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18/09/21

Libro del Giorno: "Vite che non sono la mia" di Emmanuel Carrère

 


E' uno dei libri migliori che abbia letto negli ultimi anni. Un libro nel quale - come capita molto di rado - il forte impatto emotivo (che co-stringe il lettore a non rimanere impassibile, ma anzi ad essere profondamente turbato visto che in massima parte si tratta di fatti reali) si sposa alla maestria di uno stile letterario impeccabile, di livello molto alto. 

Vite che non sono mie è stato pubblicato da Emmanuel Carrère nel 2009 e subito tradotto in italiano da Einaudi, prima che l'editore Adelphi non acquisisse il catalogo completo delle opere di Carrère per il nostro paese. 

Scritto dopo La vita come un romanzo russo (scritto nel 2007), una storia sulla sua famiglia e quindi completamente autobiografica, Emmanuel Carrère decise di realizzare un libro in cui non fosse il primo protagonista, come già viene dichiarato dal titolo, ma dedicato invece alla vita delle persone che incontra, anche se lo scrittore resta fondamentalmente in scena per tutto il romanzo.

Che si tratti però della famiglia della bambina scomparsa durante il terrificante tsunami del 2004, di Patrice, Etienne e anche delle famiglie vittime del sovraindebitamento, Carrère concepisce la missione di descrivere ai lettori la loro sofferenza, la loro situazione, il loro carattere, in una parola il loro destino.

La storia inizia in Sri Lanka, dove Carrère trascorreva le vacanze con la sua compagna Hélène, suo figlio Jean-Baptiste e il figlio di Hélène, Rodrigue proprio all'epoca del grande tsunami che ha devastato lo Sri Lanka e l'indocina nel 2004. 

Carrère, scampato lui stesso insieme alla famiglia alla tragedia per mere circostanze fortuite, decide allora di raccontare la tragedia che ha subito una famiglia francese in vacanza: Juliette, la loro unica figlia morta durante lo tsunami, raccontando l'impatto devastante di questo lutto su di essa. Le due famiglie diventeranno presto amiche. 

Al suo ritorno a Parigi, l'autore deve poi affrontare un'altra tragedia: la morte della sorella di Hèléne,  Juliette, sposata e madre di tre giovani figlie. 

Racconterà la storia dell'agonia di questa donna per una malattia incurabile e il viaggio di accompagnamento di chi le sta intorno. 

Dopo la morte di Juliette, la famiglia è invitata a visitare un amico ed ex collega di Juliette, Étienne. 

Quest'ultimo spiega i legami che aveva con il defunto. Ed è proprio seguendo questa affascinante storia che Carrère avrà l'idea di realizzare questo libro. 

Incontrerà più volte quest'uomo che gli racconterà del suo lavoro come giudice, il suo cancro gli ha fatto perdere una gamba (come Juliette). Conosce Juliette perché insieme erano giudici del tribunale distrettuale di Vienne, dove si occupavano di colossali casi di sovraindebitamento che interessavano gente comune. 

Étienne racconta la loro lotta comune a favore delle famiglie povere e contro i grandi istituti di credito. 

Carrère conosce meglio  Patrice, il marito di Juliette. Quest'ultimo ripercorre la sua vita matrimoniale e gli ultimi giorni della moglie. 

Le vicende che interessano le due Juliette, dunque, la bambina morta per lo tsunami e la cognata giudice, apparentemente non collegate, finiscono invece per formare, nella narrazione di Carrère una unica, profonda, dolente, angosciosa, meditazione sulla sofferenza e sulla morte (il caso ha voluto infatti che Emmanuel Carrère fosse in vacanza nello Sri Lanka quando lo tsunami ha devastato le coste del Pacifico, e che si trovasse a sostenere una coppia di connazionali nelle strazianti incombenze burocratiche per rimpatriare il corpo della figlia di quattro anni; e che, solo pochi mesi dopo, gli accadesse di seguire un’altra vicenda dolorosa, quella che avrebbe portato alla morte per cancro la sorella della sua compagna, che era stata «un grande giudice», strenuamente impegnato al fianco delle vittime del sovraindebitamento). 

C’è un solo modo per ricevere il dolore degli altri, ci dice Carrère: dargli voce, farlo diventare il proprio dolore. Ed è questo il compito che si è assunto come romanziere, riuscendo a scrivere – senza mai cadere nell’enfasi, ma mettendo a fuoco con la precisione ossessiva di un reporter ogni minimo particolare – il suo libro più lacerante e temerario.

«Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, passo alcune ore davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura al mondo: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito. La vita mi ha reso testimone di queste due sciagure, l’una dopo l’altra, e mi ha assegnato il compito, o almeno io ho capito così, di raccontarle»


Emmanuel Carrère 

31/07/18

Libro del Giorno - "Un Pedigree" di Patrick Modiano.




Pubblicato nel 2005, "Un Pedigree", è uno dei libri più originali di Patrick Modiano (insignito nel 2014 dal Premio Nobel per la Letteratura): una sorta di misteriosa auto-biografia in cui non si sa - e non si vuole esibire - se tutto quello che viene raccontato - o solo in parte o solo trasversalmente - sia successo veramente. 

Modiano scrive questo scarno romanzo - di appena 80 pagine - come fosse appunto un semplice pedigree, dichiarazione di appartenenza ad una razza attraverso la discendenza e attraverso le qualità ereditate e dichiarate. 

Il libro comincia così nell'ottobre del 1942 quando durante l'Occupazione in Francia, lui e lei si incontrano: sono un uomo ebreo di origini toscane, e una donna fiamminga, che insegue il sogno di diventare una ballerina. I due si sposano e hanno due figli, uno è Patrick, lo scrittore. 

Da qui, da questo semplice inizio, il romanzo infila pagina dopo pagina l'incredibile sequela di nomi e luoghi che agitano queste due vite e soprattutto quella di Patrick, tutti gli innumerevoli volti - citati uno ad uno - che si inseguono nell'appartamento in Quai de Conti, nell'appartamento dove per vent'anni vanno in scena le liti, le separazioni, i piccoli e grandi misfatti di una non-famiglia.  Vite parallele che probabilmente si incontrano soltanto e solo una volta, fugacemente, rapporti che sembrano scambi o casi quantistici, sui quali si staglia la solitudine di Patrick, il suo essere abbandonato completamente a se stesso, tra affidamenti a strampalati sostituti/amici dei due coniugi ai collegi spartani dove viene periodicamente rinchiuso. 

Il padre è preso dai suoi (loschi) affari, compare e riappare, sempre con donne e uomini diversi.  La madre è totalmente assente, assorbita dalla inevitabilità e dalla insussistenza del suo sogno artistico. 

Tutto questo è però raccontato in una maniera - e in un mondo - sospeso, dove la galleria dei nomi e delle figure si confonde con luoghi dimenticati o ritrovati solo per un momento, in un alone di mistero e di ordinaria magia. 

Il Pedigree di Modiano è insomma una sorta di allucinato caleidoscopio, dove si perde perfino il gusto di comprendere l'origine e la storia, ma ci si lascia trasportare, come dentro un flusso che vive di vita propria. 

Fabrizio Falconi