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03/04/14

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (1./)



  

Dieci grandi anime. 7. Raimon Panikkar. (1./)

Raimon Panikkar, che ha peregrinato tanto, propone il pellegrinaggio come simbolo della vita ma non come la vita stessa, perché il pellegrinaggio deve essere non solo esteriore, ma anche interiore.
Sono le parole che furono pronunciate nel 1977  per il conferimento della laurea honoris causa dell’Università di Girona, nella Catalogna, al grande filosofo e teologo spagnolo. (1)

E in effetti, se si potesse riassumere in una sola parola la vicenda umana di Raimon Panikkar, si potrebbe usare il termine: pellegrinaggio.  Un continuo, utile errare per un uomo che ha fatto dello studio, dell’approfondimento, della conoscenza, lo scopo della sua vita, fino a renderlo – come egli è considerato oggi –  “una delle più grandi figure spirituali del nostro tempo, vero punto di incontro fra Oriente e Occidente”. (2)  

Il pellegrinaggio era inscritto già nel dna di Panikkar, visto che egli è nato il 3 novembre del 1918 a Sarrià, un quartiere di Barcellona, da padre indiano - Ramuni Panikkar, nato a Malibar, di orgine aristocratica e con passaporto britannico - di religione hindù, e da madre catalana -  Carme Alemany, morta nel 1975 -  appartenente ad una famiglia borghese cattolica.  Il padre di Panikkar, alla ricerca di un paese neutrale nel conflitto mondiale appena iniziato,  si era trasferito in Spagna nel 1916.  Dal matrimonio con Carme erano nati quattro figli cresciuti in un clima di armonia, seppure nella differenza evidente delle due tradizioni familiari.  

Educato dai gesuiti di Barcellona, Panikkar si dedicò sin da giovane allo studio delle scienze, della filosofia e della teologia, spostandosi in diverse università europee.  Poi,  allo scoppio della guerra civile spagnola -  per il pericolo che incombeva sulla sua famiglia -  si trasferì con i genitori e i fratelli  in Germania, per fare poi ritorno in Spagna nel 1939, all’inizio della seconda guerra mondiale.

Questo fece di Panikkar, sin dai primissimi anni dell’infanzia, un viaggiatore, un pellegrino senza dimora fissa, con frequentazioni di città e ambienti universitari che gli resero famigliari tradizioni e culture diverse, preparando il terreno per la sua teologia – sviluppata nella maturità -  che Panikkar definì cosmoteoandrica, indicando con questo termine la interrelazione di tre dimensioni, la realtà materiale (cosmos), il divino (theos) e l'umano (anthropos): i tre mondi  - umano, divino e cosmico -  pur distinguibili e gerarchicamente ordinabili, per Panikkar, non erano e non sono cioè separabili;  così come non si può parlare di un uomo che non abbia un corpo materiale, allo stesso modo non ha senso parlare di un Dio auto-sussistente, privo di qualsiasi corporeità e di qualsiasi rapporto con il mondo. 

Questa visione del mondo, e di Dio, oggi paradigma del pensiero filosofico di Panikkar, si spiega con un percorso di vita lungo e complesso, che una volta egli stesso ha riassunto in questi termini: “Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista senza aver smesso di essere cristiano.”

Il che potrebbe renderlo, agli occhi del mondo - che oggi appare sempre più insofferente alle contaminazioni culturali e sempre più alla ricerca di forti identità nazionali o locali (magari anche soltanto apparenti, di facciata) -  un incomprensibile coacervo vivente, un simbolo di sincretismo religioso.  

Niente di più lontano da quello che Panikkar si riconosceva, visto che è stato ordinato sacerdote cattolico nel 1946, e che nel mondo cattolico – nonostante (o forse proprio in virtù di questo) la sua forte apertura nei confronti delle grandi religioni orientali – è diventato un autorevole punto di riferimento.  

Il suo avvicinamento alla Chiesa cattolica è stato graduale e coerente: già al ritorno dal viaggio in Germania, infatti, nel 1940, Panikkar si era unito ad un gruppo di secolari - i quali aspiravano ad una pienezza di vita cristiana nello svolgimento dei loro compiti professionali – che avrebbe fatto parlare molto di sé e che si sarebbe poi chiamato Opus Dei.  E proprio dal fondatore di quella organizzazione religiosa -  Escrivà de Balaguer -  con il quale Panikkar intrattenne una lunga relazione di amicizia,  gli venne la proposta di ricevere il sacerdozio.   Una scelta, quella di aderire all’Opus dei, che se oggi appare a qualcuno contraddittoria con lo sviluppo della sua teologia, pure non è stata mai rinnegata dal diretto interessato.   Non sono pentito di quella scelta della mia vita… ha scritto nel testo di rievocazione della sua vita che compare nel sito ufficiale del centro studi che porta il suo nome,  la linea della vita non è retta, né spezzata.    

A testimonianza che la linea “non sia spezzata” è il fatto che pur nella continuità delle peregrinazioni, Panikkar non ha mai interrotto, nel corso di una vita molto movimentata, lo stretto legame con la Chiesa Cattolica e con Roma in particolare.  A Roma arrivò infatti la prima volta nel 1953, fermandosi per un anno per terminare gli studi di teologia, presso l’Università Lateranense, per poi farvi ritorno nel 1961,  quando cominciò a tenere i corsi come libero docente di Filosofia della Religione all’Università di Roma.  Ma a Roma partecipò anche al Sinodo e alle attività preparatorie per il Concilio. 

Le cronache raccontano che quando Paolo VI,  nel corso dei lavori per il Vaticano II,  lo ricevette  in udienza chiedendogli su che cosa stesse riflettendo, Panikkar rispose con questa frase eloquente: Sto pensando a come essere cristiani in India senza essere culturalmente greci e spiritualmente semiti. L’imperativo, era dunque, già all’epoca, per il filosofo catalano, quello, di spogliare il cristianesimo del suo manto mediterraneo.

Eppure un aspetto piuttosto curioso di questa scoperta della centralità del mondo induista è che Panikkar – nonostante i molti viaggi già compiuti da studente e con la famiglia – si recò per la prima volta in India, soltanto nel 1954, quando già aveva compiuto trentasei anni.  Era una “missione apostolica”, ma era anche la prima volta che metteva piede nella terra dei suoi padri, e sicuramente, l’impatto emotivo con quella terra  - fortissimo – era stato preparato da anni di studi e di conoscenza del mondo nel quale affondavano le sue radici famigliari paterne.  In quella occasione dovette realizzare con precisione ciò che già stava meditando nel suo cuore, e cioè – come scrisse  in seguito -  che stiamo assistendo alla crisi del mito che ha prevalso in Occidente: il mito che una sola cultura sia sufficiente per abbracciare l’intera gamma dell’esperienza umana: in base a tale  mito re, imperatori, papi, presidenti, governi ed eserciti in buona fede, hanno fomentato il progetto di unificazione politica, religiosa o economica del mondo.  Ora il mito è in crisi, se non in procinto di crollare.  

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      La Laudatio in onore di Raimon Panikkar fu pronunciata dal professor Josep-Maria Terricabras della Università di Girona.

2.     La definizione è di Julien Ries (Arlon, Belgio, 1920), quello che oggi è riconosciuto il più grande storico delle religioni vivente.