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09/09/25

Saul Bellow, "Il Pianeta di Mr. Sammler": un classico intramontabile

 



Riletto dopo decenni, "Il pianeta di Mr. Sammler" conserva la sua qualità stupefacente, suscitando la stessa meraviglia di allora.
E' uno dei grandi romanzi di Bellow, scritto nel 1971, sei anni dopo "Herzog" e cinque anni prima di "Il dono di Humboldt" e componendo insieme a questi due una trilogia miliare nella letteratura del Novecento.
Anche in "Sammler" si ripete lo schema tipico bellowiano (e del resto della trilogia): un protagonista, intellettualmente lucido e umanamente qualitativo, qui l'ottantenne Sammler, profugo ebreo polacco, scampato per miracolo all'Olocausto, che vive in un appartamentino di New York, vedovo, insieme alla figlia Shula, eccentrica per non dire pazzoide.
Vive, Sammler, grazie alla famiglia "allargata" di cui dispone, lì a NY: zii e cugini vari, che sono stati più bravi di Sammler a fare i soldi, tra questi il nipote Elya, chirurgo che sta ora morendo per una emorragia cerebrale, in ospedale.
Ancora più degli altri, forse, "Sammler" non ha una vera e propria trama. Non succede quasi nulla e io capisco che con la infima soglia di attenzione (e il disamore per la lettura) di oggi, leggere un romanzo-mondo come questo è per molti o moltissimi disarmante:
decostruito nella forma del romanzo classico, "Sammler" infatti si dipana sulla scia di un interminabile monologo interiore, a tratti delirante, in cui il vecchio protagonista ricapitola le scene cruciali della sua vita, insieme soprattutto alle domande sempre più inquietanti che gli provengono da ciò che ha intorno: la dissoluzione del sogno della società americana, le conquiste spaziali che sembrano spalancare scenari impensabili, il degrado culturale, l'ostentazione e la disumanizzazione dei rapporti, le nevrosi di un mondo sempre più sfilacciato e incomprensibile.
All'interno di esso, vive nella sua piccola bolla del suo appartamentino, il vecchio Sammler, a cui dopo la guerra è perfino capitato di conoscere e frequentare a lungo, quando viveva a Londra da fuggiasco, il grande H.G. Welles, di cui si sente un biografo mancato.
Dal suo unico occhio con cui riesce a vedere bene, Sammler osserva e giudica ora con sguardo benigno ora con crescente irritazione, il mondo che deflagra intorno a lui, i membri della sua famiglia che come cellule impazzite si muovono senza senso, gli avventori che incontra nella metro che prende tutti i giorni, i borseggiatori, i neri, i barboni, i mafiosi, gli estrosi e i perduti.
Questa capacità di osservazione di Sammler è grande e salvifica. E' piena di "sentimento oceanico", di stupore per la bellezza e per la follia del mondo.
E' un occhio compassionevole che contiene, accogliendolo, tutto ciò che vaga in apparente inesaudita ricerca di senso, attorno a lui.
La lingua di Bellow è di ricchezza imbarazzante pensando a ciò che oggi si scrive. Nessun autore oggi è capace di sviluppare una lingua che possa anche tentare di avvicinarvisi, per complessità, erudizione, profondità psicologica, disegno complessivo.
Da questo punto di vista, Bellow è forse per davvero l'ultimo dei grandi del Novecento. Un mondo che è caduto a pezzi (e di cui B. ha cantato meravigliosamente la fine) e che ancora non sembra destinato ad essere sostituito.


20/07/25

Moravia e Morante: Una storia d'amore e letteratura - Prima Parte Il Podcast


Come si conobbero Elsa Morante e Alberto Moravia, due grandi protagonisti del Novecento italiano? Quanto tempo vissero insieme? Dov'erano le case e i luoghi di Roma che abitarono? Cosa li avvicinò e cosa li divise? Un racconto sonoro da ascoltare gratuitamente qui la PRIMA PARTE:
Podcast: "Passeggiate Letterarie a Roma" di Fabrizio Falconi

25/04/25

Il nuovo libro di Raoul Precht: "Lo scrittore infedele"

 



Nato a Roma nel 1960, ma trapiantato a Lussemburgo dal 1990, Raoul Precht è uno degli autori più interessanti della scena contemporanea italiana, come dimostrano i suoi ultimi volumi pubblicati, Quintetto romano Il mare dei poeti (entrambi per Bordeaux Edizioni, 2022 e  2023), Stefan Zweig. La fine di un mondo (Edizioni Ares 2025) e ora questo Lo scrittore infedele, uscito per i tipi di Editoriale Scientifica. 

