31/10/20

Libro del Giorno: "Pazza d'amore" di Adèle Hugo

 



L'amore non conosce misura.  Il dio dell'amore è anche un dèmone.

Ne erano perfettamente consapevoli i padri greci - che temevano la potenza di Eros - e quelli latini, i quali inventarono le categorie della temperanza e della giusta misura anche per mettere i freni a ciò che può sottomettere l'essere umano dal suo interno, trascinandolo in un gorgo senza uscita. 

E la figura di Adèle Hugo, la seconda figlia del grande Vate della letteratura francese, nata nel 1830 è da questo punto di vista, un caso di prammatica, o da antologia.  La sua figura ha da sempre attratto studiosi e artisti,  esercitando sui lettori della sua vicenda e delle sue poche lettere sopravvissute, una sorta di culto, in nome della sofferenza o del dolore d'amore - ancor più se senza criterio o smisurato - che forse tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita, pur senza incorrere nell'itinerario autodistruttivo della povera Adèle. 

Per immaginarla, scrive Manuela Maddamma nel bellissimo libro che ha curato con competenza di traduttrice e curatrice, disegnando un percorso così affascinante che è praticamente quasi impossibile smettere di leggere prima di essere alla fine,  bisogna dimenticare il volto sublime di Isabelle Adjani, che nel 1975 il grande Francois Truffaut chiamò per vestire i panni della donna, nel suo bellissimo Adèle H. 

Adèle era infatti sì splendida, come la descrivono le cronache d'epoca, ma la sua bellezza sfiorì assai presto, e si trasformò nel suo contrario, mano a mano che lei stessa precipitava nel burrone della sua perdizione.

Sulla giovane ebbe certamente influsso nefasto la morte, per annegamento nelle acque della Senna, della sorella maggiore, Léopoldine, che aveva all'epoca solo diciannove anni insieme all'uomo che aveva appena sposato.

La tragedia colpì per primo il padre, Victor Hugo che decise di ritirarsi nella casa buia di Hauteville House, la villa fdi Guernsey, un'isola sperduta nel Canale della Manica, dove andò a vivere insieme alla famiglia, e dove organizzava sedute spiritiche, per cercare di mettersi in contatto con la figlia scomparsa. 

Fu proprio qui che il tenente inglese Albert Pinson, il quale prestava servizio sull'isola, precipitò nel destino di Adèle, seducendola su una terrazza a strapiombo sul mare.

Un amore fortissimo - da parte di Adèle - e quanto mai fuggevole, durato pochissimo, perché il giovane tenente quasi subito si dimostrò del tutto indifferente all'idea di sposare Adèle: non solo, le confessò tranquillamente di non amarla,  e che lei non sarebbe mai stata la donna della sua vita.

La tremenda dichiarazione e la conseguente separazione, non minarono affatto il desiderio di Adèle: lo rafforzarono anzi in senso parossistico. 

La ragazza ricorrerà ad ogni sotterfugio e menzogna per riconquistare il tenente, scapperà di casa, annuncerà ai suoi genitori per lettera un matrimonio inesistente, continuerà a inseguire la sua inutile e inutilizzabile fantasia addirittura dall'altra parte dell'oceano, ad Halifax, in Canada, dove Pinson è stato mandato col suo reggimento; starà via da casa per sette lunghi anni, illudendo continuamente la sua famiglia con propositi di ritorno mai messi in pratica; finirà per ammalarsi e ridursi a vivere come una mendicante, sempre nell'unica speranza di poter un giorno riconquistare il suo amore, che intanto continua ad umiliarla, facendosi vedere in giro con altre donne. 

Ormai prossima alla follia, Adèle fa finalmente ritorno a casa, senza riuscire a rivedere la madre, che muore probabilmente anche per il dolore causato dalle vicende delle sue due figlie,  per essere ricoverata e trascorrere i suoi giorni e anni (morirà soltanto nel 1915) in manicomio. 

Una vicenda tragica dunque, borderline, come si direbbe oggi, che suscita interrogativi e pietà, ma induce anche a chiedersi di più sulla natura dell'amore, su cosa esso contenga, su come scelga di dirigere le sue acuminate frecce e di cosa è diventato oggi. 

Manuela Maddamma orchestra il lucido piano autodistruttivo di Adèle ricostruendolo con l'ausilio di lettere inedite, di Adèle e del giro dei suoi familiari, in primis del padre-patriarca Victor Hugo, sempre in bilico tra l'infinita pietà per sua figlia e l'imbarazzo di ciò che lei e la sua vicenda comporta per la sua reputazione e per il suo ruolo pubblico. 

La cosa che colpisce maggiormente è infatti, forse, proprio quella paralisi, quella impotenza che prende padre, madre e fratelli (i due fratelli maschi di Adèle), i quali pur nutriti da ogni buon proposito non riescono a fare nulla di nulla per riportare la ragazza a casa e distoglierla dal suo amore "tossico" (come direbbero gli psicologi oggi).

