31/07/21

La morte di Roberto Calasso: I libri come residuo e metro del mondo


"Apollo è stato il primo invasore e usurpatore di un sapere che non gli apparteneva, un sapere liquido, fluido al quale il dio imporrà il suo metro". 

E' una tipica frase che si puo' trovare nei libri di Roberto Calasso, in questo caso un piccolo e fulminante saggio intitolato "La follia che viene dalla ninfe". 

Ma e' anche un'immagine che, oggi che l'intellettuale che ha guidato la casa editrice Adelphi per 50 anni e che ha scritto una colossale "opera in corso" a partire dal 1983, e' morto a Milano a 80 anni, oggi quell'immagine dell'imposizione di un metro a un sapere fluido potremmo sceglierla per sintetizzare cio' che Calasso stesso ha fatto come editore e come autore

Partendo proprio da quella "Nube della non conoscenza" che ritorna sia nel catalogo Adelphi sia nelle sue pagine, e che ha preso la forma di un pensiero articolato, di una narrazione policentrica, di collane che continuano a fare la storia editoriale dell'Italia all'ombra di quello che in molti, senza troppa fantasia, ma con una certa esattezza, abbiamo chiamato spesso l'ultimo editore puro del nostro Paese. 

Sopravvissuto, anzi restio, alle grandi fusioni; ostinatamente legato a un'idea irraggiungibile, come le ninfe, come l'Oriente, ma capace, per citare l'amato Aby Warburg, di creare il "gesto vivo" della cultura.

Il riferimento mitologico e' inevitabile nella bibliografia di Calasso, che siano indu' o greci o perfino postmoderni, gli dei sono ovunque. 

Tanto presenti da farci ritenere che qualcosa di quella divinita' si fosse infusa anche in lui, il personaggio leggendario che nel suo studio trovava porte per altre dimensioni. 

Per un giornalista comune non era facile avvicinare Calasso per un'intervista a Milano, ma, per una serie di ragioni che ancora non mi si sono chiarite, alla Fiera di Francoforte tutto diventava possibile, tanto da sentirsi dire, dopo avere rifiutato con un certo sdegno ogni riferimento alla "politica culturale", una frase come, "ma perche' non parliamo di libri?".

E li' sembrava, quasi la Buchmesse diventasse un cielo del Tiepolo, che una luce divina fosse scesa accanto, nello stand sempre uguale della Adelphi. 

E alla luce divina, talvolta, capita di attribuire anche il carattere di immortalita'. Fino a prova contraria, per lo meno. Calasso era colui che, raccogliendo i propri risvolti di copertina in un unico volume, li definiva "cento lettere a uno sconosciuto", era l'editore che fin dall'inizio aveva cercato di pubblicare i "libri unici", quelli che "molto avevano rischiato di non diventare mai libri", perche' "l'opera perfetta e' quella che non lascia tracce".

E se in questi brevissimi accenni alla sua "impronta" di editore vedete, per esempio, la figura in controluce di un Franz Kafka, o quella di un Talleyrand, ecco, la risposta e' si', ci sono, esistono come prova di una possibilita' dell'esistenza stessa del mondo e della sua narrazione: letteraria, storica, politica. 

"Non c'e' sacrificio senza residuo - scriveva Calasso - e il mondo stesso e' un residuo. Percio' occorre che i libri esistano. Ma occorre anche ricordare che, se il sacrificio fosse riuscito a non lasciare un residuo, i libri non ci sarebbero mai stati". 

E insieme ai libri, ovviamente, non ci saremmo stati noi.

Nelle ultime settimane, fatto abbastanza inconsueto, sono usciti a distanza ravvicinata due libri di Roberto Calasso, "Allucinazioni americane", sul cinema di Hitchcock, ma anche su Kafka e la sua America, e "Bobi", dedicato a Roberto Balzen, che con lui fondo' la Adelphi. 

Un'urgenza di pubblicazione che, con il senno della cronaca del poi, fa pensare che non ci fosse piu' tempo da perdere. 

