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02/11/23

"Il Regno" di Emmanuel Carrère, l'investigazione (teologica) come forma d'arte


Con un po' di anni di ritardo, dalla sua uscita, ho letto Il Regno, di Emmanuel Carrère, che al pari degli altri suoi libri ebbe una diffusa eco alla sua pubblicazione e traduzione in Italia.

E' un libro importante e confermo che - come forse altri lettori - sono stato messo fuori strada all'inizio dalle recensioni italiane uscite all'epoca (2014), che ne sottolineavano un carattere da "pamphlet", sostanzialmente anticristiano.
Il Regno non è così: è un testo molto serio, documentato, impegnativo (più di 400 pagine), dal quale - anche per chi è cristiano o si professa tale - si imparano moltissime cose.
La seconda cosa che non è vera, è che il protagonista del libro sia Paolo di Tarso. Non è così. Il vero protagonista è Luca, il giovane medico macedone, che fu discepolo di Paolo e che è l'autore del Terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, quella "miscellanea" di eventi del dopo-morte di Gesù che racconta i primissimi anni del cristianesimo e che si ferma prima dell'Apocalisse di Giovanni.
In Luca, Carrère, palesemente finisce anche per identificarsi, in questa investigazione a tutto tondo: genere nel quale Carrère non conosce rivali. Luca arriva a scrivere il suo Vangelo, basandosi su quello - precedente - di Marco, ma - secondo Carrère - "romanzando" là dove lui stesso è in grado di riferire cose nuove, che Marco non sapeva o non ha scritto. La stessa "accusa" potrebbe essere rivolta a Carrère, il quale pur documentatissimo, deve fermarsi di fronte alle enormi lacune - e incoerenze, vuoti, piccoli e grandi misteri - di cui il racconto della Vita di Gesù è pieno. E Carrère, travestendosi da Luca, ed essendo (anche) un romanziere, riempie, ipotizza, aggiunge, interpreta, ma con grande sincerità intellettuale. E sempre con un alto grado di plausibilità e di "coerenza" di racconto.
Ne viene fuori il ritratto di Paolo, di cui Luca fu il più vicino collaboratore per molti anni: cittadino romano, prima persecutore poi convertito, uomo severo e ostinato, instancabile e appassionato. Le Lettere di Paolo sono come si sa, i documenti scritti, temporalmente più vicini alla vita di Gesù, risalendo ad appena 15-20 anni dopo la sua morte.
E lo si segue - mediante Luca - lungo i suoi avventurosi viaggi attraverso il Mediterraneo, e poi fino a Roma dove a Paolo - essendo cittadino romano - viene risparmiato il supplizio della croce (riservato ai senza patria cristiani), e comminata la "pietosa" decapitazione eseguita alle Tre Fontane (ad aquas salvias) .
Dopo la morte di Paolo, Il Regno si occupa a lungo delle vicende di Luca e della scrittura del suo Vangelo, l'unico tra i sinottici a gettare luce sulla nascita e infanzia del Maestro.
Carrère, essendo Carrère, intreccia come sempre questo dotto e avventuroso racconto - in cui si incontrano anche molti studiosi moderni del cristianesimo tra cui il grande Paul Veyne - con le sue vicende personali: la sua conversione al cristianesimo, avvenuta parecchi anni prima, e durata solo 3 anni, al termine della quale lo scrittore è tornato convintamente a essere un agnostico (e praticante di discipline orientali come lo Yoga).
E pur scritto da un agnostico, Il Regno si rivela come uno dei migliori, e più acuti, libri scritti negli ultimi anni sul cristianesimo, dal punto di vista storico, come e da quello filosofico. Carrère, pur non potendo oggi dichiararsi cristiano, ha capito meglio di molti altri lo spirito "autentico" del cristianesimo, quello delle origini, quello di Gesù e quello dei discepoli e degli apostoli, e ne ha un profondissimo rispetto.
Il suo punto debole, in un libro quasi impeccabile come questo, è forse credere, come fanno molti, che una storia "inventata a tavolino" (anche se questo non è quello che pensa Carrère) e messa in buona forma da volenterosi "segretari" come Luca (segretario di Paolo) e Marco (segretario di Pietro), possa aver rapidamente conquistato il mondo, e l'intero occidente per duemila anni (l'istituzione della chiesa cattolica cristiana è, come è noto, l'istituzione umana più antica, esistente).
Carrère sa, e lo scrive: che questo racconto pieno di buchi, incongruenze, cose inverosimili, miracoli, contraddizioni, questo racconto che ha per protagonisti un gruppo di analfabeti, umili pescatori e scappati di casa, e un presunto dio ammazzato come un capretto su una croce, delirante e pazzo nelle sue affermazioni contro ogni senso comune; questo racconto aveva ogni probabilità di essere cancellato dalla storia in qualche giorno o settimana, dopo la morte del Profeta, così come era successo a centinaia di altri racconti simili, inghiottiti dall'oblio.
Il vero mistero è, invece, come sia stato possibile che questa collezione di assurdità (Creo quia absurdum, scriveva Tertulliano), di "favola per donne, raccontata da donne" [specie la Resurrezione] quindi quanto di più inattendibile al mondo potesse esistere, di epopea degli ultimi, abbia potuto non soltanto diffondersi in pochissimo tempo capillarmente in ogni angolo di un immenso impero, ma addirittura nel giro di "appena" un paio di centinaia di anni, diventare creduta da milioni di persone, e così per duemila anni e fino ad oggi.
In questo senso Carrère, pensando "pro domo sua" attribuisce troppa importanza agli evangelisti, a quelli cioè che "scrissero" il Vangelo, immaginandoli come fossero scrittori di oggi, con gli stessi loro tic e metodi:
sembra una visione ingenua. Gli studiosi del cristianesimo sanno che i quattro Vangeli furono "messi per iscritto" per motivi pratici molto concreti che sono sostanzialmente due: 1. quando si capì che la fine del mondo non era imminente, come sembravano invece intendere le parole di Gesù (gli apostoli erano convinti che Lui sarebbe tornato con loro ancora in vita) 2. quando si capì che l'attesa - molto più lunga del previsto - metteva a serio rischio il racconto orale (orale perché "scrivere di Gesù" durante le persecuzioni anticristiane non era esattamente una buona idea) e quindi era opportuno scriverle, perché restassero.
Per questi motivi nella scrittura di questi testi non contò così tanto la personalità degli "scrittori" che furono più che altro i "redattori" chiamati a mettere per iscritto, quanto più fedelmente possibile, un racconto orale (di gruppo, di comunità) che si tramandava di bocca in bocca, e da padre a figlio.
Il mistero è dunque un altro.
Un mistero che non si spiega, e in cui anche Carrère, con la sua penna affilata e degna, evita di addentrarsi. Lo Spirito non è e non può essere materia di indagine, e Carrère è il primo a saperlo. A lui interessano i fatti. E siccome la storia, specialmente quella del primo cristianesimo, è fatta di molti, molti fatti lui si dedica con passione a quelli.
Per lo Spirito, bastano e avanzano le ultime cinque pagine de Il Regno: ho finito di leggerle con i brividi sulla schiena e mi sono reso conto che quasi mai, nella mia lunga vita di lettore, un libro mi ha procurato brividi sulla schiena, mentre lo leggevo.