Una lettura che non si dimentica


La vera Adèle Hugo



30/10/20

In regalo oggi con Il Corriere della Sera il testamento di Liliana Segre "Ho scelto la vita"



Oggi venerdi' 30 ottobre Corriere della Sera regala ai suoi lettori "Ho scelto la vita", il libro che raccoglie l'ultimo discorso pubblico di Liliana Segre, nella Cittadella della Pace di Rondine (Arezzo): il ricordo dell'esperienza ad Auschwitz che la senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah, ha scelto di condividere lo scorso 9 ottobre proprio nel borgo toscano, a conclusione di oltre trent'anni di testimonianza. 

Il volume di 64 pagine, con la prefazione di Ferruccio de Bortoli, sintetizza l'impegno di Liliana Segre, oggi novantenne, che instancabile ha raccontato a migliaia di giovani, future sentinelle delle memoria, cio' che e' stato, e l'orrore vissuto, affidando a loro il compito di vigilare perche' la storia non si ripeta. 

Nel libro inoltre un'intervista esclusiva rilasciata da Liliana Segre ad Alessia Rastelli, giornalista di Corriere della Sera e curatrice del libro: un bilancio sulla sua vita e sul significato dell'impegno profuso in questi decenni, corredata da una scheda biografica conclusiva

"Corriere della Sera con questo libro vuole celebrare la forza, l'impegno e il coraggio di una donna a cui l'Italia sara' sempre debitrice." - spiega il direttore Luciano Fontana - "E' un onore per noi raccogliere il testimone che generosamente ci lascia Liliana Segre. A queste parole e' consegnato infatti il senso profondo della militanza sociale e civile della Senatrice a vita, il suo messaggio per i ragazzi, per noi, per tutti".

Un messaggio intenso da conservare e rileggere perché la memoria di quegli orrori resti sempre viva, come antidoto all'indifferenza e al negazionismo, e consenta un futuro in cui nessuno dovra' piu' sentirsi "respinto"

Juliette Récamier - La Donna più bella di Francia (10)

 


Juliette Récamier - La Donna più bella di Francia (10)

A 47 anni dunque, nel 1824, Juliette faceva ritorno a Roma, dove aveva molti amici.

Adorava visitare le rovine e le pinacoteche e si entusiasmava nel seguire la messa in chiese che erano grandi opere d'arte. Non passò molto tempo che il suo morale si sollevò e decise di prolungare la permanenza per tutto l'inverno seguente.
Sotto il sole di Roma si potevano vedere le striature grigie nei suoi capelli, ma con il viso dolce e gentile e gli occhi espressivi era ancora deliziosa. Era in viaggio con la nipote Amélie che aveva sedici anni.
Erano due donne molto desiderabili e presto trovarono due gentiluomini che si misero al loro servizio. Non erano italiani, come si potrebbe pensare, ma francesi e anche interessanti.
Il più anziano, allora vicino ai cinquanta, era il pittore e scrittore Etienne Delécleuze. Il più giovane, venuto a Roma al seguito di Juliette, era Jean-Jacques Ampère, il figlio del grande fisico, da parte suo appassionato studente di materie umanistiche e ventiquattrenne.
Ci potremmo aspettare che l'età matura sia attratta dall'età matura e la giovinezza dalla giovinezza; ma come in una cinica opera buffa, fu Delécleuze a provare una passione per Amélie, mentre Ampère fu attratto - in modo violento, disperato e, man mano che il tempo passava, imbarazzante - dal dolce splendore materno di Juliette.
Imberbe e penosamente goffo, Ampère era anche versatile, spontaneo, emotivo. E Madame Récamier divenne la sua materia di studio, a giudicare dalla profusione di pagine che le dedicò.
Le faceva quotidianamente visita nelle sue stanze in Via del Babuino e scortava lei e Amélie a Villa Pamphilj e a Villa d'Este.
La maggior parte del tempo, sentendo di essere indifferente a Juliette, Ampère aggrottava la fronte, si passava le mani fra i capelli e camminava stizzosamente avanti e indietro.
10 - segue

Fonte: Dan Hofstadter, La storia d'amore come opera d'arte

28/10/20

Thom Yorke a Roma: " Sono ossessionato dalla musica"


 Un legame tra musica, in forme sempre nuove e immagine e' da sempre al centro del lavoro di Thom Yorke, il leader dei Radiohead, che ha da poco debuttato anche come compositore di colonne sonore firmando le musiche di Suspiria di Luca Guadagnino. 

Capitoli artistici di cui ha parlato nell'ultimo Incontro ravvicinato della 15/edizione della Festa del Cinema di Roma. 

Oltre un'ora e mezza di conversazione con Antonio Monda e Francesco Zippel, centrato sulle colonne sonore, attraverso clip di film e video scelte dal rocker, da Incontri ravvicinati del terzo tipo a 2001 Odissea nello spazio, da Oltre il giardino alla serie sequel di Twin Peaks firmata da David Lynch ("Nessuno puo' essere libero come lui")

Nonostante il suo amore per il cinema Yorke dice no a un suo possibile debutto come regista: "La verita' e' che se avessi una vita parallela a questa, con tempo e spazi a disposizione, lo farei, ma non e' possibile, sono ossessionato da quello che cerco di realizzare musicalmente"

Poi "una cosa e' lavorare in studio, con i tuoi amici, un'altra e' fare quello che fa ad esempio un regista come Paul (Thomas Anderson, che ha diretto Anima, il corto legato all'uscita dell'omonimo album da solista di Yorke del 2019). Avere a che fare con un immenso cast tecnico e artistico, senza mai perdere la calma, improvvisando... non sarei mai capace di farlo" spiega il rocker, sereno e rilassato capace di regalare anche qualche commento e battuta in italiano (e' sposato all'attrice italiana Dajana Roncione presente in sala, ndr).

