Non si puo' guardare 'Anthropecene -L'epoca umana', documentario di Nicholas de Pencier, EdwardBurtynsky e Jennifer Baichwal, senza pensare che l'attualità,
l'oggi, sarebbero perfetti per il suo ultimo capitolo.
L'ombra
imminente del Coronavirus e' insomma sempre presente in questo film disponibile ora in VOD.
Ma
cosa vuol dire Anthropocene?
È un modo per definire un rito di
passaggio non da poco, quello che vede per la prima volta gli
esseri umani influenzare e determinare i destini della Terra piu'
di ogni altra forza naturale messa insieme.
L'Epoca Olocenica, iniziata 11.700 anni fa con lo
scioglimento dei ghiacciai, sarebbe cosi' finita e sostituita
dall'Anthropocene, dove gli esseri umani, diventati la specie
piu' forte al mondo, minacciano ormai la sua stessa esistenza.
Da
qui immagini di tanti disastri, quelli derivanti dall'estrazione
mineraria, l'urbanizzazione, l'industrializzazione e
l'agricoltura.
E ancora la proliferazione delle dighe, il
dirottamento dei corsi d'acqua e l'acidificazione degli oceani
e, infine, la presenza invasiva di plastica e cemento.
Originariamente concepito come saggio fotografico e terzo di
una trilogia - dopo Manufactured Landscapes (2006) e Watermark
(2013) -, il progetto multimediale si e' sempre piu' evoluto
includendo installazioni cinematografiche, murales ad alta
risoluzione di Edward Burtynsky, cortometraggi VR a 360 ° e,
infine, installazioni di realta' aumentata.
E tutto questo con la
voce di Alba Rohrwacher ad accompagnare le immagini di un
disastro annunciato come quelle della barriera di cemento in
Cina che copre il 60% della costa continentale, quelle delle
suggestive miniere di potassio negli Urali, la grande barriera
corallina in Australia e, infine, quelle degli stagni di
evaporazione del litio nel deserto di Atacama.
All'incrocio tra
arte e scienza, Antropocene - L'epoca umana testimonia comunque,
attraverso l'esperienza e non la didattica, un momento critico
nella storia geologica - portando un'esperienza provocatoria
dell'ampiezza e dell'impatto della nostra specie.
"La filosofia del nostro film - spiega Nicholas de Pencier -
non e' mai stata quella didascalica ne' tantomeno quella
intellettuale. Il desiderio era piuttosto quello di cercare di
essere piu' empirici possibile con la speranza che lo spettatore,
non essendo investito da troppe informazioni, ne ricevesse un
effetto piu' intenso e forte.
Avere a che fare con le sole
immagini - continua il regista - spinge a essere piu' attivi, a
riflettere sulla base di pensieri ed emozioni. Cosa che avviene
meno se si utilizzano le interviste.
Non fornendo molte
informazioni avevamo bisogno di creare un interesse visivo anzi,
direi, una seduzione visiva in grado di spingere il pubblico a
contemplare queste cose. Abbiamo cercato comunque - conclude -
di non creare una visione troppo estetica del disastro del mondo
attraverso una scelta di luoghi che invitassero anche a
riflettere in maniera piu' profonda".
Fonte: Francesco Gallo per ANSA