Stavolta Precht racconta in prima persona la sua vera ossessione per Carl Sternheim, maturata già negli anni universitari (a Roma, dove si è laureato in lingue e letterature straniere moderne con una tesi sul conflitto padre-figlio in Calderón de la Barca, Hofmannsthal e Pasolini). Al drammaturgo espressionista tedesco, misconosciuto in Italia e quasi del tutto intradotto, Precht aveva già dedicato un prezioso volumetto pubblicato dall'editore La Camera Verde, cimentandosi nella traduzione di un racconto di Sternheim, Schuhlin, (arricchito dalle fotografie di P. Dimpflmeier) in cui si narra della carriera di un giovane musicista immaginario, dall'infanzia, ai timidi esordi, fino alla consacrazione presso un pubblico ristretto di aristocratici e intenditori, come eccellente pianista.

Ne Lo scrittore infedele, invece, Precht, descrive il suo viaggio sulle (labili) tracce di Sternheim, lasciate dallo scrittore a Bruxelles e in Belgio, dove riparò nell'ultima parte della sua vita per scampare alla persecuzione nazista in patria. In pieno inverno dunque, approfittando di una noiosa trasferta di lavoro, lo scrittore di oggi muove i suoi passi dalla tomba dello scrittore di ieri, nel cimitero di Bruxelles. Nato a Lipsia nel 1878, Sternheim ha infatti trovato la morte a Bruxelles il 3 novembre del 1942, quand'era ancora considerato tra i narratori e drammaturghi più importanti del suo tempo, maestro e precursore fra gli altri di Bertolt Brecht. In realtà il vero successo Sternheim lo aveva consumato nei primi anni del Novecento, quand'era diventato popolarissimo, anche e soprattutto per i suoi drammi (vincitore fra l'altro del premio Fontane, che decise di devolvere al giovane Franz Kafka, allora semisconosciuto).

La vita e l'opera di Sternheim, da quel punto in poi, sembrarono essere saliti sulle montagne russe. Un mondo apparentemente dorato e certamente inebriante che Sternheim attraversò senza riserve, seminando donne, amanti, mogli, figli e figlie, delusioni e tragedie, fallimenti e successo, fino a un tiepido oblio che a un certo punto sembrò avvolgerlo insieme agli eventi tragici che divampavano in Europa e ai quali - forse per fortuna - non fece in tempo ad assistere fino in fondo.

Precht però qui gioca su un doppio registro: Sternheim è il pretesto per un romanzo interrogativo e interrogante che non si può liquidare sotto la generica etichetta di autofiction

Il centro di questo romanzo atipico è infatti la scrittura, lo scrivere. Demone e diletto di Precht, come di chiunque abbia contratto il morbo e si interroghi profondamente - e non soltanto per divertimento narcisistico - sul senso di una cosa che può apparire sommamente insensata come lo scrivere - e in particolare lo scrivere di sè.

Il problema è che non si finisce mai di conoscersi. E Precht, come ogni autore vero, non ha fatto ancora i conti pienamente con la propria interiorità, con le ansie, con i turbamenti, con il senso del fallimento o dell'incompiutezza e cerca in un eponimo che non può essere per lui altri che Sternheim, lo scrittore che ha giocato tutto, ha raggiunto tutto, ha toccato tutto e alla fine ha sperimentato la rovina e la caduta. 

La rovina infatti, è il segno che si è vissuto. E allora dunque, forse ci si può rivolgere alla vita di un altro per capire meglio qualcosa della nostra. Perché, come scrive Barthes, "solo l'Altro potrebbe scrivere il mio romanzo." Forse nella galleria di questi personaggi che raccontano (a Precht) le loro storie, orbitando intorno a quella del grande scrittore oggi trascurato, si trovano riflessi propizi, si scoprono echi o similitudini, diffrazioni, spostamenti che riguardano oggi e che riguardano noi stessi.

