Ieri un Papa - Papa Francesco/Bergoglio - è per la prima volta sceso all'interno della Necropoli Vaticana, e ha sostato in preghiera di fronte alla tomba dell'apostolo Pietro, nel luogo dove - secondo le acquisizioni archeologiche di M.Guarducci e altri - sono custodite da due millenni le sue ossa. Riporto qui un brano dal capitolo che ho dedicato alla Necropoli Vaticana nel volume 'Dieci Luoghi dell'Anima' (Cantagalli - 2009).
L’esperienza di discendere nella
Necropoli, sotto la Basilica ,
è una esperienza raccomandabile se si vuole capire meglio l’origine della fede
cattolica, proprio perché – come scriveva Maria Zambrano – Roma non è soltanto
viva e divoratrice, a Roma i morti parlano.
Ma non è impresa facile: i recenti restauri e i continui scavi hanno
indotto i responsabili della Fabbrica (di S.Pietro) a limitare gli accessi a un numero di
persone al giorno che non supera le poche centinaia. E considerando che le
richieste arrivano da tutto il mondo, può anche capitare di aspettare mesi e
mesi, prima che si offra la possibilità di visitare il sotterraneo.
Quando accade, si è accompagnati da
una guida autorizzata e da un gruppo che non supera le venti unità. Si accede al piano degli scavi da una entrata
laterale, sul fianco sinistro della basilica, proprio di fronte alla lapide
interrata che ricorda il luogo esatto dove si ergeva l’obelisco neroniano,
prima dello spostamento cinquecentesco.
Per entrare nel corpo della basilica
si attraversa un pertugio che fora il muro perimetrale della basilica, spesso
diversi metri. Poi si scende una ripida
scala, fino ad una doppia porta a vetri elettrica che mantiene sigillato
l’ambiente della necropoli.
Uno alla volta, in fila indiana, si
entra trovandosi subito di fronte il primo dei mausolei, quello degli Aebutii.
A questo punto ci si trova a circa 9 metri al di sotto del
pavimento della Basilica Odierna, e circa 4 metri sotto il piano
delle Grotte Vaticane, che è ad esso sottostante.
La ricostruzione delle vicende
storiche che portarono alla scoperta e alla restituzione della Necropoli è –
come ho già scritto – appassionante, e composta di diverse fasi. Perché se è
vero che l’impulso definitivo e sistematico agli scavi venne dato nel secolo
scorso da Papa Pacelli, in realtà sondaggi estemporanei al di sotto della Basilica
erano stati fatti più volte nel corso dei secoli, specialmente in occasione
della costruzione della nuova Basilica nel Cinquecento, che sostituì quella
costantiniana.
E in una di queste perlustrazioni,
attraverso di un buco grezzo nel pavimento delle Grotte, si era intravista
proprio una porzione del Mausoleo M, quello di Maximus e di sua moglie
Iulia.
Era esattamente il 1547. E si
lavorava alla realizzazione di un piccolo portico davanti all’altare maggiore
dell’antica San Pietro. Da un anno architetto della Basilica era stato nominato
Michelangelo Buonarroti.
Il primo ritrovamento del sepolcro
degli Iulii avvenne per opera di Tiberio Alfarano, chierico beneficiario di San
Pietro, di origini calabresi, archeologo, letterato ed architetto che in undici
anni realizzò una monumentale opera, il De
Basilicae Vaticanae antiquissima structura, dove con certosina passione
annotò minuziosamente ogni arredo, epigrafe, lapide, fregio o iscrizione
contenute all’interno della Basilica, accumulate nel corso di più di un
millennio di vita.
Alfarano, dunque, descrisse anche cosa era stato ‘visto’,
mentre si scavava per trarre la fondazione di quel portico: un antichissimo
sepolcro, decorato riccamente, con una epigrafe sepolcrale – oggi purtroppo
perduta – che doveva trovarsi sopra la porta d’ingresso, ed era appunto proprio
quella che faceva menzione dei coniugi Iulii e del loro figlio prematuramente
scomparso.