Ma forse e' anche solo la testimonianza tangibile, sotto forma di libri (quindi dell'Universo sotto forma di Biblioteca, come ci insegna Borges), di una passione totale e assoluta. 

"Come altrettanti dolmen in un vasto paesaggio selvatico e silenzioso". Nell'impossibilita' di circoscrivere e di riassumere in maniera anche solo decente la personalita' di Roberto Calasso, proviamo a chiudere arrivando all'oggi, al tempo del digitale, di cui ha scritto in uno dei suoi piu' importanti testi recenti: "L'innominabile attuale", che parla di terrorismo e di vita digitale, all'insegna della costante e irrisolvibile forma gordiana del Presente. 

"La trasposizione dell'universo in forma digitale e la sua disponibilita' al contatto con le dita - scriveva Calasso - sono un fatto senza precedenti nella vita di Homo Sapiens e toccano le regioni piu' remote e piu' oscure della sua vita mentale". 

Preciso, chiarissimo. Eppure quella strana nebbia che attraversa tutto il mondo della scrittura dell'editore, quella nebbia che e' generatrice di mitologie e di luce, seppure imperfetta, rifratta, quella strana nebbia arriva anche qui, ricordandoci che proprio in quelle regioni remote e oscure sono nati i capolavori della filosofia Vedica come di Roberto Bolaño, i saggi matematici di Kurt Gödel o le lettere di Marina Cvetaeva. 

Fino ad arrivare all'ombra wittgensteiniana che seguiva sempre Jacques Austerlitz nella sua ricerca di ricostruzione impossibile del mondo nel romanzo di W.G. Sebald. Ma adesso sembra sia l'ora di un'altra passeggiata. Magari capitera' di incrociare anche Robert Walser. 

15/07/21

Arriva su Sky l'attesa docu-serie "Allen vs. Farrow" targata HBO


Allen v. Farrow è una docu-serie HBO divisa in quattro parti che ripercorre l'oscura storia di uno degli scandali piu' noti di Hollywood: l'accusa di abuso sessuale di Mia Farrow contro Woody Allen che coinvolge Dylan, loro figlia adottiva, il successivo processo per la custodia, la rivelazione della relazione di Allen con un'altra figlia della Farrow, Soon-Yi, con cui poi si sposo'

Allen v. Farrow e' su Sky Documentaries (canali 122 e 402), disponibile anche on demand e in streaming su NOW. 

Attraverso video amatoriali, documenti legali e interviste esclusive a Mia Farrow, Dylan Farrow, e Ronan Farrow, la serie riapre una delle ferite piu' dolorose nel mondo dello spettacolo, ricostruendo le accuse che la ex compagna e due dei suoi figli hanno mosso al regista, ovvero di aver molestato la piccola Dylan

Fatti per i quali Allen non fu mai incriminato. 

Il documentario, firmato da Kirby Dick e Amy Ziering, ha riportato la discussione su una delle piu' note, intricate e dibattute vicende di accuse di violenze sessuali nella storia dello spettacolo americano. 

È stato inoltre molto discusso per la sua visione Farrow-centrica che non ha dato spazio alla versione dell'accaduto di Woody Allen. Esamina pero' gli effetti devastanti del trauma su una famiglia ed e' una rappresentazione inquietante dello scetticismo e della reazione negativa che puo' derivare da un'accusa. 

13/07/21

Incredibile scoperta in Sudan: Tombe islamiche distribuite come galassie nel cosmo


Le tombe islamiche costruite nei millenni nella regione sudanese del Kessala sono distribuite secondo uno schema simile a quello delle galassie: grazie a un modello statistico usato in astrofisica si e' infatti scoperto che le sepolture sono raggruppate a centinaia intorno a nuclei dove si trovano probabilmente quelle piu' antiche e importanti

Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista Plos One dai ricercatori dell'Universita' di Napoli 'L'Orientale', della Statale di Milano e dell'Universita' di Newcastle, nell'ambito di una cooperazione internazionale che fa riferimento alla National Corporation for Antiquities and Museum del Sudan. 

