29/06/18

Perché l'Italia non cambia mai (nonostante i Pifferai magici).



"I più pericolosi nemici d'Italia non sono gli Austriaci, sono gli Italiani. 

E perché ? Per la ragione che gli italiani hanno voluto far una Italia nuova, e loro rimanere gli Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico il loro retaggio;

perché pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro, perché l'Italia, come tutti i popoli, non potrà divenir nazione, non potrà essere ordinata, ben amministrata, forte così contro lo straniero, come contro i settari dell'interno, libera e di propria ragione, finché grandi e piccoli mezzani, ognuno nella sua sfera non faccia il suo dovere, e non la faccia bene, o almeno il meglio che può.

Ma fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di volontà e persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; 

e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde, per dirla in una parola sola, il primo bisogno d'Italia è che si formino Italiani dotati d'alti e forti caratteri. 

E purtroppo si va ogni giorno verso il polo opposto: purtroppo s'è fatta l'Italia, ma non si fanno gli Italiani". 

27/06/18

Il più grande Programma politico che sia mai stato scritto.


sono passati 2.000 anni eppure non conosco programma politico più grande di questo.
(Discorso della Montagna, Mt, 5)


Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.



Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.



Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.


Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.


Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.



Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.



Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.



Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!


Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella GeennaE se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.


Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran reNon giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.



Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dentema io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.  E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 


Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalleAvete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiustiInfatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.


26/06/18

Un viaggio affascinante ed esclusivo nelle viscere di Roma: gli Horrea Vespasiani.



Scarpe comode, un cappellino per il sole, poi e' bastato lasciare che la terra raccontasse la sua storia millenaria pagina dopo pagina, come se fosse un libro: in tanti questa mattina sono diventati "archeologi per un giorno" grazie alla giornata di archeologia pubblica proposta dal Parco Archeologico del Colosseo e dal Dipartimento di Scienze dell'Antichita' dell'Universita' La Sapienza di Roma. 

L'iniziativa, dal titolo Storie dal Palatino, ha permesso a un nutrito gruppo di persone di visitare il cantiere archeologico degli Horrea Vespasiani, uno scavo ormai trentennale in cui l'ateneo capitolino ha formato i suoi archeologi migliori.

Prima tappa dell'itinerario e' lo scavo aperto, con gli operai intenti a lavorare, nel quale sono emersi i resti di un grande horreum, un magazzino per le merci databile alla fine del I secolo d.C.: scavando, gli archeologi hanno scoperto un cunicolo pieno di frammenti di marmo, un pavimento con focolari e tre sepolture di bambini, tracce di vita del VII secolo d.C. che si sono salvate perche' rimaste sotto terra

Proseguendo, si arriva in una zona gia' scavata e ora interrata, dove si puo' avere un'idea complessiva dell'intera area delle pendici settentrionali del Palatino: dalle capanne della fine del X secolo a.C. alle modifiche nell'VIII secolo a.C., con la costruzione di una fortificazione con una porta cinta da bastioni, del santuario di Vesta e di una residenza regia, fino all'allestimento della prima Via Sacra pavimentata con lastre di tufo e di nuove case lussuose, per arrivare all'incendio neroniano del 64 d.C., in seguito al quale nasce una nuova Via Sacra fiancheggiata da portici, con un quartiere residenziale in cui sorge un horreum

Il percorso si conclude poco piu' avanti, con il gruppo di 'ospiti' che ha potuto osservare il lavoro di alcuni universitari, archeologi di domani, impegnati a pulire i reperti trovati nel corso degli scavi: dopo la pulitura, gli studenti si occuperanno di siglare i reperti, dividerli in classi, trovare i tipi ceramici e poi determinare la cronologia. 

A giudicare dall'entusiasmo dei partecipanti, questo esperimento per avvicinare l'archeologia a romani e turisti e' riuscito perfettamente: in tanti hanno fatto domande, alcune a carattere piu' storico altre per soddisfare semplici curiosita', e quasi tutti hanno scattato foto. 

Fondamentale allo scopo e' stato il modo scelto dagli organizzatori per comunicare una scienza cosi' complessa, mostrando da un lato al pubblico il lavoro sul campo, dall'altro offrendo spiegazioni che hanno assunto i toni di un appassionante racconto per bocca di chi lavora in prima persona sui reperti archeologici. 

La prossima giornata con visite guidate ci sara' l'11 luglio, poi un'altra nella seconda meta' del mese, e dopo la pausa di agosto, si ripartira' a settembre, quando verra' presentato al pubblico lo scavo della Coenatio Rotunda sul Palatino

"I luoghi di Roma contengono piu' storia di quella che viene raccontata, ma spesso cio' che si vede non si capisce. Ecco perche' i luoghi devono parlare attraverso racconti che diventano storie: solo cosi' la comunicazione culturale e' efficace", dice all'ANSA il direttore dello scavo Paolo Carafa, professore di archeologia e storia dell'arte greca e romana alla Sapienza. 

