29/10/21

Qual è stato il primo Teatro costruito a Roma ? E dove si trovava ?

 



Quando fu costruito il primo teatro a Roma?

 

Il primo teatro in muratura a Roma può essere considerato il Teatro di Pompeo, che sorgeva nei pressi dell’attuale Largo Argentina, tra via dei Chiavari e via dei Giubbonari, dove si trova oggi piazza di Grotta Pinta (resti importanti dell’edificio si possono ancora ammirare oggi nei locali dell’Hotel Lunetta), la cui forma richiama quelle della costruzione romana. 

Il teatro prese il nome dal console Gneo Pompeo Magno che ne ordinò la costruzione al ritorno dalla sua campagna vittoriosa sui popoli orientali, tra il 60 e il 55 a.C. 

Prima di Pompeo, vigeva il divieto di costruire edifici stabili di spettacolo in città. Il console aggirò il divieto facendo apporre sulla sommità della cavea un piccolo tempio dedicato a Venere Vincitrice, cosicché tutta la gradinata del teatro appariva come una grande scala d’accesso al tempio. 

Il teatro aveva dimensioni considerevoli – il diametro era di centocinquanta metri – e fu il primo passo della grande opera di monumentalizzazione del Campo Marzio, una zona destinata a diventare di vitale importanza nella vita della città di Roma.


Tratto da Fabrizio Falconi - 501 domande e risposte sulla storia di Roma - Newton Compton, 2020

 


27/10/21

Il Palazzo del Monte di Pietà a Roma e l’orologio dalle ore matte

 


Il Palazzo del Monte di Pietà e l’orologio dalle ore matte

 

E’ davvero molto lunga la storia del Palazzo del Monte di Pietà che affaccia sulla piazza omonima, nel cuore del rione di Regola. Il Palazzo fu costruito nel 1588 come nobile residenza di un Cardinale, Prospero Santacroce. E’ soltanto quindici anni più tardi, nel 1603, dopo la morte del Cardinale, che divenne la sede del Monte dei Pegni fondato nel 1527 da un padre minorita, Giovanni da Calvi e che era originariamente ospitato in Via dei Coronari.

Per destinarlo alla nuova funzione – che era quella del Monte dei Pegni, istituita da un gruppo di nobili romani papalini per combattere la piaga dell’usura – furono necessari lavori di ampliamento del Palazzo Santacroce, affidati ai più geniali architetti dell’epoca, Carlo Maderno e Francesco Borromini: il Palazzo fu ingrandito e diviso in due parti, una destinata a conservare il denaro, e l’altro i pegni che da quel periodo in poi i Romani in difficoltà economica andavano a piazzare al Monte.

Tra i numerosi abbellimenti e ornamenti del Palazzo, si provvide nel Settecento anche a dotare il Palazzo di un grande orologio – uno dei più grandi di quelli pubblici a Roma – al di sotto del campanile a vela sul frontone.

A quanto pare però, questo orologio monumentale, sin dalla sua installazione, cominciò a mostrare difetti di funzionamento, con gli orari che quasi mai coincidevano con gli altri orologi romani.

Una leggenda – probabilmente basata su un fondamento di verità – allora, spiegò questo malfunzionamento con l’ira di un orologiaio, quello che si era dedicato alla costruzione del meccanismo, il quale indignato per la somma ricevuta, ben più bassa rispetto a quanto pattuito, aveva deciso di sabotare il congegno lasciando perfino la firma del suo dispetto, con una iscrizione incisa sull’orologio stesso: Per non esser state a nostre patte/ orologio del Monte sempre  matte. E cioè, in pratica: accordi saltati, orario impazzito. Più verità che leggenda visto che l’iscrizione pare vi fosse realmente e fu cancellata dalle autorità cittadine in tempi relativamente recenti.

Resta la singolare circostanza che proprio una comune, quotidiana questione di soldi finì per condizionare e per restare ad emblema – visto che l’orologio anche ai tempi nostri continua a seguire un suo orario – del Palazzo che più di ogni altro a Roma è stato ed è il simbolo del denaro.


tratto da: Fabrizio Falconi - Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton editore, 2014-2017 

 


26/10/21

La storia della celebre Statua a Giordano Bruno, in Piazza Campo de' Fiori





La celebre statua di Giordano Bruno in Campo de' Fiori fu inaugurata in un caldo giorno di giugno (il 9, giorno della Pentecoste) dell'anno 1889, tre anni dopo la Statua della Libertà e soltanto tre settimane esatte dopo l'inaugurazione della Tour Eiffel a Parigi. 

Ma le peripezie che ne permisero l'erezione sono talmente complesse e lunghe che ci vollero 13 anni per ultimare il tutto. 

L'omaggio a Bruno proprio nella piazza dove il frate pagò il prezzo più alto per il coraggio e la libertà di pensiero, fu dovuto all'iniziativa politica di quella Italia liberale, laica, massona, radicale che dopo l'unità aveva cominciato a raccogliere sempre più sostenitori contro il potere clericale e papale, e ovunque si celebrava il ricordo di quell'eroe sacrificato in modo inumano. 

La statua era una vera e propria sfida al potere vaticano e suscitò l'indignazione delle università pontificie e dello stesso papa Leone XIII, che stigmatizzò ferocemente l'iniziativa. 

L'eco di questa battaglia asperrima varcò i confini italiani e si spanse fino a Londra e a New York, dove il pensiero di Giordano Bruno era da molto tempo studiato nelle aule di filosofia e di teologia. 

Intorno al 1880 fu costituito un comitato internazionale che si poneva come obbiettivo la realizzazione di un monumento a Roma dedicato al frate di cui furono promotori anche Victor Hugo e Ernest Renan

A gennaio del 1888 la battaglia intorno al monumento si fece talmente virulenta che una manifestazione studentesca venne brutalmente repressa dalla polizia

Solo a seguito di questi fatti il capo del governo di allora, Francesco Crispi, decise di concedere il parere favorevole alla realizzazione della statua, anche per rendere evidente e palese l'emancipazione di Roma, divenuta capitale de Regno d'Italia, dal potere dei papi. 

