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11/11/25

PERDERSI FA BENE A RITROVARSI (perché chi non si perde è forse condannato a non trovarsi mai)

 


PERDERSI FA BENE A RITROVARSI 

(perché chi non si perde è forse condannato a non trovarsi mai)

di Fabrizio Falconi

Non so se c'entri il diluvio Sinner, ma fioccano ovunque autobiografie di tennisti ed ex tennisti come se piovesse.

Mancano all'appello Fabio Fognini, Paolo Cané e pochi altri, ma arriveranno.

Intanto sono appena uscite quelle di Bjorn Borg, di Boris Becker, di Pat Cash, eccetera eccetera.

Ciò che rende la vita dei tennisti così appassionante sembra essere la loro propensione ad essere nevrotici e ad aver avuto quindi vite nevrotiche, colme di segreti eccessi e di furiose lotte con il proprio demone artistaide che il tennis (specie quello di ieri) sapeva incarnare.

Ma la prima e insuperata biografia del settore, quella che va oltre quel che si si aspetterebbe dal gossip stiloso è stata sicuramente “Open” che ha raccontato vita e opere di uno dei geni più irregolari della racchetta. Uno specialista vero di cadute negli abissi e risurrezione. Cosa che ha fatto dell'uscita di questo libro un evento duraturo mondiale.

Il merito è in gran parte dello scrittore che è dietro quella biografia: JR Moehringer (di famiglia italiana, nonostante il suo cognome), vincitore del premio Pulitzer per il giornalismo, autore di un romanzo come Il Bar delle Grandi Speranze, che ha vinto molti premi importanti e che è stato portato sullo schermo da George Clooney con il titolo The Tender Bar (2021), protagonista Ben Affleck (ne consiglio il ripescaggio da chi lo ha perso all'epoca).

La forza di Open - ciò che ha conquistato platee enormi di lettori, tra i quali anche quelli che non capiscono un'acca di tennis - è la meticolosa e appassionante descrizione di quello che Jung chiamerebbe “processo di individuazione”, quel percorso, cioè, attraverso il quale ciascuno di noi è chiamato a conoscere sé stesso, che è poi lo scopo per cui si sta al mondo.

La vicenda è nota: Agassi a cinque anni si ritrova con una racchetta da tennis in mano, ferocemente preda di un padre pazzo, esule armeno trapiantato nel deserto di Las Vegas. Il padre pazzo ha deciso per lui il suo destino. Sarà, costi quel che costi, un tennista. Ma non uno qualsiasi, un campione.

La “vocazione” di Agassi non è la “sua” vocazione dunque, ma la vocazione che qualcun altro gli ha appiccato addosso e che lui, per molti motivi che sono l'ossatura del libro, non può fare a meno di seguire.

Ciò provoca nel ragazzo un costante sentimento di scissione: amore-odio per il tennis, amore-odio per (quel)la vita, che durerà fino al giorno in cui - dopo aver conquistato ben otto titoli slam - deciderà di smettere.

E' questa la ragione del successo di una vicenda che parla a tutti.

Perché tutti, più o meno, nell'incertezza del nostro destino, ci siamo trovati a dover scegliere tra quello che gli altri pensavano fosse il giusto per noi e quello che noi, confusamente o no, sentivamo invece che fosse “più” giusto.

La confessione di Agassi è bella e molto dolorosa e sa di autentico (del resto, quando un libro di 500 pagine, scritto tutto in prima persona, senza pause, e al tempo presente, ti tiene inchiodato - anche se tu sai già tutto di cosa accadrà perché quel tennista lo hai visto decine e centinaia di volte in televisione - vuol dire che il libro è eccellente).

La trasformazione del “Kid di Las Vegas”, ranocchio che si veste con orrende tute fucsia e ha al posto dei capelli un parrucchino biondo leopardato (un boro , lo si sarebbe definito a Roma), in un principe della racchetta, gentleman, marito romantico e benefattore con evolutissima scuola di formazione al seguito, da lui fondata per bambini disagiati, è soprattutto credibile.

Agassi, infatti, dopo aver tanto sofferto e dopo essersi perso innumerevoli volte si è anche trovato.

Ha capito insomma sulla sua pelle, quello che tutti noi sappiamo, più o meno inconsciamente, ma facciamo finta di non sapere. Ovvero che sono le esperienze, e più di tutto le esperienze negative, quelle che discendono dalla nostra ombra , non quelle del mondo brutto e cattivo, a darci la possibilità, costantemente, di diventare persone migliori.

Agassi ha faticosamente capito che non sapeva chi era perché non gli era stato permesso né di conoscere sé stesso, né di conseguenza, le cose del mondo.

E' una bella parabola di vita, un invito al sacrificio (parola che oggi suscita allergia) di uscire dalla famosa comfort zone personale dentro la quale si sguazza, per osare, sbagliare, fallire, perdersi.

Osare, sbagliare, fallire, perdersi sono il motore dell'evoluzione personale. Il ritrovarsi non è garantito, ma non tentare vuol dire vivere la vita sul binario a scartamento ridotto.

Fabrizio Falconi

(leggi su substack: https://substack.com/home/post/p-178342033) 



30/10/25

AMORE E PSICHE NELL' ANNO 2025 (L'amore è vivo ma non sembra)


AMORE E PSICHE NELL'ANNO 2025

(L'amore è vivo, ma non sembra)

di Fabrizio Falconi 

Al quinto lustro degli anni Duemila, l'Amore non sembra passarsela molto bene.