25/06/18

L'Età del Dubbio - 5 Antidoti alla nostra vita divorata dal dubbio. Michael Cunningham.



questa che riporto è una anticipazione del testo che sarà letto da Michael Cunningham alla Milanesiana, festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi il 28 giugno alle 21 al Piccolo Teatro Grassi di Milano.


L’età del dubbio

Ho dei dubbi. Chi è che non li ha? Se il diciottesimo secolo è stato l’Età della Ragione, sembra assolutamente possibile che il nostro periodo, quello in cui stiamo vivendo oggi, verrà ricordato come l’Età del Dubbio. 

Persone terribili hanno un potere enorme su di noi. Com’è successo? I nostri telefoni ci stanno ascoltando, proprio mentre noi li ascoltiamo? Ci sarà un futuro? Quando dico che la nostra epoca verrà ricordata come l’Età del Dubbio, lo dico presupponendo che ci sarà un futuro. Pare che tutto quello che sappiamo con certezza è che abbiamo ragione di dubitare di quasi ogni cosa. 

E allora, non dovremmo pensare a qualunque antidoto contro il dubbio che riusciamo a escogitare? 

Perché, in fondo, dobbiamo pur vivere le nostre vite, persino in un’epoca in cui sembra fin troppo ragionevole rimanere dentro casa, con le persiane abbassate. 

Ho un mio, personale elenco di antidoti contro il dubbio. Spero che anche voi ne abbiate qualcuno. 

Uno. Ogni giorno mi concentro su qualunque cosa su cui non nutro alcun dubbio. La bellezza e la vitalità di mio figlio, di ventun anni. La luna quasi piena in una notte d’estate, mentre mi siedo su un tetto di New York City in compagnia di alcuni amici e di una bottiglia di vino. Il pino giapponese di cui mi sto prendendo cura nel balcone del mio appartamento. Le pere che stanno diventando mature sul davanzale della finestra. Ho paura per il futuro di mio figlio, il futuro dei miei amici e del pino. Ma non dubito della loro bellezza e del loro valore, nel presente

Due. Ho fiducia nel fatto che una specie in grado di realizzare Il Gattopardo, la Venere di Urbino e La Traviata – per non parlare del romanzo di George Saunders Lincoln nel Bardo, e l’arte di Mimmo Paladino – non permetterà che il mondo finisca prematuramente, per quanto alcune persone possano adoperarsi per fare esattamente questo. L’arte serve a darci fede, e più fede equivale a meno dubbio. 

Tre. Ogni giorno cerco di aiutare qualcuno, che sia uno sconosciuto bisognoso di soldi o un turista che ha l’aria di essersi perso. Si tratta di semplici azioni, di cui non ho alcun dubbio. Se le persone hanno bisogno di soldi e voi ne avete di più del necessario, gliene potete dare un po’. Non dovete domandarvi per cosa li spenderanno. Se chiedono dei soldi, allora ne hanno bisogno. Se alcune persone si sono perse, potete aiutarle a ritrovare la loro strada. Sebbene probabilmente riuscirebbero cavarsela anche da sole, è sempre possibile che si possano perdere al punto di vagare per il mondo, cacciati di casa, cercando continuamente di raggiungere le loro destinazioni proprio mentre si allontanano sempre di più da esse. Non dovete dubitare dell’onestà del vostro gesto di averle mandate nella direzione in cui dovevano andare

Quattro. Ogni giorno leggo un blog o guardo un notiziario in televisione, con le cui politiche sono fortemente in disaccordo. Credo di sentirmi meglio – o in ogni caso meno nervoso – se vedo il mostro rintanato sotto il letto, invece di sapere solamente che c’è qualcosa sotto il letto. Se si vede il mostro, si ha una consapevolezza maggiore di come combatterlo. È a questo punto che le cose si complicano. Nel guardare il mostro, è possibile che cominciamo a comprendere il suo dolore, la sua paura, i suoi bisogni. Ma in verità è meglio ignorare quell’impulso empatico, almeno finché il mondo non sarà tornato in sé e avrà smesso di cercare così assiduamente di distruggere se stesso.

Cinque. Amore. Ho tenuto l’antidoto migliore per ultimo. Amare gli altri, anche se amiamo una o due persone (benché mi auguri che tutti noi ne amiamo un po’ di più) è più efficace nello scacciare i dubbi di qualsiasi altra misura che conosca. C’è qualcuno nella stanza accanto, c’è qualcuno al telefono, c’è qualcuno che non solo ti conosce, ma sa dove sei e come stai, proprio come tu sai dov’è e come sta l’altra persona. Quando amiamo, quando diamo e riceviamo amore, non possiamo veramente farci del male, non possiamo venire colpiti al cuore, qualunque cosa possa succedere ai nostri corpi, alle nostre città. Alla nostra terra. 

