Una cosa interessante di Let It be che mi hanno fatto ricordare di recente è che, all'epoca in cui studiavo letteratura inglese al Liverpool Institute High School for Boys con il mio insegnante preferito, Alan Durband, ho letto l'Amleto. A quel tempo dovevi imparare brani a memoria perché quando li portavi all'esame dovevi essere in grado di citarli parola per parola. Ci sono un paio di frasi, verso la fine che recitano: "O, I could tell you - But let it be. - Horatio, I am dead".  Mi sa che quei versi mi si sono conficcati nella memoria, senza che ne fossi consapevole. Quando stavo scrivendo Let it be stavo facendo troppo di tutto, ero sfinito, e ne stavo pagando il prezzo. La band, io... stavamo tutti passando "times of trouble", brutti momenti, come dice la canzone, e non sembrava esserci modo di uscire da quel casino. Un giorno mi sono addormentato stanchissimo e ho sognato che mia mamma (che era morta più di dieci anni prima) era, letteralmente, venuta da me. Quando sogni di vedere qualcuno che hai perso, anche se a volte è solo per una manciata di secondi, sembra proprio che sia lì con te, ed è come se ci fosse sempre stato. Penso che chiunque abbia perso una persona cara lo capisca, specialmente nel periodo immediatamente successivo alla loro morte.

Ancora oggi sogno John e George e parlo con loro. E in quel sogno, vedere il bel viso premuroso di mia mamma e trovarmi con lei in un luogo tranquillo mi ha dato molto conforto. Mi sono subito sentito a mio agio, amato e protetto. Mia mamma era una persona molto rassicurante, e come molto spesso fanno le donne, era lei che mandava avanti la famiglia. Ci teneva su il morale. Nel sogno sembrava aver capito che ero preoccupato per quello che stava succedendo nella mia vita e per quello che sarebbe successo, e mi ha detto: "Andrà tutto bene. Così sia".   Mi sono svegliato pensando che fosse una grande idea per una canzone. Ho cominciato pensando alle circostanze in cui mi trovavo - alle grane sul lavoro. All'epoca in cui abbiamo registrato Let It be stavo spingendo affinché la band ritornasse a esibirsi in piccoli club - per tornare alle origini e rinnovare il legame che ci univa, chiudere il decennio come lo avevamo iniziato, suonando solo per il piacere di farlo. Non lo abbiamo fatto, come Beatles, ma quell'idea è stata alla base della direzione presa dall'album Let It be. Non volevamo trucchetti di studio. Volevamo un album onesto, senza sovraincisioni. Non è andata a finire proprio così, ma quella era l'intenzione. La cosa triste è che i Beatles non hanno mai suonato questa canzone in concerto. Dunque l'esecuzione al Live Aid è stata, per molte persone, la prima volta che hanno sentito il pezzo suonato su un palco.

Comunque sia, Let It be è entrata ormai da tempo nella scaletta dei miei concerti. È sempre stata una canzone collettiva, sull'accettazione degli altri, e credo che il suo momento funzioni proprio bene quando sei davanti a una folla. Vedi molta gente che abbraccia i propri partner o gli amici o i propri cari e che canta in coro. Le prime volte, quando la suonavo, si vedevano anche tantissimi accendini tenuti sollevati. Adesso ai concerti non si può più fumare, e le luci vengono dai cellulari. Riesci sempre a capire quando una canzone non è molto popolare, perché la gente mette via il telefono. Ma quando faccio questa, lo tirano fuori.  Anni fa eravamo in Giappone e abbiamo suonato al Budokan di Tokyo. Avevamo appena fatto tre serate alla Tokyo Dome, un grande stadio da baseball da cinquantacinquemila posti. Per compensare abbiamo chiuso il tour con una serata al Budokan, che in confronto offre una certa intimità. Non erano passati proprio cinquant'anni da quando i Beatles ci avevano suonato, ma è stato uno spettacolo speciale, in un posto che mi suscita molti ricordi. Ai miei addetti al tour piace farmi delle sorprese, e in quell'occasione hanno distribuito a tutto il pubblico dei braccialetti. Non sapevo cosa stesse per accadere, ma durante Let it be tutta la sala si è illuminata, con migliaia di braccia che si muovevano. In momenti come questi, a volte è difficile continuare a cantare. 

