Visualizzazione post con etichetta radiohead. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta radiohead. Mostra tutti i post

01/11/25

IL VERO AMORE ASPETTA. SI', MA QUANTO? (L'esitazione fatale di Marcel Proust)

 



True Love Waits , cantano i Radiohead in un loro grande brano: “il vero amore aspetta”. Sì, ma quanto?

Quanto è giusto e quanto è opportuno aspettare?

Quand'è che aspettare diventa autolesionismo?

Nelle ultime pagine del libro di Dan Hofstadter La storia d'amore come opera d'arte c'è una vicenda tristemente indicativa, riguardante Marcel Proust e le sue esitazioni amorose.

E' noto che da giovane Proust corteggiò a lungo Jeanne Pouquet, figlia di un agente di cambio, la quale, essendo piuttosto benestante e assai graziosa, fece rapidamente ingresso nei salotti della buona società di Parigi.

Proust conobbe Jeanne insieme a Gaston de Caillavet, suo amico dai tempi del militare, uno dei pochissimi amici eterosessuali di Marcel.

Jeanne si innamorò subito di Gaston, ma usò per diversi anni lo “schermo” di Marcel, che era a sua volta dichiaratamente innamorato di lei (e che più tardi usò Jeanne come prototipo per la Gilberte della “Recherche”), ma non si dichiarò mai ufficiale: il padre di Jeanne infatti era infatti un conservatore cattolico e non avrebbe mai gradito che la figlia fosse corteggiata da un liberale semiateo quale era Gaston. Jeanne allora, con l'alacre collaborazione della madre, sfruttò cinicamente la presenza di Marcel per convocarlo sempre, ogni qualvolta si desiderava invitare Gaston, fuori e dentro Parigi, affinché la cosa non destasse sospetto.

Con il passare degli anni, quando finalmente la resistenza del padre di Jeanne fu vinta e il matrimonio con Gaston poté andare in porto, a Marcel fu dato l'immediato benservito.

Marcel soffrì molto e per i successivi 15 anni si rifiutò di mettere mai piede nella casa di Jeanne e Gaston nonostante i ripetuti inviti.

Jeanne aveva rappresentato per Proust (che morì senza mai dichiarare in pubblico la propria omosessualità), l'ultima possibilità di una vita “normale”: se Jeanne aveva corrisposto il suo amore, egli si diceva, forse avrebbe potuto evitare a se stesso la vergogna di essere “invertito” e di doverlo oltretutto nascondere alla amata madre (cosa che fece infatti fino alla morte di lei).

A Jeanne e Marcel il destino offrì poi una seconda chance: Gaston infatti morì prematuramente, a 50 anni. Marcel, sconvolto dalla perdita improvvisa dell'amico, cercò di rivedere Jeanne.

E qui andò in scena l'incredibile, perché nonostante le ripetute lettere e inviti reciproci, questo incontro sfumò a lungo per impedimenti di ogni tipo, finché un giorno Proust non avvertì Jeanne che quella sera sarebbe andata senza indugi a trovarla a casa.

Marcel arrivò alle undici di sera a bordo di un taxi. Suonò il campanello, ma nessuno aprì. Lo scrittore però non si ras segnò. Tornò in macchina ad aspettare, guardando i tre grandi finestroni spesi, poi ordinò al tassista di suonare il clacson, cosa che fu fatta ripetutamente.

Nessuno comunque venne ad aprire.

Marcel tornò sconsolato a casa.

Dall'incrocio delle lettere e diari superstiti esiste la spiegazione che Jeanne non abbia volutamente aperto, e che fosse con il suo nuovo amante (con il quale giaceva già dai tempi del matrimonio con Gaston, il quale era, a sua volta, un incallito fedifrago).

L'incontro andò finalmente in scena parecchio tempo dopo, a casa di Marcel, nella sua camera da letto appesantita dai vapori che usava per combattere la sua fortissima asma, ma fu tristissimo.

Marcel morì nel 1922.

Jeanne, passata alla storia unicamente per la sua “amicizia” con Proust, pensò bene, molti anni dopo, nel 1961, quando lo scrittore era ormai celebratissimo (soltanto dopo la sua morte, con la pubblicazione della Recherche ), di sfruttare editorialmente la vicenda, pubblicando un volume di ricordi su Proust (ampiamente manipolati), che naturalmente andò a rubare.