Detto questo… Non possiamo abbandonare i nostri dubbi. Il mondo in pericolo ha bisogno di persone che dubitano. In fondo, ci sono poche persone più pericolose di quelle che non dubitano; che credono incontestabilmente in un sistema politico, in un’ideologia, una fede. E, allo stesso, tempo, dobbiamo vivere e, come specie, non riusciamo a crescere e a progredire veramente con una dieta a base di paura e incertezza. Brindiamo alle nostre vite, allora. Ai dubbi che animano il nostro mondo e a qualunque certezza che ci aiuta a vivere in esso. Brindiamo alla forza che tutti noi possediamo, alla forza che nasce dalla nostra umanità condivisa, alla nostra pura e semplice volontà di continuare a vivere, e affinché i nostri figli continuino a vivere, che per secoli è stata la nostra arma migliore. 

L’ultima cosa che so con assoluta certezza… eccoci qui. 

Sono abbastanza sicuro delle nostre vite per scrivere questo, e voi siete abbastanza sicuri delle nostre vite per ascoltarlo. Eccoci qui, allora. Tutti noi. Eccoci qui, vivi, adesso. Non abbiamo nessuna ragione per dubitarne. Abbiamo tutte le ragioni per esserne lieti. 

Traduzione di Licia Vighi 

MICHAEL CUNNINGHAM

Fonte: Cinquantamila.it

24/06/18

La Poesia della Domenica: "Il canto d'amore di J.Alfred Prufrock" di Thomas S. Eliot.




S’io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Ma per ciò che giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i'odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai camini,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d’ottobre
S’arricciolò attorno alla casa, e si assopì.
E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, «Posso osare?» e, «Posso osare?»
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli -
(Diranno: «Come diventano radi i suoi capelli!»)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che arriva fino al mento,
Con la cravatta ricca e modesta, ma asseríta da un semplice spillo -
(Diranno: «Come gli son diventate sottili le gambe e le braccia!»)
Oserò
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà
Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: -
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti -
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini?
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte -
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria bruna!)
E’ il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?
. . . . . . . . . . . .
Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D’uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle finestre?…
Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi
. . . . . . . . . . . . .
E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata… stanca… o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po’ a perdere i capelli)
Portato su un vassoio,
lo non sono un profeta – e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l’eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,
E a farla breve, ne ho avuto paura.
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dirvi tutto, vi dirò tutto » -
Se una, mettendole un cuscino accanto al capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne strascicate sul pavimento
E questo, e tante altre cose? -
E’ impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »
. . . . . . . . . . .
No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato ad esserlo;
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo -
E quasi, a volte, il Buffone.
Divento vecchio… divento vecchio…
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.
Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra.
Non credo che canteranno per me.
Le ho viste al largo cavalcare l’onde
Pettinare la candida chioma dell’onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
versione originale: 

23/06/18

Il Tempio della Pace ai Fori e il Tesoro Scomparso di Re Salomone.

I grandiosi resti del Tempio della Pace al Foro Romano

Il Tempio della Pace e il tesoro di Re Salomone. Nuovi scavi nella zona del Foro Romano hanno da qualche anno permesso di far tornare alla luce alcuni preziosissimi resti dell’età antica, che si credevano perduti per sempre. 

Sono le rovine del cosiddetto Teatro della Pace, fatto costruire dai Flavi, che consacrarono questo luogo nel 75 d.C. dopo la guerra giudaica e i bagni di sangue per la conquista di Gerusalemme. Finalmente regnava nell’impero la Pax Augusta e l’imperatore Vespasiano decise di far costruire il nuovo Foro (il terzo in ordine cronologico e il più esteso per superficie), a fianco di quello di Augusto, lungo la strada dell’Argileto che collegava la suburra alla zona centrale nevralgica del potere cittadino. 

Danneggiato molto gravemente alla fine del III secolo d.C. il Tempio perse progressivamente la sua importanza, fino a cadere nell’oblio. Ma la memoria di questa colossale struttura rimase nei documenti e nelle cronache dell’epoca e anche se oggi l’area su cui afferiva il Tempio è quasi interamente ricoperta da Via dei Fori Imperiali, è stato possibile recuperare i frammenti di cinque delle colossali colonne originali in granito rosa provenienti dalle cave di Assuan in Egitto, che adornavano il Tempio dedicato alla dea Pax. 

Le gigantesche colonne forniscono l’idea della grandezza di questa struttura che occupava due ettari di terreno, con corti, porticati, giochi d’acqua e ardite architetture. Ma il motivo principale dell’interesse degli archeologi negli anni e dell’interessa intorno al Foro della Pace è proprio relativo ai tesori che esso custodiva.

Una ricostruzione del Tempio (o Foro) della Pace

Tra di essi, alcune fonti assicurano si trovava anche il leggendario Tempio del Re Salomone. Durante la guerra giudaica, infatti, e a seguito della conquista di Gerusalemme, i Romani infatti ebbero finalmente accesso anche al mitico Tempio, del quale riferiscono abbondantemente le Scritture, fatto costruire dal Re biblico otto secoli prima di Cristo, raso al suolo dai Babilonesi di Nabucodonosor II, che lo spogliarono dei suoi tesori (fatti restituire poi da Ciro il Grande), ricostruito dai Giudei in forme grandiose e ultimato nel 515 a.C.