La clip di Taxi Driver (rivisto da poco insieme alla figlia 16enne), con la colonna sonora di Bernard Herrmann, porta il musicista ad accennare al suo nuovo progetto musicale: "Proprio ora sto cercando di realizzare qualcosa di molto simile a questa musica anni '70, con accordi semplici ma capaci di avere un impatto straordinario". 

Venendo all'esperienza di Suspiria, "quando ho lavorato con Luca ero molto nervoso - racconta -. Ho detto a Jonny (Greenwood, amico fraterno e compagno di band nei Radiohead) , che mi avevano proposto Suspiria e lui mi ha consigliato di leggere la sceneggiatura, e lavorare il piu' possibile su quella, perche' poi quando avrei visto il film, sarebbe arrivato un blocco.....aveva assolutamente ragione".

Se "non avessi passato mesi sulla sceneggiatura e parlando con Luca, confrontandomi con la sua visione, non sarei stato capace di fare le musiche". Al film "ho portato me stesso, non quello che ci si aspettava da me. Noi musicisti dovremmo sempre rispondere in questa maniera. Lo dico da esperto - conclude autoironico - avendo fatto una sola colonna sonora". 

27/10/20

Cosa fare quando tutto va male? La lezione di Keith Jarrett raccontata da Riccardo Luna



Cosa si può fare quando tutto va male, e sembra che non si possa fare altro che rinunciare o rassegnarsi? 
In giorni come questi, la domanda è quanto mai pertinente. 
E oggi Riccardo Luna prova a rispondere brillantemente evocando uno dei più grandi artisti della nostra epoca, Keith JarrettRiporto qui di seguito il suo post sul blog de La Repubblica: 

Qualche giorno fa uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi, sì, Keith Jarrett, ha detto al mondo: ho avuto due ictus, non sono più un pianista. 

Ci lascia con più di mezzo secolo di grande musica e una lezione di vita indimenticabile. Il concerto di Colonia del 1975. Non so se avete già sentito la storia del concerto di Colonia del 24 gennaio 1975. 

Quando mi chiedono come nasce l'innovazione, come si crea un capolavoro, io ripenso a quello che accadde quella sera a Colonia

Keith Jarrett aveva appena 29 anni ed era già famosissimo

Dopo diverse collaborazioni prestigiose, era sbarcato in Europa per la prima tournée da solo. 

A Colonia arrivò da Zurigo nel pomeriggio di un gelido giorno di pioggia che sembrava fatto apposta per mandare tutti al diavolo: non dormiva da due giorni, aveva un mal di schiena furioso e quando nel pomeriggio salì sul palco per le prove, invece del pianoforte che aveva chiesto (un Bösendorfer Grand Imperial), ne trovò uno più piccolo, scordato e con i pedali fuori uso

Ok, me ne vado, disse più o meno, era il minimo. 

Ma l'organizzatrice era una ragazzina di 19 anni, Vera Brandes, e quella notte era il sogno della sua vita e non poteva lasciarla svanire così: inseguì Keith Jarrett disperata fin fuori dal teatro: lo trovò che era già in macchina, gli implorò di suonare lo stesso, gli promise che il piano lo avrebbe fatto accordare, certo era piccolo per il teatro da 1400 posti, tutti venduti, ma, disse più o meno, ti prego fallo per me. 

Vera Brandes doveva avere una passione notevole perché Jarrett accettò; alle 23 e 30 salì sul palco e letteralmente creò musica per circa un'ora. Suonò in modo incredibile, forse proprio perché sapeva che il pianoforte non era adatto, ci mise una energia e una intensità mai viste, dicono, prima e dopo

Il suo manager registrò l'esibizione e quel concerto è diventato il disco di piano solo più venduto della storia del jazz. Avrebbe potuto non suonare, quella sera Keith Jarrett, ne aveva tutte le ragioni. E invece ha suonato e ne è venuto fuori il più bel concerto della sua vita. 

A volte anche noi nella vita non abbiamo il pianoforte adatto e tutto sembra andare storto: ma se abbiamo qualcosa di bello da raccontare, se abbiamo qualcosa di unico dentro, è il momento di dimostrarlo. Da sempre le cose cambiano, le migliori innovazioni succedono, quando usciamo dalla zona di comfort e ci mettiamo a suonare davvero.