La scena di Proust sotto casa di lei, di notte, e quella porta chiusa mi hanno ricordato inevitabilmente il finale de L'età dell'innocenza di Edith Wharton e il film che Martin Scorsese ne ha fatto.

Si direbbe un topos narrativo di smisurato dolore e bellezza, come del resto solo la grande letteratura o la grande vita, possono predisporre.

Fabrizio Falconi






20/07/22

"Paranoid Android" : come nacque il capolavoro dei Radiohead, sull'album "OK computer"


OK Computer dei Radiohead è stato pubblicato nel 1997 e rimane non solo uno degli album definitivi degli anni '90 ma anche "l'ultimo album che ha cambiato la storia del rock". Una miscela di rock ed elettronica, oggi il disco è considerato il ponte tra gli esordi chitarristici di Pablo Honey e The Bends e ciò che sarebbe avvenuto con dischi come Kid A e Amnesiac

Fondendo musica pionieristica e commenti sociali taglienti sulla diffusione della tecnologia e dell'economia neoliberale, l'LP è uno degli album più completi mai pubblicati. Grazie alla sua pertinenza, OK Computer è stato un successo trasversale ed è rimasto uno dei migliori della band. 

Sebbene il disco sia stellare dall'inizio alla fine, con brani come "Karma Police", "Exit Music (For a Film)" e "No Surprises", il pezzo forte è la seconda traccia, "Paranoid Android". Un'epopea rock di oltre sei minuti, che mette in mostra ogni aspetto della maestria dei Radiohead in quel momento, e non sorprenderà sapere che la band si è ispirata a "Happiness is a Warm Gun" dei Beatles, un brano costantemente locomotore di "Abbey Road", per il modo in cui ha fuso insieme due brani musicali contrastanti.

Un altro brano classico che li ha ispirati è stato "Bohemian Rhapsody" dei Queen e, a causa delle sue dinamiche sempre mutevoli, sarebbe stato etichettato come "La 'Bohemian Rhapsody' degli anni '90", cosa che la band avrebbe immancabilmente scrollato di dosso grazie alla sua modestia senza compromessi.

Sebbene potremmo parlare per ore della musica di "Paranoid Android", il brano si distingue anche per un altro motivo: i testi del frontman Thom Yorke. 

Come si addice a una canzone composta da giustapposizioni, le sue parole sono state ispirate da due cose completamente contrastanti.

La prima è avvenuta quando Yorke si trovava in un bar di Los Angeles e si è seduto accanto a un gruppo di amici strafatti di cocaina. Una delle donne del gruppo era stata accidentalmente ricoperta dal drink di un'altra persona e si era scatenata in una rabbia di proporzioni "disumane". "C'era uno sguardo negli occhi di questa donna che non avevo mai visto prima da nessuna parte", ha spiegato "Quella notte non sono riuscito a dormire per questo".

Anche se Yorke ha parodiato la donna con l'intramontabile battuta "scalciante porcellino di Gucci", ha voluto fare qualcosa di più con la sua esperienza che non semplicemente criticarla. Ha usato questa esperienza come mezzo per osservare la società nel suo complesso. Ha sfogato la sua rabbia su di noi come collettività, non solo sulla donna, poiché le sue azioni erano indicative di come ci troviamo nei tempi moderni; da qui il sarcasmo di "Dio ama i suoi figli, sì". 

Per il titolo, Yorke ha scelto "Paranoid Android" sia come riferimento a Marvin, l'originale androide paranoico del romanzo spaziale di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti, sia per fare del sarcasmo su come il pubblico lo vedeva. 

Il titolo "è stato scelto per scherzo", ha detto a Jam. "Era del tipo: "Oh, sono così depresso". E ho pensato: "È fantastico. È così che la gente vorrebbe che fossi".

Una canzone incredibilmente stratificata, non c'è da stupirsi che "Paranoid Android" sia uno dei brani ancora oggi più ascoltati e più discussi dei Radiohead. 

28/10/20

Thom Yorke a Roma: " Sono ossessionato dalla musica"


 Un legame tra musica, in forme sempre nuove e immagine e' da sempre al centro del lavoro di Thom Yorke, il leader dei Radiohead, che ha da poco debuttato anche come compositore di colonne sonore firmando le musiche di Suspiria di Luca Guadagnino. 

Capitoli artistici di cui ha parlato nell'ultimo Incontro ravvicinato della 15/edizione della Festa del Cinema di Roma. 

