COM'E' SPARITA L'ELEGANZA
Requiem di una virtù leggendaria
di Fabrizio Falconi
Chi vive a Roma è abituato all’eleganza. Assuefatto, direi. L’eleganza dei palazzi, delle rovine, delle chiome dei pini romani, delle fontane, del profilo perfetto delle cupole.
Eppure, questa eleganza data, nemmeno quasi si nota più, perché nessuno più sembra fare caso all’eleganza.
Insomma, basta vedere come ci si veste. Non è una questione di censo o di ricchezza: si vestono malissimo anche i ricchi, che possono ormai acquistare il mondo.
Cose sgargianti sì, lussuose sì, esibite sì, ma l’eleganza?
L’eleganza è una qualità rara. La parola deriva dall’orginale latino elegantia. Come molte altre di quel popolo illuminato, ha avuto grande successo nel mondo (elegance in inglese, élégance in francese, eleganz in tedesco) e nasce da un colpo di genio: mettere insieme il prefisso ex e il verbo eligere, cioè scegliere. Quindi ex-eligere si definisce chi-sceglie tra, ovvero scegliere tra cose diverse. Elegante è colui che sa scegliere. Eleganza è la qualità di chi sa scegliere.
Ecco appunto, ma oggi chi sa scegliere?
Paul Thomas Anderson, uno dei migliori registi contemporanei, qualche anno fa ha dedicato un bellissimo film all’eleganza, chiamato in Italia, Il Filo Nascosto (quando sarebbe stato meglio lasciare la traduzione esatta cioè Il Filo Fantasma, The Phantom Thread, 2017), erroneamente scambiato da molti come un’opera che ha per oggetto il disturbo ossessivo-compulsivo.
Ma The Phantom Thread (bellissime musiche di Jonny Greenwood, il talento dei Radiohead) non parla di questo. Il fatto che il sarto protagonista - cui dà anima Daniel Day Lewis - sia un perfezionista maniacale, è soltanto la conseguenza del fatto che egli è un creatore di eleganza.
Chi nella vita si dedica alla ricerca dell’eleganza è come un rabdomante a caccia di pozzi d’acqua, invisibili, dentro le profondità della terra. Sì, perché l’eleganza nessuno sa dire cosa sia. E quale sia la ricetta per ottenerla. L’eleganza è una idea platoniana, che vive nell’iperuranio: che tutti riconoscono (o almeno riconoscevano) e che nessuno sa dove sia esattamente.
La natura ne è piena: quando osserviamo il profilo e i colori di un fenicottero, il suo collo oblungo che forma una perfetta lettera S, noi sappiamo che quella è l’eleganza, anche se non sapremmo dire perché.
Così Reynolds Woodcock, il sarto di The Phantom Tread, è un cacciatore di invisibile. Lui sa, ma non può spiegare, che una impuntura spostata di qualche millimetro, fa svanire l’eleganza, rovina tutto.
Per questo deve procedere cautamente, per tentativi, per ritocchi apparentemente inutili e arbitrari. Lui sa.
Posso comprenderlo, perché mia madre era una sarta d’alta moda. E ho molti vividi ricordi in proposito.
La clientela di mia madre era formata da signore e signorine (termine che comprendeva anche sessantenni o settantenni nubili) di solito benestanti, che tenevano al vestire e volevano sempre essere come si dice, eleganti o à la page.
A tale scopo mia madre spendeva un capitale per acquistare i famosi figurini, libroni fotografici di Vogue e altre riviste francesi con i modelli alla moda indossati da ragazze che non erano anoressiche come quelle d’oggi.
Le signore o signorine venivano nel nostro salotto buono, sfogliavano, sceglievano (ex-eligere) sulla base di quella stessa ricerca, il modello e mia madre glielo faceva su misura, tale e quale (comprensivo di disegno, taglio, cuciture e guarnizioni).
Poi, dopo un mese o due (a meno di casi di urgenza), arrivava il momento della consegna. Il pacco veniva confezionato con molta cura, utilizzando una carta spessa speciale, spillata ai lati sempre con lo stesso formato e l’indirizzo scritto a penna a uno dei margini.
Edotto su come andava trasportato il pacco - sul braccio teso in avanti, “a cavallo del braccio” - in mancanza di meglio, toccavano a me le consegne.
Le clienti, quasi tutte dei quartieri alti, che per noi a Roma erano Prati, Flaminio e anche Balduina, avevano cognomi che parlavano da soli, incutendo una certa soggezione: Baltera, Montecuccoli, ecc...
Ma ciò che meglio ricordo è che la consegna era di solito salutata, dalle clienti, con una contentezza speciale (mia madre si vantava di non aver ricevuto mai indietro un abito, anzi, le toccava molto spesso rimettere mano, adattandone la taglia, ad abiti che venivano portati anche per vent’anni), conseguenza dell’aver scelto e dell’aver aspettato.
Ciò che contava, lo vedevo e lo capivo, non era certo “il figlio della sarta”, ma l’interno di quel pacco, desiderato perché fatto a mano e su misura e non acquistato all’impronta in un negozio qualsiasi. Scelto e poi lavorato con cura e pazienza e quindi elegante.
Qualcuno di questi abiti, forse ancora esiste, da qualche parte.
Ma nel frattempo, qualcosa è successo. Dove sono finite queste persone che sanno scegliere e che sanno aspettare? Dov’è finita quella capacità, leggera e inebriante, di riconoscere l’eleganza (quella vera, senza orpelli e senza fronzoli) in mezzo a tanta volgarità, sciatteria, bruttura?
Forse, bisognerebbe ricominciare a osservare i fenicotteri. Nonostante i cambiamenti climatici, ogni anno attraversano in volo il Sahara e il Mediterraneo e vengono in primavera a cercare climi più favorevoli nelle paludi italiane.
I latini chiamavano i fenicotteri phoenix, cioè fenice. L’uccello mitologico, capace di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. E allora chissà, forse anche l’eleganza, che appare scomparsa dal mondo, un giorno rinascerà e verrà di nuovo a sorprenderci e a rendere più meritevole la nostra vita.
Fabrizio Falconi
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