Juliette de Récamier, la Donna più bella di Francia (9)


 Juliette de Récamier, la Donna più bella di Francia - 9

L'idillio di Juliette durò ben poco.
Gli amici di Juliette sapevano che in quel periodo l'amante di Juliette, Monsieur de Chateaubriand, si recava assiduamente in visita presso una certa casa padronale normanna abitata da una giovane e graziosa signora.
E nel gennaio del 1820 un rapporto di polizia (che lo teneva costantemente sotto controllo) rilevava che Chateaubriand "ha scritto tutti i giorni alla moglie del musicista Lafont".
In giro insomma tutti parlavano della sua infedeltà e inevitabilmente le dicerie raggiunsero Juliette.
Quello che per gli altri è l'argenteria di famiglia, per Juliette era stata la verginità. Era ormai sparita e, nella sua piccola stanza, deve aver sofferto terribilmente.
Cominciò dunque a cercare di tenerlo a distanza, cominciando a diffidare della natura incostante di lui, cercando di soffocare il proprio amore.
"Non si riesce a trovare di vivere con una persona che manca di sincerità," scrisse a un'amica, "e io sono assolutamente decisa a non espormi più a una tale, terribile, infelicità."
All'inizio del 1824, Juliette decise di cercare rifugio in Italia.
L'afflizione di Juliette, per la quale essa cercava la panacea come se fosse un male nordico di molti suoi contemporanei, era il mal d'amour.
Le solenni dichiarazioni di dolore da parte di Chateaubriand la seguirono per tutta la strada e la sua infelicità era probabilmente genuina perché le era profondamente affezionato anche se non in modo esclusivo.
Ma in realtà non la seguì mai a Roma e l'intermezzo italiano potrebbe essere tranquillamente trascurato se non fosse per un intrigo secondario che rivelò molto della natura di Juliette.
9 - segue

Fonte: Dan Hofstadter, La storia d'amore come opera d'arte

26/10/20

Il "Bacchino Malato" del Caravaggio alla Galleria Borghese di Roma, un capolavoro e la sua storia

 



Come è noto la Galleria Borghese di Roma ospita il maggior numero di opere di Caravaggio nel mondo: ben 6. 

Il cosiddetto "Bacchino Malato" è un autoritratto del grande pittore ed è anche il primo quadro che conosciamo di lui e il primo che dipinse a Roma, dove arrivò "senza recapito e senza provvedimento", anche se studi più recenti dicono che si appoggiò a conoscenti della famiglia della madre. 

E' un quadro piccolo, di quelli fatti per vendere.

Caravaggio ebbe una vita turbolenta, con risse e ferimenti: il nome "Bacchino Malato" fu dato da Roberto Longhi (grande storico e critico d'arte, 1890-1970), e le labbra violacee, il colorito grigiastro, l'aria emaciata, fanno pensare che l'autore si sia ritratto, convalescente, dopo uno di questi episodi.

Fonte: "Entrate nei musei, vi farà sempre bene!" - Intervista a Francesca Cappelletti, nuovo direttore della Galleria Borghese di Roma, di Ambra Radaelli, D- Repubbblica, 17 ottobre 2020, p. 75


Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (8)

 


Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (8)

Juliette ammise con un confidente che "era impossibile che qualcuno avesse la mente così completamente sconvolta come la mia lo era da Monsieur de Chateaubriand e io piangevo tutto il giorno."
Sicuramente Juliette lo ricevette spesso, anche se non sappiamo "quanto" spesso. E dopo un po', con i nervi logorati da emozioni contrastanti, trovò riparo a Dieppe e poi a Aix-la-Chapelle per fare la cura delle acque.
Quando fu terminata, non tornò ad Aulany, ma comprò una residenza più piccola a Rue d'Anjou, una strada alla moda nel Faubourg Saint-Honoré; e nel suo piccolo giardino lei e Chateaubriand celebrarono, nell'autunno del 1818 (Juliette aveva 41 anni), la prima pienezza del loro amore.
Dovevano formare una coppia curiosa, il dongiovanni dalle gambe arcuate e la vergine quarantunenne.
Lei scrive in un biglietto indirizzato a Chateaubriand:
"Amarvi di meno?" Voi non lo credete amico. Ci incontreremo questa sera alle otto. Non è più in mio potere né nel vostro né in quello di alcuno impedirmi di amarvi: il mio amore, la mia vita, il mio cuore - sono tutti vostri."
Nell'iniziare una relazione amorosa i due infrangevano i voti matrimoniali - lei per la prima volta, lui per l'ennesima.
Per tutto questo tempo le relazioni di Juliette con il marito erano rimaste serene ma distanti.
Jacques Récamier aveva ormai perso il tocco fortunato in Borsa e ora Juliette fece l'errore di affidargli la maggior parte della modesta fortuna che aveva ereditato dalla madre.
Récamier provvide quasi immediatamente a perdere tutto il denaro che gli aveva dato.
Juliette si ritirò allora in convento, all'Abbaye-aux-Boix, sentendosi autorizzata a vivere separata dal marito ridotto in povertà, ma assicurandogli che poteva contare su di lei per una piccola somma di denaro.
La sua maggior consolazione erano le gioie dell'amore con Chateaubriand, genuinamente commosso dalla sua devozione: "Voi sola riempite la mia vita, e quando entro nella vostra piccola stanza, dimentico tutto quello che ho sofferto."
Per due anni - successivamente Juliette avrebbe sostenuto che furono i soli felici della sua vita - fu totalmente monopolizzata da lui.
(8- segue)

Fonte: Dan Hofstadter, La storia d'amore come opera d'arte

23/10/20

Il "Leone della berlina" al Campidoglio: una statua romana dalla storia molto particolare

 


Il Leone che azzanna un cavallo è una scultura marmorea di età romana restaurata nel ’500 e che, dopo essere stata adottata come ornamento nel giardino del Museo Nuovo Capitolino, è oggi una delle opere più ammirate della esposizione permanente, al suo interno.