E a dir la verità, nemmeno Psiche, che forse sta messa peggio.

Guardando ieri sera il memorabile finale del film “La Comune” del grande Thomas Virtenberg (2016) mi ha colpito l'epitaffio pronunciato ad alta voce da uno dei personaggi secondari, dopo la morte di un bambino: “L'amore è morto e lui ha deciso che non voleva vivere in un luogo dove non c'è amore.”

Beh, ho il forte sospetto che su queste morti - o assenze - di Amore e Psiche, incida parecchio la smemoratezza (sopraffatti da meravigliose intelligenze artificiali) dei miti fondativi.

La Psiche di Apuleio (Le Metamorfosi, 159 dC), fanciulla di racconto bellezza da insidiare quella di Venere (suscitandone terribile gelosia), è la personificazione dell'anima: il quid inspiegabile che rende una persona racconto e diversa da ogni altra.

Psiche, cioè Anima, è anche il soffio, la parte vitale e spirituale di ogni essere vivente.

Psiche è insomma magnifica e aerea. Ma ha bisogno di incarnazione, di sostanza, di corpo, di fisicità. Ed ecco che il mito presenta un ottimo candidato per fondersi con lei: il bellissimo Amore-Cupido, figlio addirittura di Venere.

Ciò che però Psiche non sa è che Amore-Cupido è stato mandato a lei da Venere per trarla in inganno. Quando Psiche cadrà innamorata (falling in love dicono gli inglesi), scoprirà il suo malgrado che Amore-Psiche è in realtà un mostro.

Ben le sta, si direbbe: così impara ad innamorarsi del primo sconosciuto che arriva e che le si infila nel letto! Ma Psiche ha tutte le scuse del caso: un banale incidente relativo allo scocco della freccia ha fatto sì che anche Amore si sia innamorato perdutamente della ragazza e voglia fare di tutto per restare con lei.

Per questo nel grande palazzo pieno di meraviglia in cui l'ha portata (degno di quello della “Bestia” disneyana) Amore ha stabilito per lei una legge che non dovrà mai trasgredire: i loro incontri saranno sempre al buio, di notte. Per evitare di dover svelare la propria identità mostrifera.

Sappiamo tutti com'è andata a finire: sospinta dalle solite sorelle impiccione, la Psiche innamorata, decide di fare luce. In tutti i sensi. Accende una lampada mentre Amore giace al suo fianco e riesce perfino a svegliarlo perché una goccia d'olio bollente cade sul suo corpo nudo.

Amore però, è strano, alla luce della lampada di Psiche, non si manifesta affatto come un mostro. Ma la trasgressione del divieto, basta far scappare il bellissimo amante e lasciare Psiche nella più cupa disperazione.

Per ritrovarlo dovrà superare ben quattro difficilissime prove (decise dalla crudele Venere) compresa una discesa agli inferi. Salvata da un sonno mortale da Amore, verranno finalmente celebrate le nozze dalle quali viene generata un bel bebé chiamato eloquentemente Piacere (o Voluttà).

In questo racconto c'è tutto. Una specie di bignami che ciascun essere umano alle prese con l'incanto dell'amore, dovrebbe conoscere a memoria.

Ma ahimé oggi i manuali per le relazioni amorose escono dalle rotative di Temptations Island.

In un paese, l'Italia, dove i cosiddetti “femminicidi” (termine quasi più orrendo dello stesso delitto al quale si riferisce) sono diventati la tipologia più diffusa di omicidio, l'educazione all'amore è precipitata a livelli pre-mitologici.

L'ingegno iniziale di Psiche di concedersi ad Amore senza sapere nulla di lui, poteva costarle cara. Era questo che voleva Venere, la narcisista per eccellenza.

Apuleio indica invece piuttosto chiaramente che Amore va indagato, deve esserlo. Specialmente quando qualcuno al di fuori, o lo stesso amante ha stabilito delle regole ingiuste e incomprensibili, che non c'entrano nulla con “l'amore”.

E' il coraggio e l'intraprendenza di Psiche a salvarla (e anche, in questo caso, la saggezza interessata delle sorelle): insomma, i mostri bisogna guardarli in faccia.

Se la lampada non viene accesa, i mostri rimangono sconosciuti.

La lampada bisogna accenderla, anche se il presunto Amore rischia di scapparsene volando, o rischia di manifestarsi come un mostro vero.

E chi vorrebbe accoppiarsi o giacere con un mostro?

La storia di Apuleio ha un lieto fine. Ma per i mortali le cose non vanno sempre così: negli ultimi tempi sempre meno.

Lieto fine sì, poi. Ma Psiche - l'anima incarnata - deve farsi un bel mazzo, se vuole arrivare a dama e conquistare L'Amore.

4 prove, ciascuna simbolica, che rappresentano quel che viene richiesto ad una scelta per essere davvero consapevoli.

Una bella faticaccia. Ma non si scappa. Gli amori narcisisti sono finti amori, il piacere al buio non è un vero piacere, le regole arbitrarie assomigliano ai capricci e alle vessazioni, il mostro è in agguato anche se il piacere notturno sembra bello e incantato.

Almeno finché non viene accesa la lampada.

Nell'anno domini 2025 sempre meno lampade sono accese, forse perché gli schermi digitali con touchscreen fanno una gran bella luce azzurrina. Peccato che rimandano soltanto l'immagine riflessa del nostro perduto desiderio.

FABRIZIO FALCONI


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