E nessuno sa con esattezza che cosa facesse parte del bottino dei Romani, una volta espugnato il Tempio. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che nel tesoro trafugato dai soldati di Vespasiano vi fosse anche la mitica Arca dell'Alleanza, descritta dalla Bibbia, la cassa (in legno d’acacia) rivestita d'oro e sontuosamente decorata, costruita da Mosè per ordine stesso di Dio. 

L’Arca dell’Alleanza, la vera Arca, è il tesoro più ambito da ogni archeologo del mondo, e su di essa si è favoleggiato a lungo, anche perché la Bibbia stessa dice che al suo interno erano custodite nientemeno che le Tavole della Legge ricevute da Mosè sul Monte Sinai, la verga di Aronne e la manna che cadde dal cielo per miracolo e nutrì gli ebrei nel deserto. Sull’Arca, che comunque già all’epoca del Re Salomone sembra contenesse soltanto le Tavole della Legge, gravava anche la maledizione secondo cui essa non poteva essere toccata che da un levita. E chiunque, non appartenente alla razza prediletta, ne venisse a contatto, moriva istantaneamente. 

Anche per questo, il prezioso reperto non veniva mai mostrato in pubblico, ed era sempre ricoperto di uno spesso strato di pelle di tasso e da un telo di stoffa azzurro. All’Arca erano attribuiti ogni sorta di prodigi. Attraverso di essa, Mosè era in grado di parlare con Dio, e di farlo comparire presente tra gli uomini, levitante al di sopra dell’Arca. Resta dunque molto suggestiva l’idea che sia stata trasportata, al termine delle sue vicende in Terra Santa, a Roma, e che magari, resti di essa giacciano ancora oggi sepolti sotto l’odierna Via dei Fori Imperiali, che spacca oggi in due il Foro della Pace, sotto spessi strati di terra.

Una ricostruzione ipotetica dell'Arca dell'Alleanza



21/06/18

Il Libro del Giorno: "La guerra invernale in Tibet" di Friedrich Dürrenmatt.



Nella copiosa produzione di Friedrich Dürrenmatt (1921-1990), uno dei maggiori scrittori del secolo scorso, ritorna, pubblicato da Adelphi nella traduzione di Donata Berra, La guerra invernale nel Tibet, romanzo breve scritto nel 1975 e pubblicato nel 1981. 

Si tratta di un terribile e durissimo apologo ambientato in un futuro distopico, post-nucleare.  Il mondo infatti è stato distrutto da una catastrofe bellica, i governi e i parlamenti supertiti sono sopravvissuti rinchiusi in rifugi bunker sotterranei dai quali non possono uscire e non possono nemmeno comunicare con l'esterno. 

Il mondo desolato - o ciò che ne resta - è un cumulo di rovine fumanti e di fantasmi contaminati che vi si aggirano sperduti in attesa della morte, distruggendo biblioteche e edifici e soprattutto qualsiasi simulacro della cultura, alla quale essi attribuiscono il fallimento completo della razza umana. 

La guerra nel frattempo continua, in modo furibondo e privo di ogni senso, ad opera di bande di mercenari che si combattono in bande in lunghissimi cunicoli sotterranei scavati sotto le montagne del Tibet.  

Non si sa chi sia il nemico. E non ci si pone nemmeno la domanda, né se esista davvero - questa domanda anzi può valere la morta immediata al solo essere pronunciata - si spara a vista appena un'ombra si incontra nelle gallerie, ci si trascina feriti e ustionati, si consumano le ultime energie vitali in allucinanti bordelli costruiti sottoterra dove le prostitute concedono ai soldati feriti o mutilati - e a loro stesse - le ultime disperate gioie del sesso. 

Il mondo fuori è nelle mani di una misteriosa Amministrazione senza volto, per cui qualcuno dei mercenari è convinto di combattere. Tra di loro il sordomuto Jonathan, mutilato ridotto su una carrozzella e con un mitra come protesi al braccio e un altro mercenario - che forse sono la stessa persona - il quale incomincia a scrivere sulle pareti dei cunicoli attraversati, iscrizioni lunghe chilometri, che verranno ritrovate molti anni più tardi. 

Si tratta di una sorta di memoriale, in cui il mercenario - che prima della guerra studiava filosofia -  racconta come sia finito lì, dalla Svizzera da cui proviene. Di come si sia aggirato a lungo tra le rovine di quella città, dell'incontro con Nora, una donna che ha avuto traffici con l'Amministrazione e con il capo di questa Edinger, che viene ucciso a freddo proprio dal mercenario, dopo un drammatico colloquio notturno. 