I lavori vennero affidati a Ettore Ferrari il quale realizzò il ritratto in bronzo di Bruno il cui volto, ricoperto dal cappuccio da frate, fu orientato proprio in direzione del Vaticano e le cui mani incrociate sui polsi (come un condannato) sorreggono con dignità un grosso volume

Il filosofo Giovanni Bovio redasse l'iscrizione da porre sul piedistallo: "A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse" 

La stata non ebbe vita facile nemmeno in seguito. Durante il fascismo, movimenti ultracattolici di destra chiesero ripetutamente al duce la rimozione del monumento

Mussolini però, consigliato dal filosofo Giovanni Gentile decise di soprassedere e la statua di Bruno ancora oggi è il punto di ritrovo di militanti del pensiero laico e anticattolico che nel giorno della morte del filosofo 17 febbraio si riuniscono a Campo de' Fiori intorno al grande ribelle per perpetuare la memoria e il sacrificio. 

25/10/21

La meraviglia della Galleria Prospettica del Borromini a Palazzo Spada


La magica prospettiva di Borromini e il piano nobile di Palazzo Spada.
 

Quello che per tutti i romani è Palazzo Spada, in Piazza di Capodiferro, prese il nome con cui è conosciuto oggi soltanto a partire dal 1632 quando il cardinale Bernardino Spada lo acquistò per quasi trentaduemila scudi dalla famiglia Capodiferro che per iniziativa di uno dei suoi membri più illustri, il cardinale Gerolamo, lo aveva fatto costruire nel 1540 su progetto dell’architetto Giulio Merisi da Caravaggio. 

Il cardinale Spada trasformò totalmente il Palazzo rendendolo una vera e propria reggia, degna del potere che quella famiglia rappresentava nelle gerarchie papaline dell’epoca. 

L’architetto al quale Bernardino Spada si rivolse fu nientemeno che Francesco Borromini, il genio più grandioso ed eccentrico di quegli anni, carattere tempestoso e irrequieto sempre preda dei suoi fantasmi e della sua febbrile creatività. 



Fu Borromini a creare quella stupefacente galleria prospettica che ancora oggi rappresenta una delle attrattive della visita ai Palazzi di Roma, come dimostrano anche le continue citazioni cinematografiche, con quel colonnato nel quale le pareti convergono mano a mano che si avanza, il pavimento sale, i quaranta riquadri del pavimento si impiccioliscono insieme alle colonne: quando si giunge al termine della galleria si scopre infatti che l’ultima colonna è alta soltanto un metro e mezzo, meno della metà rispetto alla colonna della prima fila, e che quella galleria che vista dall’esterno sembra lunghissima – almeno cinquanta metri – si percorre invece in appena dieci passi. 

E’ un gioco prospettico, una illusione ottica inventata da Borromini che dovette divertire e non poco il suo committente, con quella statua del dio Marte, collocata in fondo alla galleria, alta soltanto sessanta centimetri. 



E’ solo una delle molte invenzioni del genio ticinese: molto si è scritto su un Borromini esoterico, a causa di quella incredibile propensione a giocare con i simboli e le forme che ne hanno fatto uno dei protagonisti più grandi del Barocco. 

Ma le attrattive e i segreti di Palazzo Spada non si esauriscono con la formidabile bizzarria borrominiana. 

Oggi il celebre palazzo ospita la splendida Galleria di dipinti dove si possono ammirare Guido Reni, Guercino, Andrea Del Sarto, Brueghel, Parmigianino e tanti altri, ma anche il grandioso piano nobile occupato dagli uffici del Consiglio di Stato che è attualmente visitabile solo la prima domenica del mese. 

Qui è tutto una esplosione di decorazioni a stucco e pitture che insieme alle finte prospettive architettoniche del Salone di Pompeo, alla Sala delle Quattro Stagioni e al Corridoio della Meridiana testimoniano la grande passione del Cardinale Bernardino Spada per l’astronomia e per l’ottica. 

In particolare in quest’ultimo – il Corridoio della Meridiana – è possibile ancora oggi misurarsi con la geniale invenzione del gesuita Emmanuel Maignan (nato a Tolosa nel 1601): una specie di meridiana alla rovescio, ottenuta attraverso il riflesso della luce del sole che, filtrando attraverso una finestrella, colpisce la superficie di uno specchio inclinato e rimbalza sul soffitto dove sono disegnati i simboli celesti zodiacali. E’ solo una delle tante meraviglie segrete di quello che è stato definito il palazzo storico più bello d’Italia.



24/10/21

Cagliostro a Roma: Una incredibile avventura

 



L’eretico Conte Cagliostro e il rogo di libri maledetti a Santa Maria Sopra Minerva


Uno dei personaggi più controversi del Settecento fu sicuramente quel Giuseppe Balsamo, palermitano, passato alla storia con il ben più famoso appellativo di Conte di Cagliostro. 

La storia di Cagliostro a Roma nasce quando Giuseppe – alias Alessandro, come scelse di chiamarsi in seguito il sedicente Conte – sposò Lorenza, la figlia analfabeta e a quanto pare bellissima di un orafo. Il matrimonio si consumò nel giorno dell’anniversario della fondazione di Roma – il 21 aprile del 1768 -  in una storica chiesa del rione Regola: San Salvatore in Campo. 

Cagliostro all’epoca aveva venticinque anni,  ma si era già lasciato alle spalle  un passato turbinoso fatto di fughe, ribellioni, piccole truffe che dalla sua Sicilia lo avevano poi portato, dopo viaggi avventurosi,  a Roma.  Qui l’intraprendente giovane aveva aperto una fiorente bottega di falsario (i documenti erano la sua specializzazione) al Vicolo delle Grotte, sempre in quel quartiere della Regola, a due passi da Via dei Giubbonari.