Per giungere oggi al Mausoleo M,
bisogna invece seguire il percorso indicato dalla guida, che si snoda lungo la
fila dei sepolcri (ciascuno contrassegnato da una lettera dell’alfabeto) ancora
oggi allineati, com’erano all’origine, prospicienti un antico vicus
divisorio, che doveva essere, all’epoca
del suo interramento, lungo centinaia di
metri .
E’ bene non dimenticare infatti, la
guida lo ricorda ai visitatori, che la Necropoli oggi restituita alla luce, e quindi
scavata, è soltanto una piccola porzione
di quella che esisteva fino al IV secolo dopo Cristo. Originariamente, i
sepolcri correvano a valle, fin quasi al Tevere, e ancora oggi molto ci sarebbe
da scavare, al di sotto dell’attuale Piazza San Pietro e di Via della Conciliazione.
Il Mausoleo M è, come detto, il più
piccolo tra quelli visitabili, e per accedervi, o meglio, per poterlo osservare
da vicino, i visitatori devono entrare uno alla volta in uno stretto cunicolo,
dal soffitto assai basso, che termina davanti ad una vetrata.
Si ha modo soltanto attraverso il
cristallo protettivo di ammirare il minuscolo interno, a pianta quadrata, con
la decorazione disposta su due ordini, com’era consuetudine di allora.
© Fabrizio Falconi - Cantagalli editore - Dieci Luoghi dell'Anima, 2009.
Così, quando toccò a me, quella
prima volta che scesi nella Necropoli,
ammirai una ad una le figure disegnate:
il pescatore che getta tra le onde la
lenza, alla quale un pesce abbocca, e un altro fugge; il Buon Pastore; e
poi, nella splendida volta, il Cristo è un Sole che sale al cielo sulla Sua
quadriga di splendidi cavalli bianchi.
Dalla testa nimbata del Redento, i raggi compongono una croce
perfettamente simmetrica.
E infine, sulla parete di destra,
ecco: Giona inghiottito dal mostro. Due figure, in piedi sulla barca assistono
alla scena, mentre Giona, con il dettaglio assai realistico delle sue braccia
alzate in un’invocazione di aiuto, ha già perduto le gambe, finite nella bocca
dell’orrido tritone.
Quale impressione dovettero suscitare in quei primi cristiani,
frastornati dalla propaganda pagana, costretti a nascondersi come criminali,
quelle parole scritte nel dodicesimo capitolo di Matteo ?
Allora alcuni scribi e farisei lo
interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». Ed egli
rispose: «Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun
segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase
tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà
tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Quelli di Nìnive si alzeranno a
giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono
alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona! La regina del sud
si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne
dall'estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui
c'è più di Salomone!
Quali ‘folli’ speranze riuscirono ad accendere, queste parole ?
Adesso che il canto dei morti,
dissepolto dopo innumerevoli generazioni, torna a farsi sentire, pensavo, in
quel recesso nove metri sotto il pavimento della Basilica, e pochi metri, forse
solo centimetri, distante dalla prima tomba dell’Apostolo, adesso che il canto dei morti ritorna, sembra
viva anche la voce del piccolo Iulius. Iulius che aveva soltanto un anno. E che i suoi genitori affidarono a qualcosa
di più del ricordo.
Una nuova speranza, una prima
speranza, una ‘primizia’ si faceva lentamente spazio nell’intrico di terra e
fango della Necropoli. E quella semplice
voce perduta reclamava adesso un posto nella storia. Aspettava di essere
restituita al suo valore originario, dopo la polvere di secoli e secoli.
“Ecco, ora qui c’è più di
Giona.”
© Fabrizio Falconi - Cantagalli editore - Dieci Luoghi dell'Anima, 2009.
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