22/07/22

Tornano a splendere - e aperte al pubblico - a Roma, le Corsie Sistine! 1200 metri quadrati di affreschi!

 



Mille e 200 metri quadri di affreschi. Il ciborio con i gigli Farnese in foglia d'oro e la pala d'altare firmata da Carlo Maratta. E soprattutto gli otto secoli di storia, accoglienza e bellezza. 

Dopo due anni di restauro, tornano a mostrarsi in tutta la loro luce al pubblico le Corsie Sistine al complesso Monumentale di S. Spirito in Saxia, l'ospedale piu' antico d'Europa

Un incredibile esempio di architettura civile e arte, voluto nel 1475 da Papa Sisto IV, alla cui riapertura è intervenuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

"La corsia Sistina - racconta la soprintendente speciale di Roma, Daniela Porro - era la corsia storica dell'ospedale voluto Sisto IV Della Rovere in occasione del Giubileo". 

Reclutando l'architetto Baccio Pontelli e lo scultore Andrea Bregno, il Pontefice aveva infatti voluto ristrutturare tutto l'Arcispedale

L'edificio era costituito da due imponenti sale che prenderanno il nome dei medici Lancisi e Baglivi, raccordate da un tiburio ottagonale sotto il quale svetta un elegante ciborio, probabilmente unica opera romana di Andrea Palladio, arricchito dalla pala d'altare dedicata a San Giobbe, eseguita da Carlo Maratta. 

Ma ci sono anche due maestosi portali, il piu' esterno del Bernini e quello interno, detto del Paradiso, opera di Bregno

E poi la seicentesca Ruota degli Esposti dove venivano depositati i neonati, altrimenti tragicamente abbandonati sulle rive del Tevere.

"E' una sorta di cappella Sistina degli ospedali storici, sia per l'importanza del committente, sia per la straordinaria bellezza dell'apparato decorativo e l'ampiezza del luogo - prosegue la Porro -. Gli affreschi ci raccontano la storia degli anni '70 del '400 e le imprese voluta dal Papa, dalla costruzione di ponte Sisto alle chiese realizzate in quegli anni". 

In tutto, oltre 60 scene realizzate da artisti di scuola umbro-laziale e da discepoli di Melozzo, Ghirlandaio, Pinturicchio e Antoniazzo Romano. 



"Poi, pero', la storia continua - aggiunge la Porro - e il complesso è stato arricchito con il Palazzo del commendatore, con la Chiesa di S. Spirito in Sassia, con la Biblioteca Lancisiana".

Finanziati dalla Regione Lazio per la Asl Roma 1, i lavori di restauro si sono concentrati anche sul ciborio, nei secoli, racconta la restauratrice Maria Rosaria Di Napoli, "segnato da sporco e percolamenti dall'alto. La difficolta' maggiore, equilibrare i diversi materiali, perche' questo e' un gioiello: abbiamo il legno policromo e dorato, lo stucco, la tela, i marmi. I colori non si vedevano quasi piu'. Anche il lanternino, tutto di legno, proprio per l'acqua, aveva perso molta superficie pittorica. Ma l'emozione piu' grande è stata riportare finalmente alla luce la firma originale di Maratta sulla pala dedicata a San Giobbe". 

Per l'occasione, il complesso dell'Arcispedale verra' valorizzato con un progetto di illuminotecnica, aperto ai cittadini dal 22 al 24 luglio.

21/07/22

Il Circo Massimo (46 a.C.) diventato ormai un via vai di TIR e megapalchi da migliaia di watt. Arresi a un declino inarrestabile?

 


Scrivo una cosa completamente contro corrente rispetto al sentire contemporaneo e al sentire di questa città meticcia che ormai si è abituata - assuefatta, meglio dire - a tutto. Roma:

Ma perché l'area archeologica del Circo Massimo (il più grande anfiteatro dell'antichità - 46 a.C.) deve essere diventato a Roma l'unico spazio per qualsiasi concerto da Vasco a Ultimo con 100.000 persone a botta?
Ma possibile che anche questa giunta "progressista" sia così povera di idee e soluzioni?
Davvero bisogna sottoporre ogni santa settima estiva, o ogni due giorni il centro archeologico più famoso e prezioso del mondo intero allo strazio selvaggio, con i mega Tir sull'arena, i cessi in file chilometriche sullo sfondo della Passeggiata Archeologica, i mega amplificatori che sparano 800.000 watt addosso ai palazzi imperiali del Foro Romano, le 100.000 persone che lasciano un porcaio ogni sera in tutta la zona a 100 metri dal Colosseo ??
Lo so che sembra una figata per tutti. Ma che non si riescano ad allestire concerti in altri luoghi di Roma, meno nobili e fragili, mi sembra una vera eresia.
E la Sovrintendenza, la famosa sovrintendenza romana ai Beni Archeologici, che quando c'è da spostare un sampietrino avanza mille vincoli? Che fa, dorme? Va tutto bene? Aspettiamo i crolli definitivi?
Quod non fecerunt barbari fecerunt moderni ludus !

Fabrizio Falconi - 2022

20/07/22

"Paranoid Android" : come nacque il capolavoro dei Radiohead, sull'album "OK computer"


OK Computer dei Radiohead è stato pubblicato nel 1997 e rimane non solo uno degli album definitivi degli anni '90 ma anche "l'ultimo album che ha cambiato la storia del rock". Una miscela di rock ed elettronica, oggi il disco è considerato il ponte tra gli esordi chitarristici di Pablo Honey e The Bends e ciò che sarebbe avvenuto con dischi come Kid A e Amnesiac

Fondendo musica pionieristica e commenti sociali taglienti sulla diffusione della tecnologia e dell'economia neoliberale, l'LP è uno degli album più completi mai pubblicati. Grazie alla sua pertinenza, OK Computer è stato un successo trasversale ed è rimasto uno dei migliori della band. 