A Roma, il futuro Conte di Cagliostro non si fece certo passare inosservato: venne arrestato per una rissa scoppiata in una taberna al Pantheon,  e dopo qualche giorno venne rilasciato soltanto grazie all’interessamento di un amico che svolgeva le mansioni di maggiordomo in una delle case più importanti di Roma, quella abitata dal Cardinale Orsini

Lorenza e Giuseppe, sposandosi, stipularono una specie di patto di sangue che li portò nel giro di un trentennio  a sconquassare le nobili corti di mezza Europa: lui imbastendo improbabili traffici, stregonerie, guarigioni miracolose,  pseudo artifici alchemici, riti esoterici, che gli guadagnarono la fama del più grande furfante del secolo, lei mettendo a disposizione le sue arti amatorie per sedurre e ammorbidire mecenati, conti (veri) e marchesi, ricchi gentiluomini, e farli diventare strumenti in mano all’ingegnoso e mai domo marito. E ciò ovunque: nel nord Italia – a Bergamo vengono arrestati e poi rilasciati – in Francia,  Spagna, a Lisbona, Londra, e ancora in Francia, Belgio, Germania, Malta, Olanda, Lettonia, San Pietroburgo. Non c’è angolo della vecchia Europa che non li veda protagonisti di qualche intrigo, di qualche teatrale messinscena, di qualche fuga rocambolesca, magari seguita ad un arresto, di qualche scandalo sessuale.

Giuseppe, chimico e ipnotizzatore, inventore e alchimista, trasforma anche la sua identità: comincia a farsi chiamare Alessandro e si inventa il titolo di Conte di Cagliostro. Conosce le grandi personalità del secolo, da Casanova ai sovrani di Francia e di Russia, si mette in testa anche l’idea di fondare un nuovo rito massonico egizio che pretende addirittura sia riconosciuto dal papa, organizza la clamorosa truffa della collana ai danni della Regina Maria Antonietta, finisce nuovamente in carcere, alla Bastiglia, quattro anni prima della Rivoluzione Francese, da cui riesce ad uscire grazie all’intervento dei migliori avvocati del Paese che perorano la sua causa presso il Parlamento.

Ma anche dalla Bastiglia, Cagliostro riesce a fuggire. Ripara a Londra, e per la prima volta Lorenza comincia a prendere le distanze da quell’uomo impossibile, fosco e tiranno.

Qualche anno più tardi, quando Giuseppe si presenta di nuovo a Roma con un prezioso salvacondotto predisposto per lui dal potente principe di Trento, Pietro Virgilio Thun, il vero scopo di Cagliostro è quello di ottenere udienza dal papa e di riuscire nell’intento folle di ottenere il suo riconoscimento dell’ordine egizio da lui fondato. 

A Roma comunque Cagliostro ricevette la massima attenzione dai circoli massonici dell’epoca (frequentati in gran parte da diplomatici stranieri) e in particolare dai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme che avevano la loro sede a Villa Malta, nell’odierno quartiere pinciano.

A Villa Malta Cagliostro diede spettacolo: organizzando sedute massoniche, dando prova delle sue doti di medium e di veggente, convertendo nuovi adepti al neo ordine da lui fondato.

Questi movimenti però non passarono inosservati agli emissari della Inquisizione, nei cui ambienti si sospettava fortemente che Cagliostro fosse un agente segreto (o un commissario mandato dagli Illuminati di Weishaupt) inviato nella capitale per sobillare le migliaia di massoni che, nascosti, attendevano un segnale per ribellarsi al potere papale.

Non contento, nello studio del pittore francese Augustin Belle, Cagliostro allestì una specie di tempio della sua nuova religione: una stanza completamente ricoperta di drappi neri, e ornata di colonne e simboli massonici, nella quale venivano compiuti i riti di iniziazione.

Ed è a questo punto della vicenda, nel settembre del 1789, quando il conte si sente ormai spiato e seguito ovunque, che Lorenza rompe gli indugi e lo denuncia ad un chierico, parroco della chiesa di Santa Caterina della Rota, a due passi dalla sua casa avita.

La denuncia viene immediatamente spedita al temibile Sant’Uffizio. Lorenza, in un estremo empito di pentimento si rifiuta di firmarla, ma ormai è troppo tardi; le autorità pontificie hanno già deciso la sorte del Conte: bisogna mettere fine alla sua pericolosa intraprendenza, alle sue scandalose e oscure trame.

Il 27 dicembre di quell’anno il Papa (Pio VI) firmò l’istanza speciale per l’arresto di Cagliostro e un manipolo di soldati pontifici fece irruzione negli alloggi del pittore Belle e prese il Conte in flagranza di reato, incatenandolo e portandolo a Castel Sant’Angelo.

Le accuse contenute dalla denuncia della moglie e quelle derivate dagli stessi scritti del Conte, sequestrati, oltre che le delazioni dei molti nemici, causarono al Conte l’imputazione per reati gravissimi che andavano dall’eresia alla pratica di magia nera, al falso contro la Chiesa. 

Per scongiurare il pericolo di una nuova fuga, venne raddoppiata la guardia alle segrete di Castel Sant’Angelo, dove Cagliostro era detenuto in totale isolamento.

Nel processo di fronte al Sant’Uffizio l’imputato viene anche coinvolto in dispute teologiche delle quali egli non poteva minimamente disquisire.

Cagliostro fu interrogato, nel corso di un anno, per ben quarantatre volte e torturato a fuoco dagli inquisitori.

La sua rovina era ormai completa, e il Conte cercò di difendersi in ogni modo  riversando ogni colpa sulla moglie, e sui suoi costumi licenziosi, e giunse fino al punto di scrivere direttamente al Papa, negando ogni accusa di massoneria e chiedendo la grazia. 

