"Apollo è stato il primo invasore e usurpatore di un sapere che non gli apparteneva, un sapere liquido, fluido al quale il dio imporrà il suo metro".
E' una
tipica frase che si puo' trovare nei libri di Roberto Calasso, in
questo caso un piccolo e fulminante saggio intitolato "La follia
che viene dalla ninfe".
Ma e' anche un'immagine che, oggi che
l'intellettuale che ha guidato la casa editrice Adelphi per 50
anni e che ha scritto una colossale "opera in corso" a partire
dal 1983, e' morto a Milano a 80 anni, oggi quell'immagine
dell'imposizione di un metro a un sapere fluido potremmo
sceglierla per sintetizzare cio' che Calasso stesso ha fatto come
editore e come autore.
Partendo proprio da quella "Nube della non
conoscenza" che ritorna sia nel catalogo Adelphi sia nelle sue
pagine, e che ha preso la forma di un pensiero articolato, di una
narrazione policentrica, di collane che continuano a fare la
storia editoriale dell'Italia all'ombra di quello che in molti,
senza troppa fantasia, ma con una certa esattezza, abbiamo
chiamato spesso l'ultimo editore puro del nostro Paese.
Sopravvissuto, anzi restio, alle grandi fusioni; ostinatamente
legato a un'idea irraggiungibile, come le ninfe, come l'Oriente,
ma capace, per citare l'amato Aby Warburg, di creare il "gesto
vivo" della cultura.
Il riferimento mitologico e' inevitabile nella bibliografia di
Calasso, che siano indu' o greci o perfino postmoderni, gli dei
sono ovunque.
Tanto presenti da farci ritenere che qualcosa di
quella divinita' si fosse infusa anche in lui, il personaggio
leggendario che nel suo studio trovava porte per altre
dimensioni.
Per un giornalista comune non era facile avvicinare
Calasso per un'intervista a Milano, ma, per una serie di ragioni
che ancora non mi si sono chiarite, alla Fiera di Francoforte
tutto diventava possibile, tanto da sentirsi dire, dopo avere
rifiutato con un certo sdegno ogni riferimento alla "politica
culturale", una frase come, "ma perche' non parliamo di libri?".
E
li' sembrava, quasi la Buchmesse diventasse un cielo del Tiepolo,
che una luce divina fosse scesa accanto, nello stand sempre
uguale della Adelphi.
E alla luce divina, talvolta, capita di
attribuire anche il carattere di immortalita'. Fino a prova
contraria, per lo meno.
Calasso era colui che, raccogliendo i propri risvolti di
copertina in un unico volume, li definiva "cento lettere a uno
sconosciuto", era l'editore che fin dall'inizio aveva cercato di
pubblicare i "libri unici", quelli che "molto avevano rischiato
di non diventare mai libri", perche' "l'opera perfetta e' quella
che non lascia tracce".
E se in questi brevissimi accenni alla
sua "impronta" di editore vedete, per esempio, la figura in
controluce di un Franz Kafka, o quella di un Talleyrand, ecco, la
risposta e' si', ci sono, esistono come prova di una possibilita'
dell'esistenza stessa del mondo e della sua narrazione:
letteraria, storica, politica.
"Non c'e' sacrificio senza residuo
- scriveva Calasso - e il mondo stesso e' un residuo. Percio'
occorre che i libri esistano. Ma occorre anche ricordare che, se
il sacrificio fosse riuscito a non lasciare un residuo, i libri
non ci sarebbero mai stati".
E insieme ai libri, ovviamente, non
ci saremmo stati noi.
Nelle ultime settimane, fatto abbastanza inconsueto, sono usciti
a distanza ravvicinata due libri di Roberto Calasso,
"Allucinazioni americane", sul cinema di Hitchcock, ma anche su
Kafka e la sua America, e "Bobi", dedicato a Roberto Balzen, che
con lui fondo' la Adelphi.
Un'urgenza di pubblicazione che, con il
senno della cronaca del poi, fa pensare che non ci fosse piu'
tempo da perdere.
Ma forse e' anche solo la testimonianza
tangibile, sotto forma di libri (quindi dell'Universo sotto forma
di Biblioteca, come ci insegna Borges), di una passione totale e
assoluta.
"Come altrettanti dolmen in un vasto paesaggio
selvatico e silenzioso".
Nell'impossibilita' di circoscrivere e di riassumere in maniera
anche solo decente la personalita' di Roberto Calasso, proviamo a
chiudere arrivando all'oggi, al tempo del digitale, di cui ha
scritto in uno dei suoi piu' importanti testi recenti:
"L'innominabile attuale", che parla di terrorismo e di vita
digitale, all'insegna della costante e irrisolvibile forma
gordiana del Presente.
"La trasposizione dell'universo in forma
digitale e la sua disponibilita' al contatto con le dita -
scriveva Calasso - sono un fatto senza precedenti nella vita di
Homo Sapiens e toccano le regioni piu' remote e piu' oscure della
sua vita mentale".
Preciso, chiarissimo. Eppure quella strana
nebbia che attraversa tutto il mondo della scrittura
dell'editore, quella nebbia che e' generatrice di mitologie e di
luce, seppure imperfetta, rifratta, quella strana nebbia arriva
anche qui, ricordandoci che proprio in quelle regioni remote e
oscure sono nati i capolavori della filosofia Vedica come di
Roberto Bolaño, i saggi matematici di Kurt Gödel o le lettere di
Marina Cvetaeva.
Fino ad arrivare all'ombra wittgensteiniana che
seguiva sempre Jacques Austerlitz nella sua ricerca di
ricostruzione impossibile del mondo nel romanzo di W.G. Sebald.
Ma adesso sembra sia l'ora di un'altra passeggiata. Magari
capitera' di incrociare anche Robert Walser.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.