Nella polvere del tempo che non smette di cadere, Precht racconta le sue notti insonni, il suo agitarsi, il suo non riuscire a carpire, a dipanare, il suo non poter concludere. Ma in questo c'è la bellezza di un piccolo romanzo di meno di 200 pagine, che contiene tante storie, tanto tempo, tante vite. 

Raoul Precht
Lo scrittore infedele
Editoriale Scientifica
2025


03/03/25

3.000.000 di Visualizzazioni per Il Blog di Fabrizio Falconi - Si festeggia con i tre libri usciti da poco. Grazie a tutti!

 


Nato 16 anni fa, questo Blog, Il Blog di Fabrizio Falconi festeggia oggi un altro importante traguardo: quello dei 3.000.000 di visualizzazioni!

Molta strada è stata fatta in questi anni ed è doveroso ringraziare in primis i tanti lettori ovviamente, e anche gli inserzionisti che ci hanno permesso di continuare a crescere. 

Festeggiamo con le copertine dei 3 nuovi libri, usciti dalla fine dell'estate scorsa, tutti disponibili nelle librerie e online.

Grazie, e barra a dritta.

F.










10/02/25

"Il Giorno più Bello per Incontrarti" - RECENSIONE

 



IL LIBRO


La scena si apre su un funerale di provincia, in una giomata umida e afosa dell'autunno 1977. Giovanni, il giovane italiano dal passato tormentato, è annegato in Spagna, vicino a Barcellona, e in quella chiesetta, per l'estremo saluto, sono riuniti i suoi cari: la madre, il cui volto impietrito dal dolore ricorda le contadine dipinte da Grant Wood, la moglie americana, Vivienne, dallo sguardo dolce e assente, il suo migliore amico, Alessandro - voce narrante di questo romanzo davvero intrigante - e pochi altri.
La mesta cerimonia viene interrotta dalle urla di un uomo sulla sessantina, sdentato e infuriato, che pretende una non meglio chiarita "restituzione" brandisce un coltello e ferisce Alessandro.
E stato coinvolto da Giovanni in una truffa, si scoprirà poco dopo, e a sua volta derubato. Brandelli di un'esistenza oscura, come tante tessere scompagnate di un puzzle che stenta a prendere forma, saltano fuori a poco a poco dalle indagini delle polizia, dagli appunti dello psichiatra che aveva in cura il giovane e dai ricordi di chi lo aveva conosciuto e frequentato. 
Il quadro poi si complica ulteriormente quando Vivienne, quattordici anni dopo, riceve una strana cartolina anonima dall'Olanda, vergata con una calligrafia che sembra proprio quella di Giovanni. Ad essa fanno seguito altri messaggi, sempre anonimi, provenienti da varie parti d'Europa. È un'altra ritorsione, una messa in scena crudele, o davvero Giovanni è vivo e vuole vederci chiaro e riapre l'inchiesta, ma sarà Alessandro ad annodare i fili dell'enigma e a mettere il punto finale a questa storia dalla tensione sottile e vibrante. 
Un po' thriller psicologico e un po' diario filosofico, il romanzo d'esordio del gior- nalista romano quarantenne Fabrizio Falconi, già autore, e si sente, di versi apprezzati, unisce un forte grumo autobiografico (il difficile rapporto con un padre ammirato ma in fondo sconosciuto, il rimpianto per chi non c'è più) con l'eterna tentazione di fuggire i nostri errori e ricominciare, altrove, su un nuovo foglio: "nel breviario di una vita passata, riletto ogni glorno, arriva sempre, prima o poi, la pagina mancante. Quella che ti costringe a tornare indietro e chiederti come sarebbe stato.. a quel punto, come sarebbe stato se....

31/01/25

"Il Libro dei Bambini" di Antonia S. Byatt - Un grande libro


Ci sono libri difficili che ripagano la fatica del lettore. Con il tempo capisci quando vale la pena di insistere perché ti verrà dato il premio di un grande libro.