E ha una storia veramente particolare. In epoca medievale, infatti, e per lunghi secoli si trovava semiinterrata ai piedi del Palazzo Senatorio, posizione da cui fu spostata in seguito alla risistemazione del Campidoglio di Michelangelo.

La statua, meravigliosa opera di rappresentazione ferina che coglie in pieno dinamismo la scena di caccia di un leone, era adibita a compiti veramente umilianti che ne accrebbero la fama macabra.

Di fianco al leone, eretto, venivano lette infatti le sentenze di morte, e su di esso venivano esposti al pubblico ludibrio malfattori di ogni sorta: ladri, briganti, assassini, mercanti disonesti, debitori insolventi, truffatori, sedicenti maghi e alchimisti. 

L’usanza risaliva agli statuti romani del 1363 e generò il proverbiale detto, di dar il culo al lione”, che si applicava inesorabilmente a chi si metteva nei guai.

La statua è citata anche in diversi passi della Vita anonima di Cola di Rienzo, come quello relativo alla morte, avvenuta l’8 ottobre 1354, quando, ormai abbandonato da tutti, il tribuno cercò per l’ultima volta di arringare la folla, in Campidoglio. Ricevendone, in cambio il linciaggio.

Oggi nei giardinetti a sinistra della rampa capitolina si eleva una statua raffigurante Cola di Rienzo, eretta nel 1887 (opera dell’artista fiorentino Girolamo Masini) e che si pretendeva fosse stata apposta proprio nel punto esatto dove il tribuno cadde morto

Si tratta però di un errore: Cola morì esattamente ai piedi del Palazzo Senatorio, proprio nel cosiddetto “loco del lione”, dove cioè si trovava il gruppo scultoreo del Leone che azzanna un cavallo, il luogo prescelto per dare pubblica lettura delle sentenze.

Anche la morte tragica di Cola di Rienzo, dunque, che alla fine per tentare di sottrarsi al linciaggio si era anche travestito da popolano, contribuì nel tempo ad accrescere la fama sinistra della statua, che del resto già nella scena rappresentata metteva in scena la morte, nel suo aspetto più violento.

Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editore, 2015


 

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (7)

 



Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (7)

L’anno dopo, nell’ottobre, al ritorno dalle acque di Aix-la-Chapelle, Madame Récamier divenne tutta di Chateabriand.
Era stato per lei un anno e mezzo d’inferno: non voleva cedere, era tormentata da crisi nervose, confessava di aver perso completamente la testa. Gli amici, specie il severo Mentore brontolone, Montmorency, la rimproveravano e tentavano di scongiurare la tempesta. Ma la povera colomba trentottenne era stanca della sua eterna veste candida, anche se cercava disperatamente di salvare le apparenze della sua leggenda, di avvolgere tutto nel mistero.
Non sappiamo, infatti, dove e quando François-René e Juiette si amarono.
Forse, come ha supposto Levaillant, in una casa della Foresta di Chantilly, dove Madame Récamier fece in quegli anni molte soste.
“Non dimenticate Chantilly.”,le scriveva l’amico.

E lei più tardi, al tempo di certe sue avventure londinesi, gli rimproverava di aver dimenticato Chantilly.
Chateaubriand, infatti, non le fu fedele a lungo, specie quando, nel 1820, tornò in auge politica, come ambasciatore e ministro di Stato.
Juliette soffriva come una donna qualunque, non trovava più le sue antiche armi di vergine civetta.
Scelse l’unica degna della sua natura schiva: nel tardo 1823, d’un tratto, scomparve dall’Abbaye-aux-Bois, e partì per l’Italia, trascinandosi dietro la figlia adottiva, il vecchio e fedele Ballanche, e il giovanissimo Jean Jacques Ampère, figlio di un amico di Lione, futuro inventore dell’elettricità dinamica: un nuovo spasimante da tormentare e deludere, alla maniera antica, pre-Chantilly.
Al suo ritorno a Parigi, nel maggio del 1825, i due amanti si ritrovarono muti e commossi: non una parola di rimprovero fu pronunciata.
Deposti gli antichi ardori, iniziava, per Juliette, quel ruolo di consolatrice, che si accentuò dopo il 1830, quando, con la rivoluzione di luglio e il passaggio del trono dai Borboni a Luigi Filippo d’Orléans, il legittimista Chateaubriand si ritirò clamorosamente dalla vita politica, per dedicarsi tutto al completamento delle memorie, pubblicate postume.
Storia della sua vita, le Mémoires d’Outre-Tombe divennero, a poco a poco, un altare eretto per la cara figura di Juliette, ormai nobilmente idealizzata.
Non vi si parlava, beninteso, della danza dello scialle né dei bigliettini galanti della piccola posta di Coppet né di Chantilly.