Sebbene il disco sia stellare dall'inizio alla fine, con brani come "Karma Police", "Exit Music (For a Film)" e "No Surprises", il pezzo forte è la seconda traccia, "Paranoid Android". Un'epopea rock di oltre sei minuti, che mette in mostra ogni aspetto della maestria dei Radiohead in quel momento, e non sorprenderà sapere che la band si è ispirata a "Happiness is a Warm Gun" dei Beatles, un brano costantemente locomotore di "Abbey Road", per il modo in cui ha fuso insieme due brani musicali contrastanti.

Un altro brano classico che li ha ispirati è stato "Bohemian Rhapsody" dei Queen e, a causa delle sue dinamiche sempre mutevoli, sarebbe stato etichettato come "La 'Bohemian Rhapsody' degli anni '90", cosa che la band avrebbe immancabilmente scrollato di dosso grazie alla sua modestia senza compromessi.

Sebbene potremmo parlare per ore della musica di "Paranoid Android", il brano si distingue anche per un altro motivo: i testi del frontman Thom Yorke. 

Come si addice a una canzone composta da giustapposizioni, le sue parole sono state ispirate da due cose completamente contrastanti.

La prima è avvenuta quando Yorke si trovava in un bar di Los Angeles e si è seduto accanto a un gruppo di amici strafatti di cocaina. Una delle donne del gruppo era stata accidentalmente ricoperta dal drink di un'altra persona e si era scatenata in una rabbia di proporzioni "disumane". "C'era uno sguardo negli occhi di questa donna che non avevo mai visto prima da nessuna parte", ha spiegato "Quella notte non sono riuscito a dormire per questo".

Anche se Yorke ha parodiato la donna con l'intramontabile battuta "scalciante porcellino di Gucci", ha voluto fare qualcosa di più con la sua esperienza che non semplicemente criticarla. Ha usato questa esperienza come mezzo per osservare la società nel suo complesso. Ha sfogato la sua rabbia su di noi come collettività, non solo sulla donna, poiché le sue azioni erano indicative di come ci troviamo nei tempi moderni; da qui il sarcasmo di "Dio ama i suoi figli, sì". 

Per il titolo, Yorke ha scelto "Paranoid Android" sia come riferimento a Marvin, l'originale androide paranoico del romanzo spaziale di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti, sia per fare del sarcasmo su come il pubblico lo vedeva. 

Il titolo "è stato scelto per scherzo", ha detto a Jam. "Era del tipo: "Oh, sono così depresso". E ho pensato: "È fantastico. È così che la gente vorrebbe che fossi".

Una canzone incredibilmente stratificata, non c'è da stupirsi che "Paranoid Android" sia uno dei brani ancora oggi più ascoltati e più discussi dei Radiohead. 

19/07/22

In un'epoca senza maestri, un grande tributo a Philip Glass da Woody Allen, Scorsese e tanti altri


Credo sia un'epoca così sbandata perché viviamo in un'era - come dice Zagrebelsky - senza maestri.

I maestri buoni sono spariti (morti, uccisi, ripudiati) e così anche quelli cattivi.
Perché nell'epoca imperante del selfness (che a quanto pare, tra l'altro, sta portando il pianeta all'autodistruzione) ciascuno - secondo la profezia di Nietzsche, ma in modo ahimé assai più radicalmente basso - vuole essere ed è maestro di se stesso.
Così, i pochi maestri che restano vivi e in giro, per chi ancora li apprezza e sa quanto siano essi fari nella notte ormai divorante, sono quanto mai importanti. Ed importante conoscerli, ascoltarli.
Una occasione è data dal magnifico documentario (purtroppo in-tradotto e in-distribuito ancora in Italia, dove Amazon preferisce fare documentari su gianluca vacchi e su wanna marchi) dedicato al maestro, "Glass: A Portrait of Philip in Twelve Parts", diretto da Scott Hicks nel 2007 e nominato agli Emmy Awards e all'AFI Award
Chi ha l'occasione di vederlo, oltre che conoscere la vita, la personalità e la spiritualità di Glass, forse il più celebre compositore vivente, cioè contemporaneo, ha la possibilità di ascoltare l'opinione (su Glass, e sulla sua opera) di Joanne Akalaitis, Woody Allen, Holly Critchlow, Errol Morris, Nico Muhly, Godfrey Reggio, Dennis Russell Davies, Martin Scorsese e Ravi Shankar.
Un meraviglioso viaggio nella musica e nell'intelligenza. Glass, una delle ultime "grandi anime".

Fabrizio Falconi - 2022

18/07/22

L'incredibile, tragica morte di Percy Bysshe Shelley in Italia, poeta romantico per eccellenza

 

Louis-Edouard Fournier, Il funerale di Shelley 
oggi conservato alla Walker Art Gallery di Liverpool

Percy Bysshe Shelley è ancora oggi un poeta amatissimo e - anche in anni di crisi della lettura - uno dei più letti. 

Un destino abbastanza strano per un poeta che non raggiunse la fama durante la sua vita, ma che invece conobbe il successo dopo la sua morte, esercitando poi una importantissima influenza sulle successive generazioni di poeti tra cui Robert Browning, Algernon Charles Swinburne, Thomas Hardy e WB Yeats.