Cosa stava a cuore a Dürrenmatt, in questa favola agghiacciante e disperata? La stupidità umana che è capace di innescare qualunque abiezione ? La falsità di ogni mito di progresso e di emancipazione? La protesta furibonda contro l'organizzazione asettico-finanziaria del mondo di cui la Confederazione Elvetica è da sempre emblema insuperato? Non vi è salvezza, qui. E nel buio senza speranza della condanna individuale - e di genere, il genere umano - una sola considerazione: anche nella sua espressione più abietta, anche nella consumazione totale del proprio germe vitale, l'uomo non può fare a meno di scindersi in due: i due mercenari sono forse uno solo, quello attivo, che spara e uccide e fa l'amore con il corpo di Nora; e quello speculativo che ha bisogno di raccontarsi con i graffiti sulle pareti degli infimi tunnel per lasciare traccia di sé e forse per testimoniare che anche nel buio della illusione platoniana in cui si muove come un pesce nell'acquario, può far parlare il suo cuore e lasciare il suo - inutile - messaggio nella bottiglia. 

Friedrich Dürrenmatt
La Guerra Invernale in Tibet
traduzione di Donata Berra
Adelphi Milano, 2017
Euro 12,00

20/06/18

Giornata Mondiale del Rifugiato 2018 - Un messaggio dell'Editore Castelvecchi.



Mentre il Mar Mediterraneo viene trasformato in un cimitero, mentre il nostro Ministro degli Interni rifiuta di salvare vite umane usandole come numeri per fini propagandistici, lʼEuropa arranca e oltreoceano 2.000 minori latinoamericani vengono separati dai genitori alla frontiera fra il Messico e gli Stati Uniti.
Davanti allʼimmenso fenomeno contemporaneo delle migrazioni, oggi più che mai è fondamentale celebrare la Giornata Mondiale del Rifugiato.
LʼEditore Castelvecchi decide di onorare questo giorno proponendo alcuni brani significativi tratti dal proprio catalogo, nella convinzione che solo una profonda diffusione dei valori umani della cultura dellʼincontro e dellʼaccoglienza possa contrastare le politiche xenofobe e razziste dilaganti oggi nel mondo.

  
«Vi è una tendenza alla separazione territoriale molto diffusa in tutta Europa e anche in tanti luoghi del continente americano. Determina la creazione di comunità chiuse, protette da cancelli, circondate da telecamere a circuito chiuso, con guardie a sorvegliare l’ingresso che consentono l’accesso solo a chi è stato invitato – o è comunque come noi o simile a noi –, sbarrando il passaggio agli estranei. Separarsi significa “interrompere la comunicazione”. Separazione può diventare apartheid: confinare le persone che consideriamo scomode e inquietanti, tenerle a distanza, non permettere loro di avvicinarsi».
Zygmunt Bauman, Scrivere il futuro


«La xenofobia che oggi comincia a sorgere in alcuni Paesi centrali contro gli immigrati, contro i sudamericani, contro gli africani non è che una risposta fanatica. E la paura, il terrore di chi è malato d’odio per via dell’oppressione, di chi risponde con l’unica cosa che ha, l’immolazione, ci fa entrare in una logica di cecità che costituisce oggi uno dei pericoli più grandi cui ci troviamo esposti. Sta rifiorendo una destra che non è destra, ma che è fascista, nel cuore di un continente evoluto come l’Europa; questo deve rappresentare un vero allarme per noi e sollecitarci a una missione di carattere politico: sottolineare il ruolo che hanno la tolleranza e il rispetto per l’auto- determinazione».
José “Pepe” Mujica, Non fatevi rubare la vita


«Definire dei singoli disarmati col nome di invasori è spaccio di moneta falsa. Il nostro vocabolario  serve a difenderci dai falsari che lo distorcono per intossicare l’organismo sociale di una comunità. Tentare di arginare migrazioni è mossa vana, sterile e contro la natura».
Erri De Luca, Prefazione a Domenico Di Cesare, Migranti


«L’intera storia biblica è storia di migranti: da Abramo a Giuseppe a Rut per finire con la fuga in Egitto della Santa Famiglia. E se Abramo, una volta giunto nella terra di Canaan, deve poi abbandonarla per una carestia, il popolo d’Israele, liberato dalla schiavitù e destinatario del dono della terra, è chiamato a manifestare verso gli stranieri la stessa cura e lo stesso amore di cui è stato oggetto: Dio infatti ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri nella terra d’Egitto (Dt 10,18-19)»..
Papa Francesco, Le frontiere dellʼamore


«Siamo chiamati a vivere insieme. Forse così si spiega il perché la democrazia moderna si sia affermata laddove più numerose erano le migrazioni».
Riccardo Cristiano, Siria. Lʼultimo genocidio


