"Oggi abbiamo
una nuova Trinita': cellulare, cinepresa e computer portatile.
Stiamo solo aspettando che le grandi case le diano una nuova
forma, ma e' dietro l'angolo. E poi 'Star Wars', 'Avatar',
'Titanic' sembreranno qualcosa di vecchio, del secolo scorso".
A parlare, sotto la volta affrescata del Trionfo della divinita'
di Pietro da Cortona, e' Peter Greenaway, il regista che più al
mondo ha saputo mettere in movimento le opere d'arte, da
Leonardo da Vinci a Rembrandt (con La Ronda di notte che ha
ispirato il suo 'Nightwatching'), ospite della
rassegna Il gioco serio dell'Arte promossa da Lottomatica a Palazzo Barberini.
Un incontro, condotto da Massimiliano Finazzer Flory, che
diventa insieme uno spettacolo e una coltissima lezione del
regista che molti definiscono "un pittore su celluloide" e
che, rivelera' all'ANSA, sta pensando a un film sul "figlio di
Maria".
"Io sono fortunato a poter ancora dipingere, ma c'è un'inevitabile continuita' tra pittura e cinema - esordisce il
regista - Da Pompei ad 'Avatar', e' la stessa attività, solo
con differenti tecnologie".
A dimostrarlo, nove grandi
capolavori, da L'ultima cena di Leonardo alle Nozze di Cana di
Paolo Veronese, che Greenaway ha moltiplicato, scomposto,
illuminato, animato, fino a trasformale in un piccolo film,
davanti a una platea che forse poco capisce del digitale, ma ne
rimane estasiata come davanti a un Giudizio Universale di
Michelangelo.
"Oggi il montatore e' il vero re del cinema",
prosegue Greenaway, che per vent'anni si e' occupato di
montaggio prima che di regia. "Con le nuove tecnologie - spiega
- e' lui che puo' creare, trasformare le immagini. Il 3D? Non
sono un gran devoto, non credo abbia molto da aggiungere al
cinema. E' un fenomeno piuttosto effimero".
Piuttosto, il futuro del cinema dovrebbe affrancarsi dal legame
troppo stretto con la parola ("una delle grandi bestemmie e' il
suo rapporto con la letteratura: andiamo a vedere storie che in
realtà sono romanzi del XIX secolo, da Jane Austin a Flaubert e
Zola") e puntare a inglobare l'esperienza dello spettatore.
"'Anche 'Avatar' di James Cameron - dice - e' limitato perché proiettato su schermo piatto e non su uno schermo che circonda
architettonicamente lo spettatore, come già avevano intuito
artisti italiani come Botticelli e Michelangelo".
Ironicamente critico sulle sue origini ("Io vengo da un'isola
ventosa e protestante. I Britannici sono antibarocchi, nel senso
che sono sospettosi nei confronti degli eccessi e
dell'immaginazione. Truffaut diceva che non si puo' essere sia
cineasta che inglese") come su un'icona apparentemente
intoccabile come Margareth Thatcher che a poche ore dalla morte
non esista a definire una donna "stupida, malvagia, diabolica,
che ha fatto danni enormi all'Inghilterra", Greenaway usa le
nuove tecnologie come il suo più tradizionale pennello, pur
restando saldamente ancorato nei suoi racconti agli archetipi di
eros e thanatos, al centro anche del suo ultimo film, Goltzius and the Pelican Company.
"Sono provocatorio - risponde - ma il sesso e la morte sono le
due attività primarie che coinvolgono ogni essere su questo
pianeta. Il resto cambia, ma queste no e non puoi controllarle.
Questo mi affascina".
E i prossimi progetti? "Sto lavorando al remake di 'Morte a
Venezia' - rivela a margine dell'incontro all'ANSA - In autunno
girero' invece il film dedicato al regista piu' grande di tutti
i tempi, Sergej Eisenstein, e molto presto un altro sul pittore
austriaco Oskar Kokoschka. E poi ci sara' Joseph. Ha presente
'Rosemary's baby' di Polansky? Beh, io penso a un Mary's
baby".
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