Alcuni hanno detto che Let it be ha una leggera connotazione religiosa, e sembra un po' una canzone gospel, in particolare per via del pianoforte e dell'organo. Probabilmente il termine Mother Mary viene in prima battuta inteso come un riferimento a Maria Vergine, la Madre di Dio. Come forse ricorderete, mia madre Mary era cattolica, mio papà invece era protestante, e io e mio fratello siamo stati battezzati. Per quanto riguarda la religione, quindi, sono ovviamente influenzato dal cristianesimo, ma ci sono tanti validi insegnamenti in tutte le religioni. Non sono particolarmente religioso nel senso convenzionale del termine, ma credo nell'idea che ci sia una specie di forza superiore che ci aiuta. Questa canzone allora diventa una preghiera, o una piccola preghiera. Da qualche parte, nel fondo di essa, c'è un desiderio. E la stessa parola "amen" significa "e così sia" - o "let it be"".

fonti: Wikipedia - LaRepubblica

03/06/22

*Krishnamurti e Maharishi si sono mai incontrati? Sì, una volta, e non andò molto bene...*



 

Sono due personalità molto famose nella storia del pensiero orientale del Novecento, eppure non potrebbero essere più diversi. Jiddu Krishamurti, nato in India nel 1895, fu portato in Inghilterra da Charles Leadbeater. I membri della società teosofica inglese erano convinti che il ragazzo, allora 14enne, fosse nientemeno che la reincarnazione del Signore Maitreya, una delle più importanti divinità indu. Il giovane e illuminato Krishna tradì presto le loro aspettative, svincolandosi dai teosofi che lo adoravano e rifiutando perentoriamente il ruolo di guida spirituale e tantomeno di guru. Divenne uno dei più grandi pensatori del Novecento e morì a Ojai, in California (dove esiste ancora la sua bellissima casa/fondazione) nel 1986.
Maharishi Mahesh Yogi (il suo nome completo), indiano anche lui, divenne il più classico dei "guru", ottenendo tra gli anni '60 e gli anni '70 una enorme popolarità anche in occidente, fautore della Meditazione Trascendentale (che vanta ancora oggi milioni di persone seguaci di questo metodo nel mondo), e ancora di più dopo il famoso soggiorno indiano dei Beatles, nel 1967, nel suo madrash, che portò la notorietà di Maharishi ai massimi livelli.
C'è anche un celebre documentario, realizzato da un paio d'anni che racconta bene le settimane trascorse dai Beatles, e da altri famosi adepti, nella residenza di Maharishi.
I Quattro Beatles ebbero però, in merito a questa esperienza, e all'affidamento a una autorità spirituale, reazioni diverse:
I Beatles erano ancora scettici riguardo alle autorità. Se seguire la folla non è una buona idea, forse seguire i leader – esperti, guru, coloro che sono su un piano “più alto” – poteva essere un'idea.
L'idea dell'India e di Maharishi era stata di Harrison.
Ma Lennon divenne rapidamente disilluso e sospettava che il Maharishi fosse un imbroglione. Successivamente scrisse anche una canzone su di lui "Sadie sexy" su di lui, spiegando: "Mi sono sbarazzato di lui, anche se non avrei scritto 'Maharishi, cosa hai fatto, hai preso in giro tutti'".
A questo periodo risale anche l'aneddoto che riguarda l'unico incontro di cui si abbia traccia tra Krishnamurti e Maharishi.
Incontro che avvenne per puro caso: viaggiando a Delhi in aereo nel 1974, Krishnamurti si accorse che nella sala d'aspetto c'era il Maharishi. Questi, si precipitò a salutare Krishnamurti, stringendo un fiore e suggerendo una cooperazione tra i due.
Ma Krishnamurti si scusò rapidamente e se ne andò da solo, mentre la folla si radunava attorno al Maharishi.
L'aneddoto dice qualcosa di importante su Krishnamurti, che credo sia l'esempio più chiaro di maestro illuminato del nostro tempo e che insegna in modo puramente filosofico e rifuggiva come la peste l'idea di un guru e di poter essere lui stesso un guru.
L'atteggiamento scettico di Lennon è rivelato nel suo resoconto della partenza dei Beatles dall'ashram di Maharishi. Quando il Maharishi chiese ai Beatles perché se ne stessero andando, Lennon rispose con il suo eterno tono provocatorio: "'Beh, se sei così cosmico, saprai perché. Mi rivolse uno sguardo truce, e ho capito quando mi ha guardato, che era perché avevo capito bluff".
Probabilmente Lennon non avrebbe pensato la stessa cosa di Krishanmurti, che cercava semplicemente di rendere comune la sua "Sorgente" e il cui obiettivo era quello di evitare completamente il guru-centrismo.
Chiunque abbia lavorato con l'insegnamento di Krishnamurti può riconoscerlo. E in relazione alla filosofia, anche questo è interessante poiché l'insegnamento di Krishnamurti in questo modo segue la virtù centrale della filosofia che è questa: "pensa da solo!"
Infatti, il suo insegnamento è caratterizzato dall'uso della filosofia, invece della predicazione religiosa o della psicoterapia. Dunque, anche uno come Lennon, che aveva più di un problema con le autorità, qualunque esse fossero (in primis religiose), avrebbe potuto apprezzare, e trarre giovamento.