Fabrizio Falconi - 2023

02/12/20

Uno degli angoli più suggestivi di Roma: San Giovanni in Oleo, duemila anni di storia

 


San Giovanni in Oleo, la memoria dell’apostolo amato da Gesù

 

A Roma, si sa, si parla sempre di Pietro e di Paolo. Ma si ignora spesso l’importante passaggio di quelli che furono gli altri apostoli di Gesù, a cominciare di quelli più importanti: gli Evangelisti. Pochi romani saprebbero oggi rispondere alla domanda se risulta un passaggio a Roma di San Giovanni, l’Evangelista, quello che i Vangeli definiscono il prediletto da Gesù.

Eppure questa presenza non solo è documentata. Ma è anche testimoniata da un culto bi-millenario, mai decaduto.

Di Giovanni si ricorda l’attività di predicatore instancabile, dopo la morte di Gesù, e soprattutto della sua presenza a Patmos, nell’Egeo, dove scriverà le terribili ed enigmatiche visioni contenute nell’Apocalisse. Ma tra queste due fasi, Giovanni transitò anche a Roma.

E’ Tertulliano a raccontarci che nell’anno 89 d.C., mentre Giovanni si trovava ad Efeso, si scatenò una nuova ondata di persecuzioni nei confronti dei cristiani ad opera dell'imperatore Domiziano. Tertulliano racconta che Giovanni venne arrestato e condotto a Roma, quindi torturato nei pressi di Porta Latina e infine condannato a morte.

Di lì a poco questa pena però verrà commutata in quella dell'esilio nell'isola di Patmos.

Sul luogo dove venne sottoposto alla tortura dell’olio bollente venne costruita la chiesa di San Giovanni in Oleo. Non si tratta anzi, di una vera e propria chiesa, ma di un piccolissimo oratorio,  un tempietto  a pianta ottagonale, che sorge nei pressi della Porta Latina.  Nelle forme attuali fu costruito all’inizio del ‘500 su commissione del vescovo francese Benoit Adam, su un precedente martiryum costruito in epoca paleocristiana. Il piccolo edificio fu poi restaurato dal grande Borromini nel 1657 per incarico del cardinale Francesco Paolucci che intendeva trasformarlo in una cappella per la sua potente famiglia.