La Byatt, virtuosa della scrittura, scrive un'opera colossale: 700 pagine nelle quali si muovono, avanzando paralleli lungo la stessa linea di narrazione [neanche 1 solo flashback e nemmeno 1 flash forward] circa 50/60 personaggi contemporaneamente, dei quali la metà bambini che diventano poi adolescenti e adulti.
La capacità di portare avanti una narrazione così complessa [i personaggi sono tutti tra loro imparentati o relazionati] dove ad ogni personaggio sono dedicate ogni volta non più di 2 o 3 pagine è prodigiosa. Il lettore rischia di perdersi mille volte ma ogni volta riaffiora perché tutto avviene sullo sfondo di un'epoca e di luoghi che (ci) parlano della crescita, della evoluzione e della consapevolezza, della creazione artistica, del vero e del falso. L'Inghilterra vittoriana e poi edoardiana, la Baviera dei teatri e delle filosofie e delle ideologie. Prima che tutto venga ingoiato dal demone della guerra.
Antonia Byatt sì, avrebbe meritato il Nobel.


Dall'Inghilterra a Parigi, a Monaco e infine alle trincee della Somme, le vicende di un gruppo di uomini e donne che si propongono di modificare convinzioni, comportamenti, stili di vita e che per propria cecità e per l'incalzare della storia finiranno per soccombere.
Una lucida analisi sulla perfettibilità degli esseri umani, sul crudele egoismo della natura d'artista, sulla fascinazione per l'infanzia.

2010
Supercoralli
pp. 700
€ 25,00
ISBN 9788806199241

12/12/24

1846: Il primo volo in Mongolfiera a Roma ! - Un estratto da "Storie incredibili su Roma che non vi hanno mai raccontato" di Fabrizio Falconi, in tutte le librerie


Nel 1846, Villa Borghese era ancora tutta di proprietà della nobile famiglia – di origini toscane – che a essa aveva dato il nome, dai primi dei Seicento. 

Con il tempo, però, e soprattutto negli ultimi decenni, la villa aveva subito notevoli trasformazioni, a opera soprattutto del principe Marcantonio IV Borghese (1730-1809) che, tra le altre cose, aveva ordinato ai suoi architetti la costruzione di un anfiteatro destinato a ospitare corse di cavalli, esibizioni e feste, e ispirato alla piazza del Campo di Siena, città da cui la famiglia Borghese, originariamente, proveniva. 

Nacque così piazza di Siena, subito divenuta il fulcro della villa, che nel frattempo i Borghese avevano deciso di aprire al pubblico, cioè al popolo di Roma, per il passeggio durante i giorni festivi e dove, in quelle occasioni, erano ospitati eventi e balli. Uno dei fatti memorabili che ebbero luogo a Roma, nell’Ottocento, fu il primo volo in mongolfiera, che si levò proprio da piazza di Siena. 

Il protagonista fu il francese François (o Francisque) Arban, nato a Lione nel 1815, pio niere dell’aviazione che aveva iniziato a dedicarsi alla mon golfiera nel 1832. Qualche anno più tardi, Arban venne a Roma, invitato dai Borghese. Ospite della villa, annunciò che avrebbe ten tato un’esibizione sui cieli della capitale. Dopo due mesi di permanenza romana e di preparazione, finalmente, alle tre e mezzo del pomeriggio del 14 aprile del 1846 Arban salì a bordo del suo pallone, davanti a una folla straboccante assiepata sulle tribune di piazza di Siena, che cominciò ad applaudirlo mentre compiva un primo giro a pochi metri d’altezza, ancora trattenuto da una corda di ancoraggio. 

Qualche minuto dopo, sciolto l’ormeggio, al suono della banda militare e spinto dal vento di sud-est, Arban prese quota con l’aerostato sorvolando l’intera Villa Borghese. Seguendo la direzione del vento, come raccontano i cro nachisti dell’epoca, l’aviatore «sorpassò più volte i giri del Tevere, dirigendosi rapidamente verso i monti Sabini, po tendo però sempre scorgere da quel punto, la Villa [Borghese], le fabbriche e la maestosa cupola della città da cui pochi minuti prima si dipartiva». 