01/05/22

Chi era Michael Abram, l'uomo che nel 1999 colpì George Harrison con 44 coltellate

 

Michael Abram, l'autore dell'aggressione a George Harrison nel 1999

Il 1997 fu un anno decisivo per George Harrison. Dopo il progetto Anthology, l'ex Beatle collaborò con Ravi Shankar a Chants of India, l'album di quest'ultimo. 

L'ultima apparizione televisiva di Harrison fu uno speciale per promuovere l'album, registrato nel maggio 1997. 

Subito dopo, ad Harrison fu diagnosticato un cancro alla gola;  ​​fu curato con la radioterapia, che sulle prime sembrò avere pieno successo. Il musicista attribuì l'insorgere della malattia al fatto di aver ripreso a fumare. 

Nel 1998 Harrison fu il più attivo degli ex Beatles nel promuovere la ristampa del loro film d'animazione del 1968 Yellow Submarine .

Ma l'anno seguente, un nuovo inquietante episodio turba la sua vita privata. Nel dicembre 1999, lui e sua moglie Olivia furono vittime di un attacco di coltello da parte di un intruso. Il 30 dicembre 1999, Harrison e sua moglie furono aggrediti nella loro casa, Friar Park . Michael Abram, un uomo di 34 anni affetto da schizofrenia paranoica, fece irruzione e aggredì Harrison con un coltello da cucina, perforandogli un polmone e provocando ferite alla testa prima che Olivia Harrison rendesse inabile l'aggressore colpendolo ripetutamente con un attizzatoio e con l'asta di una lampada. 

Harrison, qualche tempo dopo raccontò la brutta esperienza: "Mi sentivo esausto e potevo sentire la forza prosciugarsi da me. Ricordo vividamente una spinta deliberata al mio petto. Potevo sentire il mio polmone espirare e avevo sangue in bocca. Credevo di essere stato accoltellato a morte». 

Dopo l'aggressione Harrison fu ricoverato in ospedale dove gli furono riscontrate più di 40 coltellate e parte del suo polmone perforato fu rimosso. 

Poco dopo rilasciò una dichiarazione riguardo al suo aggressore: "Non era un ladro, e di certo non stava facendo un'audizione per i Traveling Wilburys. Adi Shankara, un filosofo indiano una volta disse: "La vita è fragile come una goccia di pioggia su una foglia di loto." E faresti meglio a crederci". 


Dopo essere stato dimesso da un ospedale psichiatrico nel 2002 dopo meno di tre anni di custodia statale, Abram disse: "Se potessi tornare indietro nel tempo, darei qualsiasi cosa per non aver fatto quello che ho fatto attaccando George Harrison, ma guardandoci indietro ora, ho capito che in quel momento non avevo il controllo delle mie azioni. Posso solo sperare che la famiglia Harrison possa in qualche modo trovare nei loro cuori la possibilità di accettare le mie scuse". 

Le ferite inflitte a Harrison durante l'invasione domestica furono minimizzate dalla famiglia nei  commenti alla stampa, ma secondo alcuni fu una delle concause del  ritorno del suo cancro. 

Nel maggio 2001, fu rivelato che Harrison aveva subito un'operazione per rimuovere una crescita cancerosa da uno dei suoi polmoni, e in luglio fu riferito che era in cura per un tumore al cervello in una clinica a Svizzera. 

Harrison morì in una proprietà di McCartney, in Heather Road a Beverly Hills, Los Angeles. Aveva 58 anni.  Morì in compagnia della moglie Olivia, dei figli Dhani, Shankar e della moglie di quest'ultimo Sukanya e della figlia Anoushka, e dei devoti Hare Krishna Shyamsundar Das e Mukunda Goswami , che cantavano versi della Bhagavad Gita . 

