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16/04/21

Carla Gravina e Gian Maria Volonté: il racconto di un grande amore

 



Carla Gravina, una delle migliori interpreti del cinema e del teatro italiano, giunta alla soglia degli 80 anni, ritiratasi dalle scene completamente dal 1994, racconta in una bellissima intervista a Maria Laura Giovagnini a IO Donna - Il Corriere della Sera ("Sono scomparsa perché volevo vivere") che trovate integralmente qui - la sua grande storia d'amore con Gian Maria Volonté. Pubblico l'estratto dell'intervista perché davvero rappresenta una bella fetta di anni d'oro del nostro cinema e del nostro spettacolo italiano, nel quale la Gravina parla di Volonté che chiama, con un misto di ironia e venerazione, "il mostro". 

Il mostro?

Gian Maria (Gian Maria Volonté, ndr). Un mostro-mostro, che ho amato tanto! Ho ancora qua davanti la foto del primo sguardo… Eravamo a Verona nel 1960, due pischelli che – durante le prove di Romeo e Giulietta – si stanno fissando. Ci siamo tanto amati, tanto detestati, tutto: però abbiamo messo al mondo una bella figlia e ora ho un bel nipote, che magari mi renderà bisnonna. Qui di fronte ho un’altra immagine…


Quale?

Sul palco a Vienna (ci applaudirono per 45 minuti!) dopo Le baruffe chiozzotte di Giorgio Strehler. Un incontro fondamentale, un maestro. Io… Insomma, gli piacevo e lui mi piaceva, ma stavo con Gian Maria e figurati se lo tradivo, sono corretta. Corretta e scema: mi ha tradito come un pazzo! E non mi ha neppure aiutato a mantenere la bambina.


Possibile?

Quando gliel’ho chiesto, mi ha ribattuto: «No». «”No” non è una risposta. Non importa: ce la farò». E ce l’ho fatta. Avrei dovuto svergognarlo: «Guardate il compagno Volonté, non si preoccupa della figlia…». In realtà, ce l’aveva con me perché non sono voluta tornare con lui.

Ha opposto il gran rifiuto?

E certo, cavolo! Una sera mi avverte: vado alla S.A.I., il sindacato attori. Ok, allora io esco con gli amici. Siamo al ristorante, una lunga tavolata, e a un certo punto uno mi avverte: «Carla, non ti voltare: nell’altra sala c’è Gian Maria». Mi giro, ovvio: era lì con Mireille Darc. Mano nella mano, occhi negli occhi.


Che colpo.

Ah, ma mi sono vendicata! Quando si sono alzati per uscire – tutti cipcip cipcip – li ho raggiunti fuori, erano davanti alla macchina (mia, peraltro) e si stavano baciando. Pensate al mio cuore! Però in questi casi divento di una freddezza pazzesca: ho fatto il nostro fischio (io e Gian Maria avevamo questo “segnale”). Non dimenticherò mai la faccia di lui quando mi ha visto! Mi sono avvicinata a passi lenti come nel Far West (so diventare sparviera!), ho preso fra le nocche la guancia della fanciulla e l’ho girata come faceva mio padre con me: «Carina, la ragazza…».

Finita così?

Non ancora. È partito per Parigi e quando è tornato – mi ero trasferita in una casina piccola – è venuto, si è messo a piangere. Sapete, gli uomini (e, per di più, attori) sono bravissimi. C’è stato un tira molla, però ormai ero troppo ferita… Eppure – parliamoci chiaro – è stato quello che ho amato di più. L’ho amato pazzamente, sennò non avrei mai messo al mondo una figlia a neppure vent’anni con uno sposato, bloccandomi la carriera.

“Bloccandola”?

L’ho pagata cara: eravamo nel 1961, ti chiudevano le porte, non ti facevano più lavorare. Per giunta, ero “specializzata” in ruoli da ragazzina, come quello di Esterina, scritto su misura per me: Esterina ero io, semplice, ingenua, buona. Ma dopo la storia con Gian Maria, Dino De Laurentiis rompe il contratto settennale e resto senza una lira (avevo uno stipendio, ero ben pagata). Ricevevo lettere di donne che mi insultavano e mi davano della prostituta. Però ne ricevevo altrettante in cui mi ringraziavano: «Carla, il tuo gesto è importante per noi…». Non c’era eroismo, in verità, non c’erano calcoli: ero come mi veniva.



23/05/20

Domani, 24 maggio, 120 anni dalla Nascita di Eduardo de Filippo



"Ogni anno di guerra ha contato come un secolo della nostra vita di prima. Davvero non è più il caso di tornare a quelle vecchie storie" disse al pubblico romano Eduardo De Filippo tornando a recitare nel 1945 subito dopo la Liberazione, annunciando di aver abbandonato le vecchie farse e il sodalizio col fratello Peppino. 

E aggiunse che "Questi fantasmi" novita' che debuttava quella sera, "ha un primo atto che si riallaccia a quel genere: le conseguenze della guerra viste attraverso la lente della farsa. Ma dopo statevi attenti, e' il dopo che conta!" 