Il lavoro, condotto in collaborazione con l'archeologa sudanese Habab Idriss Ahmed, ha preso in esame oltre 10.000 monumenti funerari identificati in un'area di oltre 4.000 chilometri quadrati grazie alle immagini satellitari e alle ricerche sul campo

"Disponevamo di scarsissime fonti scritte e orali circa l'origine delle tombe, che sono migliaia, tutte uguali e non sono mai state scavate", dice all'ANSA il primo autore dello studio, Stefano Costanzo dell'Universita' di Napoli L'Orientale. 

Grazie al modello statistico NCSP (Neyman-Scott cluster process), originariamente sviluppato per studiare la distribuzione di stelle e galassie, e' emerso "che effettivamente le grandi necropoli di 3-4000 tombe celano una struttura a sottocluster che non e' immediatamente identificabile a occhio nudo, ma che con buona probabilita' - afferma Costanzo - si e' formata secondo dinamiche sociali proprie dei gruppi umani del territorio". 

12/07/21

Roma: Apre al pubblico la Casa delle Vestali !




Erano le sacerdotesse per eccellenza, incaricate della custodia del focolare sacro della citta' e di tutti i riti strettamente connessi al culto domestico. 

Dopo il santuario di Vesta e dopo un lungo percorso restauro e studio, apre le porte al pubblico anche il complesso della Casa delle Vestali nel Parco archeologico del Colosseo e nel cuore del Foro romano

Dal luglio il nuovo percorso di visita permettera' di scoprire il settore sud-orientale dell'Atrium Vestae, riportato alla luce da Rodolfo Lanciani nel corso degli scavi del 1882-1884 e da tempo chiuso al pubblico. 

Ecco allora i riservatisismi appartamenti delle sacerdotesse, oggi spazio per un museo diffuso con alcune delle sculture rinvenute al Foro Romano alla fine del XIX secolo. 

Ritrovano il suo posto anche una statua di Vestale e quella che, secondo alcuni studiosi, raffigura Numa Pompilio, il secondo re di Roma cui e' attribuita l'istituzione del culto del fuoco e la creazione del sacerdozio delle vergini sacre. 

E poi ancora tra gli ambeinti restaurati, la stanza della macina in pietra lavica, dove - stando alla tradizione e in attesa di ulteriori verifiche - le sacerdotesse di Vesta confezionavano la mola salsa, la focaccia sacra offerta alla divinita' in occasione delle principali festivita' e, secondo alcuni, distribuita in piccoli pezzi ai credenti, come atto di purificazione

Secondo altri, invece, veniva utilizzata per cospargere gli animali destinati al sacrificio, da cui il verbo "immolare". 

"E' il primo passo di un complesso programma di ricerca e restauro - spiega la direttrice del Parco archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo - che, oltre all'apertura dell'intera Casa delle Vestali, prevede nuovi percorsi e spazi informativi in tutto il Parco, per coinvolgere il pubblico in una visita sempre piu' consapevole alla riscoperta di monumenti straordinari, patrimonio dell'Umanita', in un contesto naturale di rara suggestione". 




11/07/21

Poesia della Domenica - "Mi hai dato due incarichi" di Viktor Borisovič Šklovskij

 




Mi hai dato due incarichi 



 Mi hai dato due incarichi.
1) Non telefonarti.
2) Non vederti.
Adesso sono un uomo occupato.

C’è anche un terzo incarico:
non pensare a te.
Ma tu non me l’hai affidato.

 


Viktor Borisovič Šklovskij (1893-1984)

 

 



Ты дала мне два дела



Ты дала мне два дела:

1) не звонить к тебе,
2) не видеть тебя.
И теперь я занятой человек.

Есть еще третье дело:
не думать о тебе.
Но его ты мне не поручала.

10/07/21

Terry Gilliam: "Chi tiferò tra Italia e Inghilterra? Ovviamente l'Italia!"




"Chi tifero' tra Italia e Inghilterra? Ovviamente l'Italia": sono le parole di Terry Gilliam che nel borgo umbro di Montone ha inaugurato la 25/a edizione dell'Umbria film festival. 

