riporto un brano della intervista rilasciata a Stefania Ulivi del Corriere della Sera da Nanni Moretti e pubblicata ieri.
CASTIGLIONCELLO — «Un film politico? No, il prossimo sarà — come La stanza del figlio, Habemus papam e Mia madre che non avevano bisogno dell’attualità — un’opera dove la politica non avrà spazio».
Di più, al momento, Nanni Moretti non dice: lo sta scrivendo, è la fase più delicata.
Ma, ultimo ospite dopo Anna Foglietta e Luca Guadagnino di Paolo Mereghetti a «Parlare di cinema a Castiglioncello», il regista non si sottrae alla curiosità del pubblico.
E dichiara apertamente la sua militanza a un partito: «Quello di Fellini. Ho iniziato tardi a andare al cinema, verso i 15 anni. Tra i miei amici c’erano due partiti, quello di Antonioni e quello di Fellini. Io mi iscrissi al secondo».
La tessera, a distanza di 50 anni (compirà i 65 in agosto), non l’ha stracciata. E ieri sera come pellicola da presentare agli spettatori dell’arena in pineta ha scelto 8½, anziché una delle sue.
Ama quasi tutti i suoi film. «Quando uscì La città delle donne non mi convinse, mi sembrava troppo poco scritto, lui allora non vedeva l’ora di andare in teatro e girare. Ogni tanto ci incontravamo. Un giorno andammo a pranzo insieme. La sera prima avevano dato in tv Amarcord, gli dissi quanto l’avessi ritrovato bello, gli parlai dell’importanza di una sceneggiatura forte. Vero, mi disse lui, ma l’ho scritta dopo».
Come il maestro riminese, anche Moretti ha costruito con il suo cinema un’autobiografia in pubblico, tra Michele Apicella e se stesso. «Fin dall’inizio, 45 anni fa, mi sono venute naturali tre cose: stare dietro ma anche davanti alla cinepresa, raccontare il mio ambiente, politico e generazionale, e farlo con autoironia. Ci ho preso gusto e mi sono divertito a costruire un personaggio: la passione per i dolci, una certa rissosità, le inquadrature delle scarpe, lo sport più praticato che visto. A un certo punto sono precipitato nella prima persona, con Caro diario. Una delle tre parti racconta il tumore che ebbi, fu naturale interpretare me stesso».
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