Continuando l’avventura, Arban si trovò ben presto a quote altissime, al punto tale che cominciò ad avere problemi di respirazione, con il termometro che segnava un grado sopra lo zero. Rifocillatosi col vino che aveva a bordo e col cibo «di cui si era ugualmente munito», e verificata l’altezza ormai troppo elevata, aprì la valvola abbassando la mongolfiera di diverse centinaia di metri quando, dopo un’ora di viaggio, gli si aprì sotto gli occhi lo scenario del fiume Velino e poi della valle reatina, accorgendosi subito delle moltitudini di persone che lo indicavano e gli face vano cenno di avvicinarsi, abbassandosi ancora. 

La popolazione reatina era entusiasta, seguiva il percorso a piedi, a cavallo o con vetture, e finalmente, nei pressi del lago di Piediluco, convinse Arban ad atterrare, visto anche che si profilavano, minacciose, le montagne degli Appennini. 

Aveva viaggiato per cinquanta miglia (ottanta chilometri) quando gettò via gli ultimi sacchi di zavorra, lanciando a una trentina di persone che lo aspettavano le corde per l’ancoraggio. Particolare curioso, tra i primi che vennero ad aiutare Arban a scendere dall’aerostato ci fu un tipo che, dopo averlo abbracciato e baciato, chiese a bruciapelo al volatore, in italiano: «Mi dai tre numeri?». Ancora provato dall’impresa e ostacolato dal non sapere la lingua, Arban capì soltanto in un secondo momento che quello gli chiedeva con insistenza tre numeri per giocare al Lotto. 

Arban, insomma, era visto come una specie di mago, al quale non dovevano mancare nemmeno capacità divinatorie e – immaginiamo più che altro per togliersi il fastidio di torno – con il lapis scrisse alcuni numeri a casaccio che furono ricevuti dal “villico reatino” come un prezioso tesoro. Invitato a riposarsi dopo l’impresa nella casa di un notabile del luogo, alle tre del mattino seguente Arban prese la diligenza che doveva riportarlo a Roma, dove giunse alle tre del pomeriggio, subito accolto dal principe Borghese, grato per l’impresa che aveva appena compiuto. 

La popolarità di Arban dopo quel primo viaggio aumentò a dismisura, al punto che in diverse altre città italiane furono organizzate sue esibizioni a bordo della mongolfiera. La sua carriera di aviatore però si infranse presto in circostanze tragiche: tre anni dopo, preso il volo da Barcellona per un’esibizione, con l’intenzione di superare i Pirenei e arrivare fino a Lione, Arban non riuscì a portare a compimento l’impresa. La forza dei venti sospinse infatti l’aero stato verso il largo del mar Mediterraneo, dove scomparve nel nulla. I suoi resti e quelli del velivolo non furono mai più ritrovati, dando adito alle più diverse leggende, tra cui quella secondo cui la sua mongolfiera, arrivata addirittura fino in Africa, aveva consegnato l’aviatore agli indigeni che lo avevano fatto prigioniero e ucciso.

Estratto da: Fabrizio Falconi, Storie incredibili di Roma che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton Editore, 2024 



10/11/24

"Now and Then" i Beatles tornano candidati ai Grammy Awards dopo 53 anni! La persistenza del Mito in un libro "La Fine della Storia", appena uscito

 


Incredibile e mai successo, ovviamente: i Beatles raggiungono un altro record, quello di avere una loro canzone candidata ai Grammy Award, i massimi premi per la musica, 54 DOPO IL LORO SCIOGLIMENTO, e con John Lennon e George Harrison morti, purtroppo da diversi anni. 

Tutto ciò grazie a ma "Now and then", l'inedito scritto da John Lennon e "restaurato" dai  Beatles grazie all'intelligenza artificiale.

Così, tra Beyoncè, Taylor Swift e le giovani star, ci saranno gli ultraottantenni McCartney, Starr.

"Now and Then" fu originariamente composta da John Lennon prima di morire, nel 1977, rielaborata nel 1995 con parti di chitarra da George Harrison e poi ultimata nel 2022 con il basso di McCartney e la batteria di Starr. 

Era dal 1971 che i Beatles non ottenevano una candidatura come "Record of the Year", tra le categorie principali dei Grammy Awards: l'ultima volta fu con "Let it be",

E questo spiega, meglio di ogni altro discorso l'unicità dei Beatles e del loro percorso "segnante" dal 1960 a oggi. 