«Il mondo è in questo taxi. Noi siamo quelli che accolgono per primi, e ci guardi: siamo tutti stranieri! Guido da 14 anni, sono stato anche istruttore. Non so i dati precisi ma credo che in questa città il 95% dei tassisti siano immigrati. Noi rappresentiamo New York! Nessuno è nato qui, siamo tutti arrivati in cerca di lavoro e ci siamo lasciati tutti sfruttare in cambio di pochi dollari. Gli Stati Uniti sono diventati la nostra casa, conosciamo questa città meglio di chiunque altro. Prima c’erano gli italiani e gli irlandesi. Ora tocca a noi».
Chiara Longo Bifano e Stefano Natoli, Passaggi migranti


«Nel mio piccolo Paese ci sono stati anni in cui arrivavano oltre quarantamila immigrati, attorno al 1910. Nella Repubblica Argentina, a volte, toccavano il mezzo milione. Lo stesso accadeva in Brasile. Bisogna anche ricordare l’eroico Messico che, nel 1939, accolse in un colpo solo quasi un milione di immigrati, rifugiati provenienti dalla Spagna franchista. L’America è stata terra di rifugio per milioni di immigrati. L’Europa se ne è dimenticata, non ha motivo di serbar memoria di queste cose. Oggi è ricca. Ha superato i suoi dolori e le sue angosce. Osserviamo con terrore la resistenza sociale che stanno generando i fenomeni migratori in un’Europa che è riuscita a superare la sua vecchia contraddizione (lo stato di guerra) e che da molti decenni vive profondamente in pace, malgrado tutti i suoi problemi».
José “Pepe” Mujica, Non fatevi rubare la vita


«Ebraismo, povertà, esilio, migrazione. Vecchiaia, persino. Ebreo lo era per stirpe – così si diceva –, anche se pienamente assimilato, com’era tipico di quell’alta borghesia del Westen berlinese da cui nacque e da cui si separò sempre più. Esule lo divenne nel 1933, per sopravvivere, per avere un qualche reddito. Da rifugiato, negli ultimi anni fu povero fino alla miseria, divenne apolide, poi ancora profugo. […] Walter Benjamin fu quindi innanzitutto un migrante economico».
Massimo Palma, Introduzione a Walter Benjamin, Esperienza e povertà


«Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più. È impressionante il numero di persone che migra da un continente all’altro, così come di coloro che si spostano all’interno dei propri Paesi e delle proprie aree geografiche. I flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi».
Papa Francesco, Le frontiere dellʼamore


«Se il pensiero razziale fosse un'invenzione tedesca, allora il "pensiero tedesco" (qualunque cosa sia) avrebbe trionfato in molte parti dell'universo spirituale assai prima che i nazisti dessero inizio al loro sciagurato disegno di conquista del mondo. Se l'hitllerismo ha esercitato un grande richiamo in Europa, in particolare nel corso Degli anni '30, è stato perché il razzismo, benché dottrina di Stato solo in Germania, costituiva ovunque una forte tendenza all'interno dell'opinione pubblica. La macchina da guerra politica del nazismo era già in moto da tempo quando nel 1939 o carri armati tedeschi iniziarono la loro marcia di distruzione, poiché il razzismo, nella battaglia politica, era considerato un alleato più potente di quaunque agente prezzolato (...) la verità storica è che il pensiero razziale (...) emerse simultaneamente in tutti i paesi occidentali nel XIX secolo. Fin dall'inizio di quel secolo, il razzismo ha costituito la potente ideologia dell'imperialismo».
Hannah Arendt, Il razzismo prima del razzismo


«Immigrati uguale profughi, straccioni, poveracci, rifugiati, ladri. Prevale una narrazione pietistica, paternalista, una narrazione standardizzata. Finché continueremo a rappresentare gli immigrati soltanto come profughi, poveracci e delinquenti, gli immigrati resteranno sempre e soltanto – nell’immaginario collettivo – profughi, poveracci e delinquenti. E magari terroristi».
Jacopo Storni, Siamo tutti terroristi


«Per fortuna quella mattina pioveva. Nei giorni di pioggia sembrava che il cielo avesse pietà delle anime dei migranti e impedisse al mare di diventare la loro tomba. Quel giorno non si partiva».
Asmae Dachan, Il silenzio del mare


«Per l’anarchismo “io non sarò libero finché non saranno liberi tutti”. Questo è il principio che soggiace a ogni costruzione sociale che meriti il nome di umana, e il nazionalismo inteso in senso positivo non può essere altro che un nazionalismo umile e aperto, contrario alla xenofobia e allo sciovinismo, orgoglioso del suo meticciato e responsabile della costruzione di una unità politica di dimensione umana».
Teresa Forcades, Nazione e compassione