Il critico letterario americano Harold Bloom lo ha descritto con una delle sue fulminee immagini: "un superbo artigiano, un poeta lirico senza rivali e sicuramente uno degli intelletti scettici più avanzati che abbiano mai scritto una poesia".

E le sue opere, come "Ozymandias " (1818), "The Spirit of Solitude" (1815), "Adonais" (1821), "Prometheus Unbound" (1820), sono oggi considerate capolavori assoluti della poesia mondiale, anche se gran parte della sua poesia e della sua prosa (saggi politici, sociali, filosofici),  non fu pubblicata durante la sua vita, o pubblicata solo in forma espurgata, a causa del rischio di censure e persecuzioni.

Nonostante ciò, dal 1820, le sue poesie e gli scritti politici divennero popolari nei circoli politici, suscitando l'ammirazione di Karl Marx, del Mahatma Gandhi o di  George Bernard Shaw.  

Quasi come per adeguarsi allo spirito tragico della sua poesia, la vita di Shelley è stata segnata da crisi familiari, problemi di salute e problemi causati dal suo ateismo e dalle sue opinioni politiche in sfida alle convenzioni sociali. 

Andò in autoesilio permanente in Italia nel 1818, e nei quattro anni successivi produsse alcune delle più belle poesie del periodo romantico. 

La sua seconda moglie, Mary Shelley, fu la celebre autrice di Frankenstein

Percy, come è noto, morì in un incidente in barca nel 1822 all'età di 29 anni. 

Il 1 ° luglio 1822, Shelley e l'amico Edward Williams salparono sulla nuova barca di Shelley, la Don Juan , da Genova, dove il poeta viveva in quel periodo, per Livorno, dove Shelley incontrò Leigh Hunt e Byron per prendere accordi per un nuovo giornale, The Liberal

Dopo l'incontro, l'8 luglio, Shelley, Williams e il loro timoniere salparono da Livorno alla volta di Lerici. Poche ore dopo, il Don Juan e il suo equipaggio inesperto si persero in una tempesta, a poche centinaia di metri dalla riva.  

La nave, una barca aperta, era stata costruita su misura a Genova per Shelley. 

Mary Shelley dichiarò nella sua Note on Poems of 1822 (1839) che il progetto aveva un difetto e che la barca non era mai idonea alla navigazione

In realtà, invece, il Don Juan era sovra-alberato; l'affondamento è stato dovuto a una forte tempesta e alla scarsa abilità marittima dei tre uomini a bordo. 

Il corpo gravemente decomposto di Shelley fu portato a riva a Viareggio dieci giorni dopo e fu identificato dai vestiti e da una copia della Lamia, scritta dall'amico John Keats nella tasca della giacca

Il 16 agosto il suo corpo fu cremato su una spiaggia nei pressi di Viareggio e le ceneri furono traslate nel Cimitero Acattolico di Roma, a fianco di quelle dell'amico Keats. 

Il funerale di Shelley fu immortalato dal pittore Louis Édouard Fournier (1889): nella tela, al centro si vedono in piedi, gli amici Trelawny, Hunt e Byron. In verità però Hunt non assistette alla cremazione e Byron se ne andò presto. Anche Mary Shelley, che è raffigurata inginocchiata a sinistra, non partecipò a quella cerimonia. 

Il giorno dopo che la notizia della sua morte raggiunse l'Inghilterra, il quotidiano Tory London The Courier scrisse: "Shelley, lo scrittore di alcune poesie infedeli, è annegato; ora sa se Dio esiste o no". 

Infine, un particolare macabro, ma eloquente per l'amore che gli amici nutrivano per il poeta: quando il corpo di Shelley fu cremato sulla spiaggia, il suo cuore "insolitamente piccolo" resistette al rogo, probabilmente a causa della calcificazione dovuta a una precedente infezione tubercolare. 

Trelawny diede il cuore bruciato a Hunt, che lo conservò sotto spirito  e si rifiutò di consegnarlo a Mary. 

Alla fine cedette e il cuore fu infine sepolto nella chiesa di Saint-Peter, a Bournemouth o nel priorato di Christchurch.

Fabrizio Falconi - 2022 

15/07/22

*Ingmar Bergman privato e pubblico. Arriva il documentario girato da Margaretha von Trotta sul grande maestro: "In Searching for Ingmar Bergman*

 


Gli amanti del cinema di Bergman non possono perdere il docu "In Searching for Ingmar Bergman", che si può vedere sui canali Sky interattivi, dopo essere andato in onda su SkyArte.

Si tratta di un'opera firmata da Margaretha Von Trotta, che Bergman ha conosciuto personalmente e che ha l'onore di essere l'unica regista ancora in vita (e l'unica donna) che il maestro svedese inserì in una lista di 11 film (e 11 registi) che gli avevano chiesto di scegliere come riferimento per il suo cinema (il film in questione era Anni di Piombo, che vinse il Leone d'Oro a Venezia nel 1981).

La Von Trotta si mette letteralmente in cerca delle tracce lasciate da Bergman nei luoghi dove ha vissuto e dove ha girato.

E già la prima sequenza del documentario è da brividi perché realizzata oggi proprio sullo stesso tratto di scogliera in cui fu girata la celebre scena del cavaliere e della Morte, ne Il Settimo Sigillo (1957).