Il suo ultimo messaggio al mondo, come riportato in una dichiarazione di Olivia e Dhani, era: "Tutto il resto può aspettare, ma la ricerca di Dio non può aspettare e neanche amarsi l'un l'altro". 

Fu cremato all' Hollywood Forever Cemetery e il suo funerale si svolse presso il Self-Realization Fellowship Lake Shrine a Pacific Palisades, California. 

La sua famiglia sparse le sue ceneri secondo la tradizione indù in una cerimonia privata nei fiumi Gange e Yamuna vicino a Varanasi, in India. 

L'ultimo album di Harrison, Brainwashed (2002), è stato pubblicato postumo dopo essere stato completato da suo figlio Dhani e Jeff Lynne. Una citazione dalla Bhagavad Gita era inclusa nelle note di copertina dell'album: "Non c'è mai stato un tempo in cui tu o io non esistessimo. Né ci sarà un futuro in cui cesseremo di esistere"

28/02/22

La bellissima Pattie Boyd: quando Eric Clapton cominciò a "farsi di eroina" per il senso di colpa di aver tradito l'amico George Harrison

 

Pattie Boyd con George Harrison nel 1969

E' forse il triangolo più famoso della storia del rock. 

Un tradimento che coinvolse due tra le stelle più brillanti del firmamento musicale, Eric Clapton e George Harrison, che all'epoca era sposato con una donna bellissima, Pattie Boyd, modella fotografica e autrice di diverse rubriche sui giornali dell'epoca. 

Pattie aveva una relazione con il fotografo Eric Swayne quando incontrò Harrison, il 2 marzo 1964, e quindi rifiutò la sua proposta di un appuntamento. 

Diversi giorni dopo, dopo aver posto fine alla relazione con Swayne, accompagnò Harrison in un club privato per gentiluomini chiamato Garrick Club, insieme al manager dei Beatles, Brian Epstein. 

Con i Beatles spesso in tournée, lei e Harrison si vedevano tutte le volte che i loro impegni professionali lo consentivano.

Nel luglio 1964, Harrison acquistò Kinfauns , una casa a Esher, nel Surrey, per sfuggire alla costante attenzione dei fan nel centro di Londra e vi si trasferì insieme a Pattie. La coppia si fidanzò il 25 dicembre 1965 e si sposò il 21 gennaio 1966. 

Nel suo profilo "How a Beatle Lives" sull'Evening Standard nel marzo 1966, Harrison sottolineò la scelta felice di quella relazione, attribuendo a Pattie il merito di aver ampliato le sue prospettive. 

In settembre e ottobre, dopo l' ultimo tour di concerti dei Beatles, Boyd e Harrison trascorsero insieme le famose sei settimane in India, come ospiti del musicista classico indiano Ravi Shankar . 

Mentre era a Bombay e mentre Harrison imparava a suonare il sitar sotto la guida di Shankar, Pattie imparò a suonare il dilruba , uno strumento a corde suonato con l'arco. 

A causa dell'attenzione morbosa dei fan e della stampa, i due lasciarono la città insieme a Shankar e si trasferirono sulle case galleggianti del lago Dal nel Kashmir. 

Al loro ritorno in Inghilterra, Boyd e Harrison avevano completamente aderito a uno stile di vita di yoga e vegetarianismo, visto che Pattie condivideva l'interesse del marito per il misticismo orientale.

Dal 1968 Pattie fornì l'ispirazione per molte delle composizioni dei Beatles firmate da Harrison, tra cui "I Need You ", " If I Needed Someone ", " Love You To " e " Something ". 

Nel marzo del 1970, un mese prima dello scioglimento dei Beatles, la Boyd si trasferì con Harrison a Friar Park , una villa neogotica vittoriana a Henley-on-Thames . 

A questo punto, la devozione di Harrison alla spiritualità indiana, in particolare al movimento Hare Krishna, aveva cominciato a dividere la coppia. Inoltre non ebbero successo nel mettere su famiglia, visto anche che Harrison non avrebbe preso in considerazione l'adozione. 

La Boyd riprese allora la sua carriera di modella nel maggio 1971, a dispetto delle convinzioni spirituali di Harrison. 