Per comprendere meglio tutto questo, è in libreria, appena uscito, "La Fine della Storia" un libro che ricostruisce i fatti di due anni cruciali della nostra storia: 1969-1970, quelli che decretarono la fine della cosiddetta Summer of Love, l’Era dell’Acquario, di Woodstock, del Flower Power, della liberazione sessuale. 

Il sogno si infranse nel modo più tragico con la strage di Sharon Tate e dei suoi amici a Cielo Drive, Los Angeles, da parte di Charlie Manson e della sua lugubre Famiglia, ma anche con lo scioglimento dei Beatles, un trauma mondiale, dopo il travaglio seguito al celebre soggiorno in India nell’ashram di Maharishi e la preveggenza dell’orrore nei film di Roman Polanski usciti in quegli anni (tra i quali Rosemary’s Baby), di cui Sharon Tate era moglie all’epoca. 

Il libro racconta gli inspiegabili grovigli di casualità e circostanze che legano queste vicende biografiche (soprattutto quelle dei quattro Beatles) l’una all’altra, molto strettamente, da un punto di vista del tutto particolare: il breve e folgorante periodo in cui cade l’illusione di un “noi” creativo (e rivoluzionario) rapidamente scalzato dall’emersione di un “io” narcisista e distruttivo, passaggio cruciale del contemporaneo. La fine del sogno è un incredibile intreccio di musica, cinema, esoterismo e cronaca nera, appassionante come un romanzo.





28/10/24

Intervista a Fabrizio Falconi su “La fine del sogno. Beatles, Manson, Polanski” (Da VCB)


Intervista a Fabrizio Falconi e “La fine del sogno. Beatles, Manson, Polanski” (Da VGB - Vignaclarablog) 

 


“Gli Anni ’60 sono stati un decennio incredibile”. E, “di sicuro, quel che fecero quei quattro ragazzi di Liverpool, i Beatles, è qualcosa di unico e perfino leggendario”.

Parola di Fabrizio Falconi, giornalista e scrittore che si è immerso proprio in quel tempo per realizzare il suo nuovo libro: La fine del sogno. Beatles, Manson, Polanski”, pubblicato da Arcana. Del resto, sono stati gli anni in cui anche l’Italia è stata protagonista del boom economico e il mondo intero è stato attraversato dal cosiddetto Sessantotto, con i suoi movimenti di massa, ma anche con la sua Summer of Love e la sua Era dell’Acquario, con Woodstock, il Flower Power e la liberazione sessuale.

In questo contesto, anche il cinema e la musica hanno cambiato completamente stile e contenuti rispetto al passato. Ma cosa ha rappresentato davvero quell’epoca e cosa è cambiato dopo? E, soprattutto, che ruolo hanno avuto i “Fab Four”?

Lo abbiamo chiesto all’autore del libro, scritto con l’intento di offrire una chiave di lettura differente di quei tempi, mettendo in luce “l’incredibile mole di coincidenze, circostanze, fatti e fatalità che collegavano l’uno all’altro alcuni personaggi di quel periodo”.

Quando e perché è nata l’idea di scrivere un libro che racconta in che modo la storia dei Beatles si è intrecciata con la storia di personaggi come il fondatore della meditazione trascendentale Maharishi, il regista Roman Polanski, sua moglie Sharon Tate, la setta di Charlie Manson e l’assassino di John Lennon?

L’idea del libro è maturata nel corso degli ultimi due o tre anni. Collezionavo e studiavo da tempo materiale riguardante gli anni 1969-70 con l’ultimo periodo prima e dopo lo scioglimento dei Beatles. Più andavo avanti, più mi accorgevo dell’incredibile mole di coincidenze, circostanze, fatti e fatalità che collegavano l’uno all’altro alcuni personaggi di quel periodo.

Erano come i grani di un rosario, sembrava che ci fosse un filo unico nella storia di quegli incontri, una storia più grande che li teneva insieme e che chiedeva di essere nuovamente dipanata. Così, anche se la pubblicistica sui Beatles è smisurata, ho deciso di scrivere il libro, da questo punto di vista, che mi pare poco esplorato e assai interessante da scoprire”.

Continua a leggere qui VCB 

Acquista il libro qui



16/10/24

La foto esoterica dei Beatles, dopo la morte di John

 


Guardate bene questa foto. 