Ma la sentenza, pronunciata il 21 marzo 1791 fu di colpevolezza, con la pena prescritta per eretici, eresiarchi e maestri di magia nera, ovvero il rogo.

Pio VI però, per evitare di trasformare il truffatore in un martire, decise di trasformare la sentenza di morte in ergastolo.  Il frate cappuccino Fra’ Giuseppe di San Maurizio, ritenuto corresponsabile (si era fatto convincere ad aderire alla società massonica dal Conte) viene condannato a dieci anni, mentre una assoluzione piena viene dispensata a Lorenza, la cui testimonianza è stata decisiva per l’arresto e la condanna del furfante.

I documenti del processo però sono rimasti segreti per secoli e gli archivi del Vaticano non hanno mai messo a disposizione i documenti: quel che sembra certo è che il Conte arrivò anche a confessare un incontro segreto con gli Illuminati di Weishaupt allo scopo di convertire la massoneria francese alla nuova causa.

Per umiliare in pubblico Cagliostro, fu deciso di costringere il condannato a camminare scalzo e con abiti laceri, tenendo una candela tra le mani, tra due file di monaci, lungo le vie di Roma, da Castel Sant’Angelo e fino a Santa Maria sopra Minerva, la chiesa sorta sui resti del tempio romano dedicato ad Iside.  Giunto nel sacro edificio, Cagliostro fu obbligato ad inginocchiarsi di fronte all’altare e a rendere pubblica abiura delle sue eresie.

Poi, in piazza, proprio di fronte all’Obelisco – il cosiddetto Pulcino della Minerva – fu dato alle fiamme il manoscritto di Cagliostro, nel quale enunciava i principi del suo nuovo Ordine, gli altri testi (andati perduti) e tutti gli emblemi massonici sequestrati nel Tempio del pittore Belle.

Questo rito fu particolarmente simbolico: l’Ordine di Cagliostro, tutto fondato sui crismi della sapienza massonica egizia, veniva eloquentemente distrutto proprio nel luogo di Roma che ricordava più da vicino i contenuti del paganesimo orientale-egizio.

Dopo l’umiliazione pubblica, il Conte venne trasferito a piedi (e al buio, temendo che la presenza del noto prigioniero fosse notata da qualcuno), nella fortezza di San Leo, in cima alle montagne di Montefeltro, la prigione più malfamata d’Italia, dove i detenuti si diceva impazzissero: la cella a lui destinata fu il terribile Pozzetto,  un cilindro di pietra sprovvisto di porta (il detenuto venne calato da una fessura in alto), con una sola misera feritoia e un nudo letto di paglia.

Qui, in questa oscura e spaventosa prigionia, Cagliostro trascorse gli ultimi cinque anni di vita, in un alternarsi di crisi mistiche ed estatiche (durante le quali finirà perfino nel credersi un santo, mandato sulla Terra per convertire gli infedeli), deliri disperati, e una febbrile attività di pittura delle pareti della sua stessa cella, con immagini sacre, e autoritratti.  

Nel giugno del 1795 riuscì a diffondere il suo ultimo annuncio profetico: “Sarò l’ultima vittima dell’Inquisizione, perché quando raggiungerò l’aldilà pregherò talmente tanto che su questa terra ci sarà un nuovo Ordine.”

Morì il 26 agosto del 1795, a cinquantadue anni, per un colpo apoplettico, dopo tre giorni di agonia, rifiutando la confessione e l’estrema unzione.  Il suo corpo fu sepolto nella nuda terra non consacrata, avvolto in un lenzuolo, e ancora oggi c’è qualcuno che rivendica il ritrovamento delle ossa del suo scheletro.

Quel che la leggenda tramanda è che nel dicembre del 1797 la fortezza di San Leo fu occupata dai soldati della legione polacca della repubblica cisalpina di Napoleone. Liberati tutti i prigionieri, i soldati si misero alla ricerca della sepoltura di Cagliostro, la cui fama continuava a propagarsi in tutta Europa, anche post-mortem, e  trovato il suo teschio, lo usarono come coppa per bere il vino.

Qualche tempo dopo, quando le truppe francesi del generale Massena fecero irruzione a Roma, a Castel Sant’Angelo scoprirono un misterioso manoscritto sequestrato a Cagliostro il giorno del suo arresto: un prezioso testo, decifrato nel XX secolo che conteneva e descriveva un rituale autentico della Confraternita dei Rosacroce, opera si disse, del Conte di Saint-Germain, pieno di riferimenti alchimistici e cabalistici.

Circostanza che alimentò a lungo la fama oscura del Conte e la leggenda del suo fantasma: di Cagliostro si continuerà a sostenere per decenni che il Pozzetto di San Leo non fu affatto la sua ultima dimora terrena, e che egli invece, riuscito a fuggire travestendosi con il saio del frate, venuto per confessarlo e ucciso a mani nude, continuò ad imperversare a lungo, sotto mentite spoglie, nelle corti nobili di Roma.  Ma di questo, ovviamente non v’è alcuna prova documentale.


Tratto da Fabrizio Falconi - Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, 2015


23/10/21

I VENTI Capolavori di Woody Allen - Una collezione da guardare e riguardare

E' davvero incredibile la quantità di film d'alto livello prodotta dal geniale Woody Allen nel corso della sua cinquantennale attività di regista. Qui ho stilato la lista dei 20 capolavori imperdibili, all'interno di una filmografia estremamente feconda.

20 film straordinaria da vedere e rivedere. 

1. BROADWAY DANNY ROSE, 1984


1. Broadway Danny Rose, realizzato nel 1984 in totale bianco e nero, scritto, diretto e interpretato da Woody Allen, con Mia Farrow e Nick Apollo Forte come co-protagonisti.
Una sceneggiatura meravigliosa, senza pause e in crescendo, un centinaio tra battute e gags travolgenti, la storia dell'agente teatrale ed ex comico Danny Rose, talmente fallito che i suoi unici clienti rimasti sono uno xilofonista cieco, un ballerino di tip tap con una gamba sola e un'anziana coppia di strozzapalloni.
La fotografia è del meraviglioso Gordon Willis.
E una fantastica Mia Farrow è Tina Vitale, l'amante dell'italoamericano Lou Canova, ex crooner di un certo successo.
Girato a New York in piena estate.
Rutilante e divertentissimo.