Juliette, che qualcuno tra il 1820 e il 1830 osava ancora chiamare la Circe dell’Abbaye-aux-Bois, alludendo al traffico di nomine e portafogli del suo nuovo salotto, era consacrata ormai come Madonna dell’Abbaye, come ange fatal della sua epoca.

22/10/20

Riemerge da una soffitta di Palazzo Chigi il Ritratto di Romolo !


E' riemerso nella soffitta di Palazzo Pitti il Ritratto di Romolo, di cui si erano perse le tracce.
 

Lo racconta il Messaggero, spiegando che anche i Medici fiorentini avevano il "loro" Romolo, il primo re di Roma. 

Se lo immaginavano con una folta barba e il naso pronunciato, come appare nel ritratto dipinto su tavola alla meta' del '500 da Cristofano dell'Altissimo, raffinato allievo del Bronzino. 

All'inizio quell'uomo ritratto era un mistero, anonimo il soggetto cosi' come l'autore. 

C'e' voluta una complessa operazione di indagine tra le carte d'archivio, curata da Alberica Barbolani da Montauto e Maria Matilde Simari, per fare luce sulla tavola. 

Quello che avevano di fronte era il Ritratto di Romolo perduto, realizzato alla meta' del Cinquecento per la serie di dipinti dedicati agli "Uomini illustri" commissionata dal Granduca di Toscana Cosimo I de' Medici

Quest'opera firmata dal discepolo di Bronzino e Pontormo, Cristofano dell'Altissimo, faceva parte della collezione conosciuta col termine di "Gioviane". 

"Si chiamano cosi' perche' Cosimo, per realizzarla, invio' nel 1552 l'allora giovanissimo Cristofano a Como, a copiare i ritratti originali di personalita' storiche nella villa del vescovo Paolo Giovio", ha detto al quotidiano il direttore degli Uffizi Eike Schmidt. 

Una raccolta oggi esposta in ordine cronologico al secondo piano degli Uffizi. 

A questa parata di celebrita' della storia mancava Romolo. "Abbiamo fatto questa scoperta nell'ambito di una sistematica ricognizione di tutti i ritratti della nostra collezione che fa parte di un studio sulla raccolta delle Gioviane - precisa Eike Schmidt - i risultati di questa indagine diventeranno un libro che sara' pubblicato nei prossimi mesi". 

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (6)


 Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (6)

Il primo incontro tra René de Chateaubriand e Juliet Récamier avvenne durante il Direttorio, nel 1802: Chateaubriand si presentò all'improvviso nella favolosa casa di Juliette, rimanendo impietrito .
"Stavo ancora uscendo dalla cupa foresta della mia oscurità," scrisse nelle sue memorie, "e fui scontrosamente timido. Non osavo alzare gli occhi verso una donna circondata di adoratori e così lontana da me per fama e gloria."
Si rincontrarono qualche settimana più tardi in casa di M.me de Stael. Quando Juliette fece il suo ingresso nella stanza, Chateaubriand non udì più il suono della voce di Germaine (de Stael).
Neppure nei sogni più sfrenati avrebbe potuto immaginare una donna pura e tuttavia voluttuosa come Juliette e in quel momento sentì di non avere speranza di affascinarla. Dentro di sé maledì la propria piccola statura e l'espressione cupa da celtico. Qualche minuto dopo era uscita dalla sua vita.
Ben dodici anni dopo quell'incontro, nel 1814, Juliette decise di organizzare una lettura di brani tratti dall'opera di Chateaubriand.
Nel frattempo il marito di Juliette era caduto in disgrazia economica, e i due vivevano in una residenza molto meno lussuosa, anche se una folla illustre continuava ad affollare il salotto di Juliette.
Juliette, cattolica credente, si riavvicinò a Chateaubriand, perché in quegli anni aveva concepito una profonda ammirazione per le capacità letterarie di lui per l'impiego che ne faceva.
Juliette coltivava assiduamente la moglie di Chateaubriand ("il cui carattere è aspro e difficile") con l'unico scopo di conquistare l'amicizia e la fiducia dello scrittore.
L'amicizia interessava molto anche Chateaubriand, che era precipitato dal punto di vista della reputazione politica: Juliette divenne il suo "angelo custode", adoperando la sua influenza a corte, in favore dello scrittore.
Il rapporto tra i due si fece più intimo alla morte di M.me de Stael, nel luglio del 1817 (Juliette aveva ora 40 anni).