«L’ideologia nazionalista, i miti e le leggende nazionali mobilitano ancora le popolazioni frustrate.  Tanto più sono frustrate, tanto più ne sono mobilitate. Il vero straniero non è più l’altro europeo, ma il migrante. Sono i migranti gli stranieri che arrivano in mezzo a noi da chissà dove, che hanno costumi, religioni, tradizioni e leggende diverse e un’opinione diversa su ciò che è vero e ciò che è falso. Sono terroristi, occupano la nostra terra e la distruggono interamente. Il pericolo intrinseco agli Stati nazionali si presenta di nuovo. Lo straniero deve assimilarsi, o sparire. Da un lato la popolazione europea non si riproduce, perciò ha bisogno dei migranti. In non più di sessant’anni gli Europei hanno ucciso cento milioni di persone solo tra gli Europei. Non sono soltanto i bambini a mancare, ma anche i genitori, i nonni, i bisnonni. I peccati dei padri e dei nonni devono essere espiati. Dall’altro gli Europei sono pronti ad accettare migranti (se proprio devono) solo a condizione che si assimilino. Non all’Europa, che non possiede una memoria culturale e tradizionale comune né un’unica lingua, ma all’uno o all’altro degli Stati nazionali».
Ágnes Heller, Paradosso Europa


«Bisogna che tutti gli Europei si abituino a considerare l’immigrazione un fenomeno normale, non un’emergenza: in un mondo in cui circolano liberamente capitali e merci non si può negare agli esseri umani lo stesso diritto. Le nostre società saranno sempre più multietniche, lo si voglia o no, e dunque dobbiamo tutti, anche noi, attrezzarci a vivere in rapporto con i diversi da noi. Dobbiamo imparare a dialogare, a innestarci gli uni negli altri, e questo ci renderà tutti più ricchi».
Luciana Castellina, Postfazione a Domenico Di Cesare, Migranti

«“Tu non m’interessi”. Ecco una frase che un uomo non può rivolgere a un altro uomo senza com- mettere una crudeltà e ferire la giustizia. In ciascun uomo vi è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. Non è neanche la persona umana. È lui, quest’uomo, molto semplicemente. È lui. Lui, tutto intero».
Simone Weil, La persona è sacra


«Chiudo l’intervista a Fadi con una non domanda. Puoi terminare con le parole che vuoi: “Io ormai ho ventisette anni, tutti vissuti nell’ingiustizia, e ogni anno è stato peggio dell’altro. Togliermi la vita non sarebbe neanche un grande peccato, anche se l’Islam condanna questo gesto; ho sofferto così tanto che sono davvero stanco. I miei carnefici sono stati tanti: persone, città, Stati interi, sistemi, e io non perdono nessuno di essi”».
Domenico Di Cesare, Migranti


«Ciò che emerge è la miseria culturale di un’Europa incapace di reggere l’impatto del fenomeno migratorio dal punto di vista psicologico e intellettuale, prima ancora che sul piano strettamente politico e normativo».
Umberto Curi (a cura di), Vergogna ed esclusione


«Le rotte che hanno solcato il Mediterraneo raccontano di un destino comune che da millenni condividiamo. Gli scambi hanno creato una rete che legava porti e città di tutto il Mediterraneo e oltre, impegnando cristiani, musulmani ed ebrei, senza troppe distinzioni e spesso indipenden- temente dalle guerre che si combattevano tra regioni o imperi. Le migrazioni ci hanno fatto condividere lingue, abitudini e gusti, e ci hanno mescolato il sangue più di quanto molti amino pensare. Per il resto, è tutto da fare. Sta a noi riconoscerci parte di una cittadinanza più ampia, complessa e variegata di quella che siamo abituati ad attribuirci. E questa cittadinanza siamo noi a doverla costruire. È la posta in gioco e insieme la scommessa offertaci dal Mediterraneo, se vogliamo che davvero diventi il comune denominatore del nostro futuro».
Alessandro Vanoli, Migrazioni mediterranee


«Abbiamo bisogno di decisioni che riguardino il mondo intero. Coloro che cercano di attraversare il Mediterraneo non sono poveri dell’Africa, sono poveri dell’umanità. E per favore, non è un proble- ma dell’Italia, è un problema del mondo! Ma non c’è un governo mondiale. Non c’è nessuno che si occupi di governare il mondo. Noi ci limitiamo a parlare delle elezioni e a chiederci: chi vincerà?  So che non è dicendo queste cose che troveremo una soluzione ai problemi del pianeta, ma non possiamo continuare a ignorare che apparteniamo tutti alla tribolazione di questa barchetta che sta facendo le giravolte nell’universo».
José “Pepe” Mujica, La felicità al potere


19/06/18

Libro del Giorno: "Viaggio con Ezra Pound" di Piero Chiara appena uscito da De Piante Editore.


Gennaio 1960: quando Piero Chiara e Vanni Scheiwiller riportarono Ezra Pound al mondo. 

Nelle preziose, raffinate edizioni di De Piante, un racconto inedito. Un grande scrittore in pectore – all’epoca “è uno scrittore pressoché sconosciuto al pubblico” – l’editore più raffinato e leggendario del secolo, il poeta estremo, che con una manciata di versi furibondi ha terrorizzato l’Occidente. 