2. OMBRE E NEBBIA, 1991


2. Ombre e Nebbia. Nel 1991 Woody Allen realizza, sempre in un bianco e nero meraviglioso (la fotografia è dell'immenso Carlo di Palma), che sembra venir fuori dalle pellicole di Murnau, un film strano e pieno di genio che racconta di uno strangolatore folle che è in giro di notte in una imprecisata città mitteleuropea, col mite e insignificante impiegato Kleinman (in tedesco: piccolo uomo) che partecipa alla caccia per catturarlo.
Un film che pesca dalla cultura europea a piene mani, da Kafka a Brecht, da Murnau a Kurt Weill, che diverte e inquieta.
Un cast di attori strepitoso che va dalla Farrow a John Malkovich, da Donald Pleasence a Lily Tomlin, da Jodie Foster a Cathy Bates, da Joh Cusak (nella foto) fino addirittura a Madonna Ciccone.

3. AMORE E GUERRA, 1975




3. Amore e Guerra, uno dei film più divertenti in assoluto di Woody Allen: ci si diverte col massimo dell'intelligenza parodiando Guerra e Pace di Tolstoj e il mondo della grande letteratura. Allen e Diane Keaton, all'epoca insieme, sono in stato di grazia e la comicità è quella irresistibile di radici ebraiche, simile nel non-sense e nell'ironia a quella di Mel Brooks. Il film fu tutto girato in Francia e Ungheria ed era la prima volta che Allen usciva dagli USA - lo rifarà solo 21 anni dopo.
Siamo nel 1975.
Ci sono decine e decine di battute e gags fantastiche.
Ma Allen si prepara già a virare verso il suo personalissimo stile d'autore.


4. UN'ALTRA DONNA, 1988



4. Un'altra donna. Nel 1988 Woody Allen realizza un altro grande film su un drammatico script che vede protagonista Marion Post (interpretata dalla grande Gena Rowlands), scrittrice di mezza età che si ritira nel nuovo appartamento per scrivere senza essere disturbata, ma si ritrova però ad ascoltare senza volere attraverso la parete le conversazioni dei clienti dell'adiacente studio psicoterapico; parole che scatenano in Marion ricordi drammatici e un ripensamento generale della propria vita.
Malinconico e a tratti cupo - stavolta le influenze di stile sono tra Bergman e Cassavetes - il film vive delle atmosfere di una magnifica New York invernale fotografata nientemeno che Sven Nykvist.
Il solito supercast contiene oltre a Mia Farrow (realmente incinta del figlio di Allen e di lei, chiamato Satchel, che cambierà il suo nome da grande in Rowan) i giganti Ian Holm e Gene Hackman.

5. INTERIORS, 1975



5. Interiors.  Dopo un inizio di carriera da regista totalmente votata al comico, da Che fai rubi, 1966, a Amore e Guerra, 1975, e dopo il capolavoro di Io e Annie, conclusivo di quel decennio, e già virante verso la commedia sofisticata, Woody Allen stravolge le aspettative del suo pubblico e realizza un film "bergmaniano più di Bergman", prendendo a modello il suo grande mito e trasportandolo in una località della East Coast americana in pieno inverno.
Si toglie dai protagonisti, limitando a girare un film assai rigoroso, quasi teatrale e a tratti gelido, privo di colonna sonora.
La critica lo snobba giudicandolo quasi un plagiatore.
Il pubblico diserta le sale.
Ma i membri dell'Academy lo candidano a ben 5 statuette (non ne vincerà nessuna).
Il dramma è interamente famigliare e quasi claustrofobico con una famiglia che va in pezzi dopo che il padre decide di lasciare la madre e si sposa, davanti alle tre figlie con una donna più giovane e apparentemente assai più volgare.
Rivisto oggi, il film è un Bergman rivisitato con rispetto e personalità da Allen in un bellissimo copione. Splendida la fotografia di Gordon Willis e le scene di Mel Bourne.
Un cast prestigiosissimo con Geraldine Page, Maureen Stapleton, E.G. Marshall, e naturalmente la giovane Diane Keaton.

6. STARDUST MEMORIES, 1980



6. STARDUST MEMORIES, 1980. Il film più maltrattato di Allen e allo stesso tempo il più divisivo: quello cioè che ha spaccato totalmente il pubblico (e la critica) a metà: quelli che lo ritengono il suo peggiore e quelli che lo ritengono il suo capolavoro.
Appartengo da sempre alla seconda categoria.
Utilizzando il canovaccio di Otto e Mezzo e l'ispirazione di Fellini (come ha fatto anche Bob Fosse in All That Jazz, Nanni Moretti in Sogni d'Oro e tanti altri), Allen realizza un film del tutto geniale, dove tutto è vero e finto, sogno e illusione, pretesto e sostanza.
Raccontando di un regista comico di successo - Sandy Bates - in crisi esistenziale, Woody mette in scena la lavorazione di un falso film ermetico che i suoi produttori cercano in tutti i modi di rendere più commerciale.
In Stardust però c'è più di questo: c'è l'esistenzialismo di Allen, la sua attrazione per il paranormale e l'ossessione/rifiuto/attrazione per il sacro o l'oltremondano, il romanticismo, la nobile creatività che rende una vita degna di essere vissuta, il mistero del femminile, il senso irrimediabile del tempo che, passando, schianta e redime.
La fotografia in un meraviglioso bianco e nero è del solito Gordon Willis.
Gli esterni del film sono tutti girati a Coney Island e a Newport.
Charlotte Rampling è affascinante nel ruolo dell'inquieta Dorrie.
Jessica Harper e Marie-Christine Barrault sono le altre icone femminili di Woody/Bates.
Indimenticabile la scena delle mongolfiere e dell'apparizione degli alieni.