Fu scattata nel 1996, quando i tre Beatles rimasti si riunirono per stare un po' insieme. 

Durante il servizio fotografico, si sentivano vuoti senza John Lennon. Poi, misteriosamente, un pavone bianco apparve dietro George per una delle foto. 

Quando lo videro, sentirono tutti la presenza di John e l'atmosfera si alleggerì.

Probabilmente erano al corrente di quanto aveva spesso riferito Julian Lennon, il figlio del leggendario membro dei Beatles, secondo cui suo padre, prima di morire, aveva promesso a lui e al resto della sua famiglia di ritornare proprio sotto forma di una piuma bianca. "Quando vedrete una piuma bianca, sappiate che sono io, vicino a voi", aveva detto John. 

Anche recentemente Julian ha raccontato di aver percepito la presenza dello spirito di suo padre, morto 25 anni fa. L’apparizione ha avuto luogo mentre Julian partecipava ad un’antica cerimonia di una tribù aborigena in Australia. Una fonte del Daily Express ha riferito che quando uno degli anziani gli ha dato una piuma bianca il figlio 44enne del cantante si è emozionato profondamente, ricordandosi di quello che gli aveva sempre detto il padre.  

Julian era in Australia per girare il documentario "Whaledreamers", vincitore di diversi premi nel 2006 e proiettato durante il Festival di Cannes quest’anno. 

Qui, nel 1995, è la prima volta in cui il compagno perduto si sarebbe manifestato, come rivelò Paul McCartney, anche ai suoi ex-compagni di band con le sembianze di un pavone bianco, perdipiù mentre erano in studio per completare le registrazioni del singolo "Free as a Bird", originariamente inciso dallo stesso Lennon nel 1977.



12/10/24

L'emozionante omaggio di Paul a John Lennon nel giorno del suo compleanno - Il Tributo



Mercoledì 9 ottobre John Lennon avrebbe compiuto 84 anni.
Due in più del suo amico Paul McCartney, che gli ha dedicato il toccante tributo sui social. 

Come ricorderanno bene i fan dei Beatles, i due non sono sempre stati amici. A un certo punto avevano proprio rotto. Ma Sir Paul ricorda che per fortuna, poi, come spesso capita a chi si vuole bene per davvero, hanno ricucito il loro rapporto. 

Per fortuna, ha sottolineato McCartney, perché altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato dopo la prematura scomparsa di Lennon. 

La foto pubblicata su Instagram, ritrae Paul in un'esibizione del 2022 mentre canta con alle spalle filmati di John che suona la chitarra. Si tratta di un frame preso dal documentario Disney+ di Peter Jackson “The Beatles: Get Back”, andato in onda a novembre 2021. Lennon fu ucciso la sera dell'8 dicembre 1980, mentre si accingeva a rincasare con la moglie a New York. 

Di fronte all'ingresso di casa lo aspettava un folle, Mark Chapman, che gli scaricò alle spalle 5 colpi di pistola, dei quali solo uno non andò a segno.


Non perdere il nuovo libro sui Beatles appena uscito: "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", Arcana Editore, 2024 




07/10/24

La Magia Beatles continua: Paul Mc Cartney la notte scorsa incanta 70.000 persone allo stadio Monumental di Buenos Aires !


Grande successo, la notte scorsa a Buenos Aires, per Paul McCartney: l'ex Beatle ha incantato il pubblico con quasi tre ore di concerto e 33 canzoni,
facendo tremare di emozione lo Stadio monumentale, nell'ultimo dei suoi due show nella capitale argentina. 

L'artista di 82 anni non ha smesso un secondo di cantare, muoversi, intrattenere gli spettatori, lasciando di stucco per la sua incontenibile energia. 

Grazie anche ai miracoli della tecnologia, McCartney ha potuto utilizzare nuovi strumenti per visitare il catalogo dei Beatles e giocare un po' con la propria storia. Il cantante britannico e i suoi musicisti sono saliti sul palco con una standing ovation. Senza troppi preamboli, hanno iniziato con 'Can't buy me love', per poi proseguire con i principali successi dei Beatles alternati ai brani dei Wings.


Non perdere il nuovo libro sui Beatles appena uscito: "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", Arcana Editore, 2024