Un luogo che lo vede concittadino (e' sua citta' d'adozione da oltre trent'anni perche' qui trascorre sempre le vacanze) e una kermesse che ha l'onore di fregiarsi della presidenza onoraria del grande regista e sceneggiatore statunitense naturalizzato inglese.

Gilliam si e' presentato cosi' al pubblico che lo aspettava in piazza San Francesco, dicendo quindi la sua sulla finale degli Europei di calcio. "Voglio diventare presto un vostro connazionale" ha aggiunto. "Per anni - ha spiegato - sono stato cittadino sia americano che inglese e pagavo le tasse in tutti e due i Paesi. Poi solo inglese, poi e' arrivata la Brexit e ora comunque, dopo tanti anni che sono qui, mi sento italiano". 

 Il ritorno a Montone di Gilliam e' stato omaggiato con la proiezione in piazza San Francesco del film che lo ha portato in Italia la prima volta, quel 'Le avventure del Barone di Munchausen', annata 1988, che il pubblico ha potuto ammirare sul grande schermo alla presenza quindi del genio di Minneapolis

Insieme al regista c'erano anche alcuni dei suoi collaboratori del tempo, come due premi Oscar come lo scenografo Dante Ferretti e la costumista Gabriella Pescucci, il direttore della fotografia Nicola Pecorini e Charles McKeown, attore e sceneggiatore britannico. 

Parlando del film 'Le avventure del Barone di Munchausen', Gilliam ha detto di "aver rubato Ferretti a Fellini e Pescucci a Pasolini". 

Si e' detto onorato di aver potuto lavorare nel 1988 con professionisti di questo tipo a Cinecitta', ricordando l'aneddoto che lo vedeva "parlare" con Pescucci, che all'epoca non conosceva bene l'inglese, solo attraverso i disegni per come realizzare i costumi del film. 

Quando gli e' stato chiesto qual era il suo film preferito da poter presentare anche per festeggiare i suoi 80 anni, Gilliam ha comunicato agli organizzatori proprio il 'Barone' perche', ha spiegato, "e' il film che mi ha fatto conoscere dal punto di vista professionale l'Italia e quindi per me ha una valenza enorme". 

L'Italia in generale, ha poi sottolineato, e' ormai la sua "dimensione artistica" e in Umbria ha detto di aver trovato la propria "dimensione di vita". 

"Per la prima volta quest'anno non sono venuto solo in vacanza - ha infine annunciato - ma mi sono messo a scrivere a Montone il nuovo film". 

Le sorprese del festival, che andra' avanti fino all'11 luglio, non finiscono qui, tra anteprime cinematografiche, cortometraggi e grandi ospiti. 

Il prossimo sara' infatti Thomas Vinterberg, fresco vincitore del premio Oscar come Miglior Film Straniero con 'Un altro giro', che oggi, 10 luglio ricevera' le Chiavi della Citta' di Montone. Il regista danese, gia' tra i fondatori del movimento cinematografico Dogma95 e regista di capolavori come 'Festen' e 'Il Sospetto', presentera' al pubblico il suo ultimo film alle ore 21 in piazza San Francesco. 

09/07/21

Libro del Giorno: "Chadzi-Murat" di Lev Tolstoj

 


Chadži-Murat è un traditore, un soldato ceceno che, durante la lotta del proprio popolo contro lo zar Nicola I, abbandona i compagni per unirsi al nemico russo, avviandosi lungo una parabola che lo condurrà a scontare le inevitabili conseguenze della propria scelta

Sullo sfondo della sua vicenda personale e drammatica c’è poi la devastazione della guerra: le case e i villaggi saccheggiati e distrutti, la morte, il pianto delle madri sui cadaveri dei figli fotografano con scioccante attualità gli strazi di una tragedia senza tempo e ci parlano di quella cosa – nota Paolo Nori – «della quale sentiamo parlare talmente tanto che anche il nome, conflitti razziali, non ci dice più niente». 

