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07/02/22

Sam Shepard e Wim Wenders, i dialoghi dettati al telefono: come nacque il capolavoro di "Paris, Texas"



Come sanno tutti quelli che hanno amato e amano Paris, Texas, capolavoro di Wim Wenders, che uscì nel 1984 e vinse in quell'anno la Palma d'Oro al Festival di Cannes, quest'opera si caratterizza, fra le altre cose, per essere quasi del tutto priva di dialoghi. 

Come nacque la magia del film?

Sicuramente tutto risale alla straordinaria amicizia tra Wenders e Sam Shepard, che ci ha lasciato purtroppo il 27 luglio del 2017.

Wim Wenders aveva viaggiato all'epoca a lungo negli Stati Uniti e aveva dichiarato di voler "raccontare una storia sull'America". Il film prese il nome dalla città texana di Paris, ma in realtà non vi fu  ambientata lì nessuna scena. 

Già all'inizio della sua carriera Wenders aveva scattato molte fotografie durante la ricerca di luoghi negli Stati Uniti occidentali, ritraendo luoghi come Las Vegas e Corpus Christi, in Texas . 

Sam Shepard aveva già ha incontrato Wenders per discutere della scrittura e/o della recitazione per il progetto Hammett (diventato poi il film L'amico americano) di Wenders, ma si disse non interessato a scrivere di Hammett.  

I due presero però in considerazione l'idea di adattare vagamente una novella scritta da Shepard, Motel Chronicles e iniziarono a sviluppare insieme una storia di fratelli, uno dei quali ha perso la memoria. 

La loro sceneggiatura crebbe fino a 160 pagine, poiché il rapporto fratello-fratello diminuì di importanza e furono presi in considerazione numerosi finali. 

Il film fu girato in sole quattro o cinque settimane, con solo un piccolo gruppo al lavoro nelle ultime settimane, e la realizzazione fu molto breve e veloce. Ci fu però un'interruzione alla fine delle riprese, durante la quale la sceneggiatura fu poi completata. 

Il film segnava la prima volta che Wenders evitava completamente lo storyboard,  andando direttamente alle prove, sul posto, prima delle riprese. 

Le riprese iniziarono nel 1983 quando la sceneggiatura era ancora incompleta, con l'obiettivo di girare secondo l'ordine della storia. Shepard pianificò di basare il resto della storia sulle osservazioni degli attori e sulla loro comprensione dei personaggi

A causa di continui rinvii per la difficoltà nel reperire i fondi necessari per la produzione Sam Shepard si ritrovò impegnato a lavorare a un altro film quando Paris, Texas raggiunse il punto in cui la sceneggiatura finiva. Wim Wenders fu aiutato da Kit Carson, che era sempre presente sul set essendo il padre di Hunter Carson, il bambino del film, per alcune scene. 

In seguito Wenders spedì ciò che aveva scritto a Sam Shepard, che a sua volta dettò per telefono al regista i dialoghi tra Harry Dean Stanton e Nastassja Kinski delle due scene madri del film, che si svolgono all'interno della cabina del peep-show, e che rappresentano il vero acme del film. 

Wenders e i suoi collaboratori, decisero di non ritrarre un peep show realistico, poiché avevano bisogno di un formato che consentisse una maggiore comunicazione tra i personaggi. 

Kinski non poteva vedere nessuno, solo uno specchio, nelle scene del peep show, e dopo la fine delle riprese ha confessato che questo creava una vera sensazione di solitudine.

Le sfide sono emerse quando il film ha esaurito le finanze, ma Wenders si è sentito sollevato quando  ha completato la scena con la Kinski, osservando: "mi sono reso conto che avremmo toccato le persone in grande stile. Ero un po' spaventato dall'idea".

Era la percezione di essere riuscito - grazie all'aiuto fondamentale di Sam Shepard - a portare a compimento il suo film, poeticamente e creativamente, con quell'ultima lunga scena entrata, con ogni merito, nella storia del cinema. 

Fabrizio Falconi - 2022

26/02/19

Trovo estasi nell'atto di vivere. Tra Emily Dickinson e Wim Wenders.



L’anima è un luogo così nuovo che la notte di ieri sembra già antiquata.
Così scriveva Emily Dickinson.  Il passare del tempo è qualcosa di incomprensibile per noi umani, nonostante Κρόνος scandisca e sia teatro di tutta la nostra esistenza su questa terra al punto tale che la nostra apprensione di misurare il tempo è divenuta panacea o illusione di poterne controllare il decorso.
Ma se il passare del tempo è inestricabilmente legato alla nostra carne, il tempo dell’anima, quello che percepiamo come tempo dell’anima, segue coordinate del tutto diverse.
Trovo estasi nell’atto di vivere, scrive ancora la Dickinson, il semplice senso di vivere è gioia sufficiente.
Se percepiamo questo, siamo sicuri di possedere una natura non solo corporea, la quale si muove secondo altri ordini che non sono quelli semplicemente spazio-temporali.
Il povero Travis – nella storia immaginata da Sam Shepard e realizzata in film da Wim Wenders in Paris,Texas – ha perso tutto e ha perso il tempo.
Lo vediamo vagare nel deserto all’inizio del film. E’ un navigatore solitario, sperso: il tempo e il luogo non esistono. E’ come una navicella alla deriva nello spazio. Un trauma, quello della perdita della persona amata, l’ha messo in orbita, l’ha sospinto lontano.

Quando gli amici Walt e Anne gli mostrano il vecchio super8 – di quella giornata apparentemente banale, al mare d’inverno, trascorsa insieme – Travis è come se tornasse a casa.
Trova il proprio centro, ri-scopre se stesso attraverso la consapevolezza definitiva della perdita subita.
La disperazione è totale, ma il lutto è finalmente elaborato.  E’ da qui che si riparte.
In fondo è come quel che accade a noi, alla fine e all’inizio di ogni ciclo di vita.
Abbiamo perso il tempo. Ricordando lo ri-troviamo. Lo ri-viviamo. Ed è attraverso questa dolorosa consapevolezza –  “la notte di ieri sembra già antiquata” – che la nostra anima, luogo sempre nuovo, disincarnandosi dal passato che vuole costringere a radicarsi, a mettere radici, torna eterna in ogni “atto di vivere”.