7. MANHATTAN, 1979



7. MANHATTAN, 1979. Uno dei capolavori di Woody Allen e il prototipo della commedia sentimentale sofisticata, che nessuno meglio di lui è riuscito a eternizzare.

Con la storia dell'autore televisivo quarantaduenne Isaac Davis e le sue ossessioni e nevrosi con le donne. Ha appena divorziato dalla sua seconda moglie, Jill, che l'ha lasciato per un'altra donna, Connie, e che sta scrivendo un libro su quel matrimonio fallimentare, pieno di riferimenti feroci nei confronti del suo ex marito. Isaac frequenta una ragazza di 17 anni, Tracy (la splendida Mariel Hemingway), mentre il suo migliore amico, Yale, pur essendo sposato con Emily, si è affezionato a un'altra donna, Mary (Diane Keaton), una giornalista divorziata. Isaac la incontra a una mostra fotografica e ne ricava una prima impressione di donna troppo sofisticata, saccente e pedante. Finirà poi per innamorarsene. Ma Mary lo lascerà per tornare da Yale e Isaac tornerà a consolarsi tra le braccia di Tracy nell'ultima memorabile scena del film con uno dei piani sequenza più famosi della storia del cinema.

La romantica fotografia di Gordon Willis, le meravigliose musiche di Gershwin, le battute e lo script di Allen per un film entrato nel cuore di tutti.

8. ZELIG, 1983




8. ZELIG, 1989. Scritto, diretto e interpretato da Allen, Zelig è forse il suo film più geniale in assoluto. Allen parodizza un documentario su un personaggio degli anni venti-trenta inesistente e inventato di sana pianta, ma che dà allo spettatore l'integrale illusione di essere ispirato a fatti realmente accaduti.
La vicenda è ambientata nel 1928 e l'uomo del momento è Leonard Zelig, vittima di una ignota malattia che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti in conseguenza del contesto in cui l'individuo si trova.
Ricoverato in ospedale, Zelig, che in lingua yiddish significa "benedetto", viene seguito da Eudora Fletcher-Mia Farrow, una psichiatra che cerca di scoprire le radici dello strano fenomeno nell'inconscio del paziente.
Un film di virtuosismo inimmaginabile, con la fotografia di Gordon Willis, il montaggio di Susan Morse e gli strabilianti effetti speciali della Greenberg Associates Inc., Computer Opticals, Inc.
Un film talmente geniale nella sua intuizione psicologica e psichiatrica (e religiosa, nel radicamento delle radici ebraiche) che nella accezione di personalità adattivamente camaleontica, di trasformismo identitario dipendente dal contesto ambientale, è stata coniata in psichiatria la Sindrome di Zelig (Zelig Syndrome o Zelig-like Syndrome).


9. RADIO DAYS, 1987


9. RADIO DAYS, 1987 Il più grande atto d'amore che il cinema abbia mai tributato al mezzo della radio e alla sua epopea.
Voce narrante del film, Allen racconta qui le storie della sua gioventù (e della sua famiglia ricostruita come nella foto qui sotto), sebbene non compaia personalmente nella pellicola, ma sia impersonato dal giovane Seth Green, e con esse quello dei gloriosi anni della radio, in America.
È un film tecnicamente perfetto, l'unico fra l'altro che veda recitare insieme le due compagne storiche di Allen: Mia Farrow e Diane Keaton.
Il solito supercast di attori (che per anni erano disposti a autoridursi lo stipendio pur di apparire in un film di Allen) e caratteristi. Oltre a Farrow e Keaton, Danny Aiello, Jeff Daniels, Tony Roberts, Dianne Wiest.
Miracolosa fotografia che restituisce la luce di quegli anni del nostro Carlo Di Palma.
Colonna sonora da urlo.

10.   HARRY A PEZZI, 1997



10. HARRY A PEZZI, 1997 Deconstructing Harry è il ventottesimo film di Woody Allen, girato nel 1997 a New York.
Scritto, diretto e interpretato da Allen fu sacrosantemente candidato al premio Oscar 1998 per la migliore sceneggiatura originale
Racconta le vicende dello scrittore di successo Harry Block che si trova per la prima volta nella sua carriera ad affrontare il "blocco dello scrittore" ed è in piena crisi depressiva.
Allen sceglie genialmente di rappresentare questa condizione psicologica, di depressione e incapacità di autoriconoscimento, utilizzando la tecnica del "fuori fuoco" fotografico.
Criticato da tutti i suoi cari per l'uso spregiudicato che ha fatto nelle sue opere delle loro vite private, Block ha come compagni i personaggi dei suoi racconti, con la realtà che si mescola continuamente alla finzione, in un turbinio virtuosistico (anche nell'utilizzo degli attori) di ricordi e intimità inconfessabili che affiorano durante il viaggio in macchina verso l'università presso la quale Block deve ricevere un riconoscimento alla carriera.
Un film memorabile sui temi delle nevrosi della creazione artistica.
La fotografia è di Carlo di Palma, lo stuolo di attori è mostruoso è va da Billy Crystal a Judy Davis, da Elisabeth Shue a Demi Moore, da Robin Williams a Mariel Hemingway, da Amy Irving a Stanley Tucci a Paul Giamatti.

