Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (5 - fine)
Vincendo la resistenza a quel gesto, Etty Hillesum tornerà ad inginocchiarsi molte volte su quel ruvido tappeto di cocco, e a implorarlo: Signore, fammi vivere di un unico, grande sentimento – fa’ che io compia amorevolmente le mille piccole azioni di ogni giorno, e insieme riconduci tutte queste piccole azioni a un unico centro, a un profondo sentimento di disponibilità e di amore. (13)
E ancora: Mio Dio prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa
resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna
delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto
nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace…
Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. (14)
Ma chi è questo Dio che la ragazza ebrea
invoca, insegue e accoglie ? Etty, come
scrive Cristiana Dobner in un recente volume, “ha coscienza precisa di essere
creata a immagine e somiglianza di Dio.
E’ il suo appartenere al popolo della berith
dell’alleanza, che le ha trasmesso questa certezza. Non è un vago progetto ma
una realtà rivelata, approfondita dalla teologia che la ritiene forza innata,
donata e presente, nella persona; Dio, a
motivo della sua immensità in quanto causa efficiente di tutto l’essere e di
tutto l’operare, inerisce intimamente a tutte le creature con un’esistenza
interiore alla stessa sostanza.” (15)
Il percorso verso Dio di Etty è insomma,
pienamente consapevole ed è frutto di una doppia conoscenza, quella tutta
interiore del corpo – Etty sente Dio
dentro di sé, come un nascente che preme e che lotta contro le distorsioni - ed esteriore, quella che avviene – come
per grazia – nell’incontro con l’altro, con il servizio e con il darsi
incondizionato.
Come ha fatto notare Patrick Lebeau, la
conversione di Etty è il frutto di tre incontri differenti: “Spier, del quale abbiamo ricordato il ruolo
e che la aiuterà a convertire la sua forza amorosa ed erotica in un’unica forza
raggiante di amore spirituale verso gli altri, Dio e, infine, l’incontro di
Etty con se stessa. Quest’ultimo
incontro non è aneddotico o narcisistico: le darà un’immagine di sé che non si
aspettava, un’immagine in cui si riconoscerà progressivamente per
appropriarsene, rendendola trasparente ai suoi occhi e poi visibile agli occhi
degli altri.” (16)
L’introspezione dolorosa di Etty nei
propri ‘inferni personali’ non è mai dunque fine a se stessa. Etty sembra inconsciamente convinta di
quello che Shakespeare annotava nei suoi Sonetti, ovvero che “ ripeness is all ”, la maturità è tutto:
la maturità è andare fino in fondo, nella discesa verso il centro di se stessi
dove è possibile trovare la faccia dell’altro e con essa il volto stesso di
Dio. Una discesa verso l’autenticità più
profonda del proprio essere, che non scantona, non prende scorciatoie, non pretende di glissare e vive il dolore
personale come una strada maestra verso l’affermazione di un senso divino
dell’esistenza. Anche il lutto di Spier
– lacerante per Etty - viene vissuto
come il tramite per qualcosa di altro
e qualcosa di oltre. Spier,
dotato di una personalità così straordinaria, ‘magica’ secondo molti dei suoi
contemporanei – è l’aggettivo che si dà quando le cose sono razionalmente
inspiegabili, sembra quasi farlo
intenzionalmente, una specie di addio al mondo volontario: si ammala improvvisamente, infatti, e muore
il 12 settembre 1942, esattamente il giorno prima di essere inviato anch’egli,
ebreo e intellettuale, al campo di smistamento di Westerbork.
Etty scrive nei giorni seguenti, pagine
accorate dedicate a lui: Sei tu che hai liberato le mie forze, tu che
mi hai insegnato a pronunciare con naturalezza il nome di Dio. Sei stato l’intermediario tra Dio e me, e ora che te ne sei andato la mia strada
porta direttamente a Dio e sento che è un bene, Ora sarò io l’intermediaria per
tutti quelli che potrò raggiungere. (18)
Sarà esattamente così.
Nelle testimonianze dei sopravvissuti
c’è fino all’ultimo istante il ricordo di una ragazza dai modi indimenticabili,
che anche nel momento stesso di salire sul treno per la Polonia , ha “una parola
gentile per tutti quelli che incontra, piena di umorismo scintillante anche se
forse un pochino malinconico, proprio la nostra Etty come voi la conoscete..:”
(19)
E’ il segno di una consapevolezza
piena, di una maturità piena, che Etty ha trovato nel fondo della sua anima,
come presenza di Dio, una consapevolezza e una maturità che è presumibile non
l’abbiano abbandonata del tutto neanche nei giorni della prova finale, nel
recinto spinato del campo di Auschwitz, prima della doccia a gas fatale.
Quella stessa consapevolezza e maturità
che espresse in modo così cristallino e toccante in una delle ultimissime
pagine del Diario, il 18 agosto del 1943,
venti giorni prima di partire (20):
Mi hai resa così ricca, Dio,
lasciami anche dispensare agli altri a piene mani. La mia vita è diventata un
colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio. A volte, quando me ne sto in un angolino del
campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le
lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione
e riconoscenza. .. Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche
questo passerà, tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe
insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa
vita. Io non combatto contro di te, mio Dio, tutta la mia vita è un grande
colloquio con te.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
13.
E. Hillesum, Diario … op.cit. pag. 82.
14.
E.Hillesum,
Diario… op.cit. pag. 74.
15.
Etty
Hillesum, Pagine mistiche, tradotte e commentate da Cristiana Dobner, Ancora
edizioni, Milano 2007, pag.35.
16.
P. Lebeau, Il Diario di Etty Hillesum, in “La Civiltà Cattolica ”
q. 3603-3604 (2000), pag.240.
17.
E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 203
18.
E. Hillesum, Diario, Op. cit. pag. 196
19.
E’ il commovente resoconto dell’addio di Etty
dalla stazione di Westerbork, narrato dall’amico Joseph (Jopie) Vleeschouwer e
che conclude il racconto del Diario nella edizione curata da J.G. Gaarlandt. Ho
con me i miei diari, la mia piccola Bibbia, la mia grammatica russa e Tolstoj e
non so quante altre cose, furono le sue ultime parole all’amico.
20.
E. Hillesum, Diario, Op. cit. pag.253.