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30/08/22

12 Settembre 1928: Muore Italo Svevo, gigante della letteratura italiana, "ebreo a metà"

 


Sta per avvicinarsi l'anniversario della morte di uno tra i più grandi scrittori italiani di sempre. 

Il 13 settembre 1928, infatti, Italo Svevo morì, alcuni giorni dopo essere rimasto ferito in un incidente stradale a Motta di Livenza, vicino alla natia Trieste. Aveva 68 anni.

Questo è il ricordo che ne fa il quotidiano israeliano Haaretz: 

Sebbene Svevo abbia scritto per la maggior parte della sua vita, è stato solo in tarda età che la critica si è accorta di lui e i lettori hanno iniziato a comprare i suoi libri. Questo piacevole cambiamento era avvenuto in gran parte grazie agli sforzi di James Joyce, che si era dato da fare per far tradurre dall'italiano e pubblicare all'estero le opere del suo vecchio amico.

Aron Ettore Schmitz, come era stato chiamato alla nascita, era nato il 19 dicembre 1861 a Trieste, allora parte dell'Austria. (Pochi anni dopo entrò a far parte dell'impero austro-ungarico; dopo la prima guerra mondiale fu annessa all'Italia). Era il sesto degli otto figli di Francesco Schmitz, un commerciante tedesco-ebraico di articoli in vetro, e della ex Allegra Moravia, un'ebrea originaria di Trieste.

Aron crebbe parlando il tedesco e il dialetto triestino dell'italiano. Come ha notato il suo biografo P.N. Furbank, il nome di penna "Italo Svevo" - che significa "Italus lo Svevo" - era un'indicazione dell'identità "ibrida" che Schmitz sentiva.

Frequentò la scuola elementare ebraica, dopodiché fu mandato in un collegio di lingua tedesca vicino a Wuerzburg, in Baviera. Dopo aver conseguito il diploma di scuola secondaria, nel 1880, voleva lavorare solo come scrittore. Il padre, però, si aspettava che entrasse nel mondo degli affari e lui tornò a Trieste per iniziare gli studi all'Istituto Superiore Revoltella, una scuola commerciale.

Francesco Schmitz, nel frattempo, investì tutto il suo capitale in un'azienda di soffiatura del vetro che, quando fallì, lo lasciò non solo in bancarotta ma anche a malapena in grado di funzionare.

Per mantenere la famiglia, Ettore lasciò la scuola e iniziò a lavorare nel reparto corrispondenza commerciale della Unionbank di Vienna, a Trieste, lavoro che mantenne per i successivi 18 anni. Tutto il tempo libero di Svevo, però, era dedicato alla lettura e alla scrittura, e iniziò a pubblicare racconti e saggi quasi nello stesso periodo in cui iniziò a lavorare in banca.

La sua esperienza in banca gli servì anche come materiale per il suo primo romanzo, "Una vita", completato nel 1888, che riguarda un impiegato di banca che insegue la figlia del suo capo, per poi fuggire da lei quando lei lo accetta. Come tutti gli altri suoi primi romanzi, "Una vita" fu autopubblicato.

Nel 1896, dopo la morte di entrambi i genitori, Svevo sposò Livia Veneziane, una cugina e una cattolica romana praticante. Egli stesso non era interessato alla vita religiosa - insistette per una cerimonia nuziale laica - ma dopo che Livia si ammalò gravemente, dopo la nascita del loro primo figlio, e immaginò che la sua malattia fosse una punizione per aver sposato un ebreo, Svevo si offrì di sottoporsi al battesimo.

Dopo aver pubblicato il suo secondo romanzo, "Senilità" (in inglese "As a Man Growser Older"), nel 1898, e aver visto che non aveva avuto successo, Svevo decise di smettere di pubblicare, pur continuando a scrivere. Come spiegò: "Scrivere si deve. Quello che non si deve fare è pubblicare".

L'anno successivo iniziò a lavorare per il suocero, proprietario di una fabbrica di vernici marine di grande successo. Per 25 anni non pubblicò nulla.

Avendo l'incarico di aprire una filiale dell'azienda di vernici in Inghilterra, Svevo iniziò a prendere lezioni di inglese alla scuola Berlitz di Trieste, dove il suo insegnante era un giovane James Joyce.

Joyce, che conosceva Ettore come "Hector", condivise con il suo studente alcune sezioni del suo "Dubliners" e Svevo ricambiò con alcuni dei suoi lavori. Joyce lo esortò a continuare a scrivere e Svevo autopubblicò in italiano quello che divenne il suo romanzo più famoso, "Le Confessioni di Zeno", nel 1923.

Nuovo tipo di romanzo, "Confessioni" è il libro di memorie di Zeno Cosini, scritto su richiesta del suo psicanalista, al quale si era rivolto per capire la sua dipendenza dal tabacco.

Joyce mostrò "Confessioni" a due critici francesi, che ne organizzarono la pubblicazione nel loro Paese. L'accoglienza entusiastica che ebbe in quel paese indusse la critica italiana a riconsiderare l'opera di Svevo, che finalmente, in quelli che finirono per essere gli ultimi anni di vita, cominciò a ricevere i riconoscimenti che prima gli erano sfuggiti.

Il 12 settembre 1928, mentre torna con la famiglia da un periodo di cure termali a Bormio, Svevo è coinvolto in un incidente stradale presso Motta di Livenza (provincia di Treviso), in cui rimane ferito apparentemente in maniera non grave

Nella vettura ci sono il nipote Paolo Fonda Savio, l'autista e la moglie Livia. 

Secondo la testimonianza della figlia Svevo si sarebbe fratturato solo il femore, ma mentre viene portato all'ospedale del paese ha un attacco di insufficienza cardiaca con crisi respiratoria, anche se non muore immediatamente. 

Raggiunto il nosocomio peggiora rapidamente: in preda all'asma, muore 24 ore dopo l'incidente, alle 14:30 del 13 settembre. La causa del decesso sono asma cardiaco sopraggiunto per l'enfisema polmonare di cui soffre da tempo e lo stress psicofisico dell'incidente.

Il quarto romanzo, Il vecchione o Le confessioni del vegliardo, una "continuazione" de La coscienza di Zeno, rimarrà incompiuto.