Scritto durante gli ultimi anni di vita di Tolstoj e pubblicato postumo nel 1912, per i tantissimi problemi con la censura zarista, Chadži-Murat è un’opera poco nota eppure imprescindibile, in cui ritroviamo intatta la grandezza di un capolavoro come Guerra e pace.


06/07/21

Libro del Giorno: "Quando abbiamo smesso di capire il mondo" di Benjamìn Labatut

 



Adelphi sceglie un'opera di Yves Klein del 1960 come felice copertina per un romanzo assai sui generis che è già diventato uno dei casi dell'anno, grazie al passa parola e alle positive (in alcuni casi entusiastiche) recensioni dei giornali.  

L'opera di Klein richiama il suo famoso blu e si ricollega subito alla prima parte del libro intitolata appunta Blu di Prussia che racconta le vicende dell’alchimista che all’inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell’incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell’elisir.  La scoperta finisce molto tempo dopo nelle mani di un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole e quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon, che verrà poi utilizzato dagli aguzzini nazisti per lo sterminio degli ebrei nei Lager. 

La scelta di Adelphi è felice anche nel titolo: nella difficoltà di utilizzare quello originale (Un verdor terrible) si è scelto il titolo di uno dei capitoli, il più lungo, quello riferito alla figura del genio della fisica del Novecento, Heisenberg, il quale all'epoca ventitrenne, durante la tormentosa convalescenza per una forte allergia, sull'isola sperduta nel mare del Nord, di Helgoland, intuisce e scopre che bisogna  smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare: è la nascita della meccanica quantistica, che ha cambiato la storia del mondo e che resta ancora oggi una teoria profondamente misteriosa anche se verificata un numero infinito di volte (basti pensare che gran parte della nostra moderna tecnologia, tra cui telefoni cellulari o internet funziona grazie ad essa), senza mai essere smentita nemmeno una volta. 

Benjamín Labatut, l'autore, è uno scrittore cileno nato a Rotterdam nel 1980. Ha trascorso la sua infanzia tra L'Aia, Buenos Aires e Lima, per poi trasferirsi a Santiago del Cile all'età di quattordici anni. E in questo paese vive attualmente in un remoto villaggio sulla Cordigliera. Il suo primo libro di racconti, La Antártica empieza aquí, ha vinto il Premio Caza de Letras nel 2009 e il Santiago Municipal Literature Award – nella sezione racconti – nel 2013. A questo libro sono seguiti Después de la luz e Quando abbiamo smesso di capire il mondo, che è stato nominato per l'International Booker Prize 2021.

Con il suo stile lucido e disturbante, Labatut costruisce un libro strano e diverso dagli altri. L'assunto è forse proprio quello di esplorare il lato demoniaco/distruttivo della scienza che si esprime nelle stesse vicende biografiche ossessivo/compulsive dei geni, che da Heisenberg a Schrodinger, sono i protagonisti del libro. 

La scelta di romanzare, cioè di inventare particolari biografici e non mano a mano che il racconto va avanti, è spiazzante per il lettore. E lo costringe ad andare ogni volta a verificare se quello che scrive Labatut è del tutto vero o no. 

Poiché l'avvertenza sulla libertà presa dall'autore nel raccontare queste storie è messa alla fine e non all'inizio del libro, qualche lettore potrà anche sentirsi coinvolto in un gioco scomodo. Forse però è proprio quello che Labatut voleva, visto che il tema centrale del libro è proprio il dubbio relativo alla esistenza di quello che noi chiamiamo "reale", sulla consistenza del quale è proprio la scienza moderna a farci dubitare. 

Cosa è vero, cosa no? Chi e cosa sono queste menti geniali che hanno scoperchiato abissi? 

La cosa certa è che grazie a Labatut si imparano molte cose su argomenti su cui abbiamo letto tanto, senza mai finire di meravigliarsi di quanto il mistero in cui siamo calati sia spaventosamente fitto e infinitamente complicato. 