Dopo la separazione dei Beatles, George Harrison poté dedicarsi pienamente ai suoi progetti solisti, mettendosi al lavoro sul suo vero e proprio primo album solista, un triplo album fluviale che si chiamò All Things Must Pass

E fu proprio durante le registrazioni di questo album che Eric Clapton - che era forse il miglior amico all'epoca di Harrison - si infatuò della moglie di George.

Harrison, durante quelle registrazioni era particolarmente stressato: la preoccupazione per l'album, la sua prima uscita da solo, la grave malattia della madre, che morì di lì a poco per tumore, la crisi con Pattie. 

Clapton che aveva un ruolo importante nelle sessioni di registrazione, era totalmente ossessionato da Pattie, ma dopo essere stato respinto nel novembre del 1970, continuò a corteggiarla. Nel tentativo di soddisfare la sua infatuazione, Clapton aveva anche provato a uscire per un po' di tempo con la sorella di Pattie, Paula. Il risultato fu che in quel periodo iniziò ad assumere eroina distrutto dai sensi di colpa per aver tradito l'amico. 

Pattie dovette venire allo scoperto: disse che la sua decisione di lasciare Harrison, nel luglio 1974, era basata in gran parte sulle sue ripetute infedeltà, culminate nella sua relazione con la moglie di Ringo Starr, Maureen, che la Boyd definì "l'ultima goccia". 

Il divorzio della coppia fu finalizzato il 9 giugno 1977. L'avvocato della Boyd, in seguito rimarcò la sensibilità mostrata da ciascuna parte nei confronti dell'altra, particolarmente rara nella sua esperienza di divorzi ad alto rischio. Ha detto: "Non c'è stata alcuna reazione eccessiva, avidità o gioco con le emozioni reciproche - vorrei che tutti i divorzi fossero gestiti così bene".

George Harrison e Eric Clapton erano diventati amici intimi alla fine degli anni '60, e iniziarono a scrivere e registrare musica insieme. 

L'album di Clapton del 1970 insieme a Derek and the Dominos,  che comprende Layla e altre canzoni d'amore assortite, fu scritto per proclamare il suo amore per  Pattie. 

Una volta guarito dalla sua dipendenza nel 1974, Clapton tornò all'assalto di Pattie. 

Dopo il divorzio da Harrison, Clapton sposò Pattie il ​​27 marzo 1979 a Tucson, in Arizona. 

George aveva "perdonato" Eric e addirittura iniziò a chiamarlo scherzosamente il suo "suocero".

Anche il matrimonio con Clapton però fu un disastro: Pattie cominciò a bere molto. In seguito Clapton  ammise di averla costretta ad avere rapporti sessuali, mentre erano sposati e che era un alcolizzato "in piena regola". 

Clapton e la Boyd tentarono senza successo di avere figli, provando la fecondazione in vitro nel 1984 e nel 1987, ma dovettero invece affrontare aborti spontanei. 

La fine arrivò presto: Pattie lasciò Clapton nell'aprile 1987 e divorziò da lui nel 1989. Le sue ragioni dichiarate erano gli anni di alcolismo di Clapton, così come le sue numerose relazioni, inclusa quella con l'attrice italiana Lory Del Santo. 

Nel 1989 le fu concesso il divorzio per "infedeltà e comportamento irragionevole". 

Qualche anno dopo, nelle sue memorie, Pattie espresse perfino il serio dubbio che il corteggiamento di Clapton nei suoi confronti quando era sposata con Harrison "avesse più a che fare" con l'aspetto competitivo dell'amicizia dei due musicisti, e che "Eric voleva solo quello che aveva George". 

Nel 2007, Rolling Stone ha definito Boyd una " musa rock leggendaria " per il suo ruolo nell'ispirare la musica di Harrison e Clapton, [1] mentre Alan Light del New York Times ha descritto il triangolo amoroso Boyd-Clapton-Harrison come "uno dei più mitici intrecci romantici della storia del rock'n'roll". 

Un ruolo che Pattie Boyd ha pagato a caro prezzo.

Fabrizio Falconi - 2022 

Pattie Boyd con Eric Clapton 

10/12/21

Qual è l'ultima foto scattata in assoluto che ritrae John Lennon e Paul Mc Cartney insieme?

 


La docu-serie Get back! di Peter Jackson realizzata per Disney+ che sta spopolando in tutto il mondo, ha riportato d'attualità il mito dei Beatles (del resto mai offuscato) e la loro travagliata storia artistica, durata dieci anni, che ha cambiato per sempre il mondo della musica. 