Juliette che si sentiva instabile per l'improvvisa assenza della cara amica, e per il vuoto che le si spalancava davanti, in quel momento cominciò a sentirsi particolarmente attratta dall'incantatore bretone.
6 - segue

Fonti: Dan Hofstaedter - La storia d'amore come opera d'arte

20/10/20

Roma: La chiesa di Santa Francesca Romana e l’impronta del ginocchio di San Pietro


 La chiesa di Santa Francesca Romana e l’impronta del ginocchio di San Pietro

 

Per la sua posizione scenografica – sul magnifico prospetto rialzato del Foro Romano, prospiciente il Colosseo e i due archi, di Costantino e di Tito – la Chiesa di Santa Francesca Romana è una delle più richieste da sempre, dai romani per matrimoni e cerimonie religiose.  Non solo: ogni anno, il 9 marzo, si svolge la benedizione degli automobilisti che, provenienti da ogni parte di Roma, vengono qui con la loro vettura.

Le origini della Chiesa sono lontane nel tempo. Fondata nel IX secolo ricevette il titolo di Santa Maria Nova per distinguerla dall’altra chiesa dedicata a Maria esistente già nel Foro Romano con il nome di Santa Maria Antiqua.

La dedica alla Santa romana avvenne molto più tardi alla morte di Francesca Ponziani, la nobildonna vissuta nel Quattrocento, benefattrice e fondatrice dell’Ordine religioso delle Oblate Olivetane  di Tor de’ Specchi.

Nella chiesa di Santa Francesca Romana si conserva anche una suggestiva memoria dell’apostolo Pietro, le cui tracce del resto sono abbondanti nella zona del Foro Romano dove sorgeva il Carcere Mamertino nel quale la tradizione vuole che Pietro, insieme ad altri cristiani fu rinchiuso dopo il disastroso incendio del 64 d.C.

In questo luogo – cioè nel Foro – è collocato anche il racconto del duello tra i due apostoli, Pietro e Paolo e Simon Mago, il misterioso personaggio citato negli Atti degli Apostoli, il quale secondo alcuni testi apocrifi – gli Atti di Pietro in primis – avrebbe vissuto a Roma proprio sotto gli imperatori Claudio e Nerone.

Simon Mago, racconta la leggenda, al cospetto dei due apostoli, i più diretti discepoli di Cristo, li avrebbe pubblicamente sfidati, proprio nel Foro Romano, levandosi prodigiosamente in volo davanti ai loro occhi sbalorditi.

Per fermare questa magia, prosegue il racconto, i due apostoli si inginocchiarono invocando a gran voce Dio perché fermassero l’eretico e l’intervento del Padre non si fece attendere, visto che la magia di Simone si spense come d’incanto, facendolo precipitare al suolo.

A ricordo di questo episodio, proprio nella Chiesa di Francesca Romana, è conservata una pietra antichissima sulla quale è possibile osservare le impronte lasciate dal ginocchio dell’apostolo Pietro.

Per ammirarla bisogna salire le rampe di scale ai lati della cripta e proprio sulla parete destra del transetto si notano le due pietre protette da una vecchia inferriata sulle quali vi sono due cavità annerite dalla adorazione di migliaia di mani che le hanno baciate e toccate nel corso dei secoli. Al di sopra delle grate si legge una antica iscrizione: In queste pose le ginocchia S. Pietro quando i demonii port(arono) Simon Mago per aria.


In realtà sulla figura di Simone – e soprattutto sulla sua presenza a Roma –
sono più le leggende che le fonti certe.  Quel che si può dire è che, secondo gli Atti degli Apostoli era originario della Samaria ed era un profeta che si proclamava possessore di doni strabilianti donatigli direttamente da Dio. Queste figure però erano piuttosto numerose, nella Terra Santa nei primi secoli dopo Cristo ed è molto probabile che – come sostiene Ireneo di Lione – Simone fosse semplicemente il fondatore di una eresia gnostica. 

La sua popolarità comunque, specie a partire dal Medioevo, fu grandissima, al punto tale che anche Dante lo inserisce nel diciannovesimo canto della Divina Commedia intitolandogli addirittura l’intero ottavo cerchio dell’Inferno dove sono ospitati proprio i seguaci di Simon Mago, ovvero i simoniaci (coloro che pretendono di comprare con beni preziosi materiali le capacità spirituali),  con i celebri versi:   O Simon mago, o miseri seguaci/che le cose di Dio, che di bontate/ deon essere spose, e voi rapaci/ per oro e per argento avolterate,/ or convien che per voi suoni la tromba,/però che ne la terza bolgia state. (v.1-6, canto XIX, Inferno).

Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, 2013 


Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (5)


 Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (5)

