"Ogni anno di guerra ha contato come
un secolo della nostra vita di prima. Davvero non è più il caso
di tornare a quelle vecchie storie" disse al pubblico romano
Eduardo De Filippo tornando a recitare nel 1945 subito dopo la
Liberazione, annunciando di aver abbandonato le vecchie farse e
il sodalizio col fratello Peppino.
E aggiunse che "Questi
fantasmi" novita' che debuttava quella sera, "ha un primo atto
che si riallaccia a quel genere: le conseguenze della guerra
viste attraverso la lente della farsa. Ma dopo statevi attenti,
e' il dopo che conta!"
Oggi, in questi giorni di pandemia mondiale, quelle parole
ci risuonano con un loro rinnovato senso.
Per Eduardo, nato il
24 maggio 1900, esattamente 120 anni fa, e quindi naturalmente
chiamato a rappresentare commedie, tragedie e prese di coscienza
di quel tormentato XX secolo, era finita l'epoca delle
"Cantate dei giorni pari", dei giorni che "ci illudevamo
fossero sereni', e iniziava quella delle "Cantate dei giorni
dispari" (come ha intitolato le raccolte dei suoi testi
drammaturgici).
Del resto, tra lavori comici come "Chi e' piu'
felice di me" o "Natale in casa Cupiello" e "Napoli
Milionaria" e tutta la nuova produzione sino a "Gli esami non
finiscono mai" c'era stato l'incontro fondamentale con
Pirandello, come grande interprete del "berretto a sonagli" e
col quale scrisse anche a quattro mani "L'abito nuovo", cosi'
che quel mondo di illusioni, di dolorosa comicita', di scarto tra
illusioni e realta', di molteplicita' di punti di vista e il
ragionare dell'autore dei "Sei personaggi", viene decantato a
suo modo in quella concretezza dei fatti, dei problemi e del
vivere quotidiano propria del teatro di Eduardo.
Certe risate
finali di Eduardo sono la capacita' del personaggio di vivere il
paradossale assieme e dentro la propria infelicita', mentre per i
personaggi di Pirandello sono risate di chi si sente mancare la
terra sotto i piedi davanti al grottesco rivelarsi della propria
tragedia esistenziale.
Autore certo Eduardo, ma anche attore e regista e questa
triade trova in lui un'unita' particolare che e' quella che lo
rende interprete naturalissimo, quasi non recitasse, di quel che
fa e dice, sin dal suo entrare in scena, come casualmente, con
un gesto, uno sbadiglio un colpo di tosse o uno stupore che gli
danno una vicinanza allo spettatore e propongono un gioco che
sembra nascondere la finzione dietro, dentro la realta'.
E tutto
sempre aspettando un po', puntando sulle sue celebri pause, i
suoi silenzi vivi, silenzi interiori che trasudano tutto attorno
a lui, creando un'atmosfera inquietante, allusiva, e che hanno
fatto un grandissimo artista di questo signore magro, alto, col
sopracciglio pronto a inarcarsi, ora ironico, ora stupito, ora
sofferente e l'occhio interrogativo, curioso, come cercasse di
capire il mistero del mondo contraddittorio che lo circonda.
Questo ottenere il massimo col minimo era la sua grandezza
di interprete che, per chi lo ha conosciuto, legano a lui in
modo particolarissimo e assolutamente poetico i suoi testi, cosa
che si capisce anche e persino dalle registrazioni televisive di
alcune sue commedie, riandate in onda e proposte su Raiplay in
questo periodo.
Ma queste, nei quasi quarant'anni dalla sua
scomparsa, hanno dimostrato di avere una forza e una verita'
propria che supera il tempo e certe letture tradizionali.
Gia' suo figlio Luca, scomparso improvvisamente a 67 anni nel
2015, aveva cominciato a permettere che altri registi vi ci si
avvicinassero a modo loro.
Ora tutto e' in mano ai suoi figli e
alla moglie, l'attrice Carolina Rosi, che gestisce questa
eredita' con serieta' e coraggio proprio nell'aprire Eduardo a chi
sa scavarlo e trovare semi nuovi nelle sue storie di vita, nella
verita' delle sue situazioni esemplari e comuni assieme, senza
mai un filo di retorica o una parola superflua.
La sua e' una
drammaturgia dell'essenziale che sembra andare dritta al finale,
che puo' anche apparire ambiguo perche' cosi' e', ma sempre nel nome
di una morale, della giustizia e del valore dell'essere umano.
Figlio naturale di un grande attore e autore napoletano,
Eduardo Scarpetta, come i fratelli Titina e Peppino, con loro
crea negli anni Trenta la Compagnia del Teatro Umoristico.
Dopo
la guerra da solo ecco invece il nuovo Teatro di Eduardo con una
serie di titoli che divengono subito popolari, specchio
dell'Italia disastrata e che rinasce, da "Filumena Marturano"
a "Questi fantasmi" o "Il sindaco del Rione Sanita'".
Negli
anni Cinquanta riapre a Napoli il Teatro San Ferdinando e il
successo e' continuo, internazionale e con tanti i riconoscimenti
come il prestigioso Premio Accademia dei Lincei, due lauree
Honoris causa e la nomina a Senatore a vita (fu nel gruppo
Sinistra indipendente) nel 1981 da parte del Presidente Pertini.
Del resto, accanto alla sua corda pazza artistica e' stata
sempre viva la corda civile e il suo impegno sociale, come
dimostrano negli anni le sue nette prese di posizione politiche
pubbliche, anche se alla fine non nascondeva una certa
disillusione.
"Questi partiti politici lontani dalla nostra
vita, divenuti fantasmi anche loro - disse con bella preveggenza
un anno prima di morire nel 1984, parlando di "Questi
fantasmi" - e chissa' che non siano riusciti a convertire anche
tutti noi in fantasmi".
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