Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)
Cos’è che spinge una persona in questa condizione - nella condizione di vittima designata di un sistema folle che opera per distruggere e cancellare dalla faccia della terra una intera genia di innocenti - a prendere le parti di Dio, a proporre addirittura di aiutarlo, anziché protestare contro di lui, inveire contro
Per spiegarlo dobbiamo capire il senso della teologia personale di Etty,
il cui disegno coraggioso appare chiaro – pur con tutte le sofferenze e le
lacerazioni - nel dipanarsi febbrile
delle pagine del diario e delle lettere
scritte negli ultimi mesi prima della sua morte.
L’atteggiamento della Hillesum di fronte agli spaventosi eventi della
modernità è radicalmente diverso da quello della maggioranza delle intelligenze
ebraiche che angosciosamente si interrogano sul silenzio di Dio. Pensiamo ad esempio ad esempio ad Elie Wiesel per il quale questo silenzio rappresenta la
fine della fede o almeno di quella fede tradizionale. Se l'Eterno ci sta mandando tutta questa manna senza poter far nulla
– scrive Wiesel - o questo Eterno è impotente o talmente sadico che nessun disegno
Provvidenziale e Imperscrutabile potrà giustificarlo (agli occhi di un uomo e
soprattutto di un uomo disperato che vive l'esperienza del campo) (11).
Di fronte a questo umanissimo pensiero, Etty
offre invece una prospettiva del tutto rovesciata: Sono
pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella
e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono
così ora… dentro di me c’è una fiducia in Dio
che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma
che sempre più diventa parte di me..
Questa fiducia, questo abbandono non sono,
per la Hillesum gratuiti, non scaturiscono dal cuore in modo immotivato: sono piuttosto il prezzo
di una presa di consapevolezza, di una umanità raggiunta al prezzo di un
coraggio personale introspettivo che non cerca infingimenti o facili
consolazioni e nemmeno mai cerca scorciatoie liquidatorie: Il
misticismo deve fondarsi su una onestà
cristallina, scrive, quindi prima
bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà, cioè come è stato fatto
notare recentemente da una studiosa del pensiero di Etty, “ sempre dentro lo
spessore del contraddittorio e difficile. Di lì si è rimandati all’Oltre,
all’Inafferrabile vicino che sollecita aperture inattese, e crescite impensate,
itinerari sconosciuti (12).”
Esempi di questa fede contraddittoria e difficile ma sempre
vissuta fino in fondo, sempre vissuta senza sconti e visceralmente, nel senso che
oggi si definirebbe più autentico, sono disseminati lungo il diario, nel
racconto personale di Etty che si segue come lo svolgimento di un romanzo:
l’esperienza dell’aborto, vissuta con determinazione lucida e dolorosa (ho giurato che nel mio grembo non nascerà
mai un essere altrettanto infelice, scrive dopo aver assistito all’ennesima
scenata del labile fratello Mischa, che viene portato in una casa di cura);
quella del darsi a uomini diversi (solo
dodici ore fa ero tra le braccia di un altro uomo e gli volevo e gli voglio
bene) quella della totale mancanza
di autostima (Etty, mi disgusti, così
egocentrica e meschina) sono
stazioni di una via crucis personale, che hanno come epilogo la partenza del
vagone dalla stazione di Westerbork e l’annientamento nel campo polacco.
Eppure, in questo cammino così controverso e difficile, Etty riesce a
non perdere di vista l’essenziale. Sa
che Dio non le scapperà di mano, se lei non lo lascerà scappare. Lo insegue, lo ricerca, lo ascolta, lo
accoglie. E una specie di grazia
salvifica sembra scendere a proteggerla, a illuminarla, feconda di nuove
scoperte:
ieri sera, scrive in una domenica mattina del 1941, subito prima di
andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio nel bel mezzo di
questa grande stanza, tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara. Un gesto
spontaneo: spinta a terra da qualcosa più forte di me.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
11.
E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.
12. Così Elie Wiesel in quello che è
considerato il suo capolavoro-autobiografia, il romanzo La notte, edito in Italia da La Giuntina , 1992.
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