Riletto dopo decenni, "Il pianeta di Mr. Sammler" conserva la sua qualità stupefacente, suscitando la stessa meraviglia di allora.
E' uno dei grandi romanzi di Bellow, scritto nel 1971, sei anni dopo "Herzog" e cinque anni prima di "Il dono di Humboldt" e componendo insieme a questi due una trilogia miliare nella letteratura del Novecento.
Anche in "Sammler" si ripete lo schema tipico bellowiano (e del resto della trilogia): un protagonista, intellettualmente lucido e umanamente qualitativo, qui l'ottantenne Sammler, profugo ebreo polacco, scampato per miracolo all'Olocausto, che vive in un appartamentino di New York, vedovo, insieme alla figlia Shula, eccentrica per non dire pazzoide.
Vive, Sammler, grazie alla famiglia "allargata" di cui dispone, lì a NY: zii e cugini vari, che sono stati più bravi di Sammler a fare i soldi, tra questi il nipote Elya, chirurgo che sta ora morendo per una emorragia cerebrale, in ospedale.
Ancora più degli altri, forse, "Sammler" non ha una vera e propria trama. Non succede quasi nulla e io capisco che con la infima soglia di attenzione (e il disamore per la lettura) di oggi, leggere un romanzo-mondo come questo è per molti o moltissimi disarmante:
decostruito nella forma del romanzo classico, "Sammler" infatti si dipana sulla scia di un interminabile monologo interiore, a tratti delirante, in cui il vecchio protagonista ricapitola le scene cruciali della sua vita, insieme soprattutto alle domande sempre più inquietanti che gli provengono da ciò che ha intorno: la dissoluzione del sogno della società americana, le conquiste spaziali che sembrano spalancare scenari impensabili, il degrado culturale, l'ostentazione e la disumanizzazione dei rapporti, le nevrosi di un mondo sempre più sfilacciato e incomprensibile.
All'interno di esso, vive nella sua piccola bolla del suo appartamentino, il vecchio Sammler, a cui dopo la guerra è perfino capitato di conoscere e frequentare a lungo, quando viveva a Londra da fuggiasco, il grande H.G. Welles, di cui si sente un biografo mancato.
Dal suo unico occhio con cui riesce a vedere bene, Sammler osserva e giudica ora con sguardo benigno ora con crescente irritazione, il mondo che deflagra intorno a lui, i membri della sua famiglia che come cellule impazzite si muovono senza senso, gli avventori che incontra nella metro che prende tutti i giorni, i borseggiatori, i neri, i barboni, i mafiosi, gli estrosi e i perduti.
Questa capacità di osservazione di Sammler è grande e salvifica. E' piena di "sentimento oceanico", di stupore per la bellezza e per la follia del mondo.
E' un occhio compassionevole che contiene, accogliendolo, tutto ciò che vaga in apparente inesaudita ricerca di senso, attorno a lui.
La lingua di Bellow è di ricchezza imbarazzante pensando a ciò che oggi si scrive. Nessun autore oggi è capace di sviluppare una lingua che possa anche tentare di avvicinarvisi, per complessità, erudizione, profondità psicologica, disegno complessivo.
Da questo punto di vista, Bellow è forse per davvero l'ultimo dei grandi del Novecento. Un mondo che è caduto a pezzi (e di cui B. ha cantato meravigliosamente la fine) e che ancora non sembra destinato ad essere sostituito.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.