Si susseguono interviste a grandi registi (Carlos Saura, Olivier Assayas), attrici-muse del maestro e sue compagne di vita (Liv Ullman, Gunnel Lindblom), compagni di lavoro e di set (la sua segretaria di edizione per 30 anni), figli avuti dai diversi matrimoni, alternate a spezzoni dei suoi (ormai mitologici) film.

Ne viene fuori un ritratto vivo e vero di un maestro completo, un genio umanista che ha lasciato una eredità enorme nel mondo del cinema, del teatro, della cultura.

Ma anche un uomo interiormente inconcluso, imprigionato dai fantasmi e dai ricordi del suo mondo infantile e adolescenziale, e dalle questioni filosofiche irrisolte: il senso della vita, il mistero dell'anima e del destino, i sogni, la complicazione della psicologia delle relazioni, la scoperta dell'altro e di sé.

Il film ripercorre le tappe della sua vita e dei suoi film: gli inizi folgoranti come genio precoce, la celebrità, lo scandalo finanziario e l'esilio volontario in Germania, il ritiro nell'isola sperduta dell'artico, le bellissime muse/mogli, i molti figli, la vecchiaia.

Bellissimo.

Fabrizio Falconi - 2022

14/07/22

*Quando Rimbaud a 18 anni trafisse con un colpo di spada Etienne Carjat, il fotografo che lo aveva ritratto nella foto divenuta iconica.*

 

La celebre foto realizzata da Etienne Carjat al giovanissimo Rimbaud,
colorizzata con tecnologie moderne

La breve vita del grande Arthur Rimbaud (solo 37 anni), uno dei più grandi geni della letteratura di tutti i tempi, è costellata di episodi "scandalosi", che testimoniano il carattere difficile, umbratile, bipolare si direbbe oggi, del "ragazzo dalle suole di vento", destinato a diventare un mito.
Uno dei meno conosciuti è forse quello che risale al 2 marzo 1872, quando il poeta aveva solo 18 anni, ma stava già conquistandosi, a furia di scorribande, furibonde letture, e provocazioni, un suo posto nella scena letteraria parigina.
L'incresciosa scena avvenne durante un pranzo dei “Vilains Bonshommes”, nella stessa rivendita di vino in cui Rimbaud cinque mesi prima aveva stupito un gruppo di poeti già affermati o in odore di notorietà, con le sue straordinarie poesie.
Questa volta tra i poeti c'era perfino il grande Mallarmé, e a quanto risulta, fu probabilmente l'unica volta che Rimbaud e Mallarmè si incontrarono, durante le loro vite.
Al termine del pranzo c’era l’abitudine che i commensali leggessero i loro versi.
Come al solito, i poeti più noiosi si prendevano più tempo.
Rimbaud scalpitava e si mordeva la lingua, reso forse anche più intollerante da abbondanti dosi di alcol.
Venne il turno di August Creissels, un poeta mediocre, che si alzò e cominciò a recitare il suo “Sonnet du Combat”, un poemetto che sembra fosse piuttosto imbarazzante, qualitativamente.
Rimbaud cominciò ad aggiungere una parola alla fine di ogni verso:
“Sottoposta questa legge, la terzina in uniforme” – e Rimbaud dice: “merde!”
“Sta austera e inflessibile al suo posto designato” – e Rimbaud dice: “merde!”
Ad un certo punto il poeta-fotografo Etienne Carjat - che aveva già fotografato nel suo studio Rimbaud, giovanissimo - intimò a Rimbaud di smetterla, chiamandolo “piccolo rospo”.
Rimbaud, raggiunto alle spalle da Verlaine, afferrò il bastone da stocco dell’amico (all’interno del bastone c’era una vera e propra lama) e la affondò verso Carjat, sfiorandogli la mano.
Rimbaud venne disarmato, sollevato in aria da Carjat stesso, e scaraventato fuori.
Arthur però attese pazientemente all’esterno il termine delle letture, e quando Carjat uscì gli si parò davanti all’improvviso e lo trafisse allo stomaco con lo stesso bastone-spada.
Per fortuna la ferita fu di poco conto, ma Carjat si infuriò a tal punto da distruggere i negativi delle due foto che aveva fatto a Rimbaud. Per fortuna le foto si salvarono lo stesso e - essendo praticamente le uniche esistenti del poeta - sono diventate nel tempo vere e proprie icone.
L’altro risultato fu ovviamente l’espulsione di Rimbaud dal gruppo dei “Vilains Bonshommes”.
Purtroppo non conosciamo la reazione di Mallarmé alla scena a cui gli capitò di assistere. Ma forse non è difficile immaginarlo, visto il carattere del tutto dissimile, di quello che è stato ed è venerato come il padre del simbolismo poetico francese.

Fabrizio Falconi - 2022

12/07/22

"Kinski, il mio nemico più caro" - La follia, gli aneddoti, l'ossessione psicotica del suo attore feticcio raccontato in documentario bellissimo da Werner Herzog


"Kinski, il mio nemico più caro (Mein liebster Feind - Klaus Kinski)", è un atto d'amore, prima ancora che un documentario. Visibile su Chili al prezzo di noleggio di 1.99.