Oggi, in questi giorni di pandemia mondiale, quelle parole ci risuonano con un loro rinnovato senso. 

Per Eduardo, nato il 24 maggio 1900, esattamente 120 anni fa, e quindi naturalmente chiamato a rappresentare commedie, tragedie e prese di coscienza di quel tormentato XX secolo, era finita l'epoca delle "Cantate dei giorni pari", dei giorni che "ci illudevamo fossero sereni', e iniziava quella delle "Cantate dei giorni dispari" (come ha intitolato le raccolte dei suoi testi drammaturgici). 

Del resto, tra lavori comici come "Chi e' piu' felice di me" o "Natale in casa Cupiello" e "Napoli Milionaria" e tutta la nuova produzione sino a "Gli esami non finiscono mai" c'era stato l'incontro fondamentale con Pirandello, come grande interprete del "berretto a sonagli" e col quale scrisse anche a quattro mani "L'abito nuovo", cosi' che quel mondo di illusioni, di dolorosa comicita', di scarto tra illusioni e realta', di molteplicita' di punti di vista e il ragionare dell'autore dei "Sei personaggi", viene decantato a suo modo in quella concretezza dei fatti, dei problemi e del vivere quotidiano propria del teatro di Eduardo. 

Certe risate finali di Eduardo sono la capacita' del personaggio di vivere il paradossale assieme e dentro la propria infelicita', mentre per i personaggi di Pirandello sono risate di chi si sente mancare la terra sotto i piedi davanti al grottesco rivelarsi della propria tragedia esistenziale. 

 Autore certo Eduardo, ma anche attore e regista e questa triade trova in lui un'unita' particolare che e' quella che lo rende interprete naturalissimo, quasi non recitasse, di quel che fa e dice, sin dal suo entrare in scena, come casualmente, con un gesto, uno sbadiglio un colpo di tosse o uno stupore che gli danno una vicinanza allo spettatore e propongono un gioco che sembra nascondere la finzione dietro, dentro la realta'

E tutto sempre aspettando un po', puntando sulle sue celebri pause, i suoi silenzi vivi, silenzi interiori che trasudano tutto attorno a lui, creando un'atmosfera inquietante, allusiva, e che hanno fatto un grandissimo artista di questo signore magro, alto, col sopracciglio pronto a inarcarsi, ora ironico, ora stupito, ora sofferente e l'occhio interrogativo, curioso, come cercasse di capire il mistero del mondo contraddittorio che lo circonda. 

Questo ottenere il massimo col minimo era la sua grandezza di interprete che, per chi lo ha conosciuto, legano a lui in modo particolarissimo e assolutamente poetico i suoi testi, cosa che si capisce anche e persino dalle registrazioni televisive di alcune sue commedie, riandate in onda e proposte su Raiplay in questo periodo. 

Ma queste, nei quasi quarant'anni dalla sua scomparsa, hanno dimostrato di avere una forza e una verita' propria che supera il tempo e certe letture tradizionali. 

Gia' suo figlio Luca, scomparso improvvisamente a 67 anni nel 2015, aveva cominciato a permettere che altri registi vi ci si avvicinassero a modo loro

Ora tutto e' in mano ai suoi figli e alla moglie, l'attrice Carolina Rosi, che gestisce questa eredita' con serieta' e coraggio proprio nell'aprire Eduardo a chi sa scavarlo e trovare semi nuovi nelle sue storie di vita, nella verita' delle sue situazioni esemplari e comuni assieme, senza mai un filo di retorica o una parola superflua

La sua e' una drammaturgia dell'essenziale che sembra andare dritta al finale, che puo' anche apparire ambiguo perche' cosi' e', ma sempre nel nome di una morale, della giustizia e del valore dell'essere umano. 

Figlio naturale di un grande attore e autore napoletano, Eduardo Scarpetta, come i fratelli Titina e Peppino, con loro crea negli anni Trenta la Compagnia del Teatro Umoristico. 

Dopo la guerra da solo ecco invece il nuovo Teatro di Eduardo con una serie di titoli che divengono subito popolari, specchio dell'Italia disastrata e che rinasce, da "Filumena Marturano" a "Questi fantasmi" o "Il sindaco del Rione Sanita'". 

Negli anni Cinquanta riapre a Napoli il Teatro San Ferdinando e il successo e' continuo, internazionale e con tanti i riconoscimenti come il prestigioso Premio Accademia dei Lincei, due lauree Honoris causa e la nomina a Senatore a vita (fu nel gruppo Sinistra indipendente) nel 1981 da parte del Presidente Pertini. 

 Del resto, accanto alla sua corda pazza artistica e' stata sempre viva la corda civile e il suo impegno sociale, come dimostrano negli anni le sue nette prese di posizione politiche pubbliche, anche se alla fine non nascondeva una certa disillusione. 

"Questi partiti politici lontani dalla nostra vita, divenuti fantasmi anche loro - disse con bella preveggenza un anno prima di morire nel 1984, parlando di "Questi fantasmi" - e chissa' che non siano riusciti a convertire anche tutti noi in fantasmi".