11. MATCH POINT, 2005


11. MATCH POINT, 2005.  L'ultimo capolavoro di Woody Allen, che risale ormai a 16 anni fa.
Girato a causa delle difficoltà economiche di quel periodo di Allen non a New York, come avrebbe voluto, ma a Londra e con cast interamente inglese (a parte Scarlet Johansson).
Un film tirato e crudele, che racconta la vicenda di Chris, giovane irlandese, bello e sicuro di sé, insegnante di tennis, che ha la possibilità di dare lezioni ai membri della famiglia Hewitt, nobili e ricchi, che sin da subito lo accolgono nel loro giro di amici.
Ne nascono intrighi e delitti che sottopongono allo spettatore questioni morali importanti.
Chris infatti riuscirà a restare impunito per i suoi misfatti grazie a un banale colpo di fortuna, come quello di una pallina da tennis lanciata sulla rete che può cadere da una parte all'altra del campo.
Sceneggiatura perfetta che mette in luce ancora una volta il pessimismo fondamentalista di Allen, che non recita ma resta dietro la macchina da presa.
Il botteghino arrise al film, che fu premiato da grandi incassi in tutto il mondo, fungendo da definitivo trampolino di lancio per la Johansson.
La splendida fotografia è di Remi Adefarasin, anche lui inglese di origini nigeriane.

12. LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO, 1985



12. LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO. Uno dei più geniali film di Allen, la cui sceneggiatura originale fu candidata all'Oscar e vinse il Golden Globe di quell'anno.
Negli anni della grande depressione, Allen immagina che Cecilia, una donna giovane che vive in una cittadina di provincia del New Jersey con un marito dispotico e fannullone, per evadere dalla sua vita monotona e dal deludente matrimonio, dopo aver assistito alla proiezione del film "La rosa purpurea del Cairo", ne rimane talmente affascinata da rivederlo più volte fino al punto che il suo personaggio preferito, Tom Baxter, accortosi dell'assiduità della spettatrice, esce materialmente dallo schermo prendendo vita autonoma nel mondo reale, e propone alla donna di fuggire.
La cosa più geniale del film e che gli attori del film in bianco e nero, si trovano costretti ad aspettare il ritorno del personaggio per poter proseguire con la trama della pellicola, e per passare il tempo con gli attoniti spettatori del cinema, conversano tra loro.
Il film ha pochissimi attori, e la coppia di protagonisti, Mia Farrow e Jeff Daniels è perfetta.
Gordon Willis firma la fotografia (dei due film, quello di Allen e quello "finto" del cinema degli anni '30, che si proietta sullo schermo).

13. HANNAH E LE SUE SORELLE, 1986


13. HANNAH E LE SUE SORELLE, 1986. Uno dei miei film preferiti in assoluto, di Allen. Come sempre, scritto, diretto e anche da lui interpretato.
Le vicende delle tre sorelle: Hannah (Mia Farrow), Lee (Barbara Hershey) e Holly (Diane Wiest) nella New York invernale degli anni 80.
Un film che sembra uscito dalla felice immaginazione di Cechov, shakerato in salsa americana. Leggerezza e malinconia, drammi psicologici e sentimento, ipocondrie e paure, gioie insensate, tradimenti istintivi, giri a vuoto, ritorni a casa.
Il film fu (giustamente) candidato a ben 7 statuette (ne vinse tre, una per Michael Caine, una per Dianne Wiest e una per la sceneggiatura originale di Woody).
Il film ha un cast eccezionale che comprende: Michael Caine, Carrie Fisher, Maureen O'Sullivan (vera madre di Mia Farrow), Lloyd Nolan, Max von Sydow, Julie Kavner, John Turturro, Tony Roberts e Sam Waterston, oltre allo stesso Allen.
La fotografia è del nostro grande Carlo di Palma.
Nel film si vedono anche molti bambini, tra di loro i figli adottivi di Mia Farrow e anche Soon-Yi destinata a diventare la futura moglie di Allen.
Colonna sonora indimenticabile, tra Bach e evergreen.

14. UNA COMMEDIA SEXY IN UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE, 1982



14. UNA COMMEDIA SEXY IN UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE, 1982. Il genio di Allen negli anni '80 era talmente esplosivo, che Woody riuscì perfino a girare contemporaneamente due film, di genere opposto, entrambi capolavori: Zelig e A midnight's summer sex comedy.
In questo caso Allen prese a prestito da Shakespeare il titolo di una sua opera per mettere in scena una commedia di chiaro stampo teatrale interamente ambientata in una villa della campagna inglese e che vede sei soli attori impegnati a scambiarsi donne e battute acide dal principio alla fine.
Ne risulta una divertente e squisita sarabanda, con equivoci, imprevisti e colpi di scena, incorniciata dagli splendidi paesaggi immersi nel verde. Con una sceneggiatura e dialoghi brillanti con tre coppie di diversa età che passano un fine settimana estivo in una casa di campagna del New Jersey, presumibilmente negli anni '20 del XX secolo.
Accanto a Allen, nel ruolo più divertente e Mia Farrow, José Ferrer, Julie Hagerty, Tony Roberts, Mary Steenburgen e Adam Redfield.
La splendida fotografia è di Gordon Willis
Mentre la colonna sonora è interamente affidata a musiche di Mendelssohn

15. PRENDI I SOLDI E SCAPPA, 1969


15. PRENDI I SOLDI E SCAPPA, 1969 - Il capolavoro comico di Woody Allen, che scrisse e diresse - ancora semisconosciuto - nel 1969, nel quale Allen imbastisce un falso documentario che racconta la vita di Virgil Starkwell, un inetto rapinatore di banche. Già qui emerge il genio del trentaquattrenne Allen, con le false interviste e testimonianze e immagini di repertorio che ricostruiscono la vicenda verosimile e comicissima del povero Virgil, cui non ne va bene una.
Il film è una esplosione di gags, trovate, battute fulminanti, divertente fino alle lacrime.
Qualche anno più tardi Allen dichiarò che l'idea di fare un documentario, perfezionata quando girò Zelig molti anni dopo, l'aveva sin dal primo giorno in cui aveva cominciato a fare film.
Si può considerare il primo film diretto da Allen, escludendo l'esperimento di "Che fai, rubi?" di 3 anni, del tutto sperimentale.
E' anche il primo film in cui Allen è doppiato in italiano da Oreste Lionello che sarà per oltre 40 anni la sua voce nel nostro paese.