E’ opportuno riflettere sul fatto che Giovanni, secondo quanto tramandatoci dalle scritture e le fonti antiche fu l’unico degli apostoli che non morì subendo il martirio, ma per morte naturale, in età veneranda. 


Anche in questo senso , egli occupa dunque un posto a sé nella storia del Cristianesimo. Giovanni, come abbiamo detto, è il prediletto di Gesù e fratello di Giacomo il Maggiore. Dopo la resurrezione di Gesù è il primo, insieme a Pietro, a ricevere da Maria Maddalena l’annuncio del sepolcro vuoto, ed è il primo a giungervi, entrandovi poi dopo Pietro.


Dopo l’ascesa al cielo di Gesù,
  gli Atti degli Apostoli ce lo mostrano accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio, dopo il quale fu catturato e poi con Pietro incarcerato.

Sempre insieme a Pietro si reca in Samaria. Nell’anno 53 d.C. Giovanni si trova ancora a Gerusalemme: Paolo infatti lo nomina (Gal 2, 9) insieme a Pietro e a Giacomo come una delle colonne della Chiesa. Ma verso il 57 Paolo nomina a Gerusalemme solo Giacomo il Minore: dunque Giovanni non c’è più, trasferitosi a Efeso, come concordemente testimoniano le fonti antiche, fra le quali basterà citare, per tutte, Ireneo (Contro le eresie, III, 3, 4): La Chiesa di Efeso, che Paolo fondò e in cui Giovanni rimase fino all’epoca di Traiano, è testimone veritiera della tradizione degli apostoli.  La permanenza di Giovanni a Efeso, dove scrive il Vangelo (secondo quanto afferma ancora Ireneo), è interrotta, come le stesse fonti antiche ci dicono, dalla persecuzione subita sotto Domiziano (imperatore dall’81 al 96), probabilmente verso l’anno 95. Si innesta qui la tradizione, riportata anche da molti autori antichi, del suo viaggio a Roma e della sua condanna a morte in una giara di terracotta colma di olio bollente, dalla quale l’ormai vecchio apostolo uscì illeso, salvo dalle bruciature, suscitando lo sconcerto dei suoi aguzzini. 

E vediamo qui quali sono le fonti: la fonte più antica che ce ne parla è Tertulliano, intorno all’anno 200 d.C.: Se poi vai in Italia, trovi Roma, da dove possiamo attingere anche noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella Chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta intera la dottrina insieme con il loro sangue, dove Pietro è configurato al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, immerso senza patirne offesa in olio bollente, è condannato all’esilio in un’isola (La prescrizione contro gli eretici, 36).


Un’altra testimonianza è quella di
 Girolamo, che alla fine del IV secolo scrive: Giovanni terminò la sua propria vita con una morte naturale. Ma se si leggono le storie ecclesiastiche apprendiamo che anch’egli fu messo, a causa della sua testimonianza, in una caldaia d’olio bollente, da cui uscì, quale atleta, per ricevere la corona di Cristo, e subito dopo venne relegato nell’isola di Patmos. Vedremo allora che non gli mancò il coraggio del martirio e che egli bevve il calice della testimonianza, uguale a quello che bevvero i tre fanciulli nella fornace di fuoco, anche se il persecutore non fece effondere il suo sangue (Commento al Vangelo secondo Matteo, 20, 22). Alle antiche fonti cristiane sul martirio di Giovanni a Roma si può poi aggiungere con buona attendibilità anche l’allusione del pagano Giovenale (inizi del II secolo), che, nella IV Satira, critica Domiziano raccontando l’episodio della convocazione del Senato per decidere che fare di un enorme pesce, venuto da lontano e portato all’imperatore, che viene destinato a essere cotto in una profonda padella.

Come nello stile delle Satire, il pesce sarebbe appunto Giovanni, il povero pazzo cristiano.  E' una ipotesi affascinante frutto dello studio pubblicato recentemente da una ricercatrice italiana, Ilaria Ramelli.

Se la ipotesi fosse giusta, ci troveremmo di fronte alla clamorosa conferma da parte di una fonte pagana, di una lunga tradizione prima orale e poi scritta, tutta cristiana. Il che ancora una volta avvalorerebbe la tesi che alla base di testimonianze così antiche ci sono sempre riscontri reali, storici, effettivi.


Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013, 2018