Werner Herzog lo ha realizzato nel 1999, otto anni dopo la morte di Klaus Kinski, avvenuta per infarto, a sessantacinque anni.
Come tutti sanno, Kinski divenne negli anni l'attore-feticcio di Herzog, che con lui protagonista realizzò i suoi film più celebrati: "Aguirre, furore di Dio (Aguirre, der Zorn Gottes)" (1972); Nosferatu, il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht) (1978); Woyzeck (1979); Fitzcarraldo (1982); Cobra Verde (1987).
Herzog conosceva Kinski da quando era piccolo e ne scoprì subito il lato pazzoide, aggressivo, incontrollabile.
Il documentario inizia infatti con la commovente visita di Herzog alla pensione - oggi completamente trasformata in un borghese bellissimo appartamento - a Monaco, in cui visse da bambino con la madre e la sorella, la stessa in cui un giorno capitò il già esagitato e giovane Klaus, aspirante attore, genio incompreso e difficilmente gestibile.
A partire da questo esordio, Herzog mette in scena, poeticamente, il rapporto nemico/amico che instaurò con Kinski nel corso degli anni. Herzog, per motivi dovuti probabilmente al suo carattere diametralmente opposto, divenne per molti anni l'unico in grado di gestire l'aggressività, l'insopportabilità di Kinski, i suoi leggendari colpi di testa durante le riprese dei film, i litigi furibondi, le minacce, che vengono ricostruiti nel documentario con le riprese originali, i backstage, vera ghiottoneria per gli amanti di cinema.
Nel corso dei 95 minuti, la pellicola suggerisce l'idea che Herzog fu capace - impresa non da poco - di convogliare l'energia bollente di Kinski, le sue intemperanze, ai fini creativi che perseguiva con i suoi film.
Era come se la dinamite di Klaus esplodesse al suo meglio incontrando la miccia di Herzog.
Le scene di Fitzcarraldo e di Aguirre parlano da sole, mostrando quanta follia creativa ci fosse nelle riprese, non solo tra i due ma nell'intero cast.
Herzog parla (anche) di Kinski con enorme affetto, come chi ne abbia compreso la profonda natura ostile (prima di tutto a se stesso) ma anche capace di di-mostrare grande umanità.
Il film è interamente girato nei luoghi dove furono ambientate le riprese dei più famosi film di Herzog, ed è perciò particolarmente suggestivo.
Herzog mantiene il suo punto di osservazione fisso sul Kinski-attore. Evita, prudentemente, di scendere sul versante privato. E fa bene. Probabilmente anche lui sarebbe stato a disagio a girare questo film in tempi più recenti, dopo il 2013. Quando una delle due figlie di Kinski, Pola (l'altra è la celebre Nastassja) dichiarò pubblicamente che suo padre, Klaus Kinski la violentò regolarmente da quando aveva 5 anni fino a quando ne ebbe 19.
Rivelazioni terribili che gettano una luce sinistra sull'uomo Kinski.
Il film è stato presentato fuori concorso al 52º Festival di Cannes.

Fabrizio Falconi - 2022

10/07/22

Poesia della Domenica: "Sappi attendere" di Antonio Machado







Sappi attendere, aspetta che la marea risalga
come una barca in secco - né t'inquieti il partire.
Solo chi attende sa che la vittoria tiene, 
perché lunga è la vita, ed è l'arte un trastullo.
E se la vita è corta
non lambisce il mar la tua barchetta,
senza partire aspetta e ancora aspetta,
che l'arte è lunga e, per di più, non conta.


(traduz. Sergio Solmi, da Quaderno di Traduzioni, Einaudi)


La lettera - intima - che Paul Mc Cartney scrisse a John Lennon e lesse nel 1994 per l'ingresso di John nella Rock'n Roll of Fame - Testo e video



Buona domenica!
Pubblico, a beneficio dei lettori di questo blog, il testo e il video (in fondo all'articolo) della bellissima lettera postuma scritta da Paul McCartney a John Lennon in occasione della cerimonia di introduzione nella Hall of Fame del 19 gennaio 1994, quando Lennon fu inserito nella leggendaria lista come artista solista.


Caro John,


Mi ricordo quando ci siamo incontrati per la prima volta, a Woolton, alla festa del paese. Era una bella giornata estiva, avevo camminato fin lì e ti ho visto sul palco. E tu stavi cantando "Come Go With Me", dai Vichinghi Dell, ma non sapevi le parole e così le inventavi. "Vieni con me al penitenziario." Non era nel testo.

Mi ricordo quando scrivevamo le nostre prime canzoni insieme. Andavamo a casa mia, a casa di mio padre, e fumavamo il Ty-Phoo the con la pipa di mio padre che conservava in un cassetto. Non ha fatto molto per noi, ma ci ha portato sulla strada.

Volevamo essere famosi.

Ricordo le visite alla casa di tua mamma. Julia era una donna molto alla mano, una donna molto bella. Aveva i capelli lunghi e rossi e suonava l'ukulele. Non avevo mai visto una donna che sapeva farlo. E mi ricordo di aver dovuto spiegarti gli accordi per la chitarra, perché avevi imparato a suonare gli accordi per l'ukulele.

E poi al tuo 21esimo compleanno hai ricevuto 100 sterline da uno dei tuoi parenti ricchi di Edimburgo, e quindi abbiamo deciso di andare in Spagna. Così abbiamo fatto l'autostop da Liverpool, fino a Parigi, e abbiamo deciso di fermarci lì, per una settimana. E alla fine ci siamo fatti fare il nostro taglio di capelli, da un tizio di nome Jurgen, che ha finito per essere il "taglio di capelli alla Beatle".

Ricordo quando ti presentai il mio amico George, il mio compagno di scuola, che tu facesti entrare nella band dopo che lui ebbe suonato "Raunchy" sull' autobus. Rimanesti colpito. E incontrammo Ringo che lavova tutta la stagione al campo Butlin - era un professionista esperto - ma la barba doveva sparire, e se la tagliò.