16. IO E ANNIE, 1977


16. IO E ANNIE, 1977 - Un film diventato un mito per una intera generazione, che ancora si rivede con gran piacere. Fu la consacrazione definitiva di Allen tra i grandi registi e lanciò definitivamente Diane Keaton che vinse l'Oscar per la migliore attrice protagonista.
Altri 3 oscar andarono al miglior film, ad Allen come migliore regista e come autore della migliore sceneggiatura originale.
E' una commedia sofisticata di costume in cui si raccontano con leggerezza e ironia le vicende sentimentali del comico Alvy Singer che si è lasciato con Annie Hall dopo un anno circa di relazione e si ritrova ora a raccontare la storia del loro rapporto, cercando di capire quali suoi problemi sviluppati durante l'infanzia (depressione, nevrosi) possano essere stati complici della fine della storia.
Psicanalisi, sessualità, emotività, paura della morte, timori e gioie dei rapporti di genere: Allen riassunse in questo mirabile film molte delle questioni di quegli anni effervescenti.
Nel film compaiono oltre ai dure protagonisti, Tony Roberts, Carol Kane, il grande Paul Simon, una giovanissima Shelley Duvall e due attori destinati a diventare divi assoluti e all'epoca sconosciuti: Sigourney Weaver e Christopher Walken.

17. SETTEMBRE, 1987



17. SETTEMBRE, 1987- Un altro gioiello di Allen nel suo decennio più produttivo, che fu quello degli anni 80. Una vicenda dai toni fra Bergman e Cechov che si svolge in due giorni esatti con un gruppo di persone che hanno vissuto a lungo in una casa in Vermont, lontana dai rumori e dalla fretta newyorkese.
Gli ultimi due giorni dell'estate che svolgono completamente le vite dei protagonisti.
Un film virtuosistico e quasi teatrale, girato su un unico set, senza alcuna ripresa in esterno con la meravigliosa fotografia di Carlo Di Palma.
Un miracolo di scrittura, e attori straordinari, tra cui il grande Jack Warden e Dianne Wiest.


18. TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUL SESSO* (*MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), 1972



18. TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUL SESSO* (*MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), 1972
Pochi sanno che uno dei più noti capolavori comici di Allen è tratto da un vero libro scientifico/divulgativo del sessuologo David Rueben. Non si tratta cioè di finzione documentaristica come avviene in diversi film di Allen.
Nei sette episodi del film, all'epoca rivoluzionario, si ride a crepapelle, con intelligenza e si parla - si parlava per la prima volta, con disinibizione - del sesso, vero pallino di Woody Allen da sempre.
Gags irresistibili, trovate magnifiche, umorismo di matrice yiddish, autoironia formidabile. Lo si rivede sempre con grande
divertimento
, e non solo.
19. CRIMINI E MISFATTI, 1989


19. CRIMINI E MISFATTI, 1989
E' uno dei film più amati dai cinéphiles (e da me) in assoluto della filmografia e di Allen e sebbene non sia stata un successo al box office, è stata candidata a tre Premi Oscar 1990 (Miglior regia, Miglior sceneggiatura e Miglior attore non protagonista a Martin Landau) e al Golden Globe per il miglior film drammatico: ha vinto sette premi internazionali, tra cui il David di Donatello per la migliore sceneggiatura straniera.
Racconta, con piglio dostoevskijano, la vicenda di Judah, noto chirurgo oculista e filantropo, che tradisce da anni la moglie Miriam per l'ex hostess Dolores. Quest'ultima, innamorata del medico e sull'orlo d'una crisi di nervi, è ossessionata a tal punto da quella situazione senza sbocco, da volersi rivelare alla moglie tradita, arrivando a scriverle una lettera che Judah riesce casualmente a distruggere prima che giunga a destinazione. Dolores è però anche pronta a rivelare alcuni traffici finanziari non leciti di Judah e continua a incalzarlo. Così Judah, per non rovinare la sua ottima reputazione, e ormai stanco di tenere in piedi quella doppia vita, si vede costretto a rivolgersi a suo fratello Jack, criminale incallito e senza scrupoli, che la fa uccidere da un sicario. Judah entra così in una profonda crisi di coscienza da cui esce a fatica.
Una sceneggiatura fenomenale che spinge lo spettatore a porsi domande cruciali sul senso del male e del bene, sulla coscienza e i diritti, sulla ipocrisia del buon vivere e sull'autenticità dei sentimenti.
La fotografia è del grande Sven Nykvist.
Il cast è formidabile: Martin Landau è l'ambiguo Judah; vicino a lui Caroline Aaron, Alan Alda, lo stesso Woody Allen, Claire Bloom, Mia Farrow, Anjelica Huston, Sam Waterston


20. IL DITTATORE DELLO STATO LIBERO DI BANANAS, 1971


20. IL DITTATORE DELLO STATO LIBERO DI BANANAS, 1971 - Un altro dei capolavori comici di Woody Allen, che nella versione originale si intitola semplicemente "Bananas".
Fu il suo terzo film, sempre scritto con la complicità di Mickey Rose battutista sceneggiatore e amico d'infanzia di Woody.
E' una specie di geniale rivisitazione moderna del Grande Dittatore di Charlie Chaplin, con la storia di uno studente universitario che per far colpo su una ragazza finisce in un piccolo paese dell'America Latina deciso a sposare la causa dei ribelli capeggiati da Emilio Molina Vargas e rovesciare il dittatore Arroyo, dopo essere diventato l'involontario "eroe della rivoluzione".
E' il film più vicino alla comicità folle e demenziale dei fratelli Marx, da sempre ispiratori del genio alleniano. Racconta anche un'epoca, quella dei primissimi anni '70, piena di aspirazioni ideali e sociali.


Fabrizio Falconi - ottobre 2021