Rivedendo le immagini delle sessioni di registrazione del gennaio del 1969, precedenti di poco la separazione definitiva, viene da chiedersi quando vi furono gli ultimi contatti ufficiali tra i due leader del gruppo, John Lennon e Paul Mc Cartney: in particolare quale fu l'ultima volta che si videro, l'ultima volta che suonarono insieme, quale è l'ultima fotografia che li ritrae insieme.

Come è noto, i Beatles si separarono ufficialmente nell'aprile del 1970, anche se John era ormai già emotivamente lontano da tempo dal gruppo e non ne risentì minimamente.

I contatti fra Lennon e Mc Cartney si esaurirono definitivamente. 

E si rividero per la prima volta, dopo ben 4 anni. 

Lennon, insieme a Yoko Ono, cominciò a trascorrere molto più tempo negli Stati Uniti, che in Europa, impegnato nella sua attività solista. A New York c'era la sede della ABKCO Records, con l'ufficio di Allen Klein, che già dal 1970 gestiva gli interessi della Apple Records e di tre ex Beatles: Lennon, George Harrison, e Ringo Starr.


In questo periodo alla Pang, fu chiesto di aiutare Lennon e sua moglie Yoko Ono a curare i loro progetti artistici d'avanguardia, come i film sperimentali Up Your Legs Forever e Fly.

Successivamente divenne la segretaria personale e factotum della coppia sia a New York che in Inghilterra, il che la portò a diventare una collaboratrice fissa dei coniugi Lennon quando si trasferirono definitivamente da Londra a New York nel 1971.

Quando il rapporto di John con Yoko entrò in crisi, Lennon cadde in una profonda depressione, ma fu proprio la Pang che gli diede il coraggio necessario per affrontare i familiari (soprattutto il primo figlio Julian con il quale c'erano stati sempre rapporti molto complicati, difficili) e gli amici. 

E proprio durante il periodo della love story tra Lennon e May Pang, che durò 18 mesi, Paul McCartney e Lennon si incontrarono nuovamente per suonare insieme per la prima volta dalla separazione dei Beatles. 

Paul e Linda McCartney visitarono la coppia il 28 marzo 1974

Il 31 marzo, furono raggiunti da Stevie Wonder, Harry Nilsson, Jesse Ed Davis e Bobby Keys per una jam session rimasta leggendaria presso la casa al mare che Lennon aveva a Santa Monica, Los Angeles. 

Di queste estemporanee sessioni è rimasta testimonianza in un celebre bootleg (A Toot and a Snore in '74).

In questa occasione furono scattate le ultime foto che ritraggono Paul Mc Cartney insieme (quella che ho pubblicato in testa si ritiene sia l'ultima in assoluto di loro due vicini). 

Le foto vennero pubblicate molti anni dopo, nel 2008, da May Pang, nel libro fotografico Instamatic Karma.

In esso sono presenti numerose fotografie di May Pang e Lennon insieme e anche qualche scatto storicamente rilevante come Lennon mentre firma l'atto ufficiale di dissoluzione dei Beatles, e l'ultima fotografia conosciuta che ritrae insieme Lennon e Paul McCartney.

Questa, nel 1974, fu certamente l'ultima volta che Lennon suonò con Paul McCartney (quattro anni dopo lo scioglimento dei Beatles). 

Ma questa fu anche l'ultima volta in cui i due si videro? 

Secondo quanto affermato da Lennon in un'intervista rilasciata poco prima di morire, nel 1980, l'ultima volta che i due si videro fu due anni dopo, nel 1976, quando Paul si presentò improvvisamente a casa sua. 

In quell'occasione, mentre guardavano il Saturday Night Live alla televisione, il presentatore della trasmissione invitò in studio gli ex componenti dei Beatles in cambio di una somma di denaro. 

I due furono tentati di presentarsi allo studio, posto nelle vicinanze della casa di Lennon, ma desistettero per la stanchezza. 

Questo leggendario, ma vero, episodio è stato anche preso come spunto nel film Due di noi di Michael Lindsay-Hogg (già regista di Let It Be).

In quella occasione però, non furono scattate foto (o comunque non sono mai state rese note).
La fotografia scattata da Mary Pang, quindi, è a tutt'oggi l'ultima foto esistente che ritrae Paul Mc Cartney e John Lennon insieme.