Più tardi abbiamo ottenuto di suonare ad un concerto al Cavern Club di Liverpool che era ufficialmente un club blues. Noi non sapevamo veramente tutti i numeri blues. Apprezzavamo molto il blues, ma non sapevamo i numeri del blues, così ci siamo presentati con un "Signore e signori, questo è un grande numero di Big Bill Broonzy chiamato" Wake Up Suzie Little " E il pubblico continuava a dire "Questo non è il blues, questo non è il blues. Questa canzone è pop." Ma abbiamo continuato a suonarla.

E poi siamo finiti in tour. Era un tizio chiamato Larry Parnes che ci ha ingaggiati per il nostro primo tour. Ricordo che cambiammo tutti i nostri nomi per quell'occasione. Cambiai il mio in Paul Ramon, George Harrison diventò Carl Harrison e, anche se la gente pensa che in realtà non cambiasti veramente il tuo nome, mi sembra di ricordare che diventasti Long John Silver per tutta la durata del tour.

Viaggiavamo su un furgoncino durante il tour, e una notte il parabrezza si ruppe. Eravamo in autostrada e stavamo tornando a Liverpool. Si congelava e quindi abbiamo dovuto metterci uno sopra l'altro nella parte posteriore del furgone creando un sorta di panino-Beatle. Abbiamo avuto modo di conoscerci. Ci siamo conosciuti così.

Siamo arrivati ​​ad Amburgo e abbiamo incontrato personaggi del calibro di Little Richard, Gene Vincent ... Mi ricordo di Little Richard quando ci invitò al suo hotel. Stava guardando l'anello di Ringo e disse: "Amo questo anello. Ho un anello simile. Potrei darti un anello simile." Così siamo andati tutti in albergo con lui. (Non abbiamo mai avuto un anello.)

Siamo tornati con Gene Vincent nella sua camera d'albergo una volta. Era andato tutto bene finchè non si avvicinò ad un cassetto del comodino e ne tirò fuori una pistola. Dicemmo: "Ehm, dobbiamo proprio andare, Gene, dobbiamo andare ..." Uscimmo di corsa!

E poi arrivarono gli Stati Uniti - New York City - dove ci siamo incontrati con Phil Spector, le Ronettes, Supremes, i nostri eroi, le nostre eroine. E poi a Los Angeles, incontrammo Elvis Presley per una grande serata. Abbiamo visto il ragazzo sul suo territorio nazionale.  Ragazzi! Era un eroe.

E poi, Ed Sullivan. Volevamo essere famosi, e lo eravamo davvero diventati. Voglio dire, immaginate di incontrare Mitzi Gaynor a Miami!

Poi, la registrazione ad Abbey Road. Ricordo ancora mentre suonavamo "Love Me Do." Tu ufficialmente cantavi "Love me do", ma perché suonavi l'armonica. Poi George Martin disse all'improvviso nel mezzo della sessione: " Può Paul cantare il verso " Love me do? " , il pezzo cruciale.

Mi ricordo mentre cantavo "Kansas City" - beh, non riuscivo a farlo, perché è difficile da cantare quella roba. Sai, urlare nella parte superiore della testa (?). Sei sceso dalla sala di controllo e mi ha portato da una parte e mi hai detto: "Ce la puoi fare, devi solo urlare, si può fare." Così, grazie. Grazie per questo. Sono riuscito a farlo.

Mi ricordo mentre scrivavamo "A Day in the Life" insieme, e l'occhiata d'intesa che ci siamo lanciati quando abbiamo scritto il verso "I'd love to torn you on". Sapevamo quello che stavamo facendo, sai. Uno sguardo furtivo.

Dopo di che c'era questa ragazza di nome Yoko. Yoko Ono. Lei si presentò a casa mia un giorno. Era il compleanno di John Cage e lei disse che voleva entrare in possesso di alcuni manoscritti di diversi autori per consegnarglieli, e ne voleva uno mio e tuo. Così ho detto: "Beh per me va bene, ma dovrai andare da John ".

E lei lo ha fatto ...

Dopo di che avevo impostato un paio di macchine di registrazione Brennell, che eravamo soliti usare, e tu sei rimasto sveglio tutta la notte e hai registrato "Two Virgins". Ma lo hai fatto da solo - non aveva niente a che fare con me.

E poi, poi c'erano le telefonate con te. La gioia per 
me, dopo tutta la merda di business che avevamo attraversato, era che stavamo tornando insieme e comunicavamo ancora una volta.
E la gioia quando mi dicesti che stavi a letto ora. E che stavi giocando con il tuo piccolo bambino, Sean. E 'stato meraviglioso per me, perché mi ha dato qualcosa a cui aggrapparmi.

Così ora, anni dopo, eccoci qui. Tutte queste persone. Qui si sono riuniti per ringraziarti per tutto quello che hai significato per tutti noi.

Questa lettera viene dal cuore, dal tuo amico Paul.

John Lennon, ce l'hai fatta. Stasera sei entrato nella Rock Hall 'n' Roll of Fame.

Dio ti benedica.

Paul 



Originale: 

"Dear John,

I remember when we first met, at Woolton, at the village fete. It was a beautiful summer day and I walked in there and saw you on stage. And you were singing “Come Go With Me,” by the Dell Vikings, But you didn’t know the words so you made them up. “Come go with me to the penitentiary.” It’s not in the lyrics.

I remember writing our first songs together. We used to go to my house, my Dad’s home, and we used to smoke Ty-Phoo tea with the pipe my dad kept in a drawer. It didn’t do much for us but it got us on the road.

We wanted to be famous.

