Il Leone che azzanna un cavallo è una scultura marmorea di età romana restaurata nel ’500 e che, dopo essere stata adottata come ornamento nel giardino del Museo Nuovo Capitolino, è oggi una delle opere più ammirate della esposizione permanente, al suo interno.
E ha una storia veramente
particolare. In epoca medievale, infatti, e per lunghi secoli si trovava semiinterrata
ai piedi del Palazzo Senatorio, posizione da cui fu spostata in seguito alla risistemazione
del Campidoglio di Michelangelo.
La statua, meravigliosa
opera di rappresentazione ferina che coglie in pieno dinamismo la scena di
caccia di un leone, era adibita a compiti veramente umilianti che ne accrebbero
la fama macabra.
Di fianco al leone, eretto, venivano lette infatti le sentenze di morte, e su di esso venivano esposti al pubblico ludibrio malfattori di ogni sorta: ladri, briganti, assassini, mercanti disonesti, debitori insolventi, truffatori, sedicenti maghi e alchimisti.
L’usanza
risaliva agli statuti romani del 1363 e generò il proverbiale detto, di “dar il culo al lione”, che si
applicava inesorabilmente a chi si metteva nei guai.
La statua è citata anche in
diversi passi della Vita anonima di
Cola di Rienzo, come quello relativo alla morte, avvenuta l’8 ottobre 1354,
quando, ormai abbandonato da tutti, il tribuno cercò per l’ultima volta di
arringare la folla, in Campidoglio. Ricevendone, in cambio il linciaggio.
Oggi nei giardinetti a sinistra della rampa capitolina si eleva una statua raffigurante Cola di Rienzo, eretta nel 1887 (opera dell’artista fiorentino Girolamo Masini) e che si pretendeva fosse stata apposta proprio nel punto esatto dove il tribuno cadde morto.
Si tratta però di un errore: Cola morì esattamente ai piedi del Palazzo Senatorio, proprio nel cosiddetto “loco del lione”, dove cioè si trovava il gruppo scultoreo del Leone che azzanna un cavallo, il luogo prescelto per dare pubblica lettura delle sentenze.
Anche la morte tragica di
Cola di Rienzo, dunque, che alla fine per tentare di sottrarsi al linciaggio si
era anche travestito da popolano, contribuì nel tempo ad accrescere la fama
sinistra della statua, che del resto già nella scena rappresentata metteva in
scena la morte, nel suo aspetto più violento.
Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editore, 2015
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