La mancanza di qualsiasi parvenza di oggettività in quello che noi pensiamo/vediamo/ realizziamo, rispetto al piano di "realtà" - ammesso che esista poi, una realtà - è sconvolgente, dato che le cose nella fisica quantistica sembrano esserci, esistere soltanto se e quando qualcuno le osserva (influenzandolo fra l'altro). 

È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un meraviglioso intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.

L'unica pecca per un libro così bello è la cura editoriale - assai strano per un editore come Adelphi - che scivola sul piano dei refusi e della impaginazione. Nella edizione cartacea c'è addirittura una intera riga completamente saltata a fondo pagina, più tanti altri piccoli errori piuttosto imbarazzanti. 

Benjamín Labatut 

Quando abbiamo smesso di capire il mondo 

Traduzione di Lisa Topi 

Adelphi 2021, pp. 180 

isbn: 9788845935183 

€ 18,00 

05/07/21

Libro del Giorno: "Manifesto di Unabomber" di Theodore Kaczynski

 


Una bellissima serie tv - Manhunt/Unabomber - pubblicata su Netflix e un'altra serie di opere e di libri, tra cui il saggio di Leonardo Caffo, Quattro Capanne, uscito per Nottetempo, di cui abbiamo parlato qui, hanno riportato d'attualità l'incredibile figura e la storia di Theodore John Kaczynski, detto Ted, noto con il soprannome di Unabomber, nato a Chicago il 22 maggio 1942, che è stato uno dei criminali più inafferrabili nella storia degli Stati Uniti e che oltre ad essere un terrorista, fu matematico ed ex professore universitario statunitense, condannato a una serie di ergastoli per aver inviato pacchi postali esplosivi a numerose persone, durante un periodo di quasi diciotto anni, provocando 3 morti e 23 feriti. 

Kaczynski giustificò i suoi atti come tentativi di combattere contro quelli che lui considerava i pericoli e le distorsioni del progresso tecnologico. 

Prima di identificarlo, l'FBI utilizzava il nome in codice UNABOM (da UNiversity and Airline BOMber). I mass media cominciarono a diffondere varianti del nome, tra cui Unabomber

Nel 1995 Kaczynski spedì diverse lettere, alcune di queste alle sue vittime, dichiarando i suoi obiettivi e chiedendo che il suo documento scritto in 35000 parole La Società Industriale e il Suo Futuro (meglio noto come La Pillola Rossa, chiamato anche "Manifesto di Unabomber") fosse stampato inalterato da uno dei principali giornali o riviste; dichiarò che avrebbe quindi terminato i suoi attacchi terroristici. 

Ci furono grandi controversie sull'opportunità di cedere al ricatto. Un'altra lettera contenente minacce di altri attentati fu inviata e il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti ne raccomandò la pubblicazione al fine di evitare ulteriori minacce alla sicurezza. 

Il manifesto fu quindi integralmente pubblicato dal The New York Times e dal The Washington Post il 19 settembre 1995, con la speranza che qualcuno potesse riconoscere il tipo di scrittura. 

Prima della decisione del The New York Times di pubblicare il manifesto, Bob Guccione, direttore di Penthouse, si era offerto di pubblicarlo, ma Kaczynski replicò che, dal momento che Penthouse era meno "rispettabile" di altre pubblicazioni, si sarebbe "riservato il diritto di piazzare una (ed una soltanto) bomba con l'intenzione di uccidere, dopo la pubblicazione del nostro manoscritto".

Lungo tutto il manoscritto - redatto con una macchina da scrivere - Kaczynski scrisse in maiuscolo diverse parole al fine di evidenziarne il significato. 

Si riferì a se stesso come "noi" o "FC" (Freedom Club), nonostante sembrasse aver agito da solo. 

È stato anche evidenziato che la scrittura di Kaczynski, nonostante alcune parole composte non esistenti, è virtualmente priva di errori di grammatica o di ortografia, a dispetto dell'uso di una macchina da scrivere senza strumenti di correzione di nessun genere.

