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28/12/20

Quando Orson Welles divenne Otello e scoprì il tradimento della sua "musa italiana"

 


Ci sono casi di film la cui lavorazione fu interrotta per motivi assai più contingenti di un conflitto mondiale. 

Il più pittoresco è quello dell'Otello di Orson Welles.

Nel dopoguerra impazzavano i film tratti da opere liriche, e il produttore Michele Scalera, vedendo Welles sul set romano di Cagliostro, lo immaginò nei panni del Moro musicato da Giuseppe Verdi. 

Orson invece pensava a Shakespeare, e nell'ottobre del 1948 iniziò le riprese a Venezia, in coproduzione con Scalera, con un cast misto: Jago era l'americano Everett Sloane, Emilia l'inglese Harriet White, Roderigo e Brabanzio i nostri Paolo Carlini e Giuseppe Varni; al fianco di Otello/Welles, nel ruolo di Desdemona, c'era Lea Padovani, che nei mesi precedenti s'era imbiondita e aveva studiato l'inglese.  

Si girò a piazza San Marco, a Palazzo Ducale, alla Ca' d'Oro. 

Welles, che aveva appena divorziato dalla Hayworth, aveva avuto amoretti e amorazzi con diverse fanciulle italiane e ora s'era preso una scuffia tremenda per la Padovani: la quale aveva accettato l'anello di fidanzamento ma lo teneva comunque sulla corda. 

Come ammise lei stessa più tardi, Orson non le piaceva granché; la lusingavano le sue attenzioni e l'ombra di Hollywood che intravedeva dietro la sua sagoma gigantesca. 

Aveva invece una relazione con Giorgio Papi, direttore di produzione di Otello, uomo già maritato e con prole. 

Sul set ne erano a conoscenza tutti tranne Welles, accecato dall'amore, che scoperse gli altarini nel peggiore dei modi: sorprendendo i due amanti in piena attività. 

"Io ho avuto le donne più belle del mondo, nessuna mi ha cornificato così!", si lamentava disperato davanti alla troupe, ferito al cuore e alla vanità. 

Il set venne smantellato e l'Otello venne concluso tre anni dopo, con un cast e una impostazione completamente diversi.   

Dei tremila metri di pellicola impressionata nell'autunno del 1948, sopravvivono nell'edizione finale pochissimi fotogrammi, dove la Padovani non è visibile o riconoscibile. 

Tratto da: Alberto Anile, Il romanzo dei film interrotti, Robinson, Repubblica, 24 dicembre 2020, pag. 30