Nessun regista riuscirebbe a mettere insieme tre personaggi di questo calibro. Eppure. Piero Chiara, il grande scrittore di Luino, poligrafo, autore di libri imprescindibili come Il piatto piange – che uscirà nel 1962 per Mondadori – Il balordo, I giovedì della signora Giulia, Il cappotto di astrakan, è insieme a Vanni Scheiwiller, l’editore dei poeti, “sotto le mura del Castello: era quasi sera e la piana meranese venata di neve diventava violacea”

I due, lo scrittore e l’editore, attendono di incontrare il poeta. Ezra Pound. Il poeta titanico. Il poeta dei Cantos, opera magnetica e infinita, in cui la poesia – al modo di Dante – pretende di fecondare la Storia, di ribaltare il mondo. Il poeta che ha aiutato Thomas S. Eliot a correggere La terra desolata, che ha insegnato a Ernest Hemingway come si scrive, che ha aiutato James Joyce quando tutti lo attaccavano, all’epoca dell’Ulisse. Ere fa. 

Ora, nel 1960, nel rifugio gotico di Brunnenburg, in Tirolo, ospite della figlia Mary e del marito, l’egittologo Boris de Rachewiltz, Pound è un reduce. 

Nel 1958 è tornato in Italia dopo dodici anni di reclusione nel manicomio criminale di St. Elizabeths, Washington, con l’accusa di alto tradimento ai danni degli Stati Uniti

Un uomo solo, perduto. “Una esecuzione di musiche inedite di Scarlatti, che veniva data all’Angelicum di Milano” è il pretesto grazie a cui Chiara e Scheiwiller convincono il poeta a tornare nel mondo. 

Il racconto del viaggio, con sosta a Riva del Garda (“Pound aprì la marcia, controvento, puntando fortemente il bastone per terra e tenendosi stretto un pullover intorno al collo. Noi dietro, quasi sperando che ci conducesse a qualche grande impresa”), finora inedito e ripescato grazie a Federico Roncoroni (che firma una puntuale postfazione al testo), è di luminosa bellezza

L’ultima scena è di un Pound “sfinito”, che “volle andare in Piazza del Duomo”, a dialogare con i suoi fantasmi. Per lui, ormai, è l’epoca del tempus tacendi.

Piero Chiara – “Viaggio con Ezra Pound” 
30,00€ pp. 24 
aprile 2017 
 postfazione: Federico Roncoroni 
 L’opera “Earthbeat” (2017) riprodotta in sovracoperta su carta cotone della Cartiera Amatruda è stata realizzata per De Piante Editore da Michele Ciacciofera stampato in 300 copie numerate su carta Century Cotton Laid White prodotta dalle cartiere Fedrigoni. 
Legatura a manopiù 10 copie d’artista

18/06/18

Nanni Moretti ieri: "L'unico partito al quale mi sono mai iscritto è quello di Fellini."




CASTIGLIONCELLO — «Un film politico? No, il prossimo sarà — come La stanza del figlioHabemus papam e Mia madre che non avevano bisogno dell’attualità — un’opera dove la politica non avrà spazio». 

Di più, al momento, Nanni Moretti non dice: lo sta scrivendo, è la fase più delicata. 

Ma, ultimo ospite dopo Anna Foglietta e Luca Guadagnino di Paolo Mereghetti a «Parlare di cinema a Castiglioncello», il regista non si sottrae alla curiosità del pubblico. 

E dichiara apertamente la sua militanza a un partito: «Quello di Fellini. Ho iniziato tardi a andare al cinema, verso i 15 anni. Tra i miei amici c’erano due partiti, quello di Antonioni e quello di Fellini. Io mi iscrissi al secondo». 

La tessera, a distanza di 50 anni (compirà i 65 in agosto), non l’ha stracciata. E ieri sera come pellicola da presentare agli spettatori dell’arena in pineta ha scelto , anziché una delle sue. 

Ama quasi tutti i suoi film. «Quando uscì La città delle donne non mi convinse, mi sembrava troppo poco scritto, lui allora non vedeva l’ora di andare in teatro e girare. Ogni tanto ci incontravamo. Un giorno andammo a pranzo insieme. La sera prima avevano dato in tv Amarcord, gli dissi quanto l’avessi ritrovato bello, gli parlai dell’importanza di una sceneggiatura forte. Vero, mi disse lui, ma l’ho scritta dopo».

Come il maestro riminese, anche Moretti ha costruito con il suo cinema un’autobiografia in pubblico, tra Michele Apicella e se stesso. «Fin dall’inizio, 45 anni fa, mi sono venute naturali tre cose: stare dietro ma anche davanti alla cinepresa, raccontare il mio ambiente, politico e generazionale, e farlo con autoironia. Ci ho preso gusto e mi sono divertito a costruire un personaggio: la passione per i dolci, una certa rissosità, le inquadrature delle scarpe, lo sport più praticato che visto. A un certo punto sono precipitato nella prima persona, con Caro diario. Una delle tre parti racconta il tumore che ebbi, fu naturale interpretare me stesso».