La Società Industriale ed il Suo Futuro si apre con l'affermazione di Kaczynski che "la rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state disastrose per la razza umana." I primi paragrafi del testo sono dedicati all'analisi psicologica di diversi gruppi - principalmente persone di sinistra e scienziati - e alle conseguenze psicologiche per l'individuo nella vita vissuta all'interno del "sistema industrial-tecnologico".

I paragrafi successivi sono dedicati alla futura evoluzione di tale sistema, sostenendo che avrebbe inevitabilmente portato alla fine della libertà umana, con un incitamento alla "rivoluzione contro la tecnologia" e un tentativo d'indicare come ciò dovesse essere compiuto.

Il testo, pubblicato anche in Italia, è molto interessante: Kaczynski, che era destinato a una brillantissima carriera di matematico, e che vantava un quoziente intellettivo molto alto, è un personaggio molto interessante, nonostante sia a tutti gli effetti un criminale, e ancora oggi, nella prigione in cui sconta i suoi ergastoli e dalla quale non è mai uscito, intrattiene corrispondenze con studenti, professori e gente comune, riguardo alle sue idee che espose nel Manifesto. 

La realizzazione della traduzione del libro in italiano è carente e colma di refusi ma comunque riveste una importanza testimoniale rilevante. 


Theodore Kaczynski nel carcere di Florence, in Colorado dove sta scontando i suoi ergastoli 


03/07/21

Libro del Giorno: "Taccuini del deserto - Istruzioni per la fine dei tempi" di Ben Ehrenreich

 


Il disastro è già avvenuto… È accaduto così tanto tempo fa che ce ne siamo dimenticati, l’abbiamo rimosso, tenuto lontano dalla nostra memoria collettiva. La civilizzazione, come la conosciamo, non è una conquista ma una tragica sconfitta. La maggior parte di quella che consideriamo storia è fondata su una catastrofe che la concrezione degli anni ha solo peggiorato. Ma ciò significa anche che non siamo condannati a questo, che esistono altri modi di vivere, che abbiamo da perdere molto meno di quanto pensassimo, e da imparare ancora un sacco di cose”.

Così scrive Ben Ehrenreich, americano, che scrive regolarmente per «The Nation» e collabora con varie riviste internazionali quali «Harper’s Magazine», «The New York Times Magazine», e «The London Review of Books», autore inoltre di due romanzi e di un libro di saggistica, "The Way to the Spring: Life and Death in Palestine" basato sulle sue esperienze di reporter in Cisgiordania.

Taccuini del deserto, pubblicato da Atlantide, nasce da un lungo soggiorno dell’autore nel deserto californiano del Mojave e da lì, luogo dove tutto inizia e finisce, trae uno sguardo inedito e assolutamente affascinante su quanto l’umanità sta vivendo in questo momento storico “in cui tutto, compreso il tempo, sembra sull’orlo del collasso”: una crisi irreversibile e sempre più profonda alla quale sembra non esserci rimedio se non la fine della nostra civiltà. 

E proprio dal deserto, simbolo al tempo stesso di morte e di trascendenza, che “ti fa arretrare e mette l’eternità in primo piano” Ben Ehrenreich prende le mosse per riflettere su cosa significhi l’idea di “fine dei tempi” non solo per la nostra civiltà ma anche per quelle che ci hanno preceduto. 

Come affrontare dunque l’Apocalisse ora che il tempo, suggerisce l’autore, sembra essersi annodato su se stesso? E cosa ci insegna la fine di intere civilizzazioni quali per esempio quella dell’antico Egitto e dei Maya? 

Passando dalla mitologia alla scienza, dalla storia delle religioni alla politica, dalla cosmologia all’antropologia e al racconto autobiografico, Taccuini del deserto affronta il senso più profondo e riposto dell’essere vivi qui e oggi, sospesi in un tempo di assoluta incertezza, ma che ci pone problemi e domande non troppo dissimili da quelli che altre civiltà prima di noi hanno affrontato, sopravvivendo in modi nuovi oppure scomparendo per sempre.


Ben Ehrenreich

Taccuini del deserto 

Altantide, 2021 

pp. 362, euro 18.50