Oltre un'ora e mezza di conversazione con Antonio Monda e Francesco Zippel, centrato sulle colonne sonore, attraverso clip di film e video scelte dal rocker, da Incontri ravvicinati del terzo tipo a 2001 Odissea nello spazio, da Oltre il giardino alla serie sequel di Twin Peaks firmata da David Lynch ("Nessuno puo' essere libero come lui")

Nonostante il suo amore per il cinema Yorke dice no a un suo possibile debutto come regista: "La verita' e' che se avessi una vita parallela a questa, con tempo e spazi a disposizione, lo farei, ma non e' possibile, sono ossessionato da quello che cerco di realizzare musicalmente"

Poi "una cosa e' lavorare in studio, con i tuoi amici, un'altra e' fare quello che fa ad esempio un regista come Paul (Thomas Anderson, che ha diretto Anima, il corto legato all'uscita dell'omonimo album da solista di Yorke del 2019). Avere a che fare con un immenso cast tecnico e artistico, senza mai perdere la calma, improvvisando... non sarei mai capace di farlo" spiega il rocker, sereno e rilassato capace di regalare anche qualche commento e battuta in italiano (e' sposato all'attrice italiana Dajana Roncione presente in sala, ndr).

La clip di Taxi Driver (rivisto da poco insieme alla figlia 16enne), con la colonna sonora di Bernard Herrmann, porta il musicista ad accennare al suo nuovo progetto musicale: "Proprio ora sto cercando di realizzare qualcosa di molto simile a questa musica anni '70, con accordi semplici ma capaci di avere un impatto straordinario". 

Venendo all'esperienza di Suspiria, "quando ho lavorato con Luca ero molto nervoso - racconta -. Ho detto a Jonny (Greenwood, amico fraterno e compagno di band nei Radiohead) , che mi avevano proposto Suspiria e lui mi ha consigliato di leggere la sceneggiatura, e lavorare il piu' possibile su quella, perche' poi quando avrei visto il film, sarebbe arrivato un blocco.....aveva assolutamente ragione".

Se "non avessi passato mesi sulla sceneggiatura e parlando con Luca, confrontandomi con la sua visione, non sarei stato capace di fare le musiche". Al film "ho portato me stesso, non quello che ci si aspettava da me. Noi musicisti dovremmo sempre rispondere in questa maniera. Lo dico da esperto - conclude autoironico - avendo fatto una sola colonna sonora". 

19/11/18

Thom Yorke (Radiohead) intervistato da Repubblica: "Internet e social network stanno generando un nuovo fascismo".




"La gente ha cambiato modo di pensare per colpa di internet e dei social network. È fascismo: ma non nel vecchio senso. Non è nemmeno reale ma non per questo è meno pericoloso: il nuovo fascismo è questo, è la gente non si sente più responsabile per il proprio comportamento".

In un'intervista rilasciata a Repubblica, Thom Yorke parla di social network e dei riflessi negativi che il loro utilizzo ha avuto sulla volontà delle persone.

Si legge su Repubblica:

"Sono sceso in piazza l'altro sabato nella grande manifestazione contro la Brexit. Temo di essere letteralmente terrorizzato. E del resto: non siete terrorizzati anche voi in Italia? O siete ancora tutti paralizzati? (...) Jaron Lanier (uno dei pionieri della realtà virtuale, oggi molto critico, ndr) dice che la rabbia della gente cresce perché attraverso un algoritmo finisce in un gioco di specchi dove le opinioni diventano sempre più estreme".

Quello che lo spaventa non è l'onda conservatrice che ha investito i governi di molti paesi in quest'ultimo periodo. Ma ciò che ha spinto verso la salita al potere di questi governi.

"Il pericolo non è uno stupido governo conservatore che finirà per divorare sé stesso. Per ritornare a Suspiria e alla metafora della danza: noi siamo come la danzatrice che sotto un incantesimo che non capisce si butta di qua e di là - fino a uccidere sé stessa. Quella danzatrice siamo noi che non abbiamo più fede nella nostra capacità di cambiare le cose: perché stiamo vivendo in una specie di vuoto"

Social che impoveriscono il linguaggio, le discussioni, i pensieri e i ragionamenti. Dando l'illusione di esser parte attiva. "Scrivere due frasi su Twitter non significa che stai facendo una discussione. E scrivere la tua opinione con la bava alla bocca su Facebook non significa che stai partecipando a un dibattito politico. Non c'è differenza tra quello e il tracciare tremebondi graffiti nella toilette".

Fonte: Huffington Post/ La Repubblica