I remember the visits to your mum’s house. Julia was a very handsome woman, very beautiful woman. She had long, red hair and she played a ukulele. I’d never seen a woman that could do that. And I remember to having to tell you the guitar chords because you used to play the ukulele chords.

And then on your 21st birthday you got 100 pounds off one of your rich relatives up in Edinburgh, so we decided we’d go to Spain. So we hitch-hiked out of Liverpool, got as far as Paris, and decided to stop there, for a week. And eventually got our haircut, by a fellow named Jurgen, and that ended up being the “Beatle haircut.”

I remember introducing you to my mate George, my schoolmate, and getting him into the band by playing “Raunchy” on the top deck of a bus. You were impressed. And we met Ringo who’d been working the whole season at Butlin’s camp - he was a seasoned professional - but the beard had to go, and it did.

Later on we got a gig at the Cavern Club in Liverpool which was officially a blues club. We didn’t really know any blues numbers. We loved the blues but we didn’t know any blues numbers, so we had announcements like “Ladies and gentlemen, this is a great Big Bill Broonzy number called “Wake Up Little Suzie.” And they kept passing up little notes - “This is not the blues, this is not the blues. This is pop.” But we kept going.

And then we ended up touring. It was a bloke called Larry Parnes who gave us our first tour. I remember we all changed names for that tour. I changed mine to Paul Ramon, George became Carl Harrison and, although people think you didn’t really change your name, I seem to remember you were Long John Silver for the duration of that tour. (Bang goes another myth.)

We’d been on a van touring later and we’d have the kind of night where the windsceen would break. We would be on the motorway going back up to Liverpool. It was freezing so we had to lie on top of each other in the back of the van creating a Beatle sandwich. We got to know each other. These were the ways we got to know each other.

We got to Hamburg and met the likes of Little Richard, Gene Vincent…I remember Little Richard inviting us back to his hotel. He was looking at Ringo’s ring and said, “I love that ring.” He said, “I’ve got a ring like that. I could give you a ring like that.” So we all went back to the hotel with him. (We never got a ring.)

We went back with Gene Vincent to his hotel room once. It was all going fine until he reached in his bedside drawer and pulled out a gun. We’ said “Er, we’ve got to go, Gene, we’ve got to go…” We got out quick!

And then came the USA — New York City — where we met up with Phil Spector, the Ronettes, Supremes, our heroes, our heroines. And then later in L.A., we met up with Elvis Presley for one great evening. We saw the boy on his home territory. He was the first person I ever saw with a remote control on a TV. Boy! He was a hero, man.

And then later, Ed Sullivan. We’d wanted to be famous, now we were getting really famous. I mean imagine meeting Mitzi Gaynor in Miami!

Later, after that, recording at Abbey Road. I still remember doing “Love Me Do.” You officially had the vocal “love me do” but because you played the harmonica, George Martin suddenly said in the middle is the session, “Will Paul sing the line “love me do?”, the crucial line. I can still hear it to this day - you would go “Whaaa whaa,” and I’d go “loove me doo-oo.” Nerves, man.

I remember doing the vocal to “Kansas City” — well I couldn’t quite get it, because it’s hard to do that stuff. You know, screaming out the top of your head. You came down from the control room and took me to one side and said “You can do it, you’ve just got to scream, you can do it.” So, thank you. Thank you for that. I did it.

I remember writing “A Day in the Life” with you, and the little look we gave each other when we wrote the line “I’d love to turn you on.” We kinda knew what we were doing, you know. A sneaky little look.

After that there was this girl called Yoko. Yoko Ono. She showed up at my house one day. It was John Cage’s birthday and she said she wanted to get hold of manuscripts of various composers to give to him, and she wanted one from me and you. So I said,” Well it’s ok by me. but you’ll have to go to John.”

And she did…

After that I set up a couple of Brennell recording machines we used to have and you stayed up all night and recorded “Two Virgins.” But you took the cover yourselves — nothing to do with me.

And then, after that there were the phone calls to you. The joy for me after all the business shit that we’d gone through was that we were actually getting back together and communicating once again. And the joy as you told me about how you were baking bread now. And how you were playing with your little baby, Sean. That was great for me because it gave me something to hold on to.

So now, years on, here we are. All these people. Here we are, assembled, to thank you for everything that you mean to all of us.

This letter comes with love, from your friend Paul.
John Lennon, you’ve made it. Tonight you are in the Rock ‘n’ Roll Hall of Fame.

God bless you.

Paul


09/07/22

L'incredibile vicenda delle foto perdute dei Beatles in India, in un documentario da non perdere


 "I Beatles in India" è un documentario realizzato nel 2021, vincitore di molti premi, realizzato in stile quasi naif, eppure assai godibile, visibile su Amazon Prime Video a costo di noleggio di 1,99 euro.