L'ossessione erotica di Benjamin Constant nacque durante un incontro privato che Juliette (la quale nel frattempo aveva 37 anni ed era ancora vergine) organizzò il 31 agosto del 1814.
Juliette sapeva che le avventure amorose di Benjamin, il quale era stato compagno di Madame de Stael, "gli infiammavano la testa più di quanto gli toccassero il cuore" e che egli ricercava un "perenne stato di agitazione" ovunque potesse trovarlo, anche al tavolo da gioco.
Sia come sia, anche Benjamin in poco tempo si infatuò violentemente di Juliette. Il giorno successivo l'incontro le manda una dichiarazione d'amore, poi la subissa di lettere, adulandola in modo spudorato, la morde e la graffia con le parole, chiede di essere "guarito", impiega tutto il suo senso del tragico nel disperato tentativo di capirla.
Non sappiamo esattamente quale fu l'atteggiamento di Juliette nei suoi confronti: ormai quasi quarantenne, può essersi rivolta a Benjamin con una vivacità particolare solo per misurare con esattezza la propria capacità seduttiva verso gli uomini.
Constant intanto annota nel suo diario ogni più piccolo particolare della sua passione straboccante e dolorosa.
Nonostante ogni sforzo infatti, quella donna "è inesplicabile", e lui la immagina sadicamente crudele.
Benjamin pensa anche al suicidio (sperando che la sua sparizione la commuoverà) e la sua ossessione per Juliette va avanti per quasi tutto un anno.
Ma a un certo punto, all'improvviso, come era arrivata, svanì.
Alla fine del gennaio 1815 si mise seduto e cercò brevemente con carta e penna di capire cosa aveva appreso dalla opinione che Juliette aveva di lui.
Decise di aver parlato troppo - un'intuizione ormai inutile.
Le infinite chiacchiere, gli sembrò, lo avevano reso caustico e arido; gli avevano reso impossibile distinguere il giusto dallo sbagliato. Parlava soltanto di emozioni, ma non ne aveva nessuna o ne aveva troppe, il che era la stessa cosa. La parola era stata la grande corruttrice!
Juliette aveva paura di Benjamin ed era affascinata da Benjamin.
Sembra essere stata afflitta dall'equivalente psichico di quello che i neurologi chiamano "anestesia dolorosa", o torpore doloroso. Avvertiva la propria mancanza di sentimento - "soffrivo per la mia stessa indifferenza" - e nella sua solitudine forse sperò di affezionarsi di più a lui; ma non può averlo sperato a lungo.
Le risposte alle lettere di lui si fanno sempre più rare. Juliette non trova esaltante essere desiderata da una persona che lei non ama e gli scrive solo quando lui la implora.
L'uomo che un giorno avrebbe risolto l'enigma di Juliette era di nove anni più vecchio di lei: un bretone basso dalla carnagione bruna, con occhi tristemente pensierosi e sopracciglia telegrafiche.

5- segue

Fonte: Dan Hofstaedter, La storia d'amore come opera d'arte

19/10/20

Arriva il 5 Novembre nelle sale il nuovo film di Woody Allen: "Rifkin's Festival"



La nuova commedia di Woody Allen 'Rifkin's Festival', presentata alla 68esima edizione del San Sebastian International Film Festival, arriva nei cinema dal 5 novembre. 

La produzione vede la partecipazione di Wallace Shawn, Gina Gershon, Louis Garrel, Elena Anaya, Sergi López e del celebre Christoph Waltz. 

Una nuova pungente storia sull'amore, quella che segna il ritorno di Woody Allen sul grande schermo. 

Prima di tutto è un memento per il pubblico sul fatto che l'amore per le proprie passioni non ha mai fine, in questo caso quello per il cinema che il protagonista Mort (Wallache Shawn) insegnava un tempo ai propri studenti. 

'Rifkin's Festival' ha inizio nello studio di un terapeuta e la storia e' narrata attraverso lo sguardo nel passato di Mort, che ripercorre non solo gli episodi di San Sebastian dove si ambienta il film, ma la sua intera vita. 

Mort Rifkin e' sposato con Sue (Gina Gershon), ufficio stampa di cinema. 

Il loro viaggio al Festival del Cinema di San Sebastian, in Spagna, è turbato dal sospetto che il rapporto di Sue con il giovane regista suo cliente, Philippe (Louis Garrel) oltrepassi la sfera professionale. 

Il viaggio è però per Mort anche un'occasione per superare il blocco che gli impedisce di scrivere il suo primo romanzo. Ossessionato dai grandi classici del cinema diretti da famosi registi come Bergman, Fellini, Godard, Truffaut e Buñuel, Mort e' infastidito dagli elogi per il 'banale'film di Philippe. 

I suoi sprezzanti giudizi, in totale contrasto con l'ammirazione che Sue ha per il regista, mettono a dura prova una relazione gia' fragile. L'umore di Mort migliora sensibilmente quando incontra la dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya), uno spirito affine che vive una situazione matrimoniale burrascosa con il marito Paco (Sergi López), pittore dal temperamento impetuoso. 

Cosi', mentre Sue trascorre le giornate con Philippe, il rapporto tra Mort e Jo si fa sempre piu' profondo e il suo amore per i classici del cinema si ravviva ulteriormente. 

Osservando la propria vita attraverso il prisma di quei capolavori cinematografici, Mort scoprira' cosi' una rinnovata speranza per il futuro. Wallace Shawn aveva gia' lavorato diverse volte con Allen, mentre per gli altri interpreti Gina Gershon, Louis Garrel, Elena Anaya, Sergi López e Christoph Waltz si tratta della prima volta. Altra collaborazione che si rinnova e' quella con Vittorio Storaro alla fotografia. 

La scenografia e' di Alain Baine'e, il montaggio di Alisa Lepselter, i costumi di Sonia Grande e le musiche di Stephane Wrembel.