Il documentario è particolarmente interessante perché racconta sostanzialmente la vicenda di un canadese, Paul Saltzman, che nel 1968 aveva 23 anni e che per circostanze veramente incredibili capitò nell'ashram di Maharishi Mahesh Yogi, esattamente nella settimana in cui soggiornarono lì i Beatles. Trascorrendo con loro una settimana intera e scattando una quantità di foto di smisurato valore che, altrettando incredibilmente, Paul tenne per 30 anni chiuse nel suo garage, dimenticandone quasi l'esistenza.
Come si sa, nel febbraio del 1968, spronati da George Harrison, i Beatles arrivarono a Rishikesh, nel nord dell'India, per apprendere l'arte della meditazione trascendentale dal filosofo indiano Maharishi Mahesh Yogi, incontrato per la prima volta l'estate precedente. Per quel viaggio, in cui la musica ebbe un ruolo cruciale, ai Fab Four si unirono amici come Mia Farrow, Donovan e Mike Love dei Beach Boys.
Saltzman che all'epoca era in India per lavorare come fonico di ripresa in una piccola produzione che girava un film sull'India, andò a Rishikesh sulla spinta di una delusione d'amore e con la motivazione di imparare la Meditazione Trascendentale, che Maharishi stava facendo conoscere in occidente.
Paul non aveva previsto però, e non poteva sapere, che in quei luoghi estremi lungo la riva del Gange nei boschi popolati di scimmie e di uccelli esotici avrebbe condiviso pranzi, cene, passeggiate, chiacchierate e sedute di meditazione con John, Paul, George e Ringo accompagnati dalle rispettive mogli e compagne.
Il film vede anche la partecipazione straordinaria dello storico dei Beatles Mark Lewisohn, che ripercorre col regista i momenti salienti di quel viaggio, del compositore nominato all'Oscar Laurence Rosenthal, di Pattie Boyd (modella e fotografa che fu moglie di Harrison e di Eric Clapton) e di sua sorella e Jenny, oltre che di David Lynch, che è anche tra i produttori esecutivi del film.
Fu un momento formidabile anche per la carriera del quartetto di Liverpool. Racconta infatti Paul Saltzman: "Nel 1968, i Beatles si recarono in India per trovare qualcosa che la fama e la fortuna non potevano dare loro. Cercavano la pace interiore. Fu un momento di enorme creatività e di cambiamento. In 7 brevi settimane trascorse nell'ashram scrissero 48 canzoni. Senza sapere che si trovassero lì, io ero arrivato a Rishikesh per imparare la meditazione, nel disperato tentativo di guarire il mio cuore spezzato. Siamo stati insieme per una settimana. La meditazione mi ha cambiato la vita, così come l'incontro con loro. È stata un'esperienza profondamente privata tanto che, tornato a casa, ho riposto in una scatola le 54 foto che avevo scattato. E me ne sono dimenticato per 32 anni".
Altamente consigliabile, specie agli appassionati di musica, degli annoi '60 e dei Fab Four.

Fabrizio Falconi - 2022

08/07/22

L'incredibile morte di Natasha Richardson, figlia di Vanessa Redgrave e moglie di Liam Neeson


Fu veramente incredibile la morte di Natasha Richardson, figlia dell’attrice Vanessa Redgrave e del regista Tony Richardson e moglie molto amata di Liam Neeson.

Aveva solo quarantacinque anni, ed era una delle più brave della sua generazione, quando il suo cuore si fermò per un incidente assurdo.
Natasha era nata l’11 maggio del 1963 e aveva già interpretato molti film quando sposò l'attore britannico nel 1994 e dalla loro unione nacquero Micheál e Daniel.
Le circostanze dell'incidente che le tolse la vita sono difficili da credere.
Il 16 marzo del 2009, mentre era in vacanza in Canada a Mont-Tremblant, Natasha Richardson ebbe un banalissimo incidente sugli sci. In realtà Natasha era una principiante, era accompagnata nella circostanza da un istruttore e scivolò praticamente da ferma.
Rialzatasi, le sue condizioni apparvero buone, senza nessuna ferita alla testa, tant’è che l’attrice scherzava sul capitombolo. Evidentemente però, nella caduta, sbatté la testa su un sasso affiorante o nascosto dalla neve.
Rientrata in albergo, cominciò ad avvertire fortissime emicranie. Fu dapprima accompagnata in un ospedale locale e a seguito dell’aggravarsi delle sue condizioni, al Sacre-Coeur Hospital di Montreal insieme al marito Liam che l’aveva raggiunta essendo impegnato proprio a Montreal sul set del thriller Chloe.
Purtroppo la situazione non accennò a migliorare e quando venne dichiarata la morte cerebrale per un’emorragia cerebrale dovuta alla caduta, Liam decise di farla trasportare al Lennox Hill Hospital di New York su un volo privato, perché la sua famiglia potesse salutarla. Due giorni dopo l’incidente sugli sci, Liam fu costretto a prendere la difficile decisione di staccarla dal supporto artificiale che la teneva in vita e i suoi organi furono donati.
"Il dottore mi ha mostrato la sua radiografia," raccontò Neeson in seguito, "Non c’era bisogno di essere uno scienziato per capire cosa stava succedendo. Il cervello era schiacciato contro il lato del cranio, mentre il sangue si disperdeva. Mi avevano detto che era cerebralmente morta. Era attaccata ad un supporto vitale. Sono andato da lei e le ho detto che l’amavo. Le dissi: ‘Tesoro, non ti riprenderai da questo. Hai battuto la testa. Non so se puoi sentirmi, ma questo è…questo è quello che è successo. E ti riporteremo a New York. Tutta la tua famiglia e i tuoi amici verranno"
Neeson ha rivelato, nel corso degli anni, che gli era capitato di affrontare con sua moglie il discorso di quale decisione prendere nel caso ad uno dei due si fosse ritrovato in uno stato vegetativo.
"Quando l’ho vista con tutti quei tubi, è stato il mio pensiero immediato. Mi sono detto ‘Ok, questi tubi devono essere tolti. Se n’è andata’. Ma ha donato tre dei suoi organi, il suo cuore, i suoi reni e il suo fegato, quindi sta tenendo in vita